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La prima volta che Ranieri salvò il Cagliari
23 mag 2024
23 mag 2024
Ricordo della salvezza conquistata nel 1991.
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«Cagliari non sai come prenderla. Non è Nord, non è Sud. Per certe cose, hanno ragione a dire che non è Italia. Allo stadio ci applaudono se perdiamo giocando bene. Altrove dove accade? Non è solo gratitudine, direi educazione, civiltà vera»

Claudio Ranieri, 13 dicembre 1990

Claudio Ranieri non ha paura di piangere. Ci prova, a trattenersi, ma non ci riesce. Sarà forse il passare degli anni, l’emozione che si fa sempre più violenta e difficile da arginare. La raccolta di foto e video di Ranieri in lacrime è vastissima, il soggetto ricorrente, sempre uguale: la bocca che si stringe nel tentativo di farsi forza, le labbra che si inarcano verso il basso, le rughe che prendono vita, persino il naso sembra cambiare forma. È il pianto di un padre che vorrebbe evitare di essere visto dal figlio, ma non ha più nulla con cui nascondersi e allora cede. Contro il Sassuolo ha iniziato a piangere prima che Gianluca Lapadula trasformasse il rigore dello 0-2, il sigillo finale sulla salvezza. Ed è abbastanza probabile che finisca per piangere anche nella serata dell’addio definitivo al Cagliari, un insolito anticipo al giovedì sera accordato dagli isolani per assecondare le esigenze europee della Fiorentina, un’altra squadra alla quale il tecnico romano ha dato tutto ciò che aveva. Ma Cagliari no, Cagliari è un’altra cosa.

Cagliari come un richiamo dell’anima, Cagliari con il maestrale che ti scompiglia i capelli, i vestiti e il cuore, Cagliari che ti accoglie anche se non hai nulla a che vedere con quei luoghi e poi, quando te ne vai, ti sembra di non avere mai vissuto altrove se non lì. «Dentro di me c’era un maremoto», ha detto Ranieri nel giorno della sua seconda presentazione come allenatore rossoblù, 3 gennaio 2023, raccogliendo una squadra dispersa in mare aperto. «Ero un ragazzino quando arrivai a Cagliari e ho portato dentro di me il Cagliari per tutta la carriera, anche nei momenti più bui. I miei ricordi mi mettevano paura: perché rischiare di sporcarli? Ma mi sono detto: perché essere egoista? Non so se è la sfida più grande della mia vita, ma è una sfida che mi bolle dentro». Nessuno, in quel momento, avrebbe messo un euro sulla promozione del Cagliari, forse nemmeno Ranieri, che pure lo indicava come l’obiettivo: «Visto da fuori, il Cagliari mi dava l’idea di una squadra che non si è ambientata in Serie B. Ma noi dobbiamo salire».

Adesso che ha annunciato l’addio per la seconda volta, la società ha riavvolto il nastro e ha ricordato la prima impresa di Ranieri, il doppio salto dalla Serie C e una salvezza impensabile in A. «Andai via soltanto per non sporcare l’idea, quel sogno che mi aveva portato a farmi conoscere», ricordava qualche mese fa proprio il mister in una lunga intervista concessa a Giorgio Porrà per L’uomo della domenica. Il destino ha voluto che anche la seconda salvezza arrivasse il 19 maggio, in Emilia, come la prima volta: era il 1991, nei capelli si iniziava a intravedere un po’ di grigio, non aveva gli occhiali, si giocava al Dall’Ara. Ma per arrivarci, a quella doppietta liberatoria di Daniel Fonseca, la strada era stata decisamente accidentata.

La costruzione di quel Cagliari

Ha ancora la faccia da calciatore, Ranieri, quando si siede sulla panchina del Cagliari nell’estate del 1988. Una carriera da giocatore spesa in riva al mare: da Catanzaro a Palermo passando per Catania, dopo essere stato lanciato dai pro, primissima ironia della sorte, da Manlio Scopigno, uno che dalle parti di Cagliari ricordano ancora come una divinità pagana. Dopo le esperienze alla guida di Vigor Lamezia e Campania Puteolana, arriva l’intuizione del DS Carmine Longo e del patron Tonino Orrù.

Il Cagliari è in Serie C1, Girone B, ha un bisogno disperato di risalire, e sceglie questo tecnico giovane. Ci sono già le basi della squadra che due anni più tardi affronterà la massima categoria: Ielpo in porta, Valentini in difesa, Cappioli e Pulga a centrocampo. Se la promozione dalla C alla B è quasi ordinaria amministrazione, lo stesso non si può dire del salto successivo, arrivato in un campionato in cui militano corazzate come il Torino di Fascetti e il Parma di Scala. Il punto che vale il paradiso arriva con due giornate ancora da giocare, è un 2-2 in casa del Pisa, altra squadra destinata a salire: Ranieri viene portato sotto il settore ospiti caricato sulle spalle dai suoi giocatori. «Questa è stata la vittoria dell’amicizia, la mia più grande soddisfazione è quella di aver creato un gruppo in cui non sono mai mancate le critiche reciproche dopo ogni gara, sempre a fini costruttivi», dice con gli occhi lucidi ai giornalisti dovendo raccontare la promozione di una squadra che nei sogni di inizio stagione si vedeva al massimo alle prese con un’annata senza assilli di retrocessione. A Pisa sono arrivati cinquemila sardi e Ranieri, con i piedi ben saldi a terra, un’ora dopo la promozione li mette in guardia: «In questo momento di gioia voglio ricordare ai tifosi che non devono attendersi la squadra che conquistò lo scudetto: lotteremo per restare in Serie A, nulla di più». Il gol che vale il 2-2 all’Arena Garibaldi lo segna Fabrizio Provitali, miglior marcatore rossoblù di quella stagione: ventidue anni appena compiuti, un passato nel vivaio della Roma come Cappioli, prima punta classica, la speranza di vederlo ad alti livelli anche in Serie A.

Il Mondiale del 1990 è l’occasione per prendere appunti: ci sono tre stranieri da prendere per dare l’assalto alla salvezza e bisogna anche aguzzare l’ingegno. Il Cagliari gioca d’anticipo e già prima della rassegna italiana segue con grande attenzione il percorso dell’Uruguay allenato da Oscar Washington Tabarez. Sui ritagli dei giornali, a poche ore dall’inizio del torneo, spuntano i primi due nomi: il club è pronto ad annunciare l’arrivo di due giovani della "Celeste", il ventiquattrenne José Oscar Herrera, proveniente dagli spagnoli del Figueres, il classico profilo che fa la felicità di ogni allenatore per la sua capacità di giocare in difesa e a centrocampo, e il ventenne Daniel Fonseca, attaccante del Nacional Montevideo. Fanno entrambi parte della spedizione in Italia, anche se Fonseca deve vedersela con una concorrenza feroce, tra Ruben Sosa, Pato Aguilera e Francescoli. Trova uno spazietto in panchina soltanto per l'ultima, decisiva, partita del girone, quella contro la Corea del Sud. Al Friuli va in scena una gara soporifera, a 25’ dalla fine Tabarez getta nella mischia Fonseca dopo aver già inserito Aguilera al posto di Ostolaza per cercare di trovare l’assalto vincente.

Minuto 91, punizione da destra: Fonseca si ritrova solo sul secondo palo e di testa manda l’Uruguay agli ottavi. È il suo primo gol in Italia, è il suo primo gol ranieriano, se vogliamo attribuire al termine un senso quasi mistico: i gol che arrivano quando ormai tutti si sono arresi e la speranza sembra finita. In uno slancio d’appartenenza insensato, a fine partita dedica la rete ai tifosi del Cagliari.

Gol di Fonseca e telecronaca di Victor Hugo Morales, che altro dire?

La finestra trasferimenti dell’estate del 1990 è progettata da qualche mente deviata: una prima parte pre-Mondiale, poi la chiusura per non disturbare i calciatori azzurri, quindi la riapertura a inizio luglio con il torneo agli sgoccioli. Il Cagliari, oltre al duo uruguaiano, ha riportato in Sardegna anche il figliol prodigo Gianfranco Matteoli, scaricato dall’Inter. Un giocatore raffinatissimo, cerebrale, che agli ordini di Trapattoni si era riciclato brillantemente da regista dopo una carriera da centrocampista offensivo. Matteoli, cresciuto tra Ovodda e Ollolai, a quindici anni era stato scartato proprio dal Cagliari durante alcuni provini per il settore giovanile.

Dopo nemmeno due giorni della nuova finestra di mercato, il club sardo trova anche il suo terzo straniero. È un altro uruguaiano, probabilmente il più forte, capitano della Nazionale. Aveva sfiorato l’Italia già nel 1989: Bernard Tapie aveva cercato invano di usarlo come parziale pedina di scambio per arrivare a Diego Armando Maradona nel suo secondo assalto all’argentino, quello del mese di novembre, dopo aver visto sfumare l’ipotesi nel corso dell’estate quando l’affare sembrava fatto. Prima ancora, invece, era finito nel mirino della Juventus. Un anno più tardi, invece, nonostante una buona stagione all’Olympique Marsiglia, si ritrova ad accettare la corte di una neopromossa. Il Cagliari versa 3 miliardi per aggiudicarsi Enzo Francescoli, "el Principe", giocatore dalla tecnica sublime, idolo senza tempo di un adolescente marsigliese che di nome fa Zinedine e che in dono a uno dei suoi figli darà proprio il nome Enzo. Firma un biennale da un miliardo a stagione: 400 milioni sono garantiti da alcuni sponsor, 300 direttamente dall’OM che partecipa al pagamento. «Dopo avere parlato con il presidente e l’allenatore ho capito che qui avrei trovato l’ambiente ideale per giocare senza essere sottoposto a stress massacranti». Ranieri si dichiara soddisfatto: «Il potenziamento in teoria ci ha permesso di colmare il divario tecnico con altre formazioni ma bisognerà attendere per vedere se i punti cardine dello scorso anno sapranno ripetersi e se gli uruguaiani si ambienteranno subito. Io sono fiducioso».

Ranieri è stregato da Francescoli («Mi sta dando grandi soddisfazioni anche fuori dal campo, non pensavo che un fuoriclasse del suo livello si adattasse subito all’ambiente alla buona del Cagliari») e minimizza le fatiche del precampionato, ricordando che la stessa cosa era successa nei due anni precedenti. Il Sant’Elia si illumina a fine agosto per ospitare il Marsiglia, che vince 3-4 soltanto all’ultimo minuto con un rasoterra di Papin. Sono i giorni in cui infuria la Guerra del Golfo, con 135 italiani ostaggi in Kuwait e il premier Andreotti che cerca disperatamente di trovare una soluzione insieme al ministro degli Esteri De Michelis. Il mercato viene completato da alcuni ritocchi (Nardini dal Barletta, Mobili addirittura dall’Ostiamare che era in C2) e da un addio pesante a livello emotivo, quello di Lucio Bernardini, il capitano della doppia promozione.

Sul ciglio del precipizio

L’impatto con la stagione è terrificante: 4-0 a Lecce nell’andata del secondo turno di Coppa Italia, un tracollo che lascia segnali nefasti considerando che i salentini dovrebbero essere una delle concorrenti per la salvezza. Copione pressoché identico al debutto in campionato con l’Inter: Klinsmann pasteggia contro una difesa che mette insieme la bellezza di zero presenze in Serie A prima di quel giorno, segna una tripletta in 17 minuti dopo una discreta tenuta rossoblù per circa un’ora e interrompe un’imbattibilità casalinga che il Cagliari conservava dal 24 aprile 1988, in un ciclo di 26 vittorie e 12 pareggi. Mai, in sostanza, Ranieri aveva perso in casa dal suo arrivo in Sardegna.

Senza Fonseca, il tecnico si affida al giovane Raffaele Paolino dall’inizio, lasciando Provitali in panchina: il protagonista della promozione dalla B entra a partita in corso (è il suo debutto in A) ma sarà anche la sua unica presenza nella massima serie. In rotta con la società per il rinnovo di contratto, verrà ceduto nel mercato di novembre insieme a De Paola, espulso proprio contro l’Inter. Un po’ a sorpresa, alla seconda di campionato, arriva la vittoria: in casa dei campioni d’Italia del Napoli, con un tocco a porta vuota di Rocco (e probabile fuorigioco di Fonseca) e un sinistro proprio di Fonseca deviato da Corradini, Ranieri può celebrare un successo pesante, arrivato anche grazie a un cambio particolarmente coraggioso all’ora di gioco con l’ingresso di una punta, Paolino, per Herrera. Ma l’acuto del San Paolo, segnato da una serie di nefandezze dell’arbitro Nicchi da una parte e dall’altra, rimane l’unico fino alla fine del 1990. A fine ottobre, dopo aver perso lo scontro diretto con il Pisa per un autogol di Pulga, il Cagliari è ultimo.

A tenere a galla la squadra di Ranieri sono le prestazioni contro squadre di grido, come i pareggi con Sampdoria e Juventus. A Torino, dopo venti minuti, gli ospiti sono sotto 2-0 (gol di Di Canio e Marocchi): la Juve di Maifredi ha iniziato bene il campionato ed è seconda a un punto dall’Inter, i rossoblù sono ultimi con la miseria di cinque punti raccolti fino a quel momento. I bianconeri sono virtualmente primi, Ranieri vede i suoi a un passo dallo sprofondo. Ne escono con Cornacchia, un difensore, che mette in rete con un comodo tap-in un pallone rigettato dalla traversa dopo una meraviglia di Fonseca su punizione. La stagione dell’attaccante uruguaiano, fino a quel momento, è ai limiti del fenomeno parastatale. Ma al Delle Alpi cambia tutto, compreso il corso della sua avventura italiana. Nella ripresa va via sulla destra e mette in mezzo un pallone che Cappioli non spreca, correndo sulla pista d’atletica per esultare. Il 2-2 ribalta totalmente la stagione del Cagliari: «Questo punto vale più della vittoria di Napoli perché arriva dopo una serie interminabile di batoste. Devo ringraziare Fonseca e Francescoli, che hanno giocato una partita impeccabile», dice Ranieri. Prima della partita, La Stampa titolava: "Francescoli, un fantasma tra i sardi".

La partita della svolta.

Il 1990 si chiude con il ritorno alla vittoria ed è un altro risultato eccellente ottenuto contro una big di quell’anno, il Genoa, complice una papera clamorosa del portiere Braglia. Il girone d’andata si chiude con due pareggi e il netto ko in casa del Bari. A metà stagione, il Cagliari è penultimo con dieci punti raccolti in 17 giornate, a -5 dall’ultimo posto utile per non retrocedere che in quel momento vede il gruppone composto da due insospettabili (Napoli e Roma, giallorossi con una gara in meno) e dal duo Atalanta-Lecce. Eppure, nel delirio generale che è la Serie A, il Cagliari sembra terra straniera, al punto che La Stampa decide di inviare Curzio Maltese in Sardegna per raccontare il fenomeno di una squadra costretta nei bassifondi della classifica ma senza mai cedere all’isteria, di un allenatore che fatica eppure non è ritenuto a rischio di esonero, di tre stranieri che non hanno ancora avuto l’impatto sperato ma senza che questo generi contestazioni da parte del pubblico. «La realtà, sfrondata dalle favole, è che abbiamo fatto il passo più lungo della gamba: due promozioni in due anni sono un salto senza rete, siamo passati dalle elementari all’università», spiega Ranieri, che parla di cose apparentemente incomprensibili: «Il Cagliari ha perso la sua forza, che era la sua spregiudicatezza, la felicità del gioco». Chi diamine parla di felicità accostandola a una partita di pallone, in Italia poi?

Il girone di ritorno

In un campionato con i due punti per vittoria, i pareggi rappresentano un piccolo lusso da coltivare in mancanza d’altro. Il Cagliari infila una striscia di X al Totocalcio impressionante, cinque 1-1 in sei partite, intervallati a dire il vero dalla potenzialmente drammatica sconfitta di Cesena, con i bianconeri che venivano da sei sconfitte consecutive. Sono tutti pareggi dall’enorme peso specifico: Cappioli agguanta l’Inter su un terreno di San Siro che pare uscito da un bombardamento a tre minuti dalla fine con uno splendido colpo di testa; con il Napoli è Zola a rispondere al vantaggio di Cornacchia; con l’Atalanta Matteoli trova un gioiello di sinistro al volo per azzerare la rete di Caniggia e si ripete due settimane dopo, stavolta su punizione, contro il Milan; quindi torna al gol Francescoli, che era a secco dal 23 settembre, portando momentaneamente in vantaggio i suoi in casa del Torino, con una delicatissima girata al volo di destro.

Cagliari-Pisa 2-1 è l’altro grande punto di svolta della stagione, perché Ranieri trova una grande risposta da parte di Fonseca, che entra a partita in corso e trova il gol da due punti con una sberla di sinistro sotto la traversa: è soltanto la seconda rete del suo campionato. Le due trasferte consecutive (Lazio e Fiorentina) portano in dote solo un pari all’Olimpico. Poi comincia la primavera e il Cagliari cambia faccia, inizia a volare. Il Parma si arrende alla legge imposta dagli uruguaiani, che sembrano avere, all’improvviso, azzerato tutte le scorie lasciate dal Mondiale. A Fonseca risponde Osio, a Herrera non risponde nessuno perché la partita sta finendo.

Questa capacità di trovare il momento giusto in cui colpire, quasi sempre a ridosso del triplice fischio, è stata una caratteristica che ha accompagnato le squadre di Ranieri nei secoli dei secoli. Risulta abbastanza semplice ridurre il tutto a una parola comoda: è fortuna? Il caso in parte sicuramente ha il suo ruolo, ma la serenità con cui Ranieri ha affrontato i suoi decenni di carriera gli ha sempre consentito di leggere le partite in maniera diversa dagli altri allenatori: pochi tecnici hanno saputo trasformare gare anche cruciali con cambi controintuitivi, coraggiosi, ai limiti della follia. Quando tolse Totti e De Rossi all’intervallo di un derby che stava perdendo da strafavorito, lì per lì parve una bestemmia in chiesa: invece, come spesso è accaduto, la ragione scelse di stare dalla sua parte. E anche l’ultimo Cagliari, quello che si è appena salvato, ha costruito il suo miracolo pescando a piene mani da una panchina tutt’altro che ricca di talento eppure densa di contenuti: dalla miglior stagione in Serie A di Nicolas Viola alle ultime zampate di un vecchio leone come Pavoletti, fino all’ultima firma, quella di Matteo Prati, il ventenne match-winner di Reggio Emilia, che ha sempre sentito sulle sue spalle gli occhi attenti di mister Ranieri.

Ma torniamo al 1991. Passa una settimana e la visita alla Sampdoria sembra un atto dovuto: i doriani vedono a un passo il loro primo scudetto e scappano via, 2-0, Vialli e Mancini, e chi se non loro. Ma Fonseca ha iniziato a capire come funziona: il tiro-cross con cui accorcia le distanze a metà secondo tempo è effettivamente un regalo del destino, ma per pareggiare in casa dei futuri campioni d’Italia con una rovesciata all’88esimo serve una discreta dose di incoscienza. Sul Sant’Elia sventola ancora alta la bandiera dell’Uruguay il 14 aprile, quando Herrera e Francescoli liquidano il Lecce. È uno scontro diretto di importanza capitale: il Cagliari, vincendolo, esce dalla zona retrocessione, lasciando il posto proprio ai salentini allenati da Boniek.

Herrera protagonista in campo, con un gol splendido, e fuori, con una cravatta mirabolante.

I pareggi con Juventus, Genoa e Roma dicono che il Cagliari non intende mollare. Squadra e città sono totalmente compenetrati: c’è un’isola che soffia alle spalle della formazione di Ranieri. Ma c’è anche una parte di isola che chiede aiuto. Pozzo Amsicora, il cui nome evoca ai tifosi del Cagliari i ricordi dolci dello scudetto del 1970, è parte del cantiere minerario di Telle, nel complesso di Montevecchio. È, soprattutto, uno dei simboli delle lotte dei minatori per ottenere e salvaguardare i propri diritti. Il 21 aprile del 1991, circa 80 minatori prendono una decisione fortissima: per provare a salvare il posto di lavoro: alcuni di loro si calano nel pozzo e ci rimangono per poco meno di un mese. L’occupazione che terminerà il 18 maggio, un giorno prima della salvezza del Cagliari, ma con esiti diversi: la miniera, dopo circa un secolo e mezzo di attività, chiuderà in maniera definitiva. A un certo punto, a Pozzo Amsicora, appare anche Claudio Ranieri, che parla con i lavoratori e porta la sua solidarietà e quella della squadra. Con lui, tra gli altri, c’è anche Enzo Francescoli.

Contro un Bologna allo sbando, il Cagliari chiude il discorso salvezza con una settimana di anticipo, davanti a duemila tifosi che hanno affrontato una trasferta lunghissima. Fa tutto Fonseca: la dolcissima punizione del vantaggio nel primo tempo, l’allungo rabbioso nella ripresa, il pallone portato avanti di testa e inseguito prima di calciarlo in diagonale col mancino. Finisce 1-2 e la festa esplode, sotto il settore ospiti del Dall’Ara e in città. Negli spogliatoi, Ranieri cerca di non perdere il controllo: dice di essere un uomo che fatica a esternare le emozioni, fa capire che la sua avventura a Cagliari sta per concludersi. L’ultima al Sant’Elia è una passerella, un 1-1 con il Bari che non sposta di una virgola il campionato delle due squadre. Ranieri indice una conferenza stampa alla fine del campionato: è il 1991, l’addio non viene annunciato con video sui social network come accade oggi ma parlando in una stanzetta piena di giornalisti.

Cagliari-Bari, in quel 1991, era stata la partita dell’addio. Bari-Cagliari, un anno fa, gli ha regalato lacrime di gioia che forse non immaginava più di poter versare. Non voleva macchiare quel ricordo, ma allo stesso tempo sentiva che era giunto il momento di tornare, di restituire un po’ di quell’amore.

Cagliari-Fiorentina sarà l’ultimo atto della seconda vita rossoblù di un allenatore che ha conquistato il cuore di tutti. Piangerà ancora, probabilmente. E tanti altri con lui.

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