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Perdere l'amore: Salih Uçan
12 set 2018
12 set 2018
Per la rubrica dedicata ai giocatori che ci hanno spezzato il cuore, l'idea assurda e meravigliosa che ci eravamo fatti sul centrocampista turco.
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La prima volta che vidi comparire il cespuglio di capelli di Salih Uçan era il 2013. Quarti di Europa League, Fenerbahce-Lazio. I turchi sono sullo 0-0 e hanno un uomo in più quando al 75’ il tecnico fa uscire il brasiliano Cristian e fa entrare il gioiello più splendente del movimento giovanile turco. Salih Ucan ha 19 anni ma già più di 40 presenze tra i professionisti; indossa la maglia numero 48, la sigla automobilistica della sua città natale, Marmaris, uno scenario idilliaco sul Mar Egeo.

 

Al suo ingresso il pubblico dello Stadio Sarakoglu si alza in piedi ad applaudirlo come si fa per un artista, un eroe, una persona di cui dobbiamo essere felici di condividere la stessa epoca storica. Il telecronista di Sky dice: «Entra un ragazzo da tenere d’occhio». Nel 4-2-3-1 di Kocaman Uçan si sistema dietro la punta, Webo, e inizia a girovagare per il campo con quell’aria annoiata da borghesia in disfacimento che avremmo imparato a conoscere. È un’andatura che rappresenta bene la sua assenza di agonismo, la sua inadeguatezza al calcio contemporaneo, ma in quel momento era facile scambiarla per il segno di un talento di natura superiore, troppo puro per essere corrotto dallo sforzo fisico.

 

Era un Fenerbahce affascinante, carico di giocatori carismatici: Raul Meireles, Joseph Yobo, Dirk Kuijt, Caner Erkin, e tutti sembravano sputare sangue per spingere dalla propria parte l’inerzia di una partita importantissima. Uçan ci mette 5 minuti a toccare il suo primo pallone, un cambio di gioco bellissimo ed emozionante per gli amanti dei gesti semplici e perfetti. Due minuti dopo riceve una palla dalla difesa, verticalizza e si lancia nello spazio, addomestica una palla complicata col sinistro e la dà ancora in verticale. Come si dice con un’espressione un po’ vaga ma adatta quando si parla di un talento così etereo: “sembra avere tanto calcio nelle gambe”.

 

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Rivedendo quella partita era facile accorgersi di quante cose non andassero nel gioco di Uçan. Ad esempio, pur giocando nominalmente da trequartista, si abbassava in maniera costante verso la difesa per aiutare la costruzione bassa. Poteva essere un indicazione del tecnico, ma Uçan si abbassava sempre, con un istinto infantile verso la palla. Uçan, poi, non corre mai: chiuderà la partita senza neanche uno scatto, distribuendo, calmo e tranquillo, palloni a gente indemoniata. Il Fenerbahce vincerà 2-0 e Uçan tornerà negli spogliatoi con la maglia asciutta. Per me, in quel momento, era un distintivo di aristocrazia calcistica. Qualche tempo dopo ho scoperto che è in quella stessa partita che Salih Uçan

da Walter Sabatini, per caso davanti alla tv.

 

Ho continuato a seguire Uçan, a guardare i suoi video di highlights individuali contro avversari fiacchi, le compilation di dribbling e assist fatti nel Bursaspor, la sua prima squadra, con la musica epic metal in sottofondo. Quando più o meno un anno dopo Salih Uçan si è trasferito alla Roma, la mia squadra, sembrava che qualcuno avesse voluto farmi un regalo. Qualcosa di così bello e così gratuito… Eppure non c’era niente di casuale. Dopo anni di realismo e grigiore, Sabatini aveva fatto diventare la Roma quello che avevo sempre sognato: una squadra capace di arrivare prima di tutti sui talenti più occulti ed esoterici del calcio mondiale. Questo era Uçan, un prodigio di esotismo: nato a Marmaris, cresciuto a Smirne, riccioli color ambra, pelle d’olivo mediterraneo. Mezzala delicata, dal talento ineffabile, nel senso usato da Dante, cioè di indescrivibile. Non c’era niente in Uçan che lo facesse sembrare un fenomeno: non era veloce, non segnava molto, non dribblava, non aveva muscoli, ma le poche cose che faceva erano semplici ed eleganti come le cose migliori di questa terra.

 

In quello stesso periodo nella Roma giocava Leandro Paredes, un giocare dalla sensibilità tecnica unica, capace di colpire una lattina di Coca-Cola da una terrazza al decimo piano. Il talento di Paredes era tutto visibile: nei cambi di gioco di mezzo esterno di 50 metri, nei tiri fatti con le tre dita, nelle protezioni palla con la suola in mezzo a gente in affanno. Salih Uçan invece esprimeva un talento sottile e più puramente estetico. Il modo in cui “ciondolava” per il campo, seguendo il gioco quasi distratto, le indicazioni ai compagni su dove distribuire il pallone, le sequenze semplici di stop-conduzione-passaggio trasmettevano un senso di controllo assoluto. Come se il calcio fosse un’arte della semplicità a cui solo pochissimi eletti possono però avere accesso. Il suo gioco era gonfio di promesse, anche se cosa mi sarei dovuto aspettare da un giocatore così? O meglio: cosa sarebbe stato lecito aspettarsi?

 



Forse a questo punto devo confessarvi che dedicai a Uçan

, che oggi si lascia leggere in modo impietoso, specie nella parte in cui definivo Uçan un giocatore “moderno”. Era l'articolo entusiasta di un tifoso che aveva visto ancora pochi talenti appassire nella propria squadra. Oggi qualcuno ancora mi ricorda quell’articolo, anche se senza cattiveria, “ci credevamo tutti”. Chissà cosa ci avevamo visto in Salih Uçan.

 

Del resto la cifra spesa dalla Roma per averlo sembrava certificare in qualche modo il suo talento. Quasi 5 milioni per il prestito, altri 11 per un eventuale riscatto che non arriverà mai. Oggi ci sembrano magari cifre piccole ma all’epoca erano quelle che si spendevano per giocatori di alto livello. Edin Dzeko arriverà alla Roma un anno più tardi con un’operazione dagli stessi identici numeri: 4 milioni per il prestito e 11 per il riscatto.

 

Alla conferenza di presentazione Uçan è arrivato con la polo sociale e dei riccioli impeccabili che sembravano disegnati a matita. Quando gli chiedono quali sono le sue caratteristiche risponde con un lirismo imprevisto: «Salih Uçan, significa in italiano “colui che vola”. Sono un giocatore di buone possibilità, la qualità che mi piace è fare dei passaggi filtranti, buoni per andare in rete, mi piace giocare dietro le punte e lanciare in verticale il pallone».

 

Alle sue prime foto sui social il profilo della Roma viene preso d’assalto da tifosi turchi fuori di testa: “Diamond of Marmaris”, “Turkish Golden Boy” strillano nei commenti alle foto. Vengono pubblicati i video di highlights individuali di ogni amichevole pre-stagionale. Uçan gioca sempre in International Champions Cup, governando il centrocampo della Roma contro squadre come Manchester UTD, Inter o Real Madrid. A riguardare quelle partite viene da pensare che Salih Uçan sia uno dei migliori interpreti assoluti delle amichevoli, il re del calcio estivo.

 

https://www.youtube.com/watch?v=XeMw1mstGhs

Ruba palla in pressing e corre verso la porta, nasconde la palla di tacco all’avversario e più in generale sembra giocare guardandosi allo specchio.



 

Attorno a Uçan c’è un’attenzione tale che esce

che ha il solo scopo di immortalare un momento in cui il suo corpo e quello di Cristiano Ronaldo sono venuti a contatto. Qualcuno

“Il Pogba turco”, e d’altronde la Roma

a squadre come City e United. Esce

che lo incorona come “The next breakout star”. La descrizione delle sue caratteristiche oggi suona quasi comica: «Come centrocampista moderno e completo, Salih ha le potenzialità per diventare uno dei migliori. Controllo palla squisito, velocità nel gioco di piedi e visione di gioco straordinaria: Uçan è versatile, a suo agio a centrocampo ma anche con tutte le qualità per giocare come attaccante o numero 10, vista la sua abilità nel leggere il gioco».

 

Nella sua prima foto su Instagram guarda la sua maglia con occhi innamorati, con un look da Banda della Magliana. Qualche giorno dopo pubblica orgoglioso un

di tutti i giocatori musulmani della Roma in abiti tradizionali. Dice che lo aspetta una nuova vita, che darà tutto per la Roma. Promette di tagliarsi i capelli se segnerà al derby, dice di ispirarsi a Frankie Lampard. Gli chiedono quanto gli piace toccare la palla con la suola da 1 a 0, “direi 8!” dice.

 

Fra i compagni ha legato con Emanuelson, che gli traduce le istruzioni tattiche (non alla perfezione, suggeriscono i maligni). Gli chiedono a che punto è con l’italiano: «Ho imparato piccole cose adesso. Penso di poter imparare in fretta». Non imparerà mai neanche una parola.

 



Da agosto a ottobre Uçan non vedrà mai il campo, neanche per un minuto. Io non me ne capacito, ma in un certo senso la cosa conferma la mia considerazione del suo talento: non è forse proprio dei grandi geni quello di essere incompresi?

 

Non ci sarebbero neanche grandi ragioni tattiche. Il 4-3-3 di Rudi Garcia non è un sistema molto codificato e lascia ai giocatori enormi responsabilità creative. Sta ai giocatori risolvere l’aridità offensiva della squadra, e per questo Salih Uçan sembra potercisi adattare a meraviglia da mezzala di possesso, back-up di Miralem Pjanic. Ma Garcia non è d’accordo e non lo fa giocare mai.

 

Esordisce per qualche minuto contro il Chievo Verona, il 18 ottobre, poi ancora il vuoto fino a marzo, quando arriva il suo esordio da titolare, contro il Cesena, una partita che i fan irriducibili di Uçan citano ancora come quelli degli Oasis parlano di Definitely Maybe o quelli di Virzì di Ovosodo: un monumento incontestabile al suo talento. Un topos tirato fuori in quelle serate estive particolarmente noiose: «E la partita col Cesena»; «Ancora mi ricordo l’assist per De Rossi», deformando nel ricordo uno stop sbagliato che in qualche modo ha servito a DDR la palla dell’1 a 0.

 

Riguardando quella partita, non c’è molto da dire su Salih Uçan. Un’intraprendente azione al limite dell’area, conclusa con un tiro smorto di sinistro; un paio di cambi di gioco elegantissimi e, soprattutto, un dribbling di tacco in mezzo a due giocatori che è tuttora, forse, il punto più alto della carriera di Salih Uçan come giocatore di calcio.

 

http://www.giphy.com/gifs/kPIeCXLD2Nd59AgCrD

 

Uçan aveva dimostrato appena qualche sprazzo di un talento che io consideravo sconfinato, ed era bastato a farlo sembrare adeguato alla Serie A. Fisicamente e tecnicamente adeguato. Dopo la partita contro il Cesena mi sentivo in pace. Diversi amici mi hanno scritto come se avessi giocato io, con toni simili a quando si fanno i complimenti per aver passato un esame difficile. Il suo agente dice che «Salih è felice»; su Repubblica esce un articolo che ne sancisce la rinascita, dando una consistenza storica alla partita col Cesena: «Di certo quando ripercorrerà le tappe della propria carriera, Salih Uçan non potrà non pensare a quella notte di Cesena in cui Roma iniziò a scoprire il suo talento».

 

Tutti pensavamo sarebbe stata la prima di una lunga serie di partite da titolare di Uçan con la maglia della Roma. Aveva giocato 67 minuti dignitosi e senza particolari acuti, insufficienti forse a motivare l’hype che lo circondava ma al contempo insufficienti a giustificare il fatto che non vedrà mai più il campo, al di fuori dell’ultima passerella stagionale, in casa contro il Palermo alla 38.esima giornata.

 

Walter Sabatini è perentorio: «Garcia su certe cose è pragmatico. Uçan è molto forte e farò di tutto per tenerlo». In effetti Uçan rimane, ma continuerà a non trovare spazio. Nel frattempo la Roma ha una stagione complicata, in cui Rudi Garcia lascia il posto a Luciano Spalletti. Se con il tecnico francese Uçan giocava pochissimo, con Spalletti non giocherà mai. Durante l’anno la poca considerazione assume dei tratti anche comici. In

viene sottolineata la sapiente gestione della rosa da parte del tecnico: «26 gli elementi coinvolti, ne ha ignorati solo 3: i portieri di scorta, De Sanctis e Lobont, più Uçan». Solleticato in un’intervista dice che «Uçan ci aiuta a mettere qualità in allenamento» e a fine anno una giornalista turca chiede - con estremo tatto - i motivi del suo scarsissimo impiego.

 

Spalletti risponde con la sua solita complessità retorica medievale e un tono accondiscendente. Un discorso di 3 minuti che forse vale la pena allegare.

 

https://www.youtube.com/watch?v=J7U-uCpg4xU

 

Il succo è che Uçan è un bravo ragazzo, ma un giocatore non abbastanza bravo per giocare a calcio nella Roma. Specie per un allenatore così ossessionato dalla solidità - fisica e mentale - dei propri giocatori: «Deve migliorare dal punto di vista dell’intensità, della continuità caratteriale» e poi una chiosa amara, che parla di Uçan già al passato: «Lui aveva dimostrato di poter stare in questa squadra, ma gli altri sono stati più bravi».

 

A fine stagione finisce il sogno di Uçan come calciatore della Roma, e forse come calciatore di alto livello in generale. Se ne va con un post su Instagram: una foto di lui che saluta una curva tra l’ironico e l’indifferente, e una didascalia semplice: «Cari tifosi della A.S. Roma, nei miei due anni di permanenza a Roma ho cercato di meritare la vostra attenzione ed il vostro affetto. Vi ringrazio di cuore per la Vostra accoglienza .“Arrivederci Roma”». Nei suoi due anni alla Roma la figura di Uçan si è ammantata di un mistero quasi leggendario: c’era chi diceva fosse un bravo professionista ma un ragazzo di poco carattere; chi diceva fosse pazzo e troppo poco professionale. Le leggende lo hanno dipinto, alternativamente, come un timido, solitario e tormentato, o come un donnaiolo dissoluto e distante dal calcio. Se ne andrà con 346 minuti giocati in due anni, neanche quattro partite in totale in tutte le competizioni.

 

Torna a casa, al Fenerbahce. Dovrebbe essere un rehab al calcio ma i problemi fisici lo tormentano e gli fanno vedere ancora poco il campo. Nell’estate del 2017 si trasferisce in prestito in Svizzera, al Sion, nel paese in cui vanno a disintossicarsi le rockstar o a riposare gli anziani patrizi descritti da Sorrentino in Youth. I video delle sue partite arrivano improvvisi e frammentati, come cartoline da un universo parallelo: qualche bel cambio di gioco, una manciata di assist fatti col minimo sforzo e un gol su punizione a un portiere distratto, a cui fa seguito un’esultanza un po’ troppo enfatica in un contesto di sostanziale disinteresse.

 

https://www.youtube.com/watch?v=GXWXW4jXkSk

 

A corredo delle sue poche giocate, qualche foto sui social scattata da un pianeta di cui sembra essere l’unico abitante: Uçan che

da un terrazzo di Montreaux; Uçan

di una macchina vintage con la camicia aperta fino all’ombelico. C’è anche

dedicato al campus militare a cui il presidente del Sion ha deciso di portare la squadra: Uçan in tuta mimetica, che spara al poligono, che si scalda del cibo in scatola su una fiamma debole e occasionale. Un capolavoro di surrealismo.

 

Anche al Sion Uçan gioca poco e non corre mai, confermando l’idea di un giocatore dalla consistenza quasi esclusivamente ideale. Torna ancora al Fenerbahce, che ormai lo ha abbandonato come una vecchia mano di scimmia presa dal rigattiere: un oggetto esotico e inutile. Alla fine del calciomercato l’Empoli, con una scommessa che ha i contorni dell’incredibile, decide di riportarlo in Italia, forse sotto consiglio del tecnico Aurelio Andreazzoli, che lo aveva allenato alla Roma, pur senza mai vederlo in campo. Magari anche Andreazzoli è un fanboy di Uçan, irriducibile all’idea della sua inadeguatezza al calcio. Del suo arrivo si è parlato poco e con i trafiletti che si riservano alle curiosità più assurde e inspiegabili: Uçan non è stato presentato, non ha ancora rilasciato interviste, non ci sono suoi post sui social. Quasi verrebbe da pensare che il suo ritorno in Italia è solo un grande sogno.

 

Nel frattempo io ho smesso di aspettarmi qualcosa. Ho capito che la più grande colpa di Salih Uçan è stata quella di non essere all’altezza della nostra idea di lui: un’idea assurda, ingiustificata e meravigliosa.

 
 

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