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La straordinaria ascesa di Sabrina Ionescu
24 mar 2020
24 mar 2020
La storia e la mentalità del volto della pallacanestro femminile.
(articolo)
16 min
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È una delle più importanti partite stagionali al Maples Pavilion di Stanford. La terza squadra della nazione, le Oregon Ducks, scende in campo contro la squadra dell’università locale. E Oregon Ducks nel basket collegiale femminile significa un solo nome: Sabrina Ionescu. Questa però per Sabrina non è una partita qualunque. La playmaker e deus ex machina di Oregon ha appena sofferto la tragica morte di due amici: Kobe e Gianna Bryant. Poche ore prima, la leader all-time per triple doppie in NCAA ha parlato in mondovisione al funerale di Kobe. Neanche il tempo di asciugare le lacrime, prendere un aereo e poche ore dopo deve affrontare una delle squadre più temibili d’America.

Le emozioni non la condizionano in campo. Oregon stravince la partita e Ionescu chiude con la ventiseiesima tripla doppia (21 punti, 12 rimbalzi e altrettanti assist) in carriera. Quando le chiedono delle motivazioni della sconfitta, la leggendaria Tara VanDerveer, allenatrice di Stanford dal 1985, ha risposto: “Sabrina. Loro hanno Sabrina e noi no”. Sabrina, la differenza tra una vittoria e una sconfitta. Per capire come la mente di Ionescu domina le partite, basta un semplice episodio.

Sopra di 15 sul finire del terzo quarto, Sabrina torna in campo. Deve effettuare una rimessa da sotto il canestro, ma qualcosa non va. Anziché tagliare verso canestro, Taylor Chavez - per cui lo schema era disegnato - sbatte inspiegabilmente su un blocco di Satou Sabally. Il passaggio non trova il destinatario, finché la stessa Chavez raccoglie la palla vagante e segna dall’arco. +18 Oregon Ducks, altro assist per Sabrina. Nell’immediata consultazione tra giocatrici, tuttavia, Ionescu è tutt’altro che contenta. Digrignando i denti e con gli stessi occhi iniettati di sangue che aveva il Black Mamba, riferisce alla compagna che avrebbe dovuto tagliare verso “il fottuto canestro”.

https://twitter.com/SheaSerrano/status/1232144773428981760?s=20

Shea Serrano, capo del Sabrina Ionescu Fan Club.

Geppetto

In Golden Days, lo splendido libro nel quale Jack McCollum intreccia le storie dei Golden State Warriors degli Splash Brothers e dei Lakers di Jerry West, l’autore indica un preciso momento nel quale la perlopiù tragica storia della franchigia sulla Baia ha svoltato per sempre. Il 25 giugno 2009, con la settima chiamata assoluta, Golden State sceglie Wardell Stephen Curry II da Davidson. Secondo vari report citati nel libro di McCollum, Steph non è che sprizzasse di gioia alla scoperta di dover giocare a Oakland. Nei precedenti 15 anni Golden State aveva fatto i playoff solo l’anno del ‘We Believe’, quando Baron Davis si era trasformato in Megatron.

Prima che Sabrina Ionescu si presentasse, senza dire nulla a nessuno, a Eugene, Oregon, con tutti i documenti necessari per diventare una Duck, il programma non andava al torneo NCAA da una dozzina d’anni. Un susseguirsi di stagioni mediocri, per non dire perdenti. Una prima svolta è arrivata con coach Graves nell’estate del 2014. Dopo 14 anni spesi a rimettere Gonzaga University sulla mappa del college basket femminile, portando le Bulldogs al primo torneo NCAA della loro storia, coach Graves sapeva di dover far di tutto per convincere Sabrina, richiestissima anche dai rivali di Oregon State. Mark Campbell, fido assistente di Graves, fu spedito a oltre 200 partite di Miramonte High School e, nel 2014, a Pilsen, in Repubblica Ceca, per seguire la Coppa del Mondo under 17, nella quale Sabrina vinse l’oro con Team USA. Quest'anno invece si è trovata davanti la selezione USA dall'altra parte del campo, come avversaria. Inutile specificare come sia finita.

Nella primissima partita della stagione 2019-20 Oregon ha affrontato nientemeno che la Nazionale americana. Le Ducks hanno vinto anche grazie a questa bomba dal logo di Ionescu: Team USA non perdeva contro una squadra di college dal 1999 (la Tennessee di Tamika Catchings).

Con l’arrivo di Ionescu il basket femminile ad Oregon prende il volo, sia dentro che fuori dal campo. Maite Cazorla diventa una delle migliori guardie della Pac-12, e Satou Sabally - un’ala tedesca di origine gambiana - si impone come una delle giocatrici con maggior potenziale in WNBA. Sabally è atletica, fulminante in accelerazione, agile per l’altezza (oltre 1 metro e 90) e dotata di una mano morbida da ogni distanza.

Insieme a Sabrina arriva ad Oregon anche Ruthy Hebard, nata a Chicago da genitori afroamericani e adottata in seguito da una famiglia bianca in Alaska. Le due sono diventate le Stockton-Malone del college basket, formando un rapporto strettissimo che va oltre il campo di gioco, con Hebard che negli anni è passata da odiare Ionescu per i suoi urlacci in campo ad essere la sua migliore amica.

Il pick-and-roll con Hebard ha mille variazioni sul tema, ma il pocket pass è la soluzione prediletta.

Soprannominata “Il martello” per la pressione che mette alle difese avversarie coi suoi tagli a canestro, Hebard deve ancora tentare una tripla in NCAA, ma nei pressi del ferro è devastante quando viene innescata nei pick&roll di Ionescu. Come aveva sottolineato Kobe Bryant nell’episodio di “Detail” che la riguarda, Ionescu ha ormai interiorizzato la capacità di sfruttare l’angolo dei blocchi di Hebard per attaccare dal palleggio.

Ha acquisito una tale padronanza nel leggere ciò che la difesa le lascia ed agire di conseguenza da mettere in crisi qualsiasi difesa avversaria. Anche perché lo spettro di tiri che Ionescu può prendersi è sostanzialmente infinito e la durezza dei blocchi e la velocità del taglio verso canestro di Hebard non hanno uguali a livello NCAA. Con il campo allargato da tre tiratrici sul perimetro come Taylor Chavez (miglior riserva dell’anno nella Pac-12), Erin Boley e Jaz Shelley (tutte oltre il 40% da 3 in stagione) hanno tutto il tempo e lo spazio che vogliono per scegliere la soluzione più efficace. Non è un caso che le Ducks siano in testa a tutta la Division I in punti a partita e rating offensivo, nonché dietro alle sole Baylor e Drake per assist a partita.

Ionescu eccelle anche nel gestire la transizione. Quando cattura il rimbalzo e può premere sull’acceleratore, non esita a farlo. La sua tortura preferita è assistere le tiratrici sull’arco, ma non si fa problemi a lanciare una compagna in campo aperto, premere il freno e trovare uno spiraglio ribaltando il lato o trovare il mismatch favorevole che la difesa ha concesso in seguito ad accoppiamenti di fortuna.

Ionescu possiede tutte le caratteristiche de solitamente definiscono un passatore di alto livello. Ha una visione a 360° gradi mentre è in movimento e riesce a recapitare la palla al destinatario manipolando l’attenzione dei difensori. La sua velocità d’esecuzione poi gli permette di congelare il pallone per una frazione di secondo in più per mandare fuori ritmo la difesa senza perdere un tempo di gioco.

Non c’è una singola traccia che Ionescu non riesca a esplorare: per il taglio backdoor, schiacciato a terra nella tasca che si crea tra i difensori, di tocco in transizione, con la mano debole lungo la linea di fondo.

Un talento completo e scintillante, che recentemente l’ha portata ad essere l’unica giocatrice nella storia del college basket a mettere assieme 2.000 punti, 1.000 rimbalzi e 1.000 assist in carriera. Per la sua capacità di muovere pedine su un campo da basket, Kobe Bryant l’aveva soprannominata ‘Geppetto’, come il burattinaio di Carlo Collodi. È lei che manovra dall’alto i fili al campus di Oregon, portando il basket femminile ad una esposizione mai raggiunta prima d’ora.

Durante l’anno I di Ionescu a Eugene la media spettatori non arrivava nemmeno a tremila anime, in questa stagione si superano abbondantemente i diecimila spettatori. Ionescu è da tanti considerata l’atleta più popolare che l’università abbia avuto dai tempi di Marcus Mariota (Quarterback ed Heisman Trophy nel 2014). Quando una sollevazione popolare ha finalmente costretto Nike a metterle in commercio, le maglie col #20 sulla schiena sono finite all’istante.

Bazooka Mode

Mentre ogni ragazzina appassionata della palla arancione ora sogna con la sua canotta, la prima mai posseduta da Ionescu fu quella della 6 volte All-Star Becky Hammon. Come l’attuale assistente dei San Antonio Spurs, Sabrina sogna un giorno di diventare capo allenatrice in NBA. Pur avendone la possibilità, non ha mai contattato Becky, uno dei suoi idoli d’infanzia, per consigli o dettami, perché è sicura che quest’ultima nemmeno la conosca. Tale mancanza di sicurezza è uno dei motivi per cui, secondo Kelly Sopak, il suo allenatore a Miramonte High School, in campo è così decisa. “Sa di essere la migliore sul parquet in ogni circostanza. Gioca consapevole di ciò. Ma per arrivare lì, deve affrontare un enorme complesso di inferiorità. È questo che la motiva e la spinge: la paura di non essere abbastanza”.

Durante la sua infanzia, non sempre gli Ionescu erano in grado di garantire tre pasti al giorno ai tre figli. Anzi. Per questo oggi non lascia mai una briciola nel piatto, tanto da meritarsi lo scherzoso soprannome di “smaltimento degli avanzi”. Non mangia molto, però, prima delle partite. E la notte fatica a trovare sonno. Ha una routine maniacale che dev’essere soddisfatta in ogni dettaglio, ogni singola volta: dai posti a sedere sul pullman agli allenatori che le passano la palla nella sessione di tiro mattutina, tutto dev’essere al proprio posto. In quel cervello iper-competitivo c’è già troppa confusione. A volte vomita pochi minuti prima della palla a due.

Motivazione feroce, intransigenza nei confronti di qualsiasi compagno di squadra, obbligo deontologico per chi le sta attorno di dare sempre oltre il massimo: non è difficile capire perché è stata stima a prima vista tra Sabrina e Kobe. Ruthy Hebard spesso ricorda Ionescu che, ancora freshman, urlava a chiunque in palestre semi-deserte. Urlava anche contro se stessa, da sola, quando tirava fino a tardi.

Quando Hebard nella passata stagione era ai box a causa di un infortunio, “Sabrina ha chiesto alle altre ragazze: ‘Di che cosa avete bisogno da me?’ Voleva l’opinione della squadra, un loro aiuto”. Sabrina l’essere umano è adorato da tutti; Sabrina la contendente è croce e delizia; Sabrina la giocatrice di pallacanestro è un raro esempio di come migliorare le compagne di squadra senza sosta.

Una superstar del basket femminile che invece conosce bene Ionescu è Diana Taurasi. Prima nella classifica all-time per punti in e ancora in attività, “The White Mamba” ha molte affinità con il numero 20 di Oregon. Taurasi ammira la “mentalità da immigrata” della guardia di Oregon, la fame e l’inflessibilità di chi, figlio di genitori stranieri, deve costruirsi una vita da zero negli Stati Uniti. I genitori di Diana sono argentini, quelli di Sabrina romeni. “Vedi i tuoi genitori che lavorano tutto il giorno. È una cosa che ti entra dentro: vuoi dimostrare a tutti che ti meriti di essere lì. È un tratto della personalità che diventa visibile,” spiega Taurasi.

Non ha importanza se Oregon è sopra di 30 o 40 punti - e le Ducks sono state sopra tante volte nel punteggio in stagione -, la mentalità è sempre “Bazooka Mode”. È così che Dan, il padre di Ionescu che fuggì negli Stati Uniti nel 1989 quando collassò il regime di Ceausescus, definisce il periodo della partita in cui Ionescu decide che è finito il momento di scherzare. Una testardaggine competitiva che la porta, alle volte, fuori strada: “Una delle cose che Sabrina ha chiesto a Diana Taurasi - racconta coach Graves - è stata: ‘Come faccio a portare le mie compagne che non sono motivate quanto me a quel livello competitivo che ritengo necessario per vincere?’”.

Quando deve prendere la partita al collo, Ionescu attacca. Il suo tiro preferito è il palleggio-arresto-tiro andando verso sinistra. Se la difesa cambia sul blocco, Ionescu riesce a sverniciare il lungo; se la sua diretta avversaria è in precario equilibrio, si ritrova al tappeto dopo un crossover per guadagnare spazio. La miriade di stratagemmi e la sagacia con cui Ionescu prende vantaggio sulla difesa avversaria per elevarsi in un tiro dalla media ricordano quelle di Bryant, col quale non a caso ha lavorato durante svariate estati.

“La vera perfezione non conosce fatica” spiegava Kobe a Sabrina.

Quando deve accelerare l’esecuzione per sventare il tentativo di stoppata o perché la penetrazione richiede un tiro più creativo, Sabrina riesce a prendersi qualunque tipo di floater o runner. Negli anni ha acquisito tocco anche nella mano sinistra ed usa il tabellone come una veterana.

Miglioramenti nell’uso della mano sinistra si notano anche nelle conclusioni attorno al ferro. Quella in cui si incunea con la mano debole è spesso l’unica linea di penetrazione che le viene concessa: essere efficienti anche in tale circostanza è un’ulteriore freccia nell’arco della futura prima scelta assoluta al Draft WNBA. Soprattutto, con la mano sinistra riesce a cambiare velocità in modo tremendamente subdolo.

Assorbire il contatto senza perdere equilibrio, hesitation dribble, cambiare mano con un palleggio dietro la schiena, mantenere il piede perno per fintare e mandare l’avversaria al bar, tagliare backdoor se la marcatura è eccessiva: contro Ionescu si può solo scegliere di quale veleno morire.

Ionescu non è solo una meravigliosa giocatrice dal mid-range. Da quando è a Eugene, tira col 41.7% da 3 su 5.4 tentativi a partita. In questa stagione sta tirando con volumi e percentuali da career-low, ma in estate aveva avvertito che il tiro era la cosa su cui stava lavorando di più. Comprensibile se si pensa che non ha ancora 23 anni, spaventoso se si considera che è premiata da tre anni di fila giocatrice dell’anno della Pac-12.

Dall’arco il repertorio rimane vastissimo: step back à la Harden, tiri da un paio di metri oltre l’arco e, nella giostra del pick-and-roll, non si fa mancare triple dal palleggio a ripetizione. Grazie a un rilascio veloce, Ionescu ha bisogno davvero di pochissimo tempo e spazio per crearsi un tiro pulito. La valvola di sfogo quando l’attacco di Oregon ristagna ed è lei a dover risolvere il possesso.

Esiste un notevole repertorio di esempi in cui Sabrina si prende una tripla catch-and-shoot in piena armonia con lo sviluppo dell’attacco. A volte, per darle un turno di riposo, coach Graves la “nasconde” in angolo, e anche da lì è cassazione.

Un ultimo aspetto del gioco di Ionescu che vale la pena analizzare è l’attitudine a rimbalzo, il fiuto con cui intuisce prima di tutti dove andrà a finire la palla. La costante consapevolezza della sua posizione in difesa e di come può aiutare la squadra inserendosi nelle pieghe della partita arriva da molto lontano. Mentre la madre fingeva di preoccuparsi per le telefonate delle maestre che le riferivano come sua figlia avesse solo amici maschi e non giocasse con le bambole, Sabrina aveva un solo modo per toccare la palla al campetto: cercare di prendere qualunque rimbalzo.

Grazie a un motore fisico e mentale di altro livello, non stacca mai la spina e non si pensa possa arrivare a prendere anche quel rimbalzo, finché non è lì, a strappare la palla dalle mani di una giocatrice 15 centimetri più alta di lei. Mancano le statistiche, ma sicuramente Sabrina guiderebbe l’NCAA intera per rimbalzi catturati a seguito di un proprio errore. (Una grave carenza della pallacanestro femminile ad ogni livello? Le statistiche).

Diversa, inafferrabile, Sabrina

Gli steward gridano per far defluire le persone. Gli addetti ai lavori smontano ciò che va smontato. Nessuno di questi dà la sensazione di voler rimanere ancora a lungo all’interno dell’Haas Pavilion. Si è appena consumata l’ottava sconfitta di fila per la formazione di casa, la non irresistibile squadra femminile di University of California Berkeley. Coloro incaricati di far defluire le persone, spazientiti, si sbracciano, usano il fischietto per richiamare l’attenzione. In duecento circa, tuttavia, non ne vogliono sapere di mettere i piedi fuori dal parquet intitolato a Pete Newell. Non si tratta dei tifosi locali, ma di gente con maglie bianche e verdi e il numero 20. Sono tifosi dell’università dell’Oregon, in trasferta.

C’è più trambusto del solito perché, in fila con tutti gli altri, svetta un ragazzone coi capelli ossigenati che gioca in NBA: tanti gli chiedono una foto, lui appena può si divincola e controlla con nonchalance il cellulare. È Ky Bowman dei Golden State Warriors. Anche lui sta aspettando che quel numero 20 esca dagli spogliatoi per una foto, un autografo, per scambiare due parole. Anche lui sta aspettando Sabrina Ionescu.

Dopo mezz’ora anche io imbocco il corridoio d’uscita. L’unica distrazione dalle gigantografie di grandi Golden Bears del passato tra cui spiccano Jason Kidd, Jaylen Brown e Shareef Abdur-Rahim è il sopraggiungere di una figura nota: un’altra leggenda del basket californiano, Chris Mullin. Se n’era appena andato dal palazzetto un altro che con la maglia di Golden State ha giocato qualche partita importante: Steph Curry con le figlie, Riley e Ryan. Proprio nessuno voleva perdersi l’atleta migliore che il college basket ha da offrire nell’annata 2019-20.

https://twitter.com/CalWBBall/status/1231045791734566913?s=20

Giornata in famiglia a vedere Sabrina.

Alla notizia dell’annullamento del torneo NCAA, il primo, rammaricato pensiero di tanti tifosi di pallacanestro è andato a Sabrina & co., all’impossibilità di poterci provare un’ultima volta. E quest’anno, prendendo in prestito uno slogan dal mondo del calcio, sembrava davvero l’anno buono. Sabrina era tornata ad Oregon per il quarto anno per completare un percorso - non solo suo personale, ma del programma intero - che sarebbe dovuto culminare col titolo NCAA. Non sarà possibile. “Sebbene il nostro unfinished business rimarrà per sempre tale, sono stata fortunata ad essere parte di questo viaggio” ha scritto sui social.

Ad aprire la cerimonia “Celebration of Life” per Kobe, sono stati invitati tre mostri sacri della pallacanestro femminile: Diana Taurasi e Geno Auriemma, oltre a Ionescu. Puntando il dito contro la poca attenzione che ESPN rivolge alla pallacanestro femminile e trollando su Instagram chi le consiglia di tornare in cucina, Ionescu è diventata un’ambasciatrice del suo sport. L’incipit del suo discorso descrive perfettamente la sua mentalità quando scende in campo: “Fin da bambina, ho sempre saputo giocare a basket in un solo modo: ferocemente, con concentrazione ossessiva. Ero competitiva e insolente. Volevo essere la migliore. Adoravo allenarmi, anche quando l’allenamento era duro. Specialmente se era duro. Sapevo di essere diversa, sapevo che le mie motivazioni erano diverse”.

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Gianna era una grande tifosa di Sabrina e il padre la accompagnava a vederla giocare ogni volta che poteva.

Solo le persone a lei più care sanno quanto Sabrina Ionescu fosse realmente legata a Kobe Bryant, qualcuno con cui aveva molte similitudini dal punto di vista dell’approccio mentale. Giusto un paio d’ore dopo la scomparsa di Bryant, Sabrina e le Ducks erano attese dal derby con Oregon State. Dopo aver spazzato via le Ducks per 14 partite di fila tra 2011 e 2018, 4 degli ultimi 5 incontri sono stati vinti da Sabrina & co.

Oregon stravince (di nuovo), scavando il solco decisivo tra terzo e quarto periodo. Domanda rivolta a Kelly Graves, durante la conferenza stampa post-partita, in cui Ionescu non è mai uscita dal campo: “C’erano possibilità che Ionescu non giocasse dopo aver ricevuto la tragica notizia?”. Risponde il coach, con un mezzo sorriso: “Voi non conoscete Sabrina”.

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