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«Non solo dei delinquenti»
03 dic 2025
Come funziona il progetto "Rugby oltre le sbarre".
(articolo)
9 min
(copertina)
Federazione Italiana Rugby
(copertina) Federazione Italiana Rugby
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Quante volte avete sentito parlare di “valori sociali dello sport”? Nel concreto però, che significato hanno queste parole? Spesso sembra solo una formula magica da usare all’occorrenza, per cercare di dare al sistema sportivo italiano, e ai problemi che si porta dietro, una patina di buona coscienza. A volte, però, lo sport è davvero un veicolo di valori sociali. È il caso del progetto “Rugby oltre le sbarre”, attivo dal 2014 all’interno del carcere Le Sughere di Livorno e da un anno e mezzo nel carcere di massima sicurezza di Ranza, a pochi chilometri da San Gimignano.

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In accordo con la direzione del carcere e con gli educatori che operano all’interno delle strutture, vengono proposti allenamenti di rugby per i detenuti una volta a settimana sui campi da gioco all’interno degli istituti penitenziari. «L’idea di partenza, che sembrava strampalata, è partita davanti a una birra durante un terzo tempo», racconta uno dei referenti del progetto, Maurizio Berti dei Lions Amaranto Livorno. «Insegnare i valori fondamentali del rugby dentro un carcere. Sostegno, sacrificio, rispetto. Portare questi concetti a chi nella sua vita precedente non ha rispettato le regole».

I tre ragazzi di San Gimignano insieme ai giocatori/allenatori della squadra degli Allupins Prato in occasione della partita con i Rinocerotti Livorno.

L’esperienza toscana è diventata una specie di avanguardia a livello italiano: «C’erano già altri progetti simili ma non erano mai stati sviluppati in una struttura di massima sicurezza. Abbiamo avuto l’approvazione sia del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria sia della Federazione Italiana Rugby».

«Con il rugby ho imparato a gestire la rabbia, è un sostegno che mi è servito in tutti i sensi». (Vincenzo Sorgente, ex detenuto del carcere di San Gimignano)

Gli allenamenti vengono gestiti da giocatori di alcune formazioni toscane Old, categoria che nel rugby è aperta a tutti coloro che abbiano almeno 35 anni, indipendentemente dall’aver avuto o meno esperienze agonistiche. Una quindicina di volenterosi livornesi, pratesi, fiorentini che spendono qualche ora la domenica mattina andando a turno dentro le due strutture a proporre esercitazioni e insegnamenti dei rudimenti tecnici della disciplina.

Visti i numeri raggiunti alle Sughere «è nata l’idea di creare una vera squadra» mi dice ancora Maurizio. La prima formazione di un carcere autorizzata a partecipare a un campionato riconosciuto dalla FIR». Sono le Pecore Nere che da anni partecipano al Campionato Toscano Old, sotto l’egida della Federugby. Ovvio, la squadra gioca sempre in casa. «Pianificare un evento come una partita all’interno di un carcere non è una cosa semplice. Ci vuole molta organizzazione e tanta pazienza». L’iter burocratico per l’ingresso della squadra ospite inizia almeno un mese e mezzo prima della partita per ottenere le autorizzazioni necessarie per entrare; sempre che non arrivino disposizioni ministeriali - come successo in queste settimane - che bloccano a livello nazionale la possibilità per i detenuti di partecipare a determinati eventi interni agli istituti di pena.

«Non sapevo nulla del rugby, l’ho visto per la prima volta in tv quando ero già dentro. Mi sembrava uno sport strano. Poi quando è iniziato il progetto all’interno dell’istituto ho voluto provare, volevo vedere com’era. E mi è piaciuto». (Vincenzo)

Adesso tocca a San Gimignano, dove non ci sono per ora i numeri per creare una squadra ma c’è un piccolo gruppo – gli Haka – che ha iniziato ad allenarsi con costanza. La scorsa primavera, tre detenuti di Ranza (il nome della casa circondariale di San Gimignano) hanno avuto l’opportunità, utilizzando dei permessi, di giocare nelle ultime due partite stagionali del Campionato Toscano Old in prestito prima agli Allupins Prato poi ai Ribolliti Firenze.

«Siamo andati io e altri due compagni, Gino e Roberto; avevamo già usufruito di permessi, non era la prima volta che uscivamo dall’istituto. Per noi però quella volta è stata emozionante: prima di quel giorno non avevamo mai giocato con una squadra all’esterno. All’inizio non ero a mio agio, avevo paura di fare brutta figura in campo. Quando abbiamo iniziato a giocare però ci siamo sentiti davvero parte della squadra. La seconda partita poi è stata un’esperienza diversa, anche se non giocavamo con la squadra della volta precedente ero più sicuro a fare movimenti o giocate. Essere su un campo vero, in erba, è diverso rispetto al campo in terra del carcere. E che bello il terzo tempo! Seduti a tavola insieme a tutti gli altri giocatori delle due squadre. Senza che nessuno ci considerasse solo dei delinquenti». (Vincenzo)

Vincenzo (in primo piano), Gino e Roberto all'ingresso in campo con i Ribolliti.

«Approdare anche a San Gimignano è stata una specie di scommessa tra me e la direttrice del carcere Maria Grazia Giampiccolo che era stata anche a Livorno e conosceva il progetto», racconta ancora Maurizio Berti. Raggiungere il carcere di San Gimignano non è però logisticamente semplice. In più non ci sono tante squadre di rugby nelle vicinanze. «Come successo a Livorno, anche in questo caso ci affidiamo agli Old: spesso sono persone che hanno più tempo libero e possono avere una visione del gioco più legata al sociale».

Quindi sono diventato allenatore di detenuti anche io. Fino a pochi anni fa ero soltanto un semplice e superficiale appassionato di rugby. Adesso sono “rugbista” nei Ribolliti Firenze, la formazione Old del Firenze Rugby 1931, e sono entrato a far parte dello staff che si occupa degli allenamenti degli Haka. «Conosci gli esercizi che fanno fare a te quando ti alleni? Proponi quelli, per i ragazzi vanno bene» mi spiega la prima volta Leonardo Panci degli Allupins che allena fino dall’inizio del progetto.

«Qualcuno può pensare che per un detenuto possa essere soltanto uno svago, in realtà l’allenamento per me era un impegno. Anche per ricambiare quello che gli allenatori vengono a fare per noi. Certo era un modo per scaricare la tensione ma lo aspettavamo davvero quel momento: la domenica mattina se gli allenatori ancora non erano entrati in reparto, chiedevamo e insistevamo con gli agenti della penitenziaria per sapere quando arrivavano» (Vincenzo)

Non ero mai entrato in un carcere in vita mia. Negli ultimi 3 mesi ci sono stato 6 volte. L’ingresso è quasi sempre straniante, tra la sensazione di un’atmosfera da prison-movie e il timore di varcare il confine tra la società e chi non ne deve far parte, per anni o a vita.

La prima volta dentro lascia il segno: c’è ad esempio quella specie di limbo che non ti aspetti nel passaggio dal corridoio di accesso alle sezioni, il non luogo nel quale l’agente della penitenziaria ti chiude alle spalle la porta e devi aspettare che l’altro agente di turno, dall’altra parte, apra la porta davanti a te per accedere. Secondi in cui anche tu sei effettivamente recluso.

Si superano tre controlli, si entra in un braccio del carcere, si passano le sbarre che si chiudono subito dopo alle tue spalle. Lo spazio per gli allenamenti a Ranza è raggiungibile soltanto dall’interno di una delle sezioni, con una scalinata che porta al campo da calcio circondata su tutti i lati e al di sopra da una grata metallica. Il campo, mi spiegano, a causa della carenza di altri spazi dentro la struttura è utilizzato soprattutto come passeggio per l’ora d’aria di tutti i detenuti.

«Con i miei compagni di sezione ci siamo quasi coinvolti l’uno con l’altro. Abbiamo fatto gruppo, uniti». (Vincenzo)

Gli Haka, grazie alle donazioni di varie squadre Old della Toscana, hanno a disposizione del materiale per allenarsi: palloni, pettorine, scudi imbottiti per il placcaggio. Si fanno esercitazioni di passaggio, per migliorare il ball handling, ed esercizi per insegnare le linee di corsa con la palla e a sostegno del compagno simulando situazioni di gioco. Poi la tecnica di placcaggio: quasi nessuno ha paura del contatto fisico. Qualche esercitazione tattica per spiegare come schierarsi sia in fase di possesso che in fase di difesa. A chiudere l’allenamento la partitella, perché anche se con numeri ridotti è comunque gioco.

Gli allenatori provenienti da Allupins, Ribolliti Firenze e Rinocerotti all'esterno del carcere.

«Ora sono uscito, sono a Napoli ma aspetto di sapere il calendario della stagione del campionato Old della Toscana: voglio fare richiesta al magistrato di sorveglianza per un permesso per andare a giocare con gli Allupins». (Vincenzo)

L’allenamento finisce. Cerchio tutti insieme per un breve debriefing. L’urlo di squadra. Si rientra in reparto. Insieme con alcuni ragazzi percorriamo lo stesso corridoio, con le sbarre dietro e davanti a noi, che ci ha portato fino al campo. Ci si saluta. Loro rientrano, aspettando un’altra domenica. Io esco, ritorno nella cosiddetta società. Sperando di avergliene trasmesso almeno un piccolo pezzo, sotto forma di palla ovale.

«Se anche solo l’1% dei valori che proviamo a dare a questi ragazzi insegnando loro il rugby – il sostegno, il rispetto, il sacrificio – viene assorbito, siamo convinti di aver centrato lo scopo educativo che ci siamo dati». (Maurizio Berti)

Nel Rapporto dell’Associazione Antigone “L’emergenza è adesso”, c’è scritto che “aumentano le persone detenute, peggiorano le condizioni di vita, si moltiplicano le proteste, i suicidi e le segnalazioni di trattamenti inumani”. Il tema del sovraffollamento delle carceri, e delle condizioni di vita dei carcerati, spunta ogni tanto nell’opinione pubblica, ma il tono delle discussioni è sempre parziale. Mentre i suicidi in carcere aumentano, per molti, tra cui gli esponenti del governo, chi ha commesso reati non deve avere diritti o bisogni. Non sono bastate neanche le parole del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, che quest’estate è stato chiaro: «I luoghi di detenzione non devono trasformarsi in palestra per nuovi reati; in palestra di addestramento al crimine; né in luoghi senza speranza, ma devono essere effettivamente rivolti al recupero di chi ha sbagliato».

Insieme agli allenatori dei Ribolliti Lorenzo Lubian (a sx, ex giocatore del Rovigo Rugby e dei Medicei Firenze) e Lorenzo Savia (a dx, giocatore Unione Rugby Firenze).

«Chi ci ha allenato non ci ha mai fatto sentire detenuti. È la cosa più bella che mi porto dietro». (Vincenzo Sorgente)

È in queste parole che un progetto come quello del “Rugby oltre le sbarre” trova significato, nello sport come mezzo di speranza e integrazione. La Fondazione Censis ha scritto che “un presidio contro il degrado della vita carceraria è costituito dagli spazi dedicati ad attività sportive” e questa esperienza mi sembra possa confermarlo. Se lo sport ha un valore sociale, e ce l’ha, dobbiamo cercarlo anche in posti come questi: nelle carceri, nei detenuti, in chi ha avuto una vita difficile, magari ha anche sbagliato e sta pagando, in una realtà che certo non aiuta la sua sanità fisica e mentale. In tutto questo un pallone ovale che rotola, un placcaggio, una giocata di squadra possono fare la differenza.

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