
Il cronometro, in alto a sinistra sullo schermo, segna 51 minuti e 43 secondi. La regia prima mostra un replay del numero dieci dell’Australia, Carter Carl Gordon, che raccoglie in attacco un pallone vagante, poco oltre la linea dei 22 metri, scarta con una finta l’ala azzurra Monty Ioane e quindi schiaccia l’ovale. Poi le immagini staccano su un uomo di spalle che, furiosamente, continua a prendere a calci dei cartelloni pubblicitari, la gamba sinistra a fare da perno, quella destra che carica ripetutamente contro i pannelli, una, due, tre, quattro volte, fino a quando non si torna in diretta sulla partita, nel frattempo ricominciata con il drop di rinvio di Paolo Garbisi dal centro del campo. Quel signore che poco prima stava sfondando a calci i rivestimenti pubblicitari, nella tribuna tecnica del Bluenergy Stadium di Udine, si chiama Gonzalo Quesada ed è l’allenatore della nazionale italiana di rugby.
Con quei calci furiosi stava esprimendo, spiegherà dopo in conferenza stampa, il suo “disaccordo” rispetto a una decisione arbitrale effettivamente molto controversa, grazie alla quale l’Australia era appena andata in vantaggio, 12 a 19, nella sfida contro l’Italia.
Tutto è cominciato con una mischia a favore dell’Australia al cinquantesimo minuto di gioco. Siamo nella metà campo azzurra, fra la linea dei 10 e quella dei 22 metri. Jake Gordon, il mediano di mischia australiano, introduce il pallone, lo riprende dai piedi della terza linea e apre per il numero 10 Wallabies, che manda dentro il primo centro, Hunter Paisami, per l’ennesima volta lanciato sul nostro Paolo Garbisi, che lo mette rapidamente a terra. La ruck è veloce, Jake Gordon riapre subito il pallone verso sinistra, continuando nel senso di gioco, e manda dentro il numero 8 Harry Wilson. Il capitano australiano carica la linea portando l’ovale sotto il braccio destro, lo stesso con il quale va a contatto: non una grande idea. Manuel Zuliani se ne accorge e lo affronta rimanendo alto, assorbendo l’attacco col busto e puntando dritto sul pallone. Wilson, allora, nel tentativo di non perdere il possesso dell’ovale, per liberarsi dalla morsa del numero 7 italiano va a terra ruotando su sé stesso, e mentre rotola sul terreno di gioco perde il controllo dell’ovale. Sembra un chiaro passaggio in avanti, ma non per l’arbitro Andrew Brace, che urla per due volte “play on, play on”, mentre Carter Gordon si impossessa del pallone e schiaccia in meta. Anche dopo aver rivisto l’azione al video, richiamato dal TMO, Brace conferma la sua prima interpretazione: per lui non è il giocatore australiano a perdere l’ovale, ma quello italiano a strapparglielo e farlo cadere.
Il momento in cui la regia, dopo il replay della meta di Gordon, scova Quesada che prende a calci i cartelloni, mentre un membro dello staff prova, senza riuscirsi, a placarlo
È un chiaro errore dell’arbitro Brace sul quale commentatori e analisti di ogni parte del mondo saranno concordi, sia durante la telecronaca che nei commenti post-partita.
Una meta presa così, nel cuore del secondo tempo, potrebbe tagliare le gambe a una squadra, quella azzurra, che spesso, in passato, anche mentre stava fornendo prestazioni di grande livello, si è lasciata travolgere da un singolo evento, uscendo dal match a causa di una circostanza di gioco sfortunata o imprevista.
Viene in mente, per esempio, Scozia-Italia dello scorso Sei Nazioni, quando, al sessantesimo minuto di gioco, sul punteggio di 19-19, con gli Azzurri in crescita e tutta la pressione sui padroni di casa, l’Italia concesse una segnatura assurda, con l’ala scozzese Graham che, su una distribuzione del gioco da mischia, partendo dalla linea dei suoi 22, si fa praticamente tutto il campo, evitando quattro placcaggi dopo una sterzata da rugby giovanile (aiutato anche da una doppia ostruzione non ravvisata dall’arbitro), prima di passare il pallone a Huw Jones, che lo deposita oltre la linea di meta. In quel caso (ma ce ne sarebbero tanti altri nella storia recente del rugby azzurro) quell’episodio, quella meta senza senso presa in una fase cruciale del match, aveva spento la luce per l’Italia, che aveva di fatto abbandonato Murrayfield, concedendo anche un’altra segnatura agli scozzesi. Sabato 8 novembre 2025 invece, forse per la prima volta da quando l’Italia ovale si è affacciata con convinzione nell’élite del rugby internazionale, il XV azzurro ha reagito con forza, andando oltre un passaggio sfavorevole del match e continuando a giocare il proprio rugby, anzi aumentando i giri, incrementando il livello dello scontro, utilizzando in maniera proattiva la rabbia scaturita dall’episodio avverso.
L'assurda meta segnata da Huw Jones all'Italia nel Sei Nazioni 2025, un condensato di leggerezza tattica e scarsa aggressività individuale che sembra l'Italia si sia messa alle spalle.
Per una squadra che da tempo immemore cerca di dimostrare di aver raggiunto un punto di maturità definitivo, alla quale sembra manchi sempre l’ultimo centimetro per sfidare alla pari nazionali che sulla carta, già da tempo, appaiono alla portata, l’interpretazione dei momenti di gioco mostrata nella vittoria contro l’Australia è un segnale straordinariamente positivo. Certo, con i Wallabies si era già vinto tre anni fa, e allora era stato un successo storico, il primo di sempre contro la nazionale australiana.
Ma il match del 2022 era stato molto diverso da quello giocato sabato scorso a Udine. Innanzitutto, la vittoria per 28-27 era arrivata soltanto grazie al calcio di trasformazione abbordabile ma fallito, a tempo già scaduto, da Ben Donaldson, che avrebbe assegnato la vittoria ai Wallabies. E poi, soprattutto, quella era un’Australia in una drammatica crisi tecnica, che l’avrebbe portata per la prima volta nella sua storia a uscire già alla fase a gironi dei mondiali un anno dopo, nonostante fosse inserita in un gruppo “morbido” con Galles, Figi, Portogallo e Georgia, mentre quella affrontata dagli Azzurri oggi è una squadra rivitalizzata, che negli ultimi quattro mesi ha battuto British & Irish Lions, i campioni del mondo del Sudafrica, l’Argentina, dunque un gruppo solido, con giocatori importanti e una traiettoria tecnica ascendente.
Come ha fatto l’Italia, allora, a raggiungere quello che sembra e si spera sia finalmente il momento della maturità?
Di certo l’arrivo di Gonzalo Quesada sulla panchina azzurra ha rappresentato un momento di svolta decisivo. L’allenatore argentino ha rilevato Kieran Crowley nel gennaio 2024, circondato da grande scetticismo. In molti avevano considerato frettoloso l’allontanamento di Crowley, alla guida degli Azzurri in un Mondiale 2023 decisamente sotto le aspettative, ma che aveva costruito una squadra di grande personalità, la cui base tecnica è evidente anche oggi. Quesada, però, ha dimostrato, in poco meno di due anni, che la federazione ci aveva visto lungo, ipotizzando fosse lui l’uomo giusto per cercare uno step ulteriore di sviluppo tattico, tecnico e di mentalità. “El Que” ha sfruttato il lavoro di Crowley in quanto a mentalità offensiva, coraggio, capacità di attaccare la linea da ogni parte del campo, ma ha reso il piano di gioco dell’Italrugby molto più strutturato, togliendo, rispetto al suo predecessore, imprevedibilità, ma regalando sicurezza e rigore, rivoluzionando la gestione azzurra del gioco al piede (praticamente inesistente nell’era Crowley), e lavorando su una difesa solida sia sui punti di contatto che al largo.
Un tassello fondamentale alla vittoria di sabato scorso è stato poi messo nel corso del tour estivo 2025, quando l’Italia è andata a giocare contro Namibia e Sudafrica. Alcuni avevano criticato la scelta di Quesada di non convocare, lasciandoli riposare, giocatori del calibro di Ruzza, Lamaro, Martin Page-Relo, Tommaso Allan, Paolo Garbisi, Ignacio Brex, Monty Ioane e Ange Capuozzo, tutti, in maniere diverse, fondamentali per il gruppo azzurro. Ma l’idea di Quesada era quella di dare spazio e responsabilità a giocatori che, seppur di grande qualità, non erano mai riusciti a trovare continuità da titolari in maglia azzurra. Due nomi su tutti: Zambonin e, soprattutto, Manuel Zuliani, 37 caps con l’Italia, 30 dei quali, però, sempre da subentrato. Il terza linea del Benetton, 25 anni, si è costruito la fama di “impact player” dalla panchina, un ruolo sicuramente importante, ma che lo ha un po’ sottodimensionato rispetto al talento di cui dispone.
Contro l’Australia, sabato scorso, Zuliani ha dimostrato, definitivamente, di essere molto di più di un giocatore buono per aggiungere forza al pacchetto di mischia a partita in corso. Zuliani nel match con i Wallabies si è caricato la squadra sulle spalle al breakdown, rallentando tutte le fasi di gioco a terra australiane, mettendo in campo un’aggressività spaventosa che, inevitabilmente, ha prodotto anche qualche errore, ma che nell’equilibrio complessivo del match è risultata fondamentale, specie nell’ultima parte, per portare a casa la partita. In occasione della prima meta italiana, quella segnata da Lynagh e che fissa il risultato sul 19 a 19, tutto comincia da un’azione di touche nei cinque metri australiani durante la quale proprio Zuliani risulta fondamentale. Portata a terra la palla da Zambonin, l’Italia imposta una rolling maul molto confusa, con i giocatori australiani che riescono a rompere il muro azzurro, infiltrandosi e andando a mettere le mani sul pallone. Di colpo, dal nugolo di maglie a pochi passi dalla linea di meta, qualche secondo prima che l’arbitro Brace fischi una mischia a favore dell’Australia per “tenuto”, dunque per l’incapacità dell’Italia di sbloccare il pallone e portarlo fuori dal raggruppamento, sbuca il caschetto chiaro di Zuliani, che deposita l’ovale fra le mani di Fischetti, quasi fosse un segreto da tenere nascosto. Da lì poi l’Italia costruisce prima due fasi sullo stretto, quindi va al largo con Garbisi, che subisce un orribile placcaggio alto, e infine, apre tutto sul fronte destro verso Lynagh, che finalizza la meta con uno splendido movimento ad aggirare Kellaway, l’estremo dei Wallabies, per poi rompere il placcaggio dell’ala Harry Potter.
La prima meta azzurra comincia con il movimento di Zuliani, che ripulisce, non si sa bene come, una palla che sembra sepolta nella maul.
Sono tanti i giocatori che hanno fornito prestazioni di alto livello contro l’Australia, ma su tutti vale la pena spendere due parole sulla linea mediana. Il Man of the Match, Stephen Varney, ha giocato forse la sua migliore partita di sempre in maglia azzurra. Preciso al calcio, autorevole nella distribuzione del pallone, è rimasto sempre dentro il match anche nei momenti di massima pressione e, al netto di alcune scelte errate, comunque comprensibili nel computo generale della partita, ha fatto vedere perché prima Crowley e poi Quesada hanno continuato a insistere su un ragazzo che, a 24 anni, ha già messo insieme 35 presenze. Insieme a lui c’è da registrare la prestazione di Paolo Garbisi. Del nostro numero 10 si parla sempre poco, forse perché ormai la sua qualità è data per scontata, ma la partita contro l’Australia è stato l’ennesimo esempio di solidità tecnica e mentale. «Il giocatore più coraggioso che abbiamo», come lo ha definito in conferenza stampa Gonzalo Quesada, ha messo in mezzo ai pali tutti e 4 i calci piazzati, nonostante non sia di certo la sua specialità, ha gestito con lucidità tutti gli attacchi italiani e ha resistito stoicamente alle continue puntate dei centri australiani, che palla in mano lo hanno cercato durante tutta la partita, senza mai riuscire a passarlo.
Anche Tommaso Menoncello, al netto di alcuni errori palla in mano in alcuni momenti importanti, ha fatto vedere perché viene da molti considerato, in questo momento, il centro più forte al mondo. Quando il numero 12 azzurro attacca la linea ci vogliono almeno sempre due uomini per fermarlo, senza considerare il suo lavoro prezioso di “lavaggio” del pallone, che spesso raccoglie in zone e momenti del campo difficile e grazie al quale l’Italia più è riuscita a ricostruire il possesso in maniera ordinata, rompendo l’ordine della difesa australiana, costretta a correre all’indietro.
La vittoria azzurra è arrivata al termine di una partita giocata contro un’Australia che nel primo tempo ha messo sotto l’Italia per volumi di gioco, tenendo moltissimo la palla e facendo soffrire il pacchetto di mischia, che ha incassato una meta da maul partita da una touche giocata sui 22 e poi un’altra segnatura dopo un’azione di percussioni abrasive sui cinque metri. Di buono c’è che la mischia azzurra non si è disintegrata, ma pian piano ha migliorato le percentuali in touche (dove nei primi cinquanta minuti l’Italia ha molto patito l’assenza di Ruzza) e soprattutto ha alzato il ritmo con una prima linea della quale, ancora una volta, Danilo Fischetti ha dimostrato di essere il punto di riferimento in quanto ad aggressività e capacità di farsi trovare nelle zone corrette di campo.
La sintesi definitiva della grande partita giocata dagli Azzurri è tutta nella lunga azione della seconda meta, che parte direttamente, senza che il gioco venga mai interrotto da un fallo, una mischia, o una touche, dal calcio di rimessa dopo la prima meta italiana di Lynagh. Gli highlights della partita riducono il tutto allo splendido attacco finale di Monty Ioane a cinque metri dalla linea di try australiana, ma la costruzione della marcatura che porta il risultato sul 26 a 19 per l’Italia comincia dalla metà campo difensiva azzurra. Il mediano di mischia australiano, Jake Gordon, dopo una serie di attacchi sterili dei Wallabies, calcia un “up and under”, una parabola molto alta, per guadagnare alcuni metri e sguinzagliare i tre quarti australiani alla caccia del pallone. Sull’ovale arriva per primo Ioane, che lo schiaffeggia all’indietro, in direzione di Ange Capuozzo, in attesa poco fuori la linea dei 22 difensivi italiani. Capuozzo raccoglie il pallone praticamente da fermo, finta di andare a destra, gira su se stesso, punta verso sinistra, scarta con un cambio di direzione l’estremo australiano e si butta dentro, fermandosi poco prima della linea di 10 metri, ma soprattutto mandando in confusione la difesa avversaria, che comincia una lunga rincorsa all’indietro. Varney è bravissimo a dare ritmo, apre la palla verso destra, la riceve Riccioni, che è un pilone ma ha la lucidità di vedere e sentire Garbisi che da dietro sta arrivando diagonale e vuole sfruttare lo spazio all’esterno. Riccioni ignora Lorenzo Cannone, che era pronto alla penetrazione stretta, e gira la palla in torsione all’apertura azzurra. Garbisi in un lampo decide che è il caso di buttare dentro la palla di cannone, Tommaso Menoncello, che riceve in corsa appena fuori dai 22, prima sbatte addosso a Paisami come fosse un muro di gomma, poi si rimette dritto, pesta sui piedi, lascia sul posto il seconda linea Nick Frost e si porta a spasso, fino alla linea di centrocampo, altri due giocatori australiani. Varney arriva, di nuovo, con grande tempismo sul punto di incontro, nota che l’Australia è in affanno, utilizza alla grande il break di Menoncello raccogliendo palla e partendo sull’esterno destro da solo. Arrivato sulla linea dei 22 metri, fermato da Hooper, in sostegno ci sono Cannone, Garbisi e Lynagh che, andato anche sulla precedente ruck sull’attacco di Menoncello, si rialza veloce e fa in tempo a seguire il compagno di squadra. Garbisi prima entra in ruck, poi ha un momento, decisivo, di lucidità; capisce che se entra dentro il pallone rimane scoperto, allora si stacca, diventa mediano e apre subito il pallone sull’altro fronte d’attacco, verso sinistra. La palla si sposta velocemente: Cannone corto per Brex, Brex larghissimo per Ross Vintcent che a pochi passi dalla linea di meta va a sbattere contro l’ala australiana. Pulizia di Capuozzo e Ioane, a mediano arriva Zuliani, che apre per Nicotera. Altro punto d’incontro, sostegno immediato di Riccioni e Fischetti, Varney apre veloce e largo per Zambonin, che fa una cosa tecnicamente fuori norma per un seconda linea, riceve il pallone con la pressione addosso, assorbe la difesa e apre per Garbisi schierato profondo, che di nuovo lancia dritto nell’intervallo, Menoncello. Il numero 12 azzurro rompe il primo placcaggio, si ferma a pochi passi dalla linea dei cinque metri, a sostegno vanno Brex, Lorenzo Cannone e lo stesso Garbisi, di nuovo palla aperta veloce da Varney, l’ovale arriva a Ioane che vede spazio all’esterno, curva la corsa e si butta in mezzo fra Paisami e Potter: è 26 a 19.
La fase finale della seconda meta azzurra, nella quale si possono apprezzare, fra le tante cose, le letture tattiche di Zambonin e il ritmo di Varney.
In questa azione, due minuti di apnea totale, c’è tutto lo spirito di una squadra rabbiosa ma lucida, che prende palla nella sua metà difensiva e per tre volte sfrutta tutta l’ampiezza del campo, da destra a sinistra, da sinistra a destra e poi infine di nuovo in fondo a sinistra, dando responsabilità tattiche decisive anche a giocatori di mischia, che fanno scelte sempre competenti. C’è la forza incontenibile di Menoncello, c’è il ritmo e la visione dello spazio di Varney, c’è l’intelligenza rugbystica di Garbisi, ci sono la versatilità e la consistenza di Zambonin e Zuliani, l’elettricità di Capuozzo, l’esplosività di Ioane. C’è una squadra, insomma, una squadra vera.
La prossima sfida, sabato prossimo, contro il Sudafrica, andrà vissuta senza aspettative e con la capacità di assorbire un’eventuale sconfitta, fosse anche pesante. Sostenere lo scontro fisico con gli Springboks, che qualche giorno fa hanno quasi doppiato nel punteggio, e con un uomo in meno per più di 30 minuti, una Francia che per molti è la migliore di sempre, non sarà semplice.
Ma anche da questo, dalla gestione delle partite difficili senza drammi, senza eccessi, passa la crescita di una squadra che sembra pronta per dare fastidio a chiunque nel prossimo Sei Nazioni.