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Un delinquente prestato al mondo del pallone
10 ott 2019
10 ott 2019
L'incredibile storia di Ruben Semedo, dal carcere alla Nazionale.
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11 min
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Ruben Semedo ha due figli, due arresti e tre accuse: rapina, tentato omicidio e sequestro di persona. Viene difficile immaginarlo come un calciatore, ma è sotto contratto con l’Olympiakos, con cui sta disputando un’ottima stagione, e mentre è ancora sotto processo è stato convocato nella Nazionale portoghese. Quindici mesi dopo essere uscito di prigione. Probabilmente si tratta del primo calciatore in assoluto a ricevere una convocazione mentre deve ancora essere processato per tentato omicidio.

Picassent

Le cose per Semedo hanno cominciato a mettersi male quando ha promesso a un suo amico di prestargli la Mercedes. Era una scusa per attirarlo in casa sua, a Torre en Conill, nella periferia di Valencia. Semedo lo ha fatto sedere, lo ha legato alla sedia, e poi si è presentato con suo cugino e un altro amico per minacciarlo con in mano mazze da golf e da baseball. A quanto pare un conoscente di questo tizio doveva cinquemila euro a Semedo. Mentre suo cugino gli prospettava di tagliargli il mignolo, Semedo gli puntava una pistola alla tempia.

Se non voleva morire doveva dargli l’indirizzo di quello che gli doveva i soldi. L’ostaggio però non lo conosceva, e per punirlo Semedo e compagni lo hanno derubato, prima frugandogli nelle tasche, poi andando direttamente a casa sua. Mentre la vittima era in uno stanzino buio, i carnefici erano nel suo appartamento di Valencia a prendergli un computer, diversi orologi di lusso e ventiquattromila euro in contanti. Non avevano calcolato le telecamere a circuito chiuso - oltre al fatto che i vicini avevano sentito tutto. In fondo non erano professionisti del settore.

Tornati a casa hanno ricominciato a minacciare la vittima, che a quel punto si è decisa a fornire un indirizzo inventato pur di mettere fine alla tortura. Quindi la compagnia riparte per il centro di Valencia; ma il sequestrato approfitta di un momento di disattenzione per fuggire. Semedo spara due colpi in aria per spaventarlo. Due colpi in aria in pieno centro a Valencia. La vittima riesce in qualche modo a rientrare in casa e a denunciare tutto alla polizia.

La mattina del 20 febbraio la Guardia Civil arriva casa di Ruben Semedo, lo mette dentro una camionetta e lo porta al comando locale di Patraix, dove viene infilato in una camera detentiva provvisoria. L’immagine che circola in quei giorni ha la teatralità delle fotografie degli arresti: Semedo trattenuto e spinto in macchina da due agenti più bassi di lui, guarda verso l’obiettivo con lo sguardo ambiguo che siamo abituati a vedere sui cattivi del cinema.

Solo due mesi prima Semedo era stato fermato per un possibile coinvolgimento in incidenti con arma da fuoco in due bar di Valencia. I fatti risalirebbero a novembre, quando in seguito a una rissa in discoteca il portoghese avrebbe tirato fuori la pistola. Secondo una ricostruzione dei testimoni un impiegato della discoteca avrebbe provato a chiamare la polizia ma Semedo se ne è accorto minacciandolo: «Se chiami la polizia dopo aver ammazzato lui vengo da te». Ancora un mese prima, a novembre, Semedo aveva avuto altri problemi in discoteca, dove aveva litigato con un uomo aggredendolo (ricordiamo che Semedo è alto un metro e 90 e pesa 85 chili). Secondo la testimonianza della vittima Semedo sarebbe andato in macchina a prendere una maglia del Villarreal per regalargliela e sancire così la pace. Dopo avergli consegnato la maglietta, però, Semedo lo avrebbe colpito con una bottigliata sulla testa. Sempre secondo la vittima, mentre provava a scappare, Semedo ha provato a lanciargli una pietra raccolta da terra.

A novembre il giocatore era stato convocato dalla polizia e poi arrestato in seguito a minacce e atteggiamento ostile. In centrale, Semedo ha rilasciato foto d’archivio e impronte digitali: era ufficialmente schedato. E così quando la polizia si è presentata a casa sua per portarlo in stazione, Semedo era recidivo. Il Villarreal lo ha messo fuori rosa e gli ha sospeso lo stipendio; la polizia ha convalidato il suo arresto.

Semedo è stato portato nel carcere di Picassent, vicino Valencia. Un luogo che su Google riceve recensioni come altri e che ha 3.6 stelle su 5 - non male per essere un carcere. Aprendo la sua scheda si trovano una serie di commenti venati di black humour: «Lo staff è un po’ pesante e ti sta addosso e ti segue ovunque nel tuo tempo libero, ma suppongo che lo facciano per la tua sicurezza. Raccomando lunghi soggiorni per godere appieno dell’esperienza» dice ‘JES PIR’; «La cena è un lusso, si può ordinare al McDonald’s» dice Rania.

È difficile immaginare un calciatore in prigione, invischiato in una storia così dura, con un livello di criminalità così grave. Al massimo gli concediamo di poter finire in mezzo a qualche rissa da pub; fermati per eccesso di velocità o per guida in stato d’ebrezza. Per reati che insomma testimoniano al massimo una vitalità non conforme. Tentato omicidio, sequestro di persona, rapina, effrazione sono reati che appartengono agli autentici irregolari, alla povertà. È difficile anche immaginarsi un calciatore famoso realmente in prigione: non agli arresti domiciliari ma dentro una cella. Nella storia sono stati pochi: Tony Adams qualche mese per guida in stato d’ebrezza; Maradona qualche giorno per aver sparato a un giornalista con un fucile ad aria compressa; poi c'è Adam Johnson, che ha scontato tre anni per abuso sessuale su minore.

Semedo aveva 23 anni e faceva parte dell’1% di privilegiati del mondo. La sua carriera era sul punto di decollare: aveva appena giocato la sua prima stagione ad alti livelli nella squadra in cui era cresciuto, lo Sporting Lisbona, ed era da poco stato ceduto in Spagna. Per lui il Villarreal aveva speso 14 milioni di euro e nel comunicato del suo acquisto veniva definito come: «Uno dei più promettenti centrali difensivi nel calcio europeo». Certo, aveva vissuto mesi difficili: l’allenatore che lo vedeva titolare - Javier Calleja - era stato licenziato e poi aveva sofferto qualche infortunio. Il futuro però era dalla sua parte. Quando giocava nelle giovanili dello Sporting era circondato da difensori promettenti che oggi giocano tutti in Premier - Eric Dier, Tobias Figueiredo, Tiago Llori - ma l’allenatore dell’epoca definiva Semedo quello con più potenziale.

Semedo invece è rimasto nel carcere di Picassent per cinque mesi. All’inizio non voleva crederci: «Nei primi giorni il mio avvocato mi diceva che si sarebbe risolto tutto velocemente ma dopo due settimane ho cominciato a capire dove mi trovassi e a temere di non poter più tornare a giocare a calcio». Nelle interviste recenti, dove può parlare con sollievo di un’esperienza che ormai è riuscito a mettersi alle spalle, dice di aver pianto spesso e che il carcere è un’esperienza che ti fa riflettere soprattutto sul modo in cui utilizzi il tempo. «Molte notti mi sdraiavo, non riuscivo a dormire e pensavo solo ai miei figli, alla sofferenza della mia famiglia».

Semedo dice di aver frequentato corsi di ballo, di essersi iscritto alla squadra del carcere e poi di aver cominciato a lavorare per passare il tempo, «Pensavo sarei rimasto di più». A quanto pare è stato fortunato a trovare un compagno di cella di un certo tipo. «Non fumava, non aveva vizi che avevano altri reclusi: come droga, restare svegli fino a tardi, o avere cellulari nascosti. Passavamo le sere a giocare a domino».

Cova da Moura

Come potete immaginare, anche il resto della storia di Ruben Semedo non è estranea a un contesto criminale. Semedo è nato e cresciuto ad Amadora, che secondo il sito Numbeo ha degli indici di criminalità alti, un grande smercio di droghe e una bassa sicurezza quando si cammina per strada. Dentro Amadora, accanto ai palazzoni popolari, c’è il bairro “Cova da moura”. Un quartiere che esteticamente ricorda una favela brasiliana, con casette basse circondate da cortili recintati. Per le strade i ragazzini fanno le impennate sopra le bici piccole con le ruote grandi. La street art ha provato a dare un’aria più vivace al quartiere, con i murales e dipingendo le case di azzurro. Ora, guardando le foto, il tutto sembra avvolto da una specie di angosciante aria onirica.

A Cova da Moura vivono circa 8000 persone, quasi tutte giovani e originarie di Capo Verde come Semedo. Da qui, e da zone come queste, come Quinta do Mocho, vengono i suoni della Principe Discos, che ha portato i dj dei “ghetti” a suonare la batida e il kuduro nei club internazionali.

Ruben Semedo è cresciuto fra le strade di Amadora con la sorella. La madre si svegliava alle 4 del mattino per andare al lavoro mentre il padre non c'era, era stato arrestato quando aveva 5 anni. Non lo ha visto per i successivi dieci, finché non si è presentato a un suo allenamento ai tempi delle giovanili dello Sporting Lisbona.

Il giornalista portoghese Sergio Pereira, che lo ha intervistato più di una volta, ha detto a Bleacher Report: «Ha avuto diverse brutte influenze nel quartiere. Tutti dicono che è un bravissimo ragazzo, ma che quando è con gli amici del quartiere si trasforma in un’altra persona».

Atene

Il 13 luglio Semedo è stato rilasciato, ma gli è stato vietato di lasciare la Spagna e di avvicinarsi a più di 300 metri dalla vittima, in attesa del processo per rapina, sequestro di persona e tentato omicidio. Appena sei giorni dopo, incredibilmente, un’altra squadra della massima serie spagnola, la neopromossa Huesca, ha deciso di puntare su di lui, prendendolo in prestito dal Villareal.

Huesca è una piccola città in Aragona, vicino ai Pirerei, piove quasi tutto l’anno e gli inverni sono piuttosto rigidi. La squadra locale arrivava in Liga per la prima volta nella sua storia. Il direttore sportivo Vega ha definito la piccola cittadina spagnola il posto perfetto per Semedo: «Questo club e questa città saranno ottimi per lui. È un posto tranquillo ed estremamente accogliente».

Sportivamente parlando, il trasferimento aveva senso: Semedo poteva giocare nella massima divisione spagnola, in un contesto con meno pressioni rispetto al Villareal, con la sicurezza del posto da titolare e in una squadra che si sarebbe difesa molto contro avversarie più forti. Un’occasione per dimostrare a tutti di essere un difensore “tecnico, veloce e bravo di testa”, come ha voluto presentarsi nella sua prima conferenza.

Niente di quanto immaginato però è andato nel verso giusto e qualche mese dopo il tecnico Francisco dice che Semedo non ha rispettato i valori del club, e che quindi non rientrava nei suoi piani e che avrebbero dovuto trovargli una sistemazione. In Spagna hanno sintetizzato la sua esperienza al Huesca come “una mancanza di rispetto”. Il Villareal quindi ha deciso di mandarlo di nuovo in prestito, questa volta in Portogallo (probabilmente riuscendo ad ottenere un permesso). Ma al Rio Ave, con la maglia biancoverde come quella dello Sporting, solo con le strisce verticali, Semedo si è presentato come una specie di santo: «L'esperienza non arriva con l'età, ma con ciò con cui viviamo, ciò che stiamo vivendo. In questo senso posso dare un contributo». Poi ha detto che il suo primo obiettivo era diventare “un buon compagno di squadra”. «Penso che qui sarò felice», ha concluso.

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Lós mismo que criticam 🗣📖ahora son los mismo que luego 👏🏽👏🏽 Tiempo al tiempo 🔵🔴🙏🏾 Os mesmo que criticam 🗣📖 são os mesmo que mais tarde 👏🏽👏🏽 Tempo ao tempo 🔴🔵🙏🏾

Un post condiviso da Ruben Semedo (@r.semedo35__oficial) in data: 11 Nov 2018 alle ore 11:48 PST

Un post dei tempi del Rio Ave, che racchiude una sfumatura cupa della retorica motivazionale che appartiene ai calciatori.

E in effetti Semedo al Rio Ave è riuscito a ricostruirsi una credibilità calcistica. Al punto che si è iniziato a parlare per lui di un possibile passaggio al Porto o al Benfica, e alla fine l’Olympiakos allenato da Pedro Martins ha deciso di investire 4,5 milioni di euro per il suo cartellino, facendolo diventare il secondo difensore più costoso della storia del club.

In questi mesi Semedo sta brillando come uno dei migliori difensori in Europa. Durante i preliminari di Champions ha segnato due gol fondamentali per la qualificazione dell’Olympiakos, contro il Viktoria Plzen e l’Istanbul Basaksehir.

La sua convocazione in Nazionale, insomma, non arriva dal nulla e ha un senso tecnico, come conferma Santos: «Lo seguiamo tempo e sta avendo un’ottima stagione all’Olympiakos. È andato vicino ad essere convocato anche l’ultima volta ma non lo abbiamo fatto per un infortunio». Poi Santos però aggiunge anche una dimensione morale alla convocazione: «Anche se una persona commette un errore, ha il diritto di tornare a vivere. Ha dimostrato di saper reagire, lo abbiamo seguito. È stato chiamato per quello che può dare alla squadra ma anche perché socialmente è una cosa molto importante».

Il contesto culturale da cui viene buona parte dei calciatori è spesso complicato, segnato da una povertà e da un conflitto sociale che dimentichiamo automaticamente quando li vediamo indossare le costosissime maglie delle migliori squadre al mondo.

Loro stessi fanno di tutti per cancellare ogni residuo di povertà dalla loro storia personale: girano su macchine costose, vivono in cattedrali che sembrano monumenti alla loro solitudine, arrivano al campo di allenamento portando i loro effetti personali dentro borsette da duemila euro, con i marchi d’alta moda grossi in piena vista. Qualche settimana fa Lamine Diaby Fadiga, un giovane del Nizza, ha rubato un orologio da 70mila euro al compagno di squadra Kasper Dolberg. L'orologio non era un semplice bene materiale ma il simbolo del successo di Dolberg: «Vedevo con un po' di gelosia l'ascesa incontrastata di Kasper (...) Il mio gesto non è stato dettato dall'avidità, ma dalla frustrazione» ha detto Fadiga. I beni di lusso dei calciatori sono la rappresentazione materiale della chiusura del loro arco narrativo: ce l’hanno fatta, la loro redenzione è compiuta.

La storia di Semedo ci racconta che a volte questo arco narrativo può passare attraverso diverse complicazioni, anche molto dure, prima di arrivare alla fine che tutti ci aspettiamo.

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