Esclusive per gli abbonati
Newsletters
About
UU è una rivista di sport fondata a luglio del 2013, da ottobre 2022 è indipendente e si sostiene grazie agli abbonamenti dei suoi lettori
Segui UltimoUomo
Cookie policy
Preferenze
→ UU Srls - Via Parigi 11 00185 Roma - P. IVA 14451341003 - ISSN 2974-5217.
Menu
Articolo
(di)
Emiliano Battazzi
Rossi di vergogna
24 ago 2016
24 ago 2016
C'era un modo peggiore con cui la Roma poteva uscire dalla Champions League?
(di)
Emiliano Battazzi
(foto)
Dark mode
(ON)

In Italia, si sa, durante l’estate si ripropongono ineluttabili abitudini: il cocomero a fine pasto, l’insalata di riso, i tornei di beach volley, i racchettoni… se non ne eravamo certi prima, dopo ieri sera possiamo ufficialmente annoverare anche l’eliminazione dai preliminari di Champions League come una tradizione italiana. Nelle ultime 7 edizioni, solo in un’occasione una squadra di Serie A è riuscita a qualificarsi ai gironi.

 

Con la stessa puntualità della rievocazione agostana del miracolo della Madonna della Neve, ogni agosto si assiste a questo fenomeno inspiegabile: portoghesi, inglesi, tedeschi, spagnoli, tutti ci battono, e non sappiamo bene perché. Non basta più neppure la scusa della condizione fisica, perché la Roma all’andata era apparsa brillante, almeno in 11. Forse conta l’approssimazione del mercato, con Vermaelen in campo all’andata dopo 8 giorni di allenamento e Bruno Peres al ritorno dopo appena 5. Forse è il fatto che non basta accatastare giocatori per avere una squadra, un concetto forse non ancora assimilato fino in fondo in Serie A.

 

Ma questa sconfitta, come spesso capita con la Roma, va oltre l’abitudine: si è trattato, tanto vale dirlo fuori dai denti, di una figura pietosa, l’ennesima per i giallorossi, sia per il risultato finale che per l’atteggiamento con cui è stato ottenuto. Spalletti, nella conferenza stampa precedente alla partita, aveva parlato di momento chiave, di una partita attesa da 8 mesi (dal momento cioè del suo ritorno sulla panchina giallorossa).

 

Troppi? Tanto da mandare in tilt anche l’allenatore giallorosso? “Il peggio, nel peggio, è l’attesa del peggio”, scriveva Pennac.

 

 



 

Per sopperire a una serie di assenze (Florenzi e Torosidis infortunati, Vermaelen squalificato), Spalletti ha riorganizzato in modo sorprendente la linea difensiva: davanti a Szczesny, il centrale difensivo è De Rossi, con tutti i suoi limiti in campo aperto e nell’uno vs uno, al posto dell’argentino Fazio, che è arrivato da tre settimane e già si candida a oggetto misterioso per la scarsa fiducia di cui gode. In regia spazio a Paredes, affiancato da Strootman: il piano gara affidava dunque all’inizio azione un’importanza capitale, contro un Porto che non è sembrato avere dei meccanismi di pressing particolarmente organizzati. Sulle fasce i due terzini brasiliani, Bruno Peres a destra e Juan Jesus a sinistra, dovevano alternarsi per garantire equilibrio. In attacco, di nuovo fiducia a Dzeko.

 

A questo schieramento giallorosso, sorprendente a dire poco, Nuno ha risposto con semplicità rimediando agli errori dell’andata: 4-1-4-1 molto ordinato, con Danilo Pereira a schermare la difesa ed Herrera deputato ad aiutarlo in costruzione; in fase di transizione offensiva, i due esterni – Otavio a sinistra e Corona a destra – diventavano due vere ali supportando così il centravanti André Silva. Un atteggiamento prudente, per una squadra che in teoria doveva vincere: ma è stata una scelta saggia, di chi sa come funzionano le sfide a eliminazione diretta, di chi gioca la Champions ogni anno.

 

Ridurre al minimo il numero degli errori: è stata questa la scelta vincente di Nuno, dopo essere stato graziato nel primo tempo dell’andata.

 


Nainggolan si fa trovare tra le linee e, come all’andata, Danilo non riesce a schermarlo: il belga riceve in situazione di 4 vs 4, ma poi tira da fuori area.



 

In quei 7 minuti iniziali in cui la partita era ancora sullo 0-0, a funzionare nella Roma sembravano alcuni meccanismi già sperimentati all’andata: Nainggolan a banchettare nello spazio tra le linee, dove il povero Danilo non riusciva a contenerlo; Dzeko abile ad attaccare la profondità e allungare la difesa avversaria. Il Porto riusciva a compattarsi bene e a ripartire veloce, senza assumersi grandi rischi e senza correrne.

 

 



 

Il gol che ha cambiato la partita (e forse la stagione della Roma) nasce da un momento di sciatteria complessiva: Dzeko restituisce palla a Paredes con approssimazione; l’argentino non riesce a controllare e regala il possesso a Herrera; non contento, si fa puntare da Otavio e lo stende. Sul calcio di punizione, Szczesny rimane piantato in porta mentre Juan Jesus perde la marcatura di Felipe, che segna di testa dall’area piccola.

 

La Roma ha reagito inizialmente bene, spesso provando con cross dalla destra su cui Dzeko non tagliava mai sul primo palo, rendendo facile la vita ai difensori avversari e inutili gli sforzi dei compagni;, oppure con gli inserimenti di un Nainggolan onnipresente (7 palle recuperate, 7 tiri di cui solo uno nello specchio).

 


Il Porto non sembra avere dispositivi di pressing particolarmente sofisticati, ma qui basta addirittura un solo giocatore in pressione su Manolas per scatenare il caos, nonostante le diverse opzioni di passaggio disponibile.



 

Incredibilmente, a creare problemi era la circolazione del pallone nella propria metà campo: il Porto schermava il portatore in zona centrale e metteva i suoi 4 centrocampisti orientati all’uomo per prevenire la ricezione giallorossa. È bastato così poco per spingere la Roma a commettere errori gratuiti e grossolani. Col senno di poi, il meccanismo immaginato da Spalletti per costruire una manovra fluida si è dimostrato una zavorra: De Rossi-Paredes-Strootman si appiattivano, a volte sovrapponendosi, e rendevano difficile far salire il pallone.

 


Meccanismo in tilt: De Rossi inizia l’azione, Strootman e Paredes gli si avvicinano come per dire “tocca a noi”, e così intasano completamente la zona centrale, non forniscono linee di passaggio e disperdono la superiorità numerica in zona della palla: i giallorossi sono tutti lì, ma disposti male.

 

Spalletti perde il confronto con Nuno nel preparare la partita, nell’interpretarne le fasi e poi nella scelta degli uomini: nel momento in cui servivano soluzioni efficaci, la Roma si è persa in sperimentazioni inadatte a una partita di questa importanza. Ma gli allenatori, per quanto importanti, non scendono in campo e la sconfitta dei giallorossi vede personaggi molto più nefasti nel corso dei 90 minuti.

 

 

Rossi di vergogna

 

Nonostante l’evidente contraccolpo psicologico, forse anche eccessivo per una squadra che vuole essere protagonista a questi livelli, la Roma è riuscita anche intorno alla mezzora a creare pericoli a Casillas, giocando in verticale come all’andata: prima con una buona azione corale, iniziata con una complicata uscita del pallone e conclusasi con un flaccido sinistro di Dzeko; poi con uno splendido lancio di Perotti per il movimento in profondità del bosniaco, che ha servito Salah a centro area: tiro rasoterra centrale sul piede di Casillas, ennesima occasione sprecata dall’egiziano in questo doppio confronto.

 



 

Pochi minuti dopo, la partita della Roma è finita a causa di un gesto quasi del tutto privo di senso, come quello dell’andata: ma se la follia di Vermaelen era stata sportiva, cioè la conseguenza di due errori di interpretazione, la notte dell’Olimpico ha proposto un gesto che è in sé difficilmente interpretabile. Dopo aver sbagliato uno scarico facile sulla sinistra per Juan Jesus, De Rossi intercetta il pallone e poi si scaglia verso l’avversario che lo sta giocando: l’intervento è durissimo, avviene addirittura all’altezza dell’area avversaria, in una porzione di campo che De Rossi forse non avrebbe dovuto neppure calpestare.

 

È un fallo che condanna definitivamente la Roma all’Europa League, niente di più, niente di meno. Seppur in vantaggio, infatti, il Porto non dava l’impressione di essere in controllo: era una squadra molto compatta, che si abbassava velocemente e attaccava in ampiezza, ma non riusciva ad approfittare degli spazi con continuità e aveva già dimostrato di subire l’iniziativa della Roma.

 

Nella sua carriera, De Rossi ha rimediato 14 espulsioni (più una prova tv in Champions): questa è una delle più gravi, perché avvenuta in una sfida decisiva, in un punto della sua carriera in cui si avvicina l’ora dei bilanci.

 


Ancora una volta Danilo Pereira non copre bene lo spazio: stavolta è Salah a farsi trovare le linee, ma il suo passaggio per il movimento di Dzeko in profondità è lunghissimo.



 

Dopo il rosso Spalletti ha sostituito Paredes, autore di una prestazione disastrosa (probabilmente anche a causa di un piano gara non ottimale e che lo ha portato a perdere ogni riferimento in campo) per inserire Emerson Palmieri, già a sua volta calamitoso all’andata con due interventi di mano in area, di cui uno trasformatosi in rigore. La partita del terzino brasiliano è durata poco: al 5’ del secondo tempo, un suo intervento durissimo su Corona è costato il secondo cartellino rosso alla Roma. Dopo pochi minuti, Spalletti ha sostituito il solito Dzeko, volenteroso ma semplicemente inefficace, con Iturbe, per avere un riferimento centrale veloce, capace di ripiegare immediatamente.

 

La Roma ha provato almeno a mantenere alta la bandiera dell’orgoglio e risistemata con una sorta di 3-2-3 ha occupato la metà campo avversaria: la rapidità di Manolas, Peres e Juan nel coprire la profondità permetteva di correre questo rischio. In alcuni momenti di gioco, i giallorossi sono riusciti davvero a schiacciare l’avversario, ed è significativo che il Porto non sia riuscito a controllare il campo nonostante la doppia superiorità numerica.

 


In 9, la Roma è tutta nella metà campo avversaria, e prova a giocare in ampiezza con Nainggolan e Jesus, mentre la linea difensiva portoghese si stringe al centro per evitare il 2 vs 2 con le punte romaniste.



 

A poco più di 15 minuti dalla fine, però, i portoghesi hanno piazzato l’uno-due decisivo con due gol a distanza ravvicinata: il primo su un’uscita sbagliata di Szczesny (non ci si improvvisa Neuer). Il 3-0 finale è una mazzata micidiale alla stagione della Roma, per le conseguenze economiche ma soprattutto per quelle psicologiche: delle 6 squadre sconfitte ai preliminari negli ultimi 7 anni, una è addirittura retrocessa a fine campionato, mentre le altre hanno fallito la stagione ad eccezione dell’Udinese 2011-12.

 

 



 

Insomma, non si esce vivi da un’eliminazione così dura, tanto più per una squadra di ambizioni proclamate come la Roma: adesso inizia una fase di ricostruzione durissima, in cui Spalletti dovrà gestire al meglio la squadra e chiarire i suoi principi tattici.

 

In questo momento, la Roma non gioca un calcio particolarmente fluido, se non in alcuni momenti della partita. Senza la visione di gioco di Perotti, sulla trequarti si deve ricorrere al dinamismo di Nainggolan; i terzini sono un dilemma, con Bruno Peres sempre in difficoltà nel coprire la profondità (e in generale nel giocare insieme a 10 compagni, e magari la conoscenza reciproca aiuterà) e Juan Jesus con grandi lacune tecnico-tattiche. L’allenatore giallorosso dovrà chiarire anche le scelte degli uomini, e spiegare come mai una squadra che l’anno scorso ha realizzato una splendida cavalcata con De Rossi e Dzeko spesso fuori dai titolari, possa invece puntare tutte le sue fiches su questi due giocatori.

 

Probabilmente questa squadra, così fragile psicologicamente, ha bisogno di ripartire da un modulo sicuro, da una formazione base, da principi di gioco più facili: ci sarà tempo per la sofisticazione. E ci sarà più tempo magari anche per crescere come gruppo, per non perdere mai la concentrazione in campo, ma soprattutto ci sarà tempo per trovare una dimensione internazionale. Nelle ultime due stagioni, le figure europee sono state a volte magre, a volte umilianti, ma in ogni caso i numeri parlano chiaro: 3 vittorie in 20 partite tra Champions ed Europa League. Non è un caso che la Roma abbia partecipato ai preliminari senza essere testa di serie; e non è un caso che sia stata eliminata dal Porto, una squadra che è di casa in Champions.

 

Questo dolore un giorno servirà a qualcosa? Solo se ne sarà compresa la natura: la Roma deve uscire da un vortice tutto suo in cui le sconfitte sono disastrose e accompagnate da vergogne disciplinari; e per farlo ha bisogno di ricostruire una squadra puntando su un gioco dinamico e propositivo, lasciando da parte chi ha il futuro alle spalle, cercando di non accartocciarsi nelle solite dinamiche melodrammatiche di questo ambiente.

 

È da sempre che la Roma ha bisogno di normalità: questa stagione è iniziata nel peggiore dei modi, ma è ancora tutta da giocare.

 

 

Attiva modalità lettura
Attiva modalità lettura