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Foto di Michael Regan/Getty Images
Europa League Dario Pergolizzi 30 aprile 2021 7'

La Roma era troppo fragile per lo United

Le ragioni di una disfatta che spegne i sogni europei della squadra di Fonseca.

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Sembra beffardo dirlo dopo una partita finita 6-2, ma prima dell’inizio di Manchester United-Roma uno degli interrogativi più grandi riguardava la fragilità difensiva dei giallorossi di fronte alla quantità di armi offensive a disposizione della squadra di Solskjaer. Anche se poi all’interno dei 90 minuti sono successe così tante cose da aver scombinato i piani, compresi tre infortuni nella prima mezz’ora di gioco, il canovaccio tattico della partita è stato deciso dalle contromisure che Fonseca ha provato a prendere per neutralizzare l’enorme talento offensivo a disposizione dello United, che ieri schierava dal primo minuto Pogba, Bruno Fernandes, Cavani e Rashford.

 

Fonseca aveva scelto una disposizione difensiva non usuale per la fase di pressing alto, che puntava principalmente a pareggiare il numero di giocatori nel blocco iniziale del Manchester e accettava di dividere la squadra in due tronconi: i 6 giocatori chiamati a pressare uscendo alti, uno a fungere da “guardiano” alle spalle di questi, e dietro di lui un’unità composta dai difensori.

 

La squadra di Solskjaer costruiva con una struttura abbastanza leggibile: i due difensori centrali Lindelof e Maguire si tenevano abbastanza stretti, formando un quadrilatero con i due mediani McTominay e Fred, che ai loro lati (e tendenzialmente poco più in alto) avevano a loro volta i terzini, Shaw a sinistra e Wan-Bissaka a destra. A volte questa struttura veniva modificata leggermente da un mediano (di solito McTominay), che si spostava verso destra. Fonseca aveva preparato la squadra a modificare in maniera molto fluida il proprio assetto difensivo quando lo United costruiva l’azione dal basso: da destra a sinistra, Pellegrini, Veretout (sostituito dopo pochissimo da Villar) e Mkhitaryan partivano alle spalle di Dzeko e davanti a Diawara, formando una sorta di rombo contenente un perno. Di solito Pellegrini si alzava ai fianchi di Dzeko, Mkhitaryan si stringeva alle loro spalle e al suo fianco si alzava Villar. In questo modo la Roma era in parità numerica con i giocatori dello United impegnati nella costruzione centrale, ma per non rischiare troppo sulle fasce occorreva alzare molto gli esterni, Spinazzola a sinistra e Karsdorp a destra, in modo da tenersi pronti a uscire forte quando la palla si spostava verso i terzini avversari.

 

Come cambiava il pressing della Roma a seconda dei movimenti dei mediani del Manchester.

 

In questo sistema, Diawara agiva come “protettore” nel caso in cui il Manchester United riuscisse a superare la prima linea di pressione. Il mediano giallorosso doveva coprire molti metri in questi casi, e per questa ragione cercava di muoversi coordinandosi con le scalate del quadrilatero di giocatori che andavano in pressing, rimanendo a metà tra Villar e Mkhitaryan.

 

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Diawara, il protettore del quadrilatero.

 

Per compensare lo spazio orizzontale che per forza di cose Diawara doveva coprire (perché, come detto, i terzini dovevano occuparsi degli esterni), la Roma faceva salire in maniera molto aggressiva i due centrali laterali, che scalavano in avanti per seguire eventuali abbassamenti di uno dei trequartisti dello United. È stato soprattutto Smalling a farsi valere rompendo la linea per andare aggressivo in avanti, talvolta ben oltre il centrocampo, e coprire così l’area al lato di Diawara.

 

small

Smalling contro gli abbassamenti di Pogba nell’halfspace è stato un tema forte del primo tempo.

 

Il pressing della Roma era sostanzialmente asimmetrico, orientato alla posizione del pallone, e le posture dei giocatori avanzati tendevano a orientare il palleggio verso la fascia destra del Manchester, lontano cioè dalla zona di influenza di Bruno Fernandes e Pogba.

 

È stato un sistema che, nonostante tutto, nel primo tempo ha funzionato. Lo United per tutto il primo tempo non ha trovato grandi soluzioni per bypassare questa pressione, ma di contro, le volte che è riuscito a salire col pallone pazientemente e a imbastire una circolazione nei pressi della trequarti giallorossa ha sempre dato la sensazione di poter entrare in area in maniera pericolosa da un momento all’altro. Il primo gol, in questo senso, è emblematico sia delle doti dei giocatori di Solskjaer, sia delle difficoltà e titubanze della Roma quando difende di posizione. In queste fasi, Pellegrini e Mkhitaryan si abbassavano lateralmente e si formava un 5-4-1 più convenzionale.

 

L’atteggiamento della Roma in non possesso, già da diversi mesi, per quanto possa essere strutturato (e talvolta persino creativo, come lo era all’inizio di questa partita) ha dei grossi problemi sia di aggressività che di coesione. È come se i giocatori facessero fatica a riconoscere quando è necessario rompere la linea per andare in pressione sul pallone, e quando invece scalare rapidamente per coprire un compagno in uscita.

 

L’azione del primo gol del Manchester, emblematica sia della qualità offensiva a disposizione di Solskjaer (Pogba salta tre uomini con una serpentina, Cavani gioca da muro per l’inserimento di Bruno Fernandes), sia dei problemi della Roma nel gestire le uscite e le coperture in difesa posizionale.

 

In fin dei conti, nel primo tempo, la Roma era comunque riuscita ad assorbire una buona parte del potenziale dello United, nonostante le clamorose tre sostituzioni per infortunio in mezz’ora, che però hanno presentato il conto nel secondo. La Roma era riuscita persino a portarsi in vantaggio e a tenere l’avversario in ansia grazie a una serie di ripartenze veloci e all’unica azione manovrata riuscita partendo dal basso, quella che ha portato al gol di Dzeko, che ha mostrato come fosse possibile mettere in difficoltà lo United. In particolare la squadra di Solskjaer sembrava avere forti limiti su due aspetti, lo scarso impegno difensivo nei ripiegamenti degli esterni (e il conseguente sovraccarico di compiti dei due mediani), e la grande imprecisione della linea di difesa nel gestire il fuorigioco.

 

Giropalla da destra a sinistra che attrae lo United, con Diawara largo a sinistra. Sugli sviluppi Spinazzola riceve, salta McTominay e punta la profondità. McTominay rincula per aiutare Wan Bissaka per poi riportarsi al centro dopo il rientro di Pogba, in quel momento esterno a destra. I due centrali Maguire e Lindelof non riempiono bene l’area, allontanandosi entrambi sul secondo palo e lasciando una voragine sul primo, alle spalle di McTominay che viene beffato con un tunnel da Mkhitaryan.

 

Una bellissima azione, ma fin troppo estemporanea, dato che la Roma ha giocato la maggior parte della sua partita senza palla e senza la possibilità né la particolare intenzione di scombinare lo United partendo da lontano. Forse senza i tre infortuni sarebbe stato diverso, ma l’eccessiva passività è stata sicuramente una delle cause principali del tracollo del secondo tempo.

 

Il secondo tempo ha fatto subito capire che non sarebbe stata una serata da ricordare, aprendosi con il gol fulmine di Cavani, che ha subito mostrato un cortocircuito delle scalate in pressing su palla persa.

 

cav

Nessuno disturba la ricezione di Pogba, Cristante rompe la linea in maniera azzardata, Diawara non segue il taglio di Bruno Fernandes, Smalling non inverte la postura e la corsa per seguire Cavani né prova a metterlo in fuorigioco.

 

Ma al di là di questo episodio, le leggere modifiche che Solskjaer ha apportato al suo telaio sono bastate per mandare in tilt la Roma: i due difensori cercavano di impostare tenendosi più larghi, e almeno uno tra i terzini e un mediano rimaneva più basso a dare supporto. La Roma avrebbe comunque potuto mantenere gli stessi compiti del primo tempo accettando qualche corsa in avanti in più sui mediani che uscivano, ma da fuori l’impressione è che abbia rinunciato un po’ troppo presto al pressing alto, preferendo rinculare. Il problema, però, è che questo abbassamento generale non è stato né armonico né efficace.

 

Il passaggio dal sistema di pressing alto a quello di difesa di attesa era molto delicato da effettuare: Pellegrini passava dalla prima linea alla seconda, allargandosi, mentre Villar doveva abbassarsi e Mkhitaryan aprirsi a sinistra. In questa transizione è facile perdere i riferimenti, ma la cosa forse più preoccupante è che i quattro pressatori di Fonseca non sembravano aver ben chiaro cosa fare già dalle prime azioni della ripresa. Se nel primo tempo il passaggio da una fase all’altra avveniva in maniera fluida, nel secondo, chissà se più per il temporaneo vantaggio o per i movimenti diversi del Manchester, è andato tutto a rotoli.

 

Sul giropalla del Manchester, Villar accenna lo scatto sul retropassaggio, Pellegrini alza il braccio per farlo fermare e indicargli di tornare nella linea, in attesa. Pochi passaggi dopo, Pellegrini scatta sul retropassaggio e ricompone la forma di pressing alto ma coi presupposti sbagliati: una giocata a tre tra Maguire-McTominay-Fred permette allo United di arrivare al tiro dopo un cross di Shaw sullo sviluppo.

 

Sarebbe però ingiusto non considerare anche i meriti della fluidità del Manchester United, i cui giocatori hanno iniziato a scambiarsi di posizione e a muoversi senza palla con molta più continuità tra primo e secondo tempo. In particolare, Pogba si abbassava rimanendo più largo per portare fuori posizione Smalling, mentre Bruno Fernandes si muoveva lungo tutto l’arco orizzontale decidendo se venire incontro o attaccare la profondità. Per la Roma queste rotazioni, gli equivoci sull’atteggiamento da tenere nel pressing, la botta psicologica del pareggio, sono stati un cocktail letale. Lo si può vedere per esempio nell’azione del terzo gol.

 

 

L’azione comincia con un blando palleggio dello United, ma Dzeko invece che dirigersi verso Lindelof segue McTominay, Mkhitaryan si allarga verso Wan Bissaka, Villar e Pellegrini sono lontani. Lo United ha spazio e tempo per giocare, e la palla gira verso Shaw, che si è tenuto più basso rispetto al primo tempo allungando le corse senza palla di Karsdorp, che infatti arriva in ritardo. Lo smarcamento di Fred alle spalle di Pellegrini è premiato con un filtrante, ma ancora più decisiva è la giocata di Pogba, che dopo essersi defilato attraendo Smalling premia lo scatto di Cavani. Una volta arrivati sulla trequarti, i giocatori di Solskjaer assediano l’area con Fred e McTominay in supporto defilato, Shaw in zona cross, Wan Bissaka, Cavani e Fred in area, ma soprattutto Pogba e Bruno Fernandes a fungere da interruttori per il cambio gioco corto.

 

A quel punto, la Roma è sembrata troppo fragile mentalmente e soprattutto fisicamente (oltre ai tre infortunati nel primo tempo, anche Smalling e Diawara hanno giocato il secondo tempo in condizioni precarie ma non potevano essere sostituiti) ed è crollata sotto il peso delle sue incertezze e indecisioni. Certo, tutto ciò che poteva andar male è andato male, ma la squadra di Fonseca continua ad avere limiti e criticità che puntualmente si ripropongono, soprattutto contro avversari di alto livello che hanno i mezzi per esporle. La partita di ritorno chiederà alla Roma più di un miracolo per rimettere in discussione una qualificazione che ad oggi sembra sfuggita di mano in maniera quasi drammatica.

 

Tags : europa leagueManchester Unitedroma

Dario Pergolizzi, Allenatore UEFA B e video analista, vive e studia il calcio con un approccio sistemico ed ecologico, attraverso le lenti della complessità.

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