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Emanuele Atturo
Le 10 partite con cui ricorderemo Roger Federer
27 ott 2022
27 ott 2022
Dieci sfide per raccontare la sua storia e la sua evoluzione.
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Emanuele Atturo
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Foto di Simon Bruty / Avalanche / Getty Images
(foto) Foto di Simon Bruty / Avalanche / Getty Images
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Roger Federer scendeva in campo come se fosse appena uscito dalla doccia. Una camminata calma, perfettamente rilassata, il volto sempre aperto in un sorriso cortese ma non finto. Scendeva in campo con l’iconica fascia sopra la fronte e indossando la giacca che di volta in volta il suo sponsor tecnico aveva immaginato per la sua ultima sfilata. Sui prati di Wimbledon aveva una luce particolare, risplendeva di tutte le ere del tennis possibili. Non c’era un filo di tensione, né di aggressività; nessun senso di sfida, o di agonismo. Ogni volta l’aria vibrava della promessa di uno spettacolo diverso ma sempre unico nel suo genere. Uno spettacolo in cui il senso di competizione era celato dall’estetica, l’agonismo mascherato dalla creatività. Il tennis diventava qualcosa di più alto e astratto: uno schema di possibilità dentro cui Roger Federer poteva esprimersi seguendo la sua ispirazione. Chiunque stava per assistere a una partita di Federer sapeva di potersi aspettare qualcosa in più di una semplice partita di tennis. È sceso in campo 1526 volte, e per 1251 volte ne è uscito con una vittoria. A poco più di un mese dal suo ritiro abbiamo raccolto dieci partite che ne hanno definito la sua presenza sul campo da tennis. Dieci partite giocate contro avversari diversi in momenti diversi: ciascuna capace di raccontare la sua evoluzione narrativa e stilistica. Ogni partita descrive una fase diversa della sua carriera e del suo tennis. La prima che abbiamo scelto si è giocata a luglio del 2001, l’ultima a luglio del 2019: 18 anni in cui il tennis è cambiato, cercando di raccogliere la sfida lanciata da Federer nel 2003, l’anno in cui vinse il suo primo Wimbledon con un gioco che non si era mai visto, promettendo un regno dalla lunghezza sterminata. E in questi 18 anni anche Federer è dovuto cambiare, per essere all’altezza di sfidanti sempre migliori. Ha aggiustato il proprio gioco intorno ai limiti crescenti di un corpo sempre meno reattivo, drammaticamente in contrasto con un tennis sempre più potente e veloce. Ciascuna di queste partite rappresenta un punto di svolta del doppio conflitto, tra Federer e il tennis che cambia, e tra Federer e sé stesso.La partita più iconica - vs Sampras - 7-6 (9-7) 5-7 6-4 6-7 (2-7) 7-5 - Ottavi di finale Wimbledon 2001

Roger Federer aveva un’idea piuttosto precisa del tipo di tennista che voleva essere. Nell’archetipico dualismo tra artisti e lavoratori aveva sempre preferito i primi ai secondi. È cresciuto con in camera i poster di Stefan Edberg e Pete Sampras, sognava di giocare sul centrale di Wimbledon, laddove l’erba è più gentile con la sensibilità del polso e dove i più grandi vengono incoronati in una dinastia lunga più di cento anni. Così, quando scende in campo il 2 luglio del 2001 e accanto a lui c’è Pete Sampras, un po’ d’emozione è comprensibile. È strano da rivedere oggi, Roger Federer teso e incerto, mentre cerca di non lasciarsi sopraffare dagli applausi del Centre Court. Guarda Sampras accanto a sé e cerca di copiarne i tempi e i gesti cerimoniali. Sampras è il capo di quei campi dal 1996, anno a cui risale la sua ultima sconfitta, contro il lunghissimo Richard Krajcek, di cui Foster Wallace diceva che «gioca come una gru impazzita». Sampras è irsuto e come lievemente ingobbito dal peso dei suoi violentissimi smash. Insegue il suo ottavo Wimbledon, che lo renderebbe l’unico uomo a riuscire in un’impresa tanto tirannica. Federer è numero 15 del mondo, indossa una catenina stretta di conchiglie in stile californiano e finora ha dato segnali contraddittori sulla profondità del suo talento. Troppo fragile, troppo indisciplinato, forse in fondo nemmeno così eccezionale. In un tennis di specialisti sembrava sprovvisto di colpi eccezionali, di uno stile definito: sapeva fare più o meno tutto, ma questo sembra più un limite che un vantaggio. Tre anni prima aveva trionfato a Wimbledon juniores, ma l’albo d’oro del torneo giovanile è fatto di qualche aristocratico della racchetta che rompe una sequenza notevole di talenti caduti in disgrazia. ___STEADY_PAYWALL___ È importante ricostruire questo contesto, perché ciò che a posteriori può sembrarci una morbida e naturale successione al trono fu in realtà una vittoria inattesa e fulminante. Perché il regicidio potesse avvenire, Federer aveva bisogno di vincere il primo set e mettere di fronte a Sampras una strada in salita. Ci riesce al termine di un tiebreak sudatissimo risolto da un mini-break sul 7 pari. Una risposta di Roger tocca il nastro e prende in controtempo Sampras, nel frattempo già sceso a rete. L’americano è costretto a una complicata volée di rovescio di cui non riesce ad allungare abbastanza la traiettoria. La palla è sul rovescio di Federer, che si concentra nel colpire forte e basso. La palla rimbalza sulla racchetta di Sampras e schizza via. L’americano non riesce nemmeno a organizzare la volée, come sorpreso dalla rapidità del colpo avversario. Peter Carter ha ricordato: «C'era un senso di stupore collettivo. La gente pensava "aspetta, sta succedendo qualcosa. Il modo in cui Federer si muoveva catturava l'occhio».

Saranno diversi i momenti in cui il tennis di Sampras è sembrato, di fronte a quello di Federer, il residuato bellico di un’epoca dimenticata. Una tecnologia antica e superata, ormai incapace di offrire una degna resistenza competitiva. Sampras e Federer vengono per comodità riportati sotto la stessa categoria di tennisti, offensivi e sensibili. Oggi fa impressione notare però la differenza stilistica tra i due, così profonda da riflettere due epoche diverse venute allo scontro per caso. Sampras possedeva un impareggiabile sensibilità nel gioco di volo, ma il suo tennis ha sempre avuto delle venature grette e brutali. Certe sue discese a rete avevano una risolutezza cestistica, l’equivalente di un attacco al ferro di Michael Jordan, ma senza la sua ineffabile leggerezza. Sampras si arrampicava sopra la rete come preso dalla furia di voler schiacciare il suo avversario. Quel giorno però abbiamo avuto una rivelazione di obsolescenza. Come quando sentiamo un uomo politico perdere un giro di brillantezza nei suoi ragionamenti, un filo di fluidità nel suo eloquio. Sampras si muove in modo pesante, attacca la rete con un’urgenza che sembra sconclusionata. Di fronte alla rapidità, alla leggerezza, all’incisività del tennis di Federer, la risolutezza di Sampras sembra incoscienza. Il suo gioco a rete pare impaziente e il suo gioco inservibile. Questa sensazione di impotenza, di fronte a un altro giocatore che pratica un gioco dalla velocità incomprensibile, Federer non la proverà mai davvero. Il suo talento è sempre stato di una materia diversa e resistente a qualsiasi evoluzione.Servono comunque cinque set a far maturare questa rivelazione. Sampras vince il secondo set con un rendimento perentorio al servizio. In quegli anni l’artiglieria del suo servizio, su un erba così veloce, mirava in certi momenti al naturale annullamento della partita. Il suono sul centrale diventava monotono: questi scoppi di fucile della prima di servizio intervallati dagli applausi leziosi del pubblico.Nel terzo set Federer ritrova ritmo in risposta, ma nel quarto è ancora il servizio di Sampras a comandare. È allora nel quinto set che in Federer sboccia una consapevolezza diversa dal modo rapsodico con cui aveva mostrato il suo talento fino a quel momento. Quando arriva il momento decisivo è calmo e deciso a sfruttare la pressione sulle spalle del suo avversario. La pressione di essere il re di quei campi, un giocatore che arriva da 31 vittorie consecutive sui prati londinesi. Sul 5-6 del quinto set Sampras serve per rimanere in partita e Federer affina il suo istinto in risposta. Una lettura istintiva del servizio avversario che si avvicina al sesto senso. Nessuno era sembrato così a proprio agio a rispondere alla battuta di “Pistol Pete” come Federer in quell’ultimo decisivo game. Sul matchpoint sente che gli servirà sul dritto, è pronto, lo passa, cade con le ginocchia a terra per la prima volta in carriera. Subito dopo l’ultimo punto prova una vaga sensazione di tristezza, quella che si prova mentre ci troviamo a vivere un traguardo sognato da lungo tempo, e che in quel momento sembra leggermente fuori da noi. La percezione, sinistra, che la gloria è sempre effimera e non potremo mai possederla davvero: può solo attraversarci lasciando un pulviscolo di felicità.Quell’inquietante sensazione di essere stato scavalcato dalla storia Sampras la esprime con lucidità nell’intervista dopo la partita. «Ci sono tanti giovani che stanno venendo fuori, ma Roger ha qualcosa di speciale. Ha un gioco completo, e come me non si lascia andare troppo alle emozioni. Dovete dargli fiducia». Dopo il suo ritiro Sampras dedicherà a Federer un video da casa sua, magro e incanutito dirà che ha ammirato la grazia con cui ha affrontato la vittoria e la sconfitta. Dirà che la sua assenza lascerà un grande vuoto nel tennis. A distanza di anni Federer ancora definisce quella partita come la sua più iconica.La prima volta in cui sembra un giocatore diverso da tutti - vs Roddick 7-6, 6-3, 6-3 - Semifinale Wimbledon 2003

La storia di formazione di Roger Federer è piena di inciampi, più di quanto siamo disposti a ricordare. Nel lasso di tempo che passa tra la sua vittoria contro Sampras e la vittoria del suo primo Slam passano due anni vissuti con la pressione alta. Cammina su una lastra sottile che divide il campione dal talento inespresso: ogni suo fallimento ritardava il primo autentico momento di gloria, aggiungendo pressione su un giocatore che non sembrava ancora in grado di controllarla e girarla a proprio vantaggio. Il tono delle sue interviste comincia a farsi risentito: «Credo che un giorno diventerò numero uno del mondo, e quando ci riuscirò temo di non ricevere il giusto credito. Le persone diranno che ci ho messo troppo tempo per arrivare lì».Wimbledon 2003 prende sin dai primi turni i contorni di una grande occasione. Hewitt, campione uscente, è fuori forma e si fa eliminare al primo turno; Agassi agli ottavi. Per il resto, con Sampras ritirato e Safin in crisi d’identità, il tennis maschile vive un periodo d’incertezza e scarsa popolarità. Gli americani hanno bisogno di un nuovo campione dopo la fine della rivalità tra Sampras e Agassi, e trovano questo ragazzo che si muove con troppa ansia per essere un tennista. Si chiama Andy Roddick e il suo servizio viene descritto con esagerazioni fumettistiche, come fosse uno strumento bellico, un’arma impropria. Un’impressione rafforzata dal fatto che ha uno stile di caricamento tutto suo, e di far leva sul proprio corpo. Non ha l’armonia circolare dei grandi servitori; il suo è un movimento improvviso e rattrappito, ma che riesce a raggiungere anche i 250 km/h. «Le persone vedono il mio braccetto da pollo e sono sorprese dal mio servizio, non capiscono quanto il servizio dipenda dalle gambe». Questo gioco tutta potenza sembra esprimere meglio lo zeitgeist dell’epoca rispetto alla lievità di Roger Federer. I due arrivano ad affrontarsi in semifinale, sono il numero 4 e 5 del mondo e sembrano molto vicini, in quel momento è difficile pronosticare chi avrà la carriera migliore. Oggi ci suona assurdo calcolando la differenza di impatto nel tennis, e anche il senso unico in cui si è sviluppata la loro rivalità. Eppure in quel momento Roddick era forse considerato leggermente favorito: perché aveva vinto al Queen’s, dove chi vince diventa il favorito di Wimbledon per tradizione, e perché la stampa americana lo aveva descritto in crescita costante, e quindi nel momento giusto per ribaltare una striscia di confronti diretti in cui Federer era comunque avanti 3-0. Hewitt non sembrava avere il tennis per stabilire una vera monarchia a Wimbledon, e allora in quella partita c’è in palio la successione al trono di Sampras, nonostante sia solo una semifinale. Del resto dall’altro lato del tabellone giocano contro Philippousis e Grosjean. Nel cammino entrambi avevano perso un solo set, Roddick contro il tailandese Sritchapan, e Federer contro Fish, ma al quarto turno con Feliciano Lopez era andato pericolosamente vicino al ritiro per un problema fisico. Una delle sliding door della sua carriera.Al tiebreak del primo set Federer deve fronteggiare un setpoint sul servizio di Roddick. È raro che l’americano perda punti sul proprio servizio, specie quando entra la prima. Entra anche in quell’occasione e Federer si limita a pararla col rovescio, quasi in caduta. Roddick ha un diritto d’attacco comodo a metà campo, ma lo sbaglia. È uno degli errori che spiccano nel proprio quaderno dei rimpianti. Federer chiude un primo set molto equilibrato, e nel primo game del secondo annulla una palla break con una stop volley di rovescio spinta con un guanto dall’altro lato del campo. Federer aveva attacco la rete con dei passetti rapidi e furtivi, diversi dalla precipitazione con cui approcciavano la rete i grandi giocatori di volo. Federer non era tra loro: usava le volée come arma tattica, o per spremere i punti lavorati da fondo. Il serve&volley era sporadico, non sistematico. Dal secondo game del secondo set il tennis di Federer inizia a prendere una consistenza diversa: più ispirata, leggera, eterea. Gli scambi sterzano seguendo l’ispirazione del suo dritto, fluido, potente, illeggibile. Se Roddick riesce a difendersi, arriva un colpo di chiusura, una volée, un ricamo, un altro dritto tirato con disinvoltura nel lato vuoto del campo. Quel giorno Federer si scrolla di dosso la tensione che aveva appesantito il suo gioco fino a quel momento della carriera, e spicca il volo. Inizia a giocare a tennis a qualche centimetro da terra, da dove esplora tutte le possibilità del suo repertorio senza perdere la centralità essenziale del suo dritto. Quando è ispirato, però, riesce a risolvere i momenti più tesi con colpi estemporanei rispetto non solo alla partita ma alla realtà stessa. Uno di questi momenti arriva sulla palla break del secondo game. Roddick lo attacca e lo spinge ai margini del campo. Federer dondola a destra e a sinistra e, con la palla che sfiora i fili d’erba, riesce ad alzare passanti insidiosissimi. Ne tira due, su cui Roddick fa due miracoli, di cui una volée in tuffo alla Becker, che ricade negli ultimi centimetri di campo. Federer ha una rapidità di piedi eccezionali. Non solo arriva sulla volée, al termine di uno scambio così sfibrante, ma ci arriva con una stabilità sufficiente per tirare un passante ancora più stretto e letale. Roddick, con le mani sui fianchi, vive uno di quei momenti di scoraggiamento abissale. Un senso di impotenza di fronte a un fenomeno paranormale.

Roddick in quella partita gioca bene. Non al suo livello assoluto, visto che il tentativo di rincorsa su Federer lo spingerà a superare i suoi limiti negli anni successivi, a limare sempre di più i propri difetti. Gioca però una partita all’altezza di una finale di Wimbledon; il suo dritto e il suo servizio hanno funzionato come nelle migliori giornate. Eppure è stato annichilito da Federer, che tra il secondo e il terzo set alza ulteriormente il livello del proprio gioco, marcando una differenza col suo avversario difficile da immaginare prima di quella partita. Ci sono state altre vittorie schiaccianti, in cui Federer ha giocato in quel particolare stato di ispirazione mistica in cui sembra vedere le cose prima degli altri. Questa però è stata la prima volta che è riuscito a seguire quel flow in un contesto così teso e prestigioso. Da bambino girava per il suo circolo di Basilea ripetendo che sarebbe diventato il miglior giocatore al mondo ma in pochi fino a quel momento gli hanno creduto davvero. Quel giorno, sul prato del centrale, la realtà ha preso per la prima volta la forma della sua fantasia più sfrenata. Non sarà certo l’ultima. La finale contro Philippousis è stata meno una formalità di quanto ricordiamo, forse, ma risolto il primo set Federer ha corso velocemente verso la propria incoronazione.Forse non proprio tutti lo ricordano, ma il 2003 è l’anno in cui Rafael Nadal fa il suo esordio a Wimbledon, diventando il più giovane a spingersi fino al terzo turno dai tempi di Boris Becker. Gli ci vorrà ancora qualche tempo, per ricucire la distanza che lo separa da Federer a Wimbledon.Un'opera di demolizione - vs Hewitt 6-0, 7-6 (3), 6-0 - Finale US Open 2004

C’è stato un momento della storia in cui si pensava che Roger Federer non potesse mai riuscire a battere Lleyton Hewitt. Uno è svizzero e l’altro australiano, eppure hanno condiviso una parte importante del loro percorso giovanile. Hanno avuto entrambi allenatori australiani, Darren Cahill e Peter Carter, che sono stati amici. Capitava di allenarsi insieme. Peter Carter veniva dalla scuola tennis di Peter Smith, che è la stessa in cui è cresciuto Hewitt. Si incontrano per la prima volta nel 1996, a Basilea, in un periodo in cui tendono a vivere il tennis con rabbia. Volano insulti e racchette. Federer riesce a vincere annullando un matchpoint. Hewitt non sa più come impazzire, così dà unpugno alle corde della racchetta con tutte le sue forze. Le corde si spezzano, mentre le sue mani grondano sangue.Nel periodo in cui Federer fatica a raccogliere il suo gioco in un’idea precisa, Lleyton Hewitt vince il suo primo Slam. Aveva un talento infinitamente inferiore, ma non accettava la sconfitta. Peter Carter glielo indicava come un esempio da seguire.Col pugnetto alzato, il tennis gladiatorio e lo sguardo arrabbiato, Hewitt è il contrario antropologico di Federer. Non li separa solo la diversità di stile, ma un fondamentale approccio agonistico. Federer fa vivere i suoi spettatori nell’illusione che il tennis sia un gioco, o forse un arte, o comunque la forma che lui ha scelto per esprimere la creatività. Per Hewitt il tennis è invece questione di vita o di morte. La ferocia con cui battagliava in campo oggi ci può sembrare ingenua, nell’epoca dei pugnetti onnipresenti di Alcaraz e della resistenza inscalfibile di Djokovic, ma all’epoca era rivoluzionaria. Hewitt esprimeva un agonismo, un desiderio di vincere, che nella storia del tennis era stato messo tra parentesi, con qualche eccezione mal vista (Jimmy Connors). Federer rispetto a lui sembrava naif.Dopo la fiammata del 2002, nel 2003 Hewitt ha ridotto di molto il suo impatto nel circuito. Ha vinto solo due tornei quell’anno: poco per quello che era stato numero uno al mondo. Per un certo periodo si è persino pensata l’ipotesi più crudele, e cioè che fosse stato una semplice meteora. In realtà nel 2004 rientra a grandi livelli e dopo un’ottima stagione sul cemento americano, agli US Open arriva fino alla finale senza perdere un solo set. Federer ne aveva perso uno da Baghdatis e sfiorato la sconfitta in semifinale contro il vecchio Agassi in una partita squassata dal vento. Ne è venuto a capo al quinto set, proprio nel momento in cui sembrava aver sbriciolato le proprie sicurezze. Hewitt era in vantaggio su di lui negli scontri diretti, aveva vinto gli ultimi tre confronti e nell’ultimo, in Coppa Davis, Federer aveva perso malamente, 1-6 al quinto set dopo essere stato in vantaggio di due parziali a zero.È l’ultima edizione che si gioca sul cemento verde, prima dell’introduzione di quello blu, e dal primo game Federer comincia a disegnarlo come se avesse il telecomando. Nel primo punto, da fermo, senza nessuno sforzo apparente, tira un dritto all’incrocio delle righe su cui Hewitt rimane fermo immobile. L’aggressività con cui preme da fondo è spaventosa, e solo la sua assoluta grazia e rilassatezza riescono a mascherarla. Le persone sugli spalti ridono. Vince il primo set 6-0. È una di quelle partite in cui, dentro un’allucinazione percettiva, Federer sembra vedere la pallina più grande, il campo avversario più lungo e più largo. Sembra sapere in anticipo dove gli tirerà l’avversario e arrivarci già stabile con gli appoggi, pronto a tirare colpi che sfruttano qualche microsecondo d’anticipo rispetto alla realtà.Sul 15 pari del secondo set manda lungo un rovescio di qualche centimetro e il pubblico esplode in un boato di sorpresa: può davvero commettere errori?Tira rovesci stretti in topspin ma anche in back, con palle che filano radenti e inconcepibili. Dei colpi che nessuno giocava, inventati di sana pianta. Scende a rete così veloce che l'altro non riusciva nemmeno a organizzare mentalmente un passante. Si ritrova Federer davanti come fosse onnipresente. Serve un ace dietro l’altro con la facilità di chi deve fare centro con una pallina da ping pong dentro una piscina. Vince 6-0, 7-6 (3), 6-0.È una delle prestazioni più dominanti nel periodo più dominante di Roger Federer. Nessuno era mai riuscito a far sembra così inadeguato uno dei migliori tennisti della propria epoca, al punto che dopo la partita Hewitt dice che non c’è nessuno che può competere con lui nell’attuale circuito. Forse il miglior Pete Sampras, riesumandolo dal passato, ma ecco, non sarebbe sicuro nemmeno di quello. In quel periodo sembrava davvero onnipotente. Hewitt, uno dei più lottatori più formidabili del circuito, ha alzato bandiera bianca: «Quando gioca così non c’è niente che si possa fare». Non è semplice stabilire quale sia stato il miglior Federer di sempre, la discussione è aperta e ciascuno può portare i suoi argomenti. Nel 2004 Federer inaugura un triennio di dominio che si prolunga fino al 2006. In quel periodo che va dai 23 ai 25 è difficile dire se Federer abbia raggiunto il suo apice competitivo perché quasi nessuno riusciva ad aprire una competizione con lui. Era distante e inavvicinabile, giocava a tennis con una facilità che faceva sembrare gli altri sbagliati. Competeva con i numeri e non con altri tennisti: aveva giocato quattro finali e vinto quattro finali, aveva vinto tre tornei dello Slam in una sola stagione e l’ultimo a riuscirci era stato Mats Wilander. È un periodo di dominio incontrastato durato tre anni che fatichiamo a ricordare, perché Federer attraverserà molte altre vite tennistiche, arriveranno sconfitte e i suoi rivali definiranno la sua storia in modo più profondo di quanto abbia fatto quel periodo di tirannia. In quel periodo anzi qualcuno cominciava a essere insofferente nei suoi confronti, perché un tennista che sopprime l’incertezza del risultato priva lo sport di una sua parte essenziale. In fondo è una questione di gusto: preferite il Roger Federer che si scontra e lotta con i propri limiti, o quello che dava l’impressione di non averne? Nello sport cercate la sublimazione dell’umano o la manifestazione del divino?Federer però in quel periodo costruisce se non altro uno spettacolo tutto suo, in cui le persone si mettono davanti a una partita solo per il gusto di guardarlo sottomettere i suoi avversari con la massima eleganza possibile. Come l’esibizione di un grande mago che si serve dei suoi avversari come umili assistenti. Oppure, se riuscite a riconoscerne la violenza, come in Funny Games, una persona che tortura un’altra occultando la brutalità dietro un’esattezza e una precisione da valzer. Federer riconosce quella come una delle sue prestazioni più eccezionali. «In diverse occasioni ho detto che se avessi voluto rivivere una partita, sarebbe stata questa. Una finale del Grande Slam che inizia e finisce con un 6-0, lo trovo favoloso. Sarà interessante vedere quante volte si ripeterà in futuro. Di solito, nella finale di un Grande Slam, hai qualcuno davanti a te che ti causa dei problemi. Inoltre Hewitt, per me, era un problema. È stato in questa partita in cui mi sentivo come se tutto ciò che stavo facendo – nelle diverse varianti – fosse incredibile. In quel momento mi sono sentito il numero uno del mondo, quindi è stata una partita molto speciale, sì».Qualche mese più tardi un Rafael Nadal ancora acerbo gli toglie almeno la tranquillità di passeggiare da trionfatore anche a Parigi.La partita più lunga e quella più tesa - vs Nadal 7-6(0), 6-7(5), 4-6, 6-2, 6-7(5) - Finale Roma 2006

A maggio del 2006 Federer è in questa particolare situazione: è il monarca assoluto del tennis mondiale, ma c’è un altro giocatore, più giovane di lui, che continua a batterlo. Ancora e ancora. Aveva incontrato Nadal per la prima volta nell’umidità di Miami e forse lo aveva preso sotto gamba. Aveva perso senza mai entrare davvero in partita. Un anno dopo l’ha incrociato di nuovo sugli stessi campi e, con tutta l’applicazione necessaria, era riuscito a sconfiggerlo in cinque set travagliati. Che fatica, per lui che aveva disimparato a faticare. Al Roland Garros del 2005 è la prima volta che Federer sembra avere tutta l’intenzione di vincere lo Slam sulla terra, ma in semifinale incontra ancora questo teenager metà pirata, metà ragazzo selvaggio, che lo batte in modo piuttosto netto. Portava la canottiera, i pinocchietto, era ossessionato dalle sue mutande e da ciocche di capelli che, indisciplinate, si ostinavano ad andargli davanti alle orecchie. Federer sembra non capire, e si innervosisce. Figuriamoci quando si fa battere anche a Dubai, sul veloce, in uno dei suoi tornei preferiti. Montecarlo è dove Nadal comincia il suo piccolo rito: dall’inizio alla fine della stagione sulla terra europea vince tutte le partite. In finale incontra Federer, che però ha capito che deve fare qualcosa in più per riuscire a sciogliere l’enigma. Perde ancora, ma in 4 set, si avvicina.A maggio del 2006 Federer e Nadal si incontrano in finale a Roma e siamo a uno dei momenti di massima tensione della loro rivalità. Perché quello che sarebbe in teoria più grande dell’altro continua a perdere, e a veder contestata la sua autorità, persino il suo valore. Federer aveva un’ambizione di dominio totale, mentre Nadal difendeva il suo fortino sulla terra continuando a respingere gli assalti del re. Federer non riusciva più a nascondere i suoi segni di nervosismo.Nadal è al culmine del suo strapotere fisico e può trovare vincenti dalle zone di campo e dai contesti più compromessi, piegando il suo corpo ad angolazioni impossibili. Questa sua capacità di respingere e amplificare il gioco offensivo di Federer crea una partita fitta di scambi fantascientici. È la prima manifestazione piena del Fedal, in cui i due giocatori estendono le proprie possibilità tennistiche. Federer vince il primo set grazie a un tiebreak dominato, 7-0, dopo aver sciupato un paio di setpoint, e va vicino a vincere anche il tiebreak del secondo, dove è avanti 3-1. Si perde però in un bicchier d’acqua, sbagliando grossolanamente un attacco di dritto sul 5 pari, e finisce per perdere il secondo set.Federer cerca di disinnescare il velenoso topspin di Nadal, e Nadal a contenere la velocità del dritto di Federer. Il contesto tattico della partita si gioca sulla capacità di Federer di uscire dall’angolo estremo di sinistra, quello a cui lo spinge Nadal con palle cariche di effetto che toccano terra e sembrano rimbalzare verso il sole. Troppo difficili per il suo rovescio a una mano.Nel quinto game del terzo set esplode il nervosismo di Federer, contrariato verso tutti - il vento, gli arbitri e qualche voce fastidiosa che arriva dagli spalti. Non è una voce qualsiasi ma quella, un po’ nasale, di Toni Nadal. «Ok Toni, basta» gli dice Federer stizzito, che lo accusa implicitamente di coaching. Lo spessore della partita è dato anche da questa tensione irrituale per Roger e Rafa. Alla fine del match Federer sottolineerà ancora il coaching di Toni, e Rafa gli risponderà ai microfoni di una radio spagnola, tagliando corto: «Federer deve imparare a perdere». Nadal cita anche il fatto che Federer, in un’occasione, ha mostrato all’arbitro un segno diverso da quello effettivo della pallina, per trarne vantaggio. Molti anni dopo Toni ammetterà di aver fatto coaching, senza vergogna: era la regola a essere uno scandalo per lui, infrangerla era il minimo.Federer perde la calma, e anche il set, e sembra spacciato. Eppure nel quarto offre una capacità di resistenza in quel momento non scontata. Non si era mai visto costretto a lottare fino a quel punto, contro una sensazione di inferiorità che nessuno riusciva a mettergli davanti nel circuito. Trascina la partita a un quinto set che resterà nella memoria come uno dei più belli delle loro sfide.L’episodio di scorrettezza che cita Nadal succede nel quinto gioco dell’ultimo set. Federer è avanti 3-1 e servizio, è sul 40-15 ma si lascia rimontare. Sulla parità tira un dritto lungo e poi si mette a discutere con l’arbitro. I suoi turni di servizio cominciano a essere travagliati, Nadal gli prende le misure sempre di più e alla fine ottiene il controbreak. Se questo è stato un grande set è perché i plot twist sono stati diversi. Sul 6-5 e servizio Nadal Federer o

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