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Le 10 partite con cui ricorderemo Roger Federer
27 ott 2022
Dieci sfide per raccontare la sua storia e la sua evoluzione.
(articolo)
47 min
(copertina)
Foto di Simon Bruty / Avalanche / Getty Images
(copertina) Foto di Simon Bruty / Avalanche / Getty Images
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Roger Federer scendeva in campo come se fosse appena uscito dalla doccia. Una camminata calma, perfettamente rilassata, il volto sempre aperto in un sorriso cortese ma non finto. Scendeva in campo con l’iconica fascia sopra la fronte e indossando la giacca che di volta in volta il suo sponsor tecnico aveva immaginato per la sua ultima sfilata. Sui prati di Wimbledon aveva una luce particolare, risplendeva di tutte le ere del tennis possibili. Non c’era un filo di tensione, né di aggressività; nessun senso di sfida, o di agonismo. Ogni volta l’aria vibrava della promessa di uno spettacolo diverso ma sempre unico nel suo genere. Uno spettacolo in cui il senso di competizione era celato dall’estetica, l’agonismo mascherato dalla creatività. Il tennis diventava qualcosa di più alto e astratto: uno schema di possibilità dentro cui Roger Federer poteva esprimersi seguendo la sua ispirazione. Chiunque stava per assistere a una partita di Federer sapeva di potersi aspettare qualcosa in più di una semplice partita di tennis.

È sceso in campo 1526 volte, e per 1251 volte ne è uscito con una vittoria. A poco più di un mese dal suo ritiro abbiamo raccolto dieci partite che ne hanno definito la sua presenza sul campo da tennis. Dieci partite giocate contro avversari diversi in momenti diversi: ciascuna capace di raccontare la sua evoluzione narrativa e stilistica. Ogni partita descrive una fase diversa della sua carriera e del suo tennis. La prima che abbiamo scelto si è giocata a luglio del 2001, l’ultima a luglio del 2019: 18 anni in cui il tennis è cambiato, cercando di raccogliere la sfida lanciata da Federer nel 2003, l’anno in cui vinse il suo primo Wimbledon con un gioco che non si era mai visto, promettendo un regno dalla lunghezza sterminata. E in questi 18 anni anche Federer è dovuto cambiare, per essere all’altezza di sfidanti sempre migliori. Ha aggiustato il proprio gioco intorno ai limiti crescenti di un corpo sempre meno reattivo, drammaticamente in contrasto con un tennis sempre più potente e veloce. Ciascuna di queste partite rappresenta un punto di svolta del doppio conflitto, tra Federer e il tennis che cambia, e tra Federer e sé stesso.

La partita più iconica - vs Sampras - 7-6 (9-7) 5-7 6-4 6-7 (2-7) 7-5- Ottavi di finale Wimbledon 2001

Roger Federer aveva un’idea piuttosto precisa del tipo di tennista che voleva essere. Nell’archetipico dualismo tra artisti e lavoratori aveva sempre preferito i primi ai secondi. È cresciuto con in camera i poster di Stefan Edberg e Pete Sampras, sognava di giocare sul centrale di Wimbledon, laddove l’erba è più gentile con la sensibilità del polso e dove i più grandi vengono incoronati in una dinastia lunga più di cento anni. Così, quando scende in campo il 2 luglio del 2001 e accanto a lui c’è Pete Sampras, un po’ d’emozione è comprensibile. È strano da rivedere oggi, Roger Federer teso e incerto, mentre cerca di non lasciarsi sopraffare dagli applausi del Centre Court. Guarda Sampras accanto a sé e cerca di copiarne i tempi e i gesti cerimoniali. Sampras è il capo di quei campi dal 1996, anno a cui risale la sua ultima sconfitta, contro il lunghissimo Richard Krajcek, di cui Foster Wallace diceva che «gioca come una gru impazzita». Sampras è irsuto e come lievemente ingobbito dal peso dei suoi violentissimi smash. Insegue il suo ottavo Wimbledon, che lo renderebbe l’unico uomo a riuscire in un’impresa tanto tirannica. Federer è numero 15 del mondo, indossa una catenina stretta di conchiglie in stile californiano e finora ha dato segnali contraddittori sulla profondità del suo talento. Troppo fragile, troppo indisciplinato, forse in fondo nemmeno così eccezionale. In un tennis di specialisti sembrava sprovvisto di colpi eccezionali, di uno stile definito: sapeva fare più o meno tutto, ma questo sembra più un limite che un vantaggio. Tre anni prima aveva trionfato a Wimbledon juniores, ma l’albo d’oro del torneo giovanile è fatto di qualche aristocratico della racchetta che rompe una sequenza notevole di talenti caduti in disgrazia.

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