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Davide Lavarra
Gronk MVP?
15 gen 2016
15 gen 2016
Rob Gronkowski è il prototipo ideale del tight end contemporaneo, per questo il titolo di MVP non sarebbe una provocazione.
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Davide Lavarra
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Osservando i ruoli del football e la loro evoluzione, la posizione che più è stata rivoluzionata rispetto ai suoi intenti originari è quella del tight end. Nella preistoria del football si trattava di una posizione nata per aggiungere allo schieramento frontale un sesto uomo bloccante con chiamate in ricezione solo occasionali, che presupponeva un’ottimale prestanza fisica e un minimo di mobilità abbinata a mani decenti. Oggi si è trasformato in un ruolo completamente diverso, così come diverse sono le caratteristiche atletiche richieste ai suoi interpreti.

 

Il tight end oggi è un atleta dal fisico più massiccio rispetto al wide receiver, ma in possesso di una velocità molto simile, se non addirittura uguale. Questa è la vera rivoluzione. Un tempo il tight end doveva occuparsi soprattutto di fornire un’apertura di strada aggiuntiva, o di aprire la luce al running back o di proteggerlo dai difensori avversari. Oggi si è trasformato in un ricevitore alto, piazzato, capace di eseguire le tracce con precisione e di crearsi lo spazio necessario alla ricezione usufruendo di uno squilibrio di marcatura pressoché costante. Troppo alto per essere contrastato da un defensive back. Troppo veloce per essere seguito in marcatura stretta da un linebacker.

 



La storia del tight end parte dalle innovative intuizioni di coach Paul Brown a Cleveland. Quest’ultimo sfruttò il periodo di transizione del gioco—che in quel momento vedeva sempre gli stessi giocatori allinearsi sia in attacco che in difesa—che stava lentamente evolvendo verso la specializzazione dei giocatori per i vari ruoli, dettata soprattutto dalle caratteristiche fisiche di ognuno. Il leggendario head coach dei Browns fu tra i primi a individuare una tipologia di giocatore da allineare vicino al tackle offensivo, utilizzando indifferentemente il lato destro o sinistro, con l’intento di aggiungere un bloccatore alla trincea che potesse saltuariamente sganciarsi e trasformarsi in un ricevitore interno per tracce brevi.

 

Il primo grande nome nel ruolo fu quello di Mike Ditka, che prima di scrivere la storia con i Chicago Bears come coach nel 1985 era sceso in campo con quella stessa uniforme negli anni Sessanta, distinguendosi come giocatore in grado di ricevere e correre conseguentemente rompendo un bloccaggio dietro l’altro, un modo di interpretare la posizione ancora molto grezzo, ma sicuramente efficace.

 

Kellen Winslow (San Diego Chargers 1979-87) fu il primo vero tight end in grado di percorrere le tracce alla stregua di un wide receiver. Erano tempi in cui coach Don Coryell si affermava nella NFL grazie all’estrema apertura di un gioco aereo, tra i cui capisaldi c’era, appunto, il tight end. L’obiettivo fondamentale era controllare il cronometro senza essere schiavi del gioco di corsa.

 


Kellen Winslow.



 

La strategia offensiva, poi battezzata come “Air Coryell”, si basava su ricevitori estremamente veloci in grado di portare i defensive back in profondità, un gioco di corse efficiente all’interno, che potesse sfruttare al meglio i buchi creati dall’allargamento della difesa forzato dallo schieramento. E infine un tight end in grado di fungere da terza opzione offensiva e di coprire un’area intermedia più ampia rispetto ai compiti tradizionali. L’obiettivo è quello di cercare lo spazio vuoto lasciato tra le secondarie e i linebacker.

 

Il passo successivo fu l’arrivo delle prime figure di H-Back, un ruolo ibrido che venne sviluppato da Joe Gibbs, coach dei Washington Redskins, durante la prima metà degli anni Ottanta. In questa circostanza, il bisogno di avere un tight end aggiuntivo sul campo non aveva nulla a che vedere con la necessità di creare nuove possibilità al gioco aereo, ma era una contromisura alla difesa 3-4 all’epoca implementata dai New York Giants. In quello schieramento spiccava infatti il feroce Lawrence Taylor, l’incubo di tutti i coordinatori offensivi. E pensando a uno dei mille modi di provare a contenerlo—se non altro per qualche azione—Gibbs pensò che un giocatore aggiuntivo posizionato sulla linea di scrimmage avrebbe avuto una maggiore efficacia nel bloccare rispetto a un fullback tradizionale, che sarebbe invece partito da qualche passo dietro al quarterback nel caso della classica I-Formation.

 

Il fatto che il secondo tight end potesse andare in motion prima dello snap consentì a questa nuova figura anche una variabile, quella di partire sullo scrimmage per poi occupare il posto del fullback a difesa già schierata, creando i presupposti per uscire a ricevere entro le successive 5 yard, sfruttando i vuoti all’interno della difesa e cercando uno sviluppo immediato del gioco, dato che il tempo per lanciare in caso di blitz, venendo a mancare un bloccatore, sarebbe stato inferiore. Tuttavia la motion poteva vedere anche la transizione del tight end da un’estremità all’altra della linea offensiva, cambiando di conseguenza la lettura difensiva del lato forte e mettendo confusione nell’interpretazione del lato in cui si sarebbe potuta sviluppare una corsa. I Green Bay Packers di Brett Favre avrebbero utilizzato più in là una versione simile a questa, sfruttando le differenti qualità di Keith Jackson e Mark Chmura.

 

Abbiamo altri nomi pesanti per gli anni ’90. Shannon Sharpe, che spese tutti gli anni della sua carriera a Denver vincendo due Super Bowl con John Elway e Terrell Davis, superò di poco le 10.000 yard complessive, ed era una delle tre principali fonti di attacco dei Broncos.

 

Poi abbiamo una coppia di grandi cestisti prestati al football: Tony Gonzalez e Antonio Gates, Kansas City e San Diego rispettivamente, che aprirono la porta per grandi atleti come Jimmy Graham e Julius Thomas. La pallacanestro fu la chiave per affinare il movimento di piedi perfezionando alcuni aspetti che sarebbero tornati utili anche per il football americano, come liberarsi dopo aver bloccato con i tempi giusti.

 



A vederlo in movimento, Rob Gronkowski somiglia a

, il gigantesco robot di Fox Sports. Ama le feste, la birra e le pornostar. Ha scelto di giocare all'università dell'Arizona dopo una festa in piscina sotto il sole. Meglio conosciuto come “Gronk”, fu la scommessa al draft di Bill Belichick.

 

Correva la primavera del 2010 e i profili compilati dagli scout nei riguardi del "Gronk" non erano dei migliori: sembra assurdo oggi, ma ai tempi non era il giocatore più quotato del draft. Uscito da Arizona con alle spalle una carriera collegiale di tutto rispetto, con due anni di devastante impatto e una serie di record frantumati.

 

https://www.youtube.com/watch?v=Dij5KMUmKhc

 

Una prima scelta sicura già dopo i primi due anni. Ma, ed ecco spiegato il motivo di alcune valutazioni negative, si mise di mezzo un preoccupante intervento alla schiena che gli fece perdere tutto il 2009, e le medesime squadre NFL che con tanta fretta si stavano preparando a ottenerne i diritti si trovarono a consultare medici e chirurghi per capire se quell’operazione avrebbe davvero fatto tornare "Gronk" il giocatore che era prima. Dato che si trattava della schiena passò da essere una scelta a una scommessa, perché in questi casi una franchigia professionistica preferisce non rischiare. I soldi che è necessario investire su una prima scelta sono un vero e proprio patrimonio, e non c’è esperienza peggiore che vederli sfumare dinanzi a un recupero non completo, ancor peggio nel caso di una carriera da interrompere anzitempo. Se proprio è necessario rischiare, in NFL lo si fa nei giri successivi.

 

All’epoca Belichick praticava uno schema offensivo privo di un tight end fortemente coinvolto nella rete di passaggi, ma aveva chiaro in testa come rivoluzionare il reparto offensivo. Non attendeva altro che le previsioni degli scout si avverassero, e che Gronkowski cadesse fino alla scelta numero 42, quella dei New England Patriots. Così fu.

 

Ma non aveva fatto completamente capire il suo piano, e due giri dopo quella selezione lasciò tutti di stucco prelevando un altro tight end, Aaron Hernandez. Da qui nacque una nuova propulsione offensiva per una squadra che storicamente ha vinto utilizzando armi differenti, e che non ha mai temuto di sperimentare. Chi rimase sbigottito davanti a due pari-ruolo selezionati nel giro di due round si sarebbe presto ricreduto, e la concorrenza avrebbe cominciato altrettanto tempestivamente a copiare.

 

Con Gronkwoski e Hernandez in campo contemporaneamente per le difese c’era solo da scegliere quale veleno prendere, tanto sarebbe in ogni caso andata a finire male. I giocatori da coprire con un linebacker o un safety erano due, non più uno solo. Belichick avrebbe giocato per anni con un numero quasi illimitato di variabili da poter praticare, mettendo in perenne difficoltà la difesa nel riconoscere le intenzioni di uno schieramento che di tradizionale non aveva più nulla. Quando ci si sarebbe attesi il lancio sarebbe arrivata una corsa interna per sfruttare il fatto che due difensori si sarebbero spostati più all’esterno per fronteggiare i tight end. Quando l’azione sembrava indicare che avrebbero bloccato per il running back sarebbe arrivata una play-action (finta di consegna al running back con conseguente lancio) e con tutta probabilità un lancio profondo per un grande guadagno. Anche perché il quarterback è pur sempre Tom Brady.

 

L'arresto di Hernandez non ha fermato Gronk. 198 centimetri per 120 chilogrammi, due mani in grado di prendere un blocco di cemento in movimento, una velocità di base non straordinaria, ma supportata dalla rapidità nei cambi di direzione, e una sviluppata intelligenza nell'aggiustare la traccia una volta capito lo schieramento difensivo.

 

La percentuale in questione è sempre alta, sia che si tratti di utilizzarlo nelle ultime 20 yard come a metà campo, l’effetto è sempre devastante. Gronk può essere posizionato tanto all’interno quanto all’estremità destra del campo (perché destro è anche il braccio con cui lancia Brady), esattamente dove andrebbe a posizionarsi il più classico dei wide receiver.

 

Come difenderlo? Se lo schieramento iniziale è all’esterno si può già augurare la buonanotte a tutti, nel senso che al 90% la traccia sarà un curl (ricciolo) che gira all’interno e che, per quanto banale, risulta sempre poco difendibile. L’abbinamento viene forzato con il cornerback, che ha i piedi per restare in marcatura per tutto lo sviluppo della traccia, ma che non possiede il peso sufficiente a contrastare qualsiasi movimento faccia Gronkowski verso l’interno, facendosi sostanzialmente scudo con il corpo.

 

Se lo schieramento è vicino alla linea di scrimmage si utilizza un linebacker, l’unico reparto dove reperire un giocatore di simili dimensioni, con la differenza che Rob a quel punto ha una rapidità superiore a tutti loro.

 

Se ne facciamo una questione di velocità, perché allora non mettergli addosso un safety, che può provare correre alla pari con lui ed è sicuramente più piazzato di un cornerback? Semplicemente perché l’altezza raggiunta dalle sue braccia in estensione non può essere pareggiata da nessun defensive back esistente al mondo.

 

https://youtu.be/A-TtVX4Zce0?t=26s

Prima del Super Bowl XLVI hanno chiesto a Tom Coughlin, coach dei Giants, come avrebbe limitato Gronkowski. Rispose: «Probabilmente con una scala…».



 

Una risposta più che sensata per uno come Coughlin, che mastica football da quando i tight end ricevevano touchdown stagionali nella medesima proporzione in cui "Gronk" ne riceve in una sola partita. Da rookie divenne il giocatore più giovane di sempre a collezionare tre mete sia in regular season che nei playoff, a soli 26 anni detiene già il record di franchigia per maggior numero di partite terminate con 100 o più yard su ricezione (17) e yard medie per apparizione (82.9), ma il suo vero capolavoro—almeno fino a questo momento—è stata la fantastica stagione 2011, quella del record quasi perfetto di New England, quando Rob è divenuto il primo tight end di sempre a guidare la NFL in ricezioni da touchdown (18) scrivendo nel contempo il nuovo paletto per yard stagionali, 1.327.

 

Per dare un’idea di che cosa significhi questo ruolo, basti pensare al totale di mete segnate nei primi due anni di carriera: 28. Un altro record, tenuto in co-abitazione con un altro wide receiver che a basket se la cavava bene.

 

https://www.youtube.com/watch?v=-qJyniyHBj4

Randy Moss, al liceo in coppia con Jason Williams.



 

Tutto ciò al netto di una stagione 2013 funestata da problemi fisici. Dal pericoloso infortunio al legamento crociato anteriore e mediale, all’annoso problema con l’avambraccio pieno di infezioni assortite e bisognoso di ben quattro interventi prima di essere definitivamente risolto, passando per una vertebra fratturata che ha necessitato di una nuova operazione alla schiena.

 

Eppure "Gronk" ha sempre recuperato al meglio, tornando ogni volta tale e quale a prima: dominante. E questo è un aspetto che contribuisce all’aura di superuomo, di una semidivinità del football. Mezzo umano, un quarto ricucito, un quarto robot. Il perfetto prototipo del tight end contemporaneo.

 

Un ruolo che negli anni ha seguito lo sviluppo fisico dei propri interpreti di maggior spicco, prendendosi una rilevanza offensiva e costringendo le difese a trovare in giro per i college dei difensori possenti, ma dall’elevato tasso atletico. Un impresa tutt’altro che semplice.

 

Una volta una ricezione di un tight end poteva costare al massimo una decina di yard, oggi possono anche superare le 40, dato che tirare giù Gronkowski dopo la ricezione è piuttosto complicato.

 

http://www.dailymotion.com/video/x3g7huf_tom-brady-and-rob-gronkowski-strike-early-patriots-vs-broncos-nfl_sport

 

Restare in marcatura di velocisti come Jimmy Graham e Vernon Davis è poco fattibile. Per non parlare della verticalità, se i Packers sono ai playoff lo devono anche a Richard Rodgers, che ha raccolto più in alto di tutti un hail mary pass contro i Lions.

 

I coach di football macinano libri di schemi, studiano quintali di filmati e annotano ogni singolo dettaglio. Sean Payton, coach dei Saints, colui che sviluppò il talento di Jeremy Shockey quand’era offensive coordinator dei Giants, ha centrato il punto: «I tight end sono diventati come un ottimo impianto stereo. Tutti ne debbono possedere uno, altrimenti l'attacco non avrà nulla di sinfonico».

 
 

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