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Michele Tossani
Il Malmö sta facendo una piccola rivoluzione
26 gen 2024
26 gen 2024
La squadra di Henrik Rydström ha vinto il campionato svedese con un nuovo modello di calcio relazionale.
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Michele Tossani
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Illustrazione di Başak Saral
(foto) Illustrazione di Başak Saral
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Del dualismo tra calcio posizionale e calcio relazionale si è parlato molto negli ultimi mesi. Ma se il dibattito tra queste due filosofie a volte è debordato al di fuori di alcuni Paesi, come per esempio in Brasile il cui passaggio dal gioco posizionale di Tite a quello relazionale di Diniz (che nel frattempo ha anche vinto al Libertadores con il suo Fluminense) è diventato una sorta di paradigma generale per discutere dell’argomento, in altri è rimasto nascosto, sotto la cenere, nonostante stia portando alcuni esempi molto interessanti. Tra le proposte migliori di modello relazionale c’è ad esempio il Malmö FF reduce dalla vittoria dell’Allsvenskan, il massimo campionato svedese che si disputa fra aprile e metà novembre.

Di blåe” (cioè: “gli azzurri") sono così tornati a vincere il campionato (il loro 23° titolo nazionale) dopo un 2022 difficile, che li ha visti arrivare addirittura settimi, il loro peggior posizionamento dal 2009. La brutta stagione del Malmö aveva fatto rumore, almeno in Svezia, dove è considerata la squadra obbligata vincere e che tra l’altro aveva vinto il campionato proprio l’anno prima. La squadra svedese aveva cambiato tre allenatori in una singola stagione, con Miloš Milojević sostituito ad interim dal direttore sportivo Andreas Georgson prima dell’arrivo del norvegese Åge Hareide. In quel momento la situazione era già critica, con la squadra quinta in classifica e già eliminata dalla Champions dopo la sconfitta nel secondo turno preliminare subita ad opera dei lituani dello Žalgiris.

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Milojević, al momento all’Al Wasl (Emirati Arabi Uniti), ha finito per pagare i tanti infortuni, una certa incapacità della squadra nel superare avversari che difendevano in blocco basso e l’underperformance offensiva di un gruppo che non riusciva a convertire le occasioni che si presentavano. I suoi sostituti però non sono stati in grado di sistemare la situazione e così si è arrivati al disastroso (per gli standard del Malmö) piazzamento finale.

L’incredibile cammino di Henrik Rydström

Per ridare vitalità all’ambiente e offrire gioco e risultati ai tanti tifosi che riempiono regolarmente lo Eleda Stadion, la dirigenza del club scandinavo ha deciso di affidare la panchina a Henrik Rydström. Se il nome non vi dice niente, be’, non sapete cosa vi state perdendo. Parliamo di un personaggio particolare, qualcosa di più di un "semplice" allenatore che, mentre si sedeva in panchina per guidare squadre professionistiche svedesi, trovava anche il tempo per scrivere critiche musicali sul giornale locale Barometern, tenere un blog sul quotidiano di Stoccolma Dagens Nyheter, laurearsi in letteratura con una tesi su La Saga des émigrants dello scrittore svedese Vilhelm Moberg. Il tutto senza dimenticare le sue prese di posizione contro la xenofobia montante in Svezia o il suo impegno politico, manifestatosi in passato parlando ad un evento organizzato dal partito socialdemocratico svedese.

Ho contattato Rydström per un’intervista via mail e questa sua sensibilità, inusuale per il mondo del calcio, è stata subito evidente. Al punto che a un certo punto abbiamo avuto anche modo di parlare dei suoi gusti in tema di cinema, TV e musica. «Dal punto di vista dei gusti musicali, mi lamento di me stesso dicendo che sono un tipico maschio bianco, occidentale e etero. Mi piacciono Springsteen, The War on Drugs, Israel Nash, i Clash. Ma ho un debole per il genere Northern Soul [un genere musicale proveniente dal nord dell’Inghilterra diffusosi negli anni Settanta, nda]. Per quanto riguarda i libri, non leggo più molta narrativa. Sfortunatamente! Ma Dostoevskij, Marguerite Duras, Paul Auster, Märta Tikkanen, Erich Maria Remarque e lo scrittore svedese Eyvind Johnson restano dei giganti». Rydström mi dice che le citazioni e le metafore prese dal cinema e della letteratura lo aiutano a rafforzare i rapporti con i propri giocatori. «È un modo per cercare di ampliare la loro prospettiva. Che poi lo faccia utilizzando parole difficili (sulle quali i giocatori devono riflettere) o utilizzando il titolo di una canzone per allenare nelle scelte o metafore prese dal mondo della letteratura... questo dipende. Cerco di ispirarli, diciamo. Ricordo ancora quello che i mei insegnanti preferiti facevano con me a scuola, come cercavano di ampliare la mia percezione dell’esistenza».

Ex centrocampista difensivo, più di lotta che di governo, l’attuale tecnico del Malmö- che oggi ha 47 anni - è stato un inusuale leggenda del Kalmar, una piccola squadra dell’omonima città posta quasi esattamente a metà strada tra Copenaghen e Stoccolma, sulla costa svedese che dà sul Baltico. Scordatevi però la storia di un difensore carismatico o di un bomber di provincia. Rydström era un anonimo centrocampista difensivo e lui stesso si descrive così: «Sono sempre stato un giocatore difensivo, che voleva dare copertura ai compagni, ma sono sempre stato attento al fatto che il mio ruolo venisse apprezzato. Un mio compagno di squadra aveva un amico che pensava a me per ritardare la sua eiaculazione quando faceva l’amore. Questo spiega bene quanto il mio stile di gioco fosse poco sexy. Nelle foto che mi ritraggono mentre gioco, durante la mia carriera, non mi si vede MAI vicino alla palla: sono sempre dieci metri DIETRO il nostro portatore».

Rydström è nato a Listerby, poco meno di 100 chilometri a sud di Kalmar, e la maglia rossa della sua squadra l’ha indossata per ben 551 volte nell’arco di un ventennio (tra il 1993 e il 2013). «Mi spostavo a Kalmar per allenarmi e così sono finito a giocare nel Kalmar FF. Eravamo in seconda divisione, siamo anche retrocessi nella terza serie nel 1997, ma sono stato orgoglioso quando la mia squadra è tornata in seconda divisione e poi è salita in Allsvenskan. Allora ho deciso di voler dedicare tutta la mia carriera di calciatore ad un unico club. Abbiamo vinto tutto quello che era possibile vincere nel calcio svedese e io ero anche il capitano».

Appesi gli scarpini al chiodo, Rydström è passato ad allenare nel settore giovanile del club. «Kalmar è un posto piccolo, geograficamente remoto e anche conservatore», mi racconta Rydström «Quando sono diventato allenatore, ho iniziato con l'Under 17. Fin dall’inizio mi era chiaro che non volevo che la mia squadra si paragonasse ad altre squadre svedesi come il Mjällby o il Värnamo. Perché fare quello che hanno già fatto altri? Così ho iniziato a pensare: come possiamo allenarci di più e meglio? Come fare a insegnare di più ai giocatori? Ero molto curioso, insoddisfatto, ho iniziato a farmi dei nemici all’interno del club (cosa che ho capito molto dopo) perché mettevo tutto in discussione. Ho subito trovato molte brave persone che mi hanno aiutato con la mia squadra, anche perché non avevo idea di cosa volesse dire allenare. Mi hanno supportato e mi hanno permesso di acquisire fiducia. Il mio primo anno, nel 2014, siamo stati eliminati. Ma notavo che i miei giocatori erano migliorati perché avevo già iniziato ad utilizzare dei metodi di allenamento speciali. L’anno dopo ho iniziato letteralmente a tormentare con questo metodo l'Under 19 del Kalmar e alla fine ho trovato la strada giusta. Volevamo avere il dominio della palla e ho cominciato a notare come questo influiva sulla convinzione dei calciatori. Significava prendere il destino nelle proprie mani».

Il percorso di apprendimento di Rydström è peculiare anche perché è passato per vie inusuali, lontane dai corsi ufficiali che formano la maggior parte degli allenatori europei. «Quando sono diventato allenatore cercavo freneticamente il modo di confrontarmi. In questo senso, l’ambiente di Kalmar era un po’ ristretto. O forse ero solo io. Pensavo che fosse possibile fare qualcosa di diverso rispetto a ciò a cui ero stato abituato da giocatore ma non sapevo bene cosa. E le persone che avevo vicino non sapevano nulla più di quello che vedevano davanti al loro naso. Ma grazie a Twitter e a vari corsi online i miei orizzonti si sono allargati».

Le esperienze nel settore giovanile del Kalmar hanno permesso a Rydström di ricoprire per due volte il ruolo di assistente allenatore in prima squadra. Nella seconda di queste occasioni, il tecnico in carica (lo svedese Nanne Bergstrand) è stato spesso costretto ad assentarsi per motivi di salute e così la dirigenza del Kalmar ha deciso alla fine di affidargli la squadra definitivamente.

Dopo una esperienza iniziale da semplice traghettatore, Rydström ha accettato la sfida del Sirius, piccolo club di Uppsala che è riuscito a condurre alla salvezza per due volte consecutive. Poi, nel 2020, è riuscito ad ottenere un incredibile decimo posto finale, facendosi notare per il possesso medio più alto del campionato (57.3%, secondo i dati Wyscout). Solo a questo punto è tornato a Kalmar, dove ha aperto un ciclo biennale che anche in questo caso ha cambiato in poco tempo lo stile di gioco di una squadra passata da una media di possesso del 42% ad una del 56.7%, con una media di passaggi per 90 minuti saliti da 350-400 a 600-700 (dati Wyscout). Il tutto a partire da un 4-3-3 costruito intorno ad una linea difensiva alta (per sostenere un pressing avanzato), un play come Carl Gustafsson, due esterni d’attacco quali Isak Jansson e Simon Skrabb, e a Oliver Berg come falso nove.

È durante questa sua esperienza alla guida della formazione che lo aveva visto protagonista da calciatore che Rydström ha messo in mostra quel modello relazionale che, oltre ad attirare tifosi e giornalisti in patria, ha iniziato a far parlare di sé anche fuori dai confini svedesi. Non a caso di lì a poco è arrivata la chiamata del Malmö, condotto già al primo tentativo alla vittoria del campionato.

Un successo sofferto, che si è concretizzato solo all’ultima giornata in virtù di una miglior differenza reti e grazie ad un rigore realizzato nella sfida decisiva contro l’Elfsborg, proprio il club che contendeva agli azzurri la Lennart Johanssons Pokal, trofeo assegnato a partire dal 2001 alla squadra vincitrice del massimo campionato svedese e che porta il nome dell’ex presidente della UEFA (precedentemente il trofeo era intitolato a Clarence von Rosen, atleta poliedrico dei primi anni del Novecento ma dalle inaccettabili simpatie naziste durante gli anni Trenta).

Che cos’è il calcio relazionale?

Quale ricetta ha usato Rydström per rivitalizzare il Malmö e farlo tornare competitivo per la lotta al titolo dopo appena un anno e una stagione molto deludente? Abbiamo già parlato di calcio relazionale, un modello di cui si parla molto negli ultimi tempi ma che forse non siamo ancora riusciti bene a definire. «In un certo senso, il calcio relazionale è una forma di risposta al gioco di posizione», mi dice Rydström «Invece di creare una sorta di struttura fissa, il calcio relazionale è fluido, come un’ameba che può assumere forme diverse e dove ovviamente teniamo conto degli avversari, ma dove pensiamo che tutto avvenga principalmente in relazione ai nostri giocatori e alle relazioni degli uni con gli altri (e con gli spazi) e dove la struttura non è fissa ma in costante cambiamento».

Nel calcio relazionale l’attenzione non è rivolta quindi all’occupazione razionale degli spazi ma alla creazione di legami associativi intorno al portatore di palla, abbandonando il concetto di struttura che per anni in Europa ha diviso le squadre “ordinate” da tutte le altre. «Io, come allenatore, non posso dire ad un giocatore di fare esattamente in un modo, perché ogni situazione è unica e non è mai accaduta prima», mi dice Rydström «Questo non significa che non possa aiutare e guidare i calciatori, ma certo lavoro di più con l’apprendimento differenziale, dove la variazione nelle situazioni è centrale e nel quale i giocatori imparano a comprendere la strada da seguire... tutti insieme. Così, piuttosto che pormi come allenatore che ha sempre una soluzione pronta, creo una situazione dove la collaborazione fra giocatori, creatività e intuizione porta alla soluzione».

Il Malmö di Rydström, insieme al Real Madrid di Carlo Ancelotti e al Napoli di Luciano Spalletti, è stata una delle prime squadre europee a impiantare nel Vecchio Continente un modello di gioco relazionale, con le dovute differenze ovviamente. Anche se non è possibile paragonare la notorietà internazionale del club spagnolo e di quello italiano a quella del club svedese, il Malmö resta uno dei club più prestigiosi e più conosciuti di tutto il Nord Europa. Tutto questo, unito a quanto visto sul campo, ha contribuito a diffondere il nome di Rydström fra gli addetti ai lavori, nel web e poi anche alle nostre latitudini, mettendo il nome del tecnico svedese in discussioni che comprendevano anche quelli di Ancelotti, Spalletti e Diniz, e questo ancor prima della vittoria all'ultima giornata del massimo campionato svedese. Nel caso di Rydström, forse ancora di più degli illustri allenatori appena citati, si è cominciato a parlare delle idee ancora prima che venissero coronate dal successo.

Permettetemi una metafora ardita per approfondire ulteriormente il calcio posizionale. Potremmo dire che questo modello è il dionisiaco, opposto all’apollineo proposto dal gioco di posizione. È l’irrazionale di Friedrich Nietzsche, padre del nichilismo contemporaneo, contro l’ordine di Socrate e Platone. Da una parte la razionalizzazione e l’equilibrio, l’ordine e la forma, tipiche del gioco di posizione; dall’altra l’istinto, il caos e la forza vitale e creatrice dell’uomo, rappresentate dal modello relazionale, con la sua assenza di struttura rigida e con la ricerca di connessioni tra i giocatori. Sto romanzando, ovviamente, e non bisogna scambiare il calcio relazionale con la libertà pura, ma sembra quasi inevitabile sconfinare oltre il semplice discorso calcistico per capire fino in fondo il calcio relazionale.

«Quando ho preso in mano il Kalmar nel 2021, i calciatori venivano da un tipo di gioco nel quale, per un paio d’anni, erano abituati a calciare la palla il più lontano possibile. Allora ho iniziato con un modello quasi strettamente posizionale, per avere una base dalla quale partire. È come imparare una lingua: probabilmente hai bisogno di conoscere prima l’alfabeto e le regole di grammatica ma poi, quando hai imparato queste cose, puoi rompere le regole stabilite, quasi creare le tue parole, frasi, significati. Certo, senza un terreno comune diventa anarchia. Ma a me piace il funzionalismo come concetto perché mi fa pensare che ci sia qualcosa di più del solo piano gara. Come ha detto il mio capitano Anders Christiansen la scorsa primavera, il relazionismo fa sì che i giocatori riducano il proprio ego perché è qualcosa che non riguarda solo il singolo giocatore ma tutta la squadra. Giochiamo gli uni con gli altri, condividiamo la palla gli uni con gli altri, come quando condividi il pane e il vino con il tuo prossimo».

Come gioca effettivamente il Malmö

L’obiettivo numero uno del Malmö in possesso è quello di creare legami associativi intorno al portatore di palla, garantendo a quest’ultimo quante più linee di passaggio possibili. Questo è possibile aumentando di molto la densità di uomini intorno al pallone, cosa che rende problematica la difesa da parte della squadra in non possesso proprio perché, come detto, si moltiplicano le opzioni di passaggio per il portatore. Rispetto al puro gioco di posizione, dove il focus è sull’occupazione degli spazi (con la palla che si muove da un giocatore all’altro), nel modello relazionale praticato dagli svedesi il punto di riferimento principale in fase di possesso è la palla. I giocatori si muovono dove si trova la palla, creando quell’effetto di sovraccarico sul lato forte che in inglese viene definito tilting (da tilt, inclinarsi).

Il sovraccarico sul lato palla, l'avvicinarsi dei giocatori fra loro, la mancanza di una perfetta simmetria nel disporsi della squadra non significano mancanza di ordine o di struttura. Il Malmö di fatto restringe il campo dove applica la sua struttura, come se miniaturizzasse i concetti del gioco di posizione. In questo modo vengono favoriti i giocatori in grado di giocare bene tecnicamente la palla in spazi ridotti o ridottissimi, con scambi di posizione e continui movimenti che non richiedono di coprire distanze lunghe.

Con molti giocatori intorno alla palla è anche più facile la riaggressione. Il gegenpressing viene naturale. Qualora questo tentativo di riconquista immediata venisse evitato dagli avversari, si cerca di recuperare difendendo più di reparto. L’approccio del Malmö è fluido anche in non possesso: la struttura difensiva cambia adattandosi alla situazione, e il tipo di pressing apportato può variare (a uomo o a zona) sempre in funzione dell’avversario di turno. La squadra di Rydström ha varie formazioni per pressare.

Sembra evidente insomma che, rispetto al maggior ordine (o apparente maggior ordine) richiesto dal gioco di posizione, in quello di relazione servono invece giocatori “pensanti" in grado di leggere il caos che ogni partita presenta per avere ogni volta soluzioni nuove, con l'obiettivo di creare spazio e attaccare gli avversari. Solo in questo modo il calcio relazionale diventa davvero imprevedibile e diverso dal gioco di posizione, che a volte rischia di impigrire i giocatori chiedendogli di occupare una posizione prestabilita.

I giocatori del Malmö hanno avuto bisogno di tempo per adattarsi a questa nuova libertà. Non è sempre è facile passare da un sistema ben definito ad uno per così dire più libero: ricordate i problemi dei giocatori del Napoli nel passaggio dal calcio di Maurizio Sarri a quello relazionale di Ancelotti? Chiedo a Rydström come si fa ad allenare questa nuova libertà, se è anche possibile allenarla. «La alleniamo lavorando con esercitazioni per creare le giuste condizioni per quello che la situazione richiede – che sia nascondere la palla agli avversari, giocare oltre le linee o segnare dei gol», mi risponde l’allenatore svedese «E la soluzione varia, perché dipende da cosa fanno gli avversari. Quindi in allenamento cerchiamo di variare il comportamento degli avversari. Ma, come per la maggior parte delle cose, si tratta di far capire ai giocatori il perché. Questo lavoro si svolge nella sala riunioni, dove mostriamo spezzoni dell’allenamento o delle partite. Oppure tramite riferimenti alla vita in generale o alla letteratura o alla musica. Ma non è automaticamente giusto avere tanti giocatori attorno al pallone. Spesso mi chiedo (anche in allenamento) perché i giocatori fanno quello che fanno. Capiscono perché si stanno muovendo verso la palla? In definitiva l’obiettivo dovrebbe essere quello di aumentare le nostre possibilità di segnare dei gol. Di causare danni agli avversari. Anche se, come ho detto, può darsi che in certi momenti della partita possiamo essere più interessati a creare connessioni fra noi tenendo la palla (non avendo quindi come scopo primario quello di segnare) o creare frustrazione negli avversari tenendo il possesso (cosa che, di conseguenza, aumenta anche le nostre chance di segnare)».

Mi sono studiato alcune partite del Malmö per vedere con i miei occhi come gioca una squadra che viene allenata in questo modo. Un esempio è quello proposto qui sotto, che vede fra gli attori principali il centrocampista svedese del Malmö, Sebastian Nanasi, nominato miglior giocatore dell’Allsvenskan 2023. In questa occasione è lui a fare da perno per le catene relazionali create dal sovraccarico degli svedesi sul lato sinistro.

Nel tweet qui sotto, invece, vediamo una rete realizzata dalla squadra di Rydström nella partita contro l’IFK Göteborg. Il third pass (cioè il passaggio che precede l’assist) viene effettuato dal terzino destro Anton Tinnerholm, che si trova ad agire da trequartista in zona centrale. Nel video si può notare anche la tipica escadinha, la scala di tre giocatori posti in diagonale, altra giocata tipica del gioco relazionale.

Il posizionamento iniziale dei giocatori viene quindi stravolto quando la squadra è in possesso. La fluidità si accompagna al movimento, tratto distintivo di questo approccio. Chi si occupa di sviluppare, rifinire o concludere l’azione deve appunto essere sempre in costante movimento. È lo stesso principio del Brasile 1982 di Telê Santana, formazione non a caso punto di riferimento per la scuola relazionale che anche Rydstrom mi cita tra le sue fonti di ispirazione. «Valery Lobanovskyi è un tecnico che mi ha ispirato, ma non l’ho mai visto allenare. Il Brasile ai Mondiali del 1982 ha avuto un grande impatto su di me. Poi devo dire che Guardiola è di grande ispirazione. Non principalmente per il suo gioco di posizione ma per come la sua squadra gioca sempre come se non ci fosse un domani. Anche Phil Jackson è di grande ispirazione per me».

Il movimento costante dei giocatori del Malmö in fase offensiva.

In questo gioco, lo spazio non viene più cercato tra le linee avversarie ma, come disse una volta Luciano Spalletti, tra i corpi - un modo anche per manipolare le organizzazioni difensive con marcature a uomo a tutto campo che si sono molto diffuse molto negli ultimi anni.

È un modo di attaccare che comincia ad avere proseliti anche in Europa, come si evince dalle due immagini di seguito che vedono protagoniste l’Italia nella sfida contro l’Ucraina e l’Ungheria del commissario tecnico italiano Marco Rossi.

Tornando al Malmö, questo approccio relazionale ha permesso non solo alla squadra di vincere il campionato ma anche a molti dei suoi giocatori di mettersi in evidenza. D’altra parte è questa la funzione del calcio relazionale, no? Fra questi, oltre al già citato Nanasi, vanno citati anche l’attaccante Isaac Kiese Thelin (spesso criticato per il suo poco lavoro in pressing, ma alla fine autore di 16 reti in Allsvenskan), i centrocampisti Taha Ali, Sergio Peña e Stefano Vecchia (svedese con passaporto italiano) e il canadese Derek Cornelius, centrale di difesa mancino.

Il peruviano Peña è giocatore in grado di poter svolgere funzioni da numero 6, 8 o 10 con egual efficacia. Il calcio di Rydström, restringendone gli spazi in cui operare, ha finito per esaltarne le qualità di grande passatore, minimizzando i difetti di calciatore che fa fatica in campo aperto. Lo stesso può essere detto di Vecchia, esterno associativo più adatto la controllo di palla che all’attacco alla profondità.

Tra questi, però, forse il giocatore che risalta di più è Taha Ali, insieme a Nanasi il miglior talento del campionato svedese. Forte nell’uno contro uno, altamente associativo, rispetto ad altri compagni di squadra il venticinquenne nativo di Stoccolma è abile anche ad attaccare la profondità.

Vedremo quanti di questi calciatori saranno ancora in forza al club all’inizio del prossimo campionato (per adesso nessuno dei citati si è mosso). Il lavoro fatto con loro da Rydström ha infatti attirato le attenzioni di club di campionati più importanti. Non è detto che presto non possa salutare la Svezia anche lo stesso Rydström, col suo gioco ormai sulla bocca di tutti. Sarebbe bello vederlo all’opera in uno dei cinque principali campionati europei.

Sarebbe una storia oggettivamente incredibile, se uno dei più interessanti tecnici d’Europa si affermasse ai massimi livelli, dopo un percorso così poco convenzionale come il suo. Effettivamente, fermandosi un attimo a guardare indietro com’è arrivato fino a questo punto, viene da chiederselo: come è possibile? «Dal 2020 in poi sono stato primo allenatore e in qualche modo rimango sempre costantemente dubbioso e allo stesso modo convinto delle mie capacità».

«Onestamente non so rispondere: non so del tutto come sta funzionando tutto questo».

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