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Gian Marco Porcellini
La rivincita dell'Italia
06 set 2021
06 set 2021
Dopo le critiche delle Olimpiadi, la squadra di Mazzanti ha vinto gli Europei.
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Gian Marco Porcellini
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In un 2021 denso di imprese e sorprese per lo sport italiano, la pallavolo italiana femminile mette il suo punto esclamativo vincendo il campionato europeo 3-1 in casa della Serbia campione uscente, campione del mondo in carica e bronzo olimpico. Facendolo, tra l'altro, ad appena 32 giorni dal 3-0 con cui la stessa Serbia aveva battuto la squadra di Davide Mazzanti nel quarto di finale a Tokyo, dopo che aveva avuto la meglio pure nella finale mondiale del 2018 e nella semifinale europea di due anni fa. Stavolta però le azzurre hanno ribaltato pronostico e precedenti, imponendosi a Belgrado - come accaduto del resto con la nazionale di basket nella finale del preolimpico - davanti a 20.500 spettatori, a 20 mesi di distanza dall’ultima partita giocata a porte aperte.


 

La Nazionale ha avuto il merito di trovare subito un buon ritmo sia sul cambio palla sia sulla fase break, resistere alla pressione di una Stark Arena infuocata e rimanere aggrappata alla gara anche dopo aver perso il primo set ai vantaggi (24-26), superando le padrone di casa grazie a una prova mostruosa del muro difesa, oltre che di Sylla ed Egonu, 49 punti in due. Dopo un secondo parziale altrettanto equilibrato (25-22), negli ultimi due la Serbia si è sciolta, perdendo il terzo a 19 e il quarto addirittura a 11, in un set che si è trasformato quasi in una passerella per l’Italia. Una partita così non esisteva neanche nelle previsioni dei più ottimisti.


 

Ritrovare un nuovo equilibrio


Era tutt’altro che scontato che una squadra sì con diversi tornei alle spalle - il sestetto del quarto set di sabato per 6/7 è lo stesso che ha disputato la finale del 2018 -  ma pur sempre giovane - considerato che l’età media delle titolari si attesta sui 25,5 anni, con una sola over 30, la classe ’87 Monica De Gennaro - smaltisse in tempi così rapidi il passo falso alle Olimpiadi e il successivo carico di critiche, e ritrovasse quella serenità, quella spensieratezza e quella voglia di rischiare che l’avevano contraddistinta finora. Un tema che ha tirato fuori lo stesso Mazzanti dopo il 3-0 alla Russia nei quarti. «La cosa che stiamo cercando di più», ha spiegato il commissario tecnico «sono le sensazioni giuste, per giocare una pallavolo più coraggiosa. Quando andiamo in difficoltà secondo me ci siamo gestiti di più rispetto a quello a cui eravamo abituati. E in quell’essere conservativi non abbiamo mai trovato soluzioni, anzi abbiamo perso efficacia. Contro la Russia invece le ragazze sono state coraggiose nel ricercare sempre dei colpi determinanti, a partire dalla battuta». Durante un time out nella semifinale con l’Olanda è stato ancora più perentorio: «Sul contrattacco dobbiamo osare, voglio le bombe».


 

Quest’Italia, che ha vinto tutte e 9 le gare disputate tra girone eliminatorio e fasi finali, concedendo solamente 4 set, è progredita nel corso della manifestazione, alzando il suo livello partita dopo partita, fino all’apoteosi contro la selezione di Terzic. Il meglio l’ha dato nelle sfide a eliminazione diretta, in particolare dai quarti. Una crescita sovrapponibile al salto in avanti di Miriam Sylla, la capitana della nazionale che in Giappone aveva perso il posto da titolare a causa di una distorsione alla caviglia subita in luglio. Prima degli europei però Caterina Bosetti si è fratturata un dito del piede destro e la schiacciatrice di Conegliano ha ritrovato spazio in sestetto. Ma non come prima schiacciatrice, bensì come seconda: Mazzanti ha sostituito una giocatrice di equilibrio, specializzata nei fondamentali di seconda linea, con una giocatrice più fisica e votata all’attacco, mettendola in diagonale con un’altra attaccante pura, la classe 2000 Elena Pietrini. In pratica il tecnico di Marotta ha sbilanciato sulla fase offensiva una formazione che già alle Olimpiadi, come nella semifinale continentale di due anni fa, nei momenti decisivi era saltata proprio in ricezione.


 

E dire che rispetto a Tokyo, in cui si potevano portare solo 12 atlete, la rosa di 14 giocatrici è stata allungata con l’inserimento di un’altra S2 - per caratteristiche simile a Bosetti - come Alessia Gennari, che però ha giocato solo una gara da titolare, l’ultima sfida del gruppo C contro la modesta Svizzera - dove bastavano 37 punti per centrare il primo posto - subentrando inizialmente in alcuni giri in seconda linea per rinforzare la ricezione, poi al posto di una centrale come Chirichella per battere ed eventualmente difendere.   


 

Eppure questo gioco al rialzo ha pagato: l’Italia ha chiuso al quinto posto come percentuale di ricezioni perfette (27%), ma al primo come rice positiva (71,23%, quasi 5 punti in più della Svizzera seconda). Le azzurre nello specifico hanno retto in una finale in cui la Serbia ha evitato di servire sul libero De Gennaro (solo 8 palloni ricevuti), mettendo a referto un eccellente 39% di rice ++ e 45% di rice + grazie a un posizionamento sempre frontale rispetto alla palla da parte delle giocatrici di seconda linea. Le padrone di casa hanno cercato la schiacciatrice di prima linea o la zona di conflitto nelle due rotazioni con Sylla e Pietrini vicine, insistendo su quest’ultima nel secondo e soprattutto nel terzo set, il parziale in cui ha ricevuto peggio (appena 12% di rice perfetta su 8 palloni e un errore). Mazzanti comunque già dagli ottavi aveva deciso di coprirsi nelle fasi calde del set, inserendo un secondo libero come Parrocchiale al posto di Pietrini nelle tre rotazioni in seconda linea, anche a costo di privarsi di una possibile pipe in rigiocata.


 

L’esplosione di Sylla


Sylla in questo torneo è cresciuta nel gioco in maniera esponenziale, ritrovando nella seconda fase quella brillantezza fisica imprescindibile per esaltare il suo gioco. Nel girone eliminatorio ha messo a terra 26 palloni su 84, nel knock out stage 44 su 85, aumentando di oltre 20 punti la sua efficacia offensiva (da 30,9% a 51,7%). Nel match d’esordio con la Bielorussia ha ricevuto con un baricentro troppo arretrato e non è andata oltre il 18% di doppio positiva su 39 palloni, sabato è salita addirittura al 42% su 26 ricezioni. Mazzanti ha continuato a puntare su di lei anche quando stentava, perché un suo recupero era troppo importante per aggiungere un’altra uscita all’attacco, per non parlare dell’energia e della personalità con cui trascina il gruppo.


 

Al di là del suo peso emotivo, la banda di origini ivoriane è rimasta in campo anche dopo le prove più opache per il suo rendimento a muro (quarta schiacciatrice dell’europeo per muri/set, 0,48) e soprattutto in difesa, grazie a cui ha cementato la fase break.



4 difese consecutive nella fase a gironi che denotano grande reattività e delle ottime letture.


 

Dagli ottavi poi è cresciuta in ricezione e si è sbloccata in attacco, riuscendo a dare sfogo alla sua esplosività, che le permette di stringere la diagonale, la sua traiettoria preferita, o di sfondare pure contro il muro piazzato. Contro la Serbia ha confezionato il suo capolavoro fatto di variazioni di colpi, interventi difensivi miracolosi e una sfrontatezza con cui ha incrinato le sicurezze delle campionesse uscenti (20 punti e 15/28 in attacco).



Due attacchi senza paura e senza senso di Sylla in una fase delicatissima del primo set di sabato, che la dicono lunga sulla condizione mentale della numero 17. MVP morale della finale.


 

La forza del muro difesa


La capitana ha realizzato anche il punto finale nel quarto set, che racconta molto delle qualità di questa squadra, che ha costruito il suo successo sul muro difesa. Sul cambio palla serbo Ognjenovic ha palla in testa e prova innescare Rasic al centro, ma il suo pallonetto viene murato dalla difesa in tuffo con il dorso della mano, il cosiddetto “pancake”, a opera di De Gennaro (che precede un’attenta Pietrini, la quale si era tuffata a sua volta staccandosi da rete). La palla viene tenuta viva da Egonu, che alza un bagherone attaccato da Sylla con una pipe in extrarotazione senza pretese, che trova l’ultimo centimetro di campo atterrando alle spalle del libero serbo.


 

È la ciliegina sulla torta di una finale in cui l’Italia ha progressivamente tolto la terra da sotto i piedi alla formazione di Terzic. Come l’Italia, la Serbia è una nazionale dalla distribuzione monopolizzata dall’opposto, Tijana Boskovic, una delle migliori giocatrici al mondo assieme alla stessa Egonu, che tra la finale mondiale del 2018 e il quarto di finale olimpico aveva totalizzato 50 punti in 8 set, con una positività del 52,3% in attacco. Anche stavolta ha attaccato quasi la metà dei palloni, il 47,7% sul totale di squadra e superato quota 20 punti, ma con il 40% di efficacia e appena il 15,4% di efficienza. Ha terminato gli ultimi due parziali con un’efficienza negativa (6 attacchi punto a fronte di 7 errori) e più in generale ha fatto una gran fatica a passare con la diagonale lunga, la sua direzione preferita, grazie all’ottima correlazione tra muro e difesa delle ragazze di Mazzanti, che a una giocatrice mancina hanno preferito concedere un pallone in più sulla parallela per concentrarsi sulla copertura di posto 5 e 6. 


 



Boskovic nel secondo set non chiude 3 attacchi consecutivi e l’Italia opera il sorpasso. Da apprezzare, oltre a un’immensa Sylla in difesa, lo shootline da beacher di Pietrini del 22-22.


 

In alternativa alla palla a Boskovic, Ognjenovic ha provato ad aprire il muro difesa avversario innescando le sue centrali anche con ricezione nei 3 metri, in particolare con dei primi tempi spostati verso posto 4 (la cosiddetta 7, con la centrale che parte da posizione più decentrata e staccata da rete rispetto alla palleggiatrice). Un gioco che ha funzionato per quasi due set (7/8 per Rasic e 4/8 per Mina Popovic nei due primi due parziali), nonostante le laterali dell’Italia in prima linea partissero da posizione piuttosto stretta. Hanno influito forse le scelte delle centrali Danesi e Chirichella di rimanere in lettura sulle omologhe, giustamente preoccupate da un’alzata in 1-2 per Boskovic e quindi pronte a traslocare verso posto 4.


 

La partita però è girata nel terzo set, quando l’Italia è stata in grado di assorbire l’iniziale 3-8 delle serbe, poi diventato 7-11, grazie ai due turni al servizio consecutivi di Malinov, subentrata a Orro nel terzo parziale, e Pietrini, che hanno tirato 3 battute a testa mandando in crisi la ricezione serba. L’Italia nel corso del match dai 9 metri ha ignorato Milenkovic, la migliore ricevitrice del torneo, continuando a insistere su Lazovic, la schiacciatrice meno preposta in questo fondamentale, e il libero Silvija Popovic. Effettivamente dopo il 55% di rice+ nel secondo parziale, Popovic nel terzo ha subito un ace e ricevuto due servizi --, mentre Lazovic è calata ed è stata sostituita con Busa.



Il regalo di benvenuto di Chirichella a Busa.


 

Malgrado una ricezione sempre più precaria che le precludeva il gioco al centro, la palleggiatrice serba ha cercato di non coinvolgere le sue schiacciatrici, le quali, orfane di una fuoriclasse del calibro di Brankica Mihajlovic, quando sono state chiamate in causa hanno attaccato poco e male (Lazovic 1/9 e due errori, Milenkovic 3/7 e due errori, Busia 0/2 e un errore), ma alla fine si è ritrovata a fronteggiare quasi senza armi un muro difesa che dopo aver registrato i suoi obiettivi si è fatto via via sempre più impenetrabile.


 

L’assistenza puntuale delle laterali al centro, come gli scivolamenti dei centrali in 4 e in 2, la perfetta correlazione tra prima e seconda linea come spaziature e competenze, unita alla reattività delle giocatrici di seconda linea a un eventuale tocco del muro, anche quelle meno preposte alla difesa, ad esempio le centrali o Egonu hanno reso l’Italia una sentenza nella fase break in tutto l’Europeo.


 

Fondamentale sulle ricostruzioni il ruolo di Monica De Gennaro, capace di difendere fuori come dietro al muro. Il libero di Conegliano però si dimostra un’eccellenza mondiale quando sul contrattacco si trasforma in palleggiatrice aggiunta, data la sua sensibilità nell’alzare sia in bagher sia in palleggio, ma anche nel nascondere l’alzata. Un talento unico il suo, nessun altro libero interpreta il ruolo come lei.



Negli ottavi contro il Belgio De Gennaro disegna un bagher rovesciato con cui imbocca Sylla.


 

Naturalmente l’efficienza della fase punto è passata pure dal lavoro delle centrali Danesi (che dopo l’infortunio al crociato di Fahr con la Croazia è tornata titolare) e Chirichella, determinanti nello sporcare fino a cancellare i colpi di Boskovic e Rasic: 6 i muri vincenti per Danesi, terza per muri/set nella rassegna continentale (1), 2 per Chirichella. Malgrado in finale non siano riuscite a incidere in attacco, la loro presenza si è rivelata comunque preziosa proprio perché nelle sfide precedenti erano state servite con una certa frequenza da Orro, che a sua volta dopo le Olimpiadi ha preso il posto di Malinov al palleggio.


 

Un cambio palla più vario


L’alzatrice sarda ha provato a rendere più imprevedibile una distribuzione altrimenti sbilanciata sulle attaccanti di palla alta, facendo leva sull’intesa sviluppata con Danesi (57% complessivo in attacco) nel club, la Vero Volley Monza. La stessa Chirichella, malgrado una minor efficacia (46%), con la sua fast ha permesso di trovare delle soluzioni nuove sul cambio palla: nelle due rotazioni con lei in prima linea ed Egonu in seconda (P3 e P4), è stata la centrale a prendersi posto 2, mentre l’opposto è andato a schiacciare da zona 6.


 

Con Orro l’Italia è passata di più al centro (quasi 20 palloni a partita attaccati da Chirichella e Danesi) e di questo ne hanno beneficiato pure le schiacciatrici, specie quando la palleggiatrice aveva palla in testa. In quel caso la centrale poteva attaccare come fintare l’attacco in 7, liberando nel secondo caso la schiacciatrice con il muro a 1: perché con un primo tempo credibile, la priorità delle centrali avversarie su palla ++ diventa seguire le omologhe.


 



Ultimo punto nella semifinale con l’Olanda: qui Danesi prima tocca a muro, poi finta il primo tempo, smarcando Pietrini. 


 

Orro è stata sostituita solo negli ottavi col Belgio e in finale all’inizio del terzo set, probabilmente per alcune imprecisioni in termini di tocco e scelte, in particolare con la ricezione a filo rete, o forse perché servivano più centimetri a muro. Fatto sta che Malinov ha sovraccaricato ulteriormente le uscite più sicure, Sylla ed Egonu.


 

Dopo le critiche subite per delle Olimpiadi dignitose ma comunque inferiori al suo talento sconfinato, Egonu ha giocato un Europeo forse meno appariscente, però costantemente di alto livello: ha viaggiato sui 21,44 punti di media a gara con il 50% di efficacia e il 33% di efficienza, attaccando qualche palla in meno rispetto alle Olimpiadi (dalle 11,71 a set di Tokyo alle attuali 10), ma dimostrando di avere più colpi nel suo repertorio e di saper giocare pure dei palloni più dolci rispetto alle schiacciate a tutto braccio che l’hanno sempre contraddistinta. Ha alternato pallonetti in posto 3 a diagonali nei 3-4 metri in cui è passata sopra al muro con la naturalezza di un adulto che gioca nel minivolley.



Egonu in versione Mister Wolf risolve con una pipe un cambio palla molto complicato, poi con un cutshot nei due metri e mezzo scavalca il muro. 


 

L’opposto di Conegliano è stato capace soprattutto di fare la differenza nei frangenti decisivi: in finale è stata l’ancora di salvezza a cui l’Italia si è aggrappata quando era l’unica attaccante in grado di sfondare (come successo ad esempio all’inizio del terzo set), confermandosi una volta di più la trascinatrice della squadra quando è stato il momento di approfittare di un avversario svuotato della sua forza offensiva. Nel quarto set l’Italia è scappata via subito sull’8-2, per poi allungare sul 18-8 grazie a 3 ace consecutivi proprio di Egonu (con quel fondamentale che in Giappone le era mancato). Qualora servissero controprove, a 23 anni ancora da compiere ha dimostrato una volta di più di essere una delle migliori giocatrici al mondo, aggiungendo il primo titolo della carriera con la Nazionale ai 10 già conquistati con il club.      


 

Al di là di Egonu, l’altra uscita di riferimento in palla alta si chiamava Elena Pietrini, che dopo una buona olimpiade è salita ulteriormente, tanto che numeri alla mano si è rivelata la migliore schiacciatrice della competizione, col 51% di positività e il 39 di efficienza su 25,88 palloni attaccati a partita, tenendo piuttosto bene pure in ricezione (25% di doppio positiva). A 21 anni Pietrini si è imposta come la più grande sorpresa dell’estate azzurra: una banda estremamente pulita e tecnica, sia in difesa sia in attacco, capace di colpire sui palloni più spinti come su quelli senza rincorsa, mantenendo comunque un’ottima potenza.


 

Alimentare il ciclo


Chi è rimasto deluso da questa Nazionale durante le Olimpiadi, compreso qualche noto membro della nostra classe politica che ha provato a sminuire il valore di questo gruppo, ha già provato e di sicuro proverà a snobbare questa vittoria dell’Italia agli Europei. Certo, è vero che, nell’anno olimpico, l’Europeo non può essere considerato l’appuntamento principale, tanto più in questo momento storico in cui la pallavolo non è mai stata così poco eurocentrica. Diverse potenze storiche europee come Russia, Germania e Polonia stanno infatti vivendo una fase di stanca e, al di là delle due finaliste e la Turchia, le altre Nazionali di prima fascia si chiamano Stati Uniti, Brasile e Cina, con le prime due che si sono affrontate nella finale di Tokyo.


 

Questo contesto va sicuramente preso in considerazione ma non utilizzato come un'arma per sminuire la pallavolo italiana femminile, che ha saputo formare e valorizzare il talento a sua disposizione, plasmando una rosa completa, profonda e di altissimo spessore, capace di cambiare pelle dopo il flop olimpico - tra le Olimpiadi e gli Europei sono state inserite nel sestetto titolare tre nuove giocatrici – raggiungere una finale nelle proprie corde per poi chiudere il cerchio vincendo contro una squadra che da sempre aveva dimostrato di sapere come metterla in difficoltà.


 

Per l’Italia è il primo titolo a 10 anni dalla Coppa del Mondo del 2011 e il terzo Europeo vinto dalle donne, dopo quelli del 2007 e quelli del 2009. Si tratta soprattutto del primo successo di questo gruppo guidato da Mazzanti, dopo l’argento mondiale del 2018 e il bronzo europeo del 2019. Vista l’età media così bassa e il percorso scandito da tre medaglie internazionali, questa Nazionale ha tutto per continuare ad alimentare questo ciclo e magari puntare al mondiale del 2022.


 

 

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