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Emanuele Mongiardo
La rivelazione di Eden Hazard
17 ott 2023
17 ott 2023
Ricordo delle sue prime incredibili stagioni al Lille.
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Emanuele Mongiardo
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IMAGO / PanoramiC
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Lo scorso martedì, con una foto su Instagram, Eden Hazard ha annunciato il ritiro: «Devi dare ascolto a te stesso e dire basta al momento giusto», ha scritto all’inizio di un lungo post di commiato. Una decisione triste, la logica conseguenza di una carriera giunta in un punto morto. Della sua esperienza a Madrid, di positivo, rimaranno alcuni scambi con Benzema e una gran prestazione contro l’Inter in un San Siro vuoto a causa della pandemia.

Per il resto, solo foto malinconiche in cui si ritrovava a celebrare vittorie che forse non sentiva sue e foto velenose, scattate per mettere in luce il suo cattivo stato di forma.

«Mi ha chiamato di recente e sapevo che sarebbe successo. Per una ragione semplice ed eccellente: Eden è una delle persone più oneste che abbia mai incontrato», ha affermato Jean Michelle Vandamme, l’uomo che lo aveva portato nelle giovanili del Lille. Hazard oggi ha trentadue anni e per gli standard del calcio moderno sembra troppo giovane per dire addio al calcio. La sua carriera, però, è iniziata davvero presto.

L’esordio tra i professionisti era arrivato a sedici anni, lanciato in Ligue1 da Claude Puel durante la stagione 2007/08, un’epoca così lontana che in Francia vigeva ancora la dittatura del Lione di Juninho.

Sono passati più di dieci anni dalla sua ultima partita coi francesi. Nel frattempo Hazard ha vissuto tante vite calcistiche, e gli anni a Madrid non possono offuscare il ricordo di un fuoriclasse in grado di vincere, tra le altre cose, due Europa League, due campionati inglesi e di affermarsi per più anni come il miglior giocatore della Premier League.

Tornare con la memoria ai giorni del Lille, allora, significa ritrovare in purezza il gioco di Hazard. Un calcio senza compromessi, di pura improvvisazione, che lo avrebbe accompagnato anche in Inghilterra e che lo avrebbe reso un giocatore unico nel suo genere.

Un campione di sedici anni

Il giorno del suo arrivo in Francia, Eden Hazard aveva solo quattordici anni. Jean Michelle Vandamme era responsabile del settore giovanile del Lille già dal 1993. Il mercato belga, per lui, era tutt’altro che una novità: nell’estate del 2003, infatti, aveva già portato a Lille una promessa dello Standard Liegi come Kevin Mirallas. Un suo osservatore era rimasto sbalordito dal talento di Hazard e così Vandamme si era recato personalmente sul posto per vederlo all’opera. Non ci aveva pensato due volte prima di fargli firmare un contratto. Non poteva lasciarsi sfuggire una perla del genere, anche perché doveva battere la concorrenza dell’Anderlecht. Alla fine, il ragazzo e la sua famiglia avevano scelto il Lille: il centro d’allenamento distava soli 75 chilometri da casa e il livello del calcio francese era di certo più alto di quello belga.

Hazard non aveva impiegato molto a farsi notare ed era salito alla ribalta ancora prima di giocare con i grandi. Il suo nome aveva iniziato a circolare tra il pubblico già durante gli Europei Under 17, ospitati nella primavera del 2007 proprio dal Belgio. L’ala del Lille aveva guidato i "diavoli rossi" fino alle semifinali, perse ai rigori contro la Spagna di Bojan Krkic, miglior giocatore della competizione. È un torneo a cui hanno partecipato diversi giocatori che poi hanno avuto una grande carriera: Wijnaldum dell’Olanda, Kroos della Germania, De Gea della Spagna. Hazard vestiva il numero 10, aveva il mullet ed era così piccolo da dover nascondere la maglietta nei calzoncini. La palla sembrava troppo grande per lui, eppure l’andatura era la stessa che avrebbe avuto col Lille e col Chelsea.

Gli highlights di Hazard durante gli Europei Under 17.

Da lì a qualche mese, sarebbe arrivato l’esordio in prima squadra. Claude Puel assisteva spesso agli allenamenti delle giovanili, dove giocava suo figlio Gregoire. In una di quelle sessioni, era rimasto incantato da Hazard, tanto da schierarlo in un’amichevole contro il Bruges a novembre. Nello stesso mese, a meno di diciassette anni, lo avrebbe lanciato anche in campionato, in casa del Nancy. «Aveva già questa capacità di saltare quattro o cinque giocatori di fila, anche con la pressione dell’avversario», ricorda il tecnico.

La fiducia di Puel è stata fondamentale per la carriera di Hazard. A fine stagione, però, il tecnico avrebbe lasciato il Lille per sedere sulla panchina del Lione sette volte campione di Francia. La dirigenza del club, al suo posto, aveva scelto un allenatore in rampa di lancio, reduce da un buon campionato col Le Mans.

Il Lille di Rudi Garcia

Rudi Garcia è l’uomo che ha dato l’accelerata decisiva alla carriera di Hazard. Non che un talento di quel calibro avesse bisogno di un occhio troppo attento per farsi notare. All'attuale allenatore del Napoli, però, va comunque riconosciuto il merito di aver capito che non c’era bisogno di lasciarlo in seconda squadra. Così, nel 2008/09, il fuoriclasse belga gioca quasi tutte le partite, tanto da diventare titolare a fine campionato. L’anno dopo, complice la cessione dell’esterno sinistro Michel Bastos, si afferma come miglior giocatore della squadra.

Se ne accorgono anche i tifosi del Genoa, che incrocia nella fase a gironi di Europa League. Hazard segna il gol del 3-0 finale, un assolo in cui prende palla all’altezza della mediana, evita cinque giocatori rossoblu e con un rasoterra dal limite supera Amelia.

Non è la sua unica grande prestazione in quella campagna europea. A febbraio, infatti, il Lille affronta il Liverpool di Benitez agli ottavi di finale. All’andata, il belga offre un’esibizione al pubblico del vecchio Métropole. Hazard è libero di muoversi secondo il suo istinto e fa impazzire Mascherano e Lucas Leiva ogni volta che riceve alle loro spalle. Quando punta la difesa, i suoi dribbling diventano un incubo per Carragher, Agger e Insua. Sul finale firma anche il gol della vittoria, con una punizione a rientrare che inganna Reina sul secondo palo. Ad Anfield, il Lille avrebbe perso 3-0 e il Liverpool avrebbe passato il turno, ma quella partita era un preambolo delle performance con cui, negli anni a venire, avrebbe tormentato i tifosi dei "Reds" in Premier e nelle coppe.

Hazard avrebbe chiuso la stagione 2009/10 col premio di miglior giovane della Ligue1, primo straniero della storia del campionato francese a vincerlo. L’interesse attorno al suo nome aveva ormai valicato i confini francesi, acuito dall’entusiasmo generale nei confronti della futura generazione d’oro belga. Il campionato vinto nel 2010/11, il terzo in totale per il Lille dopo cinquantasette anni di digiuno, lo avrebbe consacrato a vent’anni come uno dei talenti più eccitanti di tutto il calcio europeo.

Eppure, la stagione non inizia nel migliore dei modi. Garcia, insoddisfato delle sue prestazioni, tra settembre e ottobre lo aveva fatto partire dalla panchina per quattro giornate di fila. «Il talento non basta, bisogna anche lavorare. Ma Eden sta attraversando un brutto periodo e noi siamo qua per sostenerlo», aveva detto di lui il tecnico.

Non è facile riassumere il rapporto di Hazard con i suoi allenatori. Non ha mai creato problemi fuori dal campo né nello spogliatoio. La sua etica del lavoro, però, non è mai sembrata quella di un calciatore d’élite. Lui stesso ne era consapevole, tanto da ammetterlo candidamente: «Fin da quando ero piccolo, non mi è mai piaciuto allenarmi. Capisco le reazioni degli allenatori, che si rammaricano che io non dia il massimo». Siamo soliti associare lo scarso impegno negli allenamenti ad alcuni campioni del passato, che potevano permettersi di risparmiare le energie per poi dare il meglio in partita. In un’epoca di atleti ossessionati dai parametri fisici e dall’efficienza, è incredibile pensare che Hazard, sulla cui pigrizia esistono decine di testimonianze, sia stato uno dei migliori giocatori al mondo fino a poco tempo fa: oltretutto, un campione assolutamente contemporaneo per ciò che offriva in campo e per la velocità con cui eseguiva ogni giocata.

A distinguerlo dagli altri fuoriclasse moderni, però, era lo spirito fanciullesco con cui affrontava il gioco. In questi giorni sono stati numerosi gli articoli-tributo che hanno evidenziato come per lui, il calcio, fosse innanzitutto divertimento. «È un meraviglioso artista. Il migliore con cui abbia mai giocato. Non aveva la mentalità di un Ronaldo o di un Messi e va bene così», ha detto Joe Cole, compagno del belga nel suo ultimo anno al Lille.

Hazard è sempre rimasto sé stesso e ha potuto permetterselo perché aveva un talento troppo grande per perdere tempo con richiami alla disciplina. Non ha mai badato troppo ai suoi allenatori, nonostante abbia incontrato allenatori piuttosto rigidi sulla disciplina come Mourinho e Conte, o tatticamente intransigenti come Sarri e Benitez. Tutti però hanno giustamente messo da parte il proprio ego davanti al suo genio. Non sorprende, in questo senso, che il rapporto migliore lo abbia costruito con Rudi Garcia. Le panchine dell’autunno 2010 sarebbero rimaste un caso isolato. Hazard sarebbe tornato titolare e avrebbe guidato i suoi alla vittoria.

«C’erano dei periodi in cui diceva: non ho voglia oggi, mi divertirò e basta. Lì vedevi la miglior versione di Eden», ha raccontato Aurelien Chedjou, difensore centrale di quel Lille. «L’allenatore, Rudi Garcia, lo aveva capito bene. Non che avesse scorciatoie, ma sì, lo ha gestito diversamente. Anche noi giocatori lo abbiamo trattato diversamente, perché è un ragazzo che rende se sente fiducia». Garcia è un allenatore che concede estrema libertà ai suoi uomini migliori, anche durante gli allenamenti, almeno a detta di Hazard e dei compagni. Il belga non aveva bisogno di indicazioni particolari. Il suo gioco aveva una risposta ad ogni quesito di campo e Garcia era ben felice di demandare più responsabilità possibili al suo estro.

Di riflesso, la relazione tra il tecnico francese e Hazard aiuta a far luce su alcune zone d’ombra dei suoi mesi a Napoli, in particolare nel rapporto con i giocatori. Kvaratskhelia e Osimhen, per quanto siano due grandi talenti, erano abituati ad un allenatore maniacale nel lavoro di campo come Spalletti. La gestione di Garcia, ben più leggera da questo punto di vista, forse non coincide col loro modo di concepire la vita di squadra.

Hazard, invece, aveva bisogno di tante licenze, in partita come in allenamento. Ai compagni andava bene così, perché sapevano che era il modo giusto per ottenere il meglio da lui e quindi vincere le partite. Pare che durante il suo ultimo anno al Lille, dopo una sconfitta al sabato contro il Brest, Garcia, infuriato, avesse fissato un allenamento di domenica mattina. Hazard aveva comunicato di non poter partecipare a causa di una gastrite. «Solo che quella sera c’era PSG-Marsiglia», ha raccontato Benoit Pedretti, suo compagno in quella stagione. «Malauguratamente, Canal+ lo aveva ripreso in tribuna. Ci fu una piccola ramanzina, Eden capì. Lo abbiamo perdonato tutti, perché sul campo rendeva bene».

Come giocava il Lille di Garcia

Hazard ha sempre ripagato la fiducia di tecnico e compagni. Garcia non solo aveva trovato il modo di gestirlo nella maniera corretta, ma era anche riuscito a costruire un sistema che sostenesse le sue libertà in campo. La formazione di base era il 4-3-3. Il portiere era Landreau, per più di un decennio terzo portiere della Francia. A destra Mathieu Debuchy, miglior terzino della Ligue 1, che si sarebbe guadagnato un posto da titolare a Euro 2012. I centrali erano Aurelien Chedjou e Adil Rami, mentre a sinistra agiva un terzino di spinta come Franck Beria. A centrocampo il metodista e capitano Rio Mavuba agiva, in pratica, come un quinto difensore, sempre pronto a coprire le spalle ai compagni. Le mezzali erano Balmont e Cabaye. Il primo rimaneva più basso per partecipare alle prime fasi del possesso e provare a pescare gli uomini tra le linee. Cabaye, invece, godeva di grande libertà di movimento e spesso si alzava sulla trequarti. Il trio d’attacco era composto dalle ali Hazard e Gervinho e dalla punta Moussa Sow, capocannoniere del campionato con 25 gol. Dalla panchina, poi, prezioso il contributo di un giovane Idrissa Gueye e di uno specialista dei calci piazzati come Ludovic Obraniak.

Osservare oggi quel Lille è strano per la presenza di alcuni elementi d’avanguardia nel suo sistema di gioco. Difensori centrali e terzini, ad esempio, agivano in maniera particolarmente aggressiva, rompendo la linea per uscire in avanti sull’uomo. Se gli avversari aspettavano bassi, i terzini si alzavano e le ali stringevano nei corridoi intermedi. I difensori, poi, tornavano spesso indietro dal portiere, anche se al primo accenno di pressing la palla veniva lanciata sulle punte per generare seconde palle e giocare in transizione, dove Gervinho e Hazard diventavano indifendibili.

L’aspetto più interessante di quella squadra erano i movimenti degli attaccanti. Se, sulla carta, Gervinho partiva da destra e Hazard da sinistra, con Sow al centro, in realtà la loro posizione non era mai fissa. Sow era una punta mobile, abituata sia a venire incontro sia ad aprirsi in fascia. I suoi movimenti spesso determinavano gli spostamenti dei compagni. A beneficiarne era soprattutto Hazard. Se Sow si allargava si creava spazio al centro. Così Hazard poteva convergere per ricevere tra le linee, oppure per avvicinarsi a Gervinho e creare una catena sulla destra.

In Francia era impossibile trovarlo per due azioni consecutive nella stessa posizione. Se al Chelsea lo avremmo conosciuto soprattutto come ala sinistra – tranne nel biennio di Conte, dove aveva occupato una zona più centrale di campo – al Lille era davvero difficile definirlo con un ruolo in particolare. Partiva come ala sinistra, ma passava molto tempo alle spalle della punta. Delle volte, poi, scambiava la posizione con Gervinho a inizio azione e così si ritrovava ala destra.

Contro due calciatori così imprevedibili palla al piede, che non offrivano mai dei riferimenti fissi, per le squadre della Ligue 1 era davvero difficile prendere le misure al Lille.

Lo stesso Hazard di sempre

Se Garcia poteva permettersi scambi di posizione così frequenti, è perché Hazard si poteva permettere di ricevere in qualsiasi posizione di campo e in qualsiasi situazione di gioco. Avrebbe comunque trovato il modo di creare qualcosa per la sua squadra. Osservare l’Hazard degli esordi è quasi come ammirare l’Hazard del Chelsea: «Ha le stesse qualità di quando aveva sedici anni», aveva detto di lui Puel nel 2016, quando era già diventato leggenda a Stamford Bridge.

Il fatto è che le migliori qualità di Hazard sono innate, nessuno avrebbe potuto insegnargli a dribblare con tre uomini addosso. È normale, quindi, che il fuoriclasse capace di nascondere il pallone al Brasile nel 2018 fosse lo stesso giocatore del ventenne alla terza stagione da titolare in Ligue1. Aveva persino la stessa furbizia nel volgere a proprio vantaggio il contatto con l’avversario. Il suo sedere e le sue cosce non erano voluminosi come al picco della carriera (Yaya Touré ha raccontato quanto fosse difficile marcarlo proprio per il modo in cui usava il posteriore), ma già allora si trattava di un giocatore forte sulle gambe, capace di farsi tamponare per poi lasciarsi dietro l’avversario.

La partita rivelazione di Hazard col Lille era stata un’eliminatoria di coppa nazionale contro il Lione, a marzo del 2009, in cui aveva firmato una rete e due assist. In Coppa di Francia i giocatori possono cambiare numero di maglia rispetto al campionato e si trattava di una delle prime occasioni in cui il belga indossava la dieci. Aveva ancora diciotto anni, ma l’azione del gol del 2-1 avrebbe potuto riprodurla in qualsiasi momento della carriera.

Hazard si trovava sulla trequarti, posizionato alle spalle dei centrocampisti per ricevere tra le linee. Balmont lo aveva servito con un rasoterra, ma Hazard era girato di spalle e si era ritrovato subito l’avversario addosso. Makoun, mezzala di grande forza fisica, aveva provato a mettere il piede per togliergli la sfera. Hazard lo aveva visto arrivare, aveva stoppato con l’esterno del destro per tenere lontano il pallone e aveva fatto forza sulla gamba sinistra, quella che avrebbe assorbito il colpo, per ruotare non appena sentito il contatto. Lasciato sul posto Makoun, gli si era fatto incontro il difensore, Cris, mentre da dietro un centrocampista stava rientrando in scivolata; la virata verso destra di Hazard era stata troppo rapida per entrambi. Dopo averli saltati, il belga aveva segnato con un tiro sul primo palo dai venticinque metri. Certo, il portiere forse avrebbe potuto posizionarsi meglio, ma il punto è che un gol del genere avrebbe potuto segnarlo in qualsiasi momento della sua carriera, contro qualsiasi portiere. Un gesto che racchiude in potenza tutto il meglio del repertorio di Hazard.

Dopo Messi e Neymar, non c’è stato dribblatore migliore di lui nello scorso decennio e già col Lille si trattava di uno dei più grandi specialisti d’Europa. Gli mancava giusto un po’ di quella potenza che lo avrebbe reso inarrestabile in Inghilterra e che ne avrebbe incrementato i numeri: in Ligue 1, la miglior media di dribbling riusciti ogni 90’ è di 2.9 nel 2010/11; in Premier League, tranne nella stagione d’esordio, non sarebbe sceso mai sotto i 3.7 (con un irreale picco di 6.1 nel 2017/18). Per sua ammissione, passava molto tempo a guardare video di Messi e Cristiano Ronaldo e alcuni suoi orpelli dell’epoca sembrano presi proprio dal repertorio del portoghese: i doppi passi e le sterzate di tacco erano molto più frequenti nelle sue partite.

Forse anche per questo subiva mediamente più falli che in Premier. The Athletic, all’indomani del suo ritiro, ha pubblicato un articolo che evidenziava come i tanti colpi ricevuti ne avessero, probabilmente, compromesso la longevità. Le stagioni in cui le caviglie di Hazard hanno corso i rischi maggiori, però, sono proprio quelle con la maglia del Lille. La Ligue1 è da anni il torneo più irruento d’Europa, un campionato in cui non hanno goduto di tutela nemmeno campioni acclamati come Neymar e Mbappé, la cui presenza nelle partite di Champions è stata spesso pregiudicata da entrate scomposte di giocatori di media-bassa classifica. Hazard nell’anno del titolo rimediava 3.9 falli ogni 90’, mentre nel 2009/10 aveva toccato un picco di 4.5.

L’anno della gloria

I mesi che hanno portato alla vittoria del Lille in Ligue1 e Coppa di Francia sono stati un’epifania. Il talento di Hazard era noto a tutti, ma la determinazione con cui aveva guidato i "dogues" ai due titoli di quella stagione non era pronosticabile: non solo un giocatore capace come pochi di cambiare le partite, ma un fuoriclasse in grado di fare la differenza tra una squadra vincente e le altre.

Il Lille era una società ambiziosa, in crescita, ma non figurava di certo tra le favorite per il titolo. Il Lione di Lisandro Lopez e Pjanic aveva appena disputato una semifinale di Champions League e in più c’era da considerare al concorrenza del Marsiglia campione in carica, con Deschamps in panchina e Lucho Gonzalez sulla trequarti.

In inverno, però, la continuità di risultati aveva trasformato il Lille in una seria candidata per la vittoria finale. Aveva conquistato il primo posto alla sedicesima giornata. Eppure, alle loro spalle, l’insidia non sembrava essere né il Marsiglia né il Lione. Per gran parte del campionato, a contendere il titolo agli uomini di Garcia sembrava dovesse essere il Rennes di Stephane Dalmat e di Yann M’Vila, uno dei giovani migliori d’Europa in quella stagione.

Il Marsiglia sembrava fuori dai giochi a marzo, proprio dopo la sconfitta nello scontro diretto contro il Lille, durante il quale Hazard aveva segnato il suo gol più bello in Francia. Al nono minuto il Lille stava sviluppando a destra, sul lato di Gervinho, e Hazard si era accentrato tra le linee. Balmont lo aveva servito con un rasoterra. Al momento dello stop Hazard si trovava poco oltre il centrocampo, ma si era accorto che Mandanda era lontano dallo specchio della porta. Così, dopo essersi girato, aveva calciato col piede debole, il sinistro, sotto l’incrocio del primo palo. La parabola si era alzata quel tanto per superare il portiere. È uno dei gol che hanno segnato la storia recente della Ligue 1.

Dopo quella sconfitta, però, il Marsiglia sarebbe risorto. Qualche passo falso di troppo aveva portato alla rimonta degli uomini di Deschamps, capaci di guadagnare la vetta a sei gare dalla fine dopo un pareggio del Lille in casa del Lorient. Alla giornata successiva, però, l’OM non sarebbe riuscito a battere l’Auxerre e così il Lille sarebbe tornato in testa. Per Garcia e i suoi la strada si era fatta in discesa alla trentaquattresima giornata, con la sconfitta del Marsiglia a Lione. Il Lille doveva far visita al Nancy. Ci aveva pensato Hazard a risolvere la partita più delicata dell’anno, con una punizione che aveva deciso lo 0-1 finale. La vittoria matematica era arrivata a due giornate dal termine, in casa del Paris Saint-Germain, da poco sconfitto anche in finale di Coppa di Francia.

Hazard avrebbe giocato ancora una stagione con la maglia del Lille prima di trasferirsi al Chelsea. Sarebbe tornato in Francia solo durante gli Europei del 2016. Il vecchio Metropole non esisteva più, sostituito dal Pierre-Mauroy, uno degli impianti di nuova generazione più belli di tutto il continente. Per una crudele coincidenza quella sera sarebbe stata per Hazard una delle delusioni più cocenti di tutta la sua carriera. Ai quarti di finale, il Belgio, tra le favorite per la vittoria finale, avrebbe abbandonato il torneo per mano del Galles e dell’improbabile eroe Robson-Kanu.

L’esperienza con la Nazionale, insieme alla parentesi di Madrid, è il motivo per cui qualcuno può pensare che Hazard abbia reso al di sotto delle aspettative. In realtà, il suo talento è stato spesso l’unico argomento a disposizione del Belgio. Solo lui era capace di dare senso a una squadra tanto disfunzionale da far naufragare campioni come de Bruyne e Lukaku, abituati, a differenza sua, a ragionare all’interno di un sistema.

Hazard, invece, è sempre stato al di sopra di qualsiasi contesto. Ha reso le sue squadre competitive e vincenti ma rimanendo sempre fedele a se stesso. Sarebbe stato bello ammirarlo ancora per qualche anno, magari qualche metro più indietro, a centrocampo, a proteggere palla per far saltare la pressione: con quella tecnica non avrebbe faticato a reinventarsi. Evidentemente, però, giocare in maniera più limitata non gli dava lo stesso gusto di quando provava a infilarsi in mezzo a nugoli di avversari per poi uscirne palla al piede. Lo stesso spirito che lo aveva portato a ricevere i tanti falli che alla fine ne hanno minato la carriera.

Hazard ha subito un grave infortunio alla caviglia dopo un’entrataccia di Meunier del PSG, a poche settimane dal suo esordio col Real Madrid. Avere caviglie in salute era troppo importante per un giocatore che puntava tutto sulla rapidità in spazi stretti: per sua ammissione, non è più tornato quello di prima, dopo l’operazione. E forse è per questo che alla fine ha deciso per un ritiro precoce. Non poteva esistere un Hazard diverso da quello di Lille, in primo luogo per Hazard stesso.

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