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Gabriele Gianuzzi
Il ritorno del vulcano
06 lug 2023
06 lug 2023
Domenica il leggendario Puy de Dome torna al Tour de France dopo 35 anni.
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Gabriele Gianuzzi
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Foto L'Equipe
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C’è stato un tempo in cui il Puy de Dôme era la salita decisiva del Tour de France, il giudice ultimo delle sorti della classifica generale. Affrontato tredici volte dal 1952 al 1988, la salita del Puy de Dôme è quasi sempre stata collocata nell’ultima settimana. In sei occasioni addirittura è stata inserita nella penultima tappa prima di Parigi. Ben otto volte è stata l’ultima salita del Tour de France. Dopo il 1988, però, il Puy de Dôme è uscito dalle mappe del Tour de France. Un’uscita di scena improvvisa e rumorosa che porta con sé numerose motivazioni, di tipo politico, organizzativo, infrastrutturale e ambientale.«Il Puy de Dôme è la nostra Tour Eiffel», mi dice Frédéric Verna, caporedattore sportivo del quotidiano locale La Montagne. «A Clermont Ferrand [cittadina francese, capoluogo della regione dell'Alvernia-Rodano-Alpi, ndr] lo puoi vedere da qualunque parte. In città abbiamo una relazione speciale con il vulcano». Essendo molto vicino, è la scelta principale per le fughe in campagna e le camminate del weekend per molte persone del posto. Il suo ritorno al Tour de France dopo 35 anni di assenza ha portato un grande entusiasmo: «Enorme. Il ritorno del Puy de Dôme al Tour de France, è qualcosa di enorme. Per noi di Clermont Ferrand, ma penso anche per tutto il mondo. Alla presentazione del percorso a Parigi, a ottobre 2022, al nominare l’arrivo sul Puy de Dôme, la sala è scoppiata in un fragoroso applauso. Christian Prudhomme, direttore generale del Tour de France, mi ha confidato che non è una cosa usuale. Successe solo per la presentazione del Tour del 2013, quando fu presentata la tappa con la doppia scalata dell’Alpe d’Huez».Il fermento in città è notevole. Il sindaco si aspetta un milione di persone nei circa quattro giorni in cui il Tour de France sosterà nella zona (domenica 9 arrivo al Puy de Dome, lunedì 10 giorno di riposo a Clermont Ferrand, Martedì 11 tappa “nella catena dei Puy”, Mercoledì 12 partenza da Clermont Ferrand). «Il nostro quotidiano dopo la presentazione del percorso ha dedicato 3 prime pagine consecutive per il ritorno del Tour de France sul Puy de Dôme e abbiamo anche scritto un libro di duecento pagine per celebrarne al meglio la sua storia».

Anche lo stesso Christian Prudhomme sembra provare una gioia evidente e incontenibile per il ritorno del vulcano dormiente nel percorso del Tour. Il Puy de Dôme è onnipresente in qualsiasi intervista e/o materiale di comunicazione ufficiale. Nella presentazione del percorso sul dossier de presse girato alla stampa a inizio anno, tre paragrafi su cinque sono dedicati al vulcano. Nelle parole di Prudhomme: «Il ritorno del gruppo sulle pendici del vulcano dormiente, trentacinque anni dopo l’ultima visita rende omaggio ad “una delle cime dove il ciclismo ha issato la propria bandiera” come scriveva Jacques Goddet, direttore del Tour dal 1937 al 1988».Questa felicità da parte dell’amministrazione, della popolazione e dei media locali, così come da parte del Tour de France stesso e del suo direttore, sembrano contrastare con il vuoto di questi ultimi 35 anni d’assenza. Specie in uno sport come il ciclismo, che solitamente fa un uso quasi ecclesiastico della sua storia e dei suoi simboli. Verna mi confida che: «Io vivo a Clermont Ferrand da vent’anni e, per quanto strano possa sembrare, praticamente tutti i giorni da quando sono qui sento parlare del Puy de Dôme al Tour de France. Poi viene presentato il percorso e sorgono le domande, iniziano le lamentele, la stessa storia che si ripete anno dopo anno. Anche Prudhomme, in un incontro in redazione ci ha detto che per lui è la stessa cosa: in qualsiasi incontro pubblico, riceve sempre una domanda sul Puy de Dôme e il suo ritorno». Dal libro sul ritorno del Tour sulle pendici del vulcano del quotidiano La Montagne, un’intervista a Prudhomme sembra indicare una spiegazione: «Non voglio parlare male della precedente amministrazione e non voglio farne una questione personale, perché con loro ho sempre lavorato bene. Erano appassionati di ciclismo e abbiamo fatto sei tappe in questi anni nella zona. Ma ogni anno abbiamo chiesto il Puy de Dôme e ogni anno la risposta è stata no. Noi siamo solo degli “affittuari” della strada. Possiamo andare solo dove ci vogliono».Christian Prudhomme fa riferimento all'amministrazione dipartimentale guidata da Jean Yves Gouttebel che per cinque mandati e diciassette anni consecutivi è stato alla guida del dipartimento Puy de Dôme e che non ha mai nascosto di essere contrario all’arrivo sul vulcano. È una questione puramente politica. La zona è stata prima inserita nella lista dei Grand Site de France e successivamente nei Patrimoni dell’Umanità UNESCO. Un lavoro enorme da parte dell’amministrazione dipartimentale, che curiosamente porta nel proprio nome quello del vulcano. Un lavoro che per anni ha avuto la priorità su tutto, perché considerato di importanza fondamentale per poter vendere l’immagine corretta del Puy de Dôme e attrarre il maggior numero possibile di turisti. Oggi il Puy de Dôme è uno dei siti naturali più visitati di Francia con oltre 550mila visitatori all’anno. Questo obiettivo sembrava non potersi conciliare con un arrivo del Tour de France, con tutto il suo “circo mediatico e logistico” collegato che forse avrebbe avuto un impatto non indifferente su un fragile ecosistema come quello del vulcano. Collegata alla questione politica c’è anche la questione infrastrutturale. Dal 2012 la strada che porta in cima al Puy de Dôme è chiusa al traffico di ogni tipo (sia autovetture, sia biciclette, sia pedoni). La costruzione di un treno a cremagliera, unica via di accesso alla cima dalla strada, ha ridotto la carreggiata. In alcuni casi la strada è stretta meno di tre metri e mezzo, e non essendoci vie secondarie per la discesa, l’unica strada esistente è destinata al solo utilizzo dei mezzi di emergenza. A piedi è possibile arrivare in cima solo passando dai sentieri laterali. Un rompicapo che sembrava impossibile da risolvere.Il lavoro per il ritornoPrudhomme racconta spesso l’aneddoto della genesi di questo lavoro: «Il primo giorno che ho iniziato a lavorare per A.S.O. (la società che organizza il Tour De France) nel 2004 ho acceso il pc, ho aperto un file word e ho digitato: Obiettivo Puy de Dôme». Per lui il ritorno del vulcano ha anche una sfumatura personale Christian Prudhomme è legato alla regione dell’Alvernia perché da bambino era solito venirci in vacanza e il suo legame con Clermont Ferrand si è ulteriormente rafforzato perché la città era casa di sua sorella, oggi deceduta. Dalla finestra della sua cucina si poteva vedere il Puy de Dôme.Ci sono poi le motivazioni politiche. Innanzitutto il lavoro dello stesso quotidiano La Montagne, che in questi mesi ha ampliato il discorso, aprendosi in numerose interviste e incontri in città con i lettori e gli attivisti che in questi anni hanno caldeggiato le sue richieste fondando l’associazione “Per il ritorno del Tour al Puy de Dôme”. Poi l’arrivo a luglio 2021 di un nuovo responsabile politico dipartimentale, che ha cambiato completamente il paradigma sui complicati meccanismi che plasmano i disegni di un grande giro ed in particolare del Tour de France. Lionel Chauvin (attualmente presidente) a giugno 2022 - dopo un sopralluogo con Prudhomme che sembrava presagire il tanto atteso ritorno - aveva dichiarato al magazine de L’Équipe che anche i tecnici della pubblica amministrazione «sono più maturi oggi. Dopo aver gestito i dossier UNESCO non sono più stressati dall’idea di poter ospitare un arrivo del Tour de France e si sono messi subito all’opera per trovare una soluzione». «Per il Tour de France c’è sempre stata l’idea che per ospitare un arrivo bisogna avere la possibilità di installare tutto il circo», ha aggiunto Prudhomme sempre a La Montagne «Oggi non è più così. L’abbiamo dimostrato con il Galibier nel 2011, con il Tourmalet nel 2010 ma anche con il Mur de Bretagne nel 2019 o il Col du Granon dell’anno scorso. Siamo in un qualche modo tornati alle origini. Jean François Pecheux, ex direttore tecnico del Tour, diceva che per avere un arrivo basta avere un gesso e tracciare una linea. Non possiamo più essere questo, perché il Tour è una gara da trasmettere a livello mondiale, ma possiamo fare un arrivo con il minimo dei mezzi possibili». A spingere le motivazioni politiche ci sono infine quelle sportive. Che poi sono la ragione per cui il Tour de France è così legato a questo vulcano dormiente quasi al centro della Francia. Il Puy de Dôme al Tour de FranceLa relazione tra Puy de Dôme e Tour de France inizia nel 1952 non per caso. Il percorso del 1952 è un punto di svolta per il Tour perché gli arrivi in salita entrano per la prima volta nella storia della Grande Boucle. Sono tre, nell’ordine: Alpe d’Huez, Sestriere, Puy de Dôme. Fausto Coppi le vince tutte e tre. Sulla stampa dell’epoca ci si interroga se questo genere di arrivi siano necessari al ciclismo. Nelle immagini si può notare la fatica con cui Coppi gestisce le pendenze del Puy de Dôme. Il ritmo è cadenzato più dal movimento di spalle che di gambe. Se valutassimo l’azione con gli occhi di oggi Coppi sembrerebbe uno degli attardati nel gruppetto dei velocisti quanto le sue movenze sono faticose e affaticate. Eppure il “Campionissimo” prendeva così, ciondolando, la sua quarta vittoria di tappa in quel Tour e si preparava a vincere la sua seconda Maglia Gialla due giorni più tardi.

Foto L'EquipeNel 1959 il Tour torna sul Puy de Dôme, questa volta in cronoscalata. E il vincitore non è un ciclista casuale. Federico Bahamontes, “l’aquila di Toledo”, è il più veloce di tutti. Il suo ritmo in salita è infernale. Rispetto a Coppi, si può apprezzare una postura diversa, peculiare anche se paragonata ai suoi avversari. Molto più incisiva. Nel video si vedono Anquetil, Anglade, Riviere, arrancare. Bahamontes no. Stantuffa e mulina. Più che un’aquila sembra un treno a vapore. Il 1964 è l’anno della definitiva consacrazione del Puy de Dôme. Il 12 luglio si corre la 20ª tappa del cinquantunesimo Tour de France. Un duello ha infiammato e diviso la Francia fino a quel giorno: Jacques Anquetil in maglia gialla, Raymond Poulidor lo sfidante. La gara si accende, i due sono letteralmente gomito a gomito sulle pendici del vulcano. Poulidor attacca, stacca Anquetil, gli rifila 42” che non gli basteranno per prendersi la Gialla tanto desiderata. Quattordici secondi lo separano dal sogno. In una recente intervista alla rivista Vélo Magazine il direttore sportivo di Anquetil dell’epoca, Raphael Geminiani oggi 98enne ha dichiarato che non capisce il clamore per quella tappa dove in fondo non successe nulla. Poulidor non riuscì a ribaltare il risultato e Anquetil si difese come da programma della squadra. Christian Prudhomme, non ha mai nascosto la sua passione per Poulidor e forse deviato dal tifo ne ha una visione diversa. Nella presentazione del Tour ha definito la tappa del 1964 come una delle immagini più iconiche dello sport insieme a Muhammad Ali che batte Sonny Linston nel 1965, Pelé che segna il primo gol alla finale dei mondiali del 1970, Senna e Prost che si danno battaglia in Giappone nel 1989 e Usain Bolt che vince i 100m di Pechino. Sul libro de La Montagne si può leggere un gustoso aneddoto raccontato da Jacques Augendre, ex giornalista de L’Équipe e di Le Monde, 55 Tour de France sulle spalle. Poulidor era un ritardatario cronico ma prima dell’inizio del Tour aveva fatto innervosire il suo direttore sportivo per il suo ritardo alla Grand Départ e si inventò una scusa: «Ho fatto ritardo perché sono andato in ricognizione sul Puy de Dôme». Alla vigilia della tappa gli chiesero dunque che rapporto volesse sulla sua bici e rispose sicuro che il 22 gli sarebbe stato sufficiente. Era un rapporto molto duro per il Puy de Dôme e per questo la squadra rimase impressionata: starà bene, pensarono, e invece era un bluff. Il suo direttore sportivo si confrontò con il direttore sportivo di Bahamontes che gli rivelò i suoi rapporti di molto inferiori e così a insaputa di Poulidor fece montare un rapporto più leggero. Tutto questo, però, non fu sufficiente. E secondo il suo direttore sportivo la bugia alla fine costò a Poulidor la vittoria di quel Tour de France.

Il 1967 sorride nuovamente agli italiani. Felice Gimondi vince sul Puy de Dôme. Gimondi era forse la migliore speranza italiana a quel Tour, aveva già anche vinto il Giro in quella stagione, ma al Tour è una storia diversa. Una foratura sul Ballon d’Alsace e la dissenteria sui Pirenei frenano ogni velleità di classifica. Avendo già perso tempo molto presto si dovette accontentare di due vittorie di tappa, comunque prestigiose. Briançon e Puy de Dôme.Nel 1969 succede qualcosa di unico nel ciclismo. L’ultimo che per un giorno sale al paradiso e batte il primo. Nel caso del Tour de France questo significa la Lanterne Rouge che batte la Maglia Gialla. Pierre Matignon è l’unico francese ad aver vinto sul Puy de Dôme ed è l’unica lanterne rouge ad aver battuto la Maglia Gialla che nel suo caso non era una casuale: Eddy Merckx, “il cannibale”. Chiamato così perché se avesse potuto avrebbe vinto anche nel trofeo del condominio, Merckx arrivò al traguardo sconfitto e inizia una relazione travagliata con il vulcano che oggi definisce: «Una salita tutto sommato facile, niente di speciale».Nel 1971 il Puy de Dome è posto all’ottava tappa, Merckx è in maglia gialla ma è nervoso. Nella prima settimana ha già speso moltissimo e sul Puy de Dôme, lo spagnolo Luis Ocaña lo beffa e inizia a instillargli il dubbio che possa batterlo anche nella vittoria finale. Merckx è visibilmente affaticato. Non pedala bene come al solito e dopo la tappa rivela che essendo la prima vera salita del Tour ha faticato a trovare il ritmo. Riuscirà comunque a vincere quel Tour de France ma il Puy de Dôme gli rimarrà indigesto. Nel 1973 Eddy Merckx non è al Tour e la vittoria finale sembra destinata a un solo uomo. Luis Ocaña corre contro se stesso e contro il fantasma di Eddy Merckx. In quel Tour de France vincerà 5 tappe di cui la tappa del Puy de Dôme. Sul quotidiano L’Équipe il giorno dopo si legge che ha attaccato nell’esatto punto dove due anni prima staccò Merckx. A fine tappa fu anche costretto a visitare l’ambulanza per chiedere l’ossigeno perché andò troppo oltre nello sforzo e non si sentì bene. Vinse quel Tour con autorità.Il 1975 sul Puy de Dôme è celebre per il primo episodio di “hooliganismo” sulle strade della Grande Boucle. Eddy Merckx è in Maglia Gialla. Leader assoluto del Tour de France e campione incontrastato del ciclismo. Fino a quel giorno ha in bacheca 5 Giri d’Italia, 5 Tour de France, 1 Vuelta a España, 6 Milano Sanremo, 2 Giri delle Fiandre, 3 Parigi Roubaix, 5 Liegi Bastogne Liegi, 2 Giri di Lombardia. Quel venerdì 11 luglio, Eddy Merckx deve difendersi dal suo rivale principale Bernard Thévenet. A circa 200 metri dal traguardo, nel pieno dello sforzo viene colpito da un pugno al fianco, all’altezza dei reni. Gli manca il fiato ma riesce a raggiungere il traguardo prima di crollare a terra. La maglia gialla è conservata per qualche secondo ma il morale è a pezzi. Dopo la tappa scende nuovamente la strada e incredibilmente trova l’uomo che lo aveva colpito. Lo ferma, lo blocca e lo fa arrestare dalla Gendarmerie. In seguito al processo l’aggressore fu punito al risarcimento di una pena simbolica di un franco. Nel 2019 al quotidiano Le Parisien, Eddy Merckx ha ricordato: «C’erano un sacco di Anti Merckx in Francia all’epoca, non amavano vedermi vincere tutto. È stato il mio giorno peggiore in Giallo, ma dopo i francesi hanno iniziato ad amarmi». Il giorno successivo riparte, anche con il dolore. Nell’ultima salita di giornata verso Pra-Loup l’esplosione definitiva. Il Tour de France perso. Sarà il suo ultimo giorno in maglia gialla di sempre al Tour de France.Il 1976 è l’anno del duello tra il belga Lucien Van Impe, maglia gialla e futuro vincitore, e Joop Zoetemelk, forte scalatore olandese che all’epoca è secondo in classifica generale - aveva già vinto sull’Alpe d’Huez e il giorno dopo al Monginevro. È il primo Tour de France di cui si hanno immagini e video a colori. Sullo schermo il giallo della maglia è raggiante, però a rubarmi l’occhio è il rosa Mercier della bici di Zoetemelk. Raymond Poulidor è ancora in gara. A 40 anni è compagno di squadra di Zoetemelk e sta correndo il suo ultimo Tour de France. Ha anche il terzo posto della classifica generale in ballo e grazie al Puy de Dôme lo conquisterà. Zoetemelk vince ma non riesce a rubare più di 12” a Van Impe. Poulidor è molto contento sul traguardo: «Ho concluso il mio ultimo Tour in bellezza. Terzo posto e primo dei francesi mi dà il buon umore». Nel 1978 il Puy de Dôme è affrontato nuovamente a cronometro. È il 14 luglio, giorno della festa nazionale e sulle pendici del vulcano migliaia di spettatori attendono il passaggio del Tour. Joop Zoetemelk è il più veloce di tutti ma a rubare l’occhio è un giovane esordiente al Tour de France. Bernard Hinault, futuro vincitore di quel Tour, quel giorno perde 1’40” e termina quarto. Anche lui, così come Merckx, non riuscirà mai a vincere sulle pendenze del vulcano. E anche lui, così come Merckx, oggi al quotidiano La Montagne ha dichiarato che in fondo il Puy de Dôme non è una salita così decisiva.Il Puy de Dôme nel 1983 è affrontato durante la 15ª tappa, anche in questo caso a cronometro, però in questo caso è una vera e propria cronoscalata di 15,4 km. Angél Arroyo riprende la lunga tradizione di vittorie spagnole su questa salita (Bahamontes ‘59, Jimenez ‘64, Ocaña ‘71-’73) ma tutti gli occhi sono su Pascal Simon. Il francese è Maglia Gialla ma ha la scapola fratturata da qualche giorno e la sua salita sembra un lungo calvario. Fino a due chilometri dall’arrivo sembra riuscire a mantenere un ritmo decente ma durante l’ultimo chilometro la sua sofferenza è veramente dolorosa, persino da vedere a 40 anni di distanza. Quel giorno perderà 3’22” nei confronti di Laurent Fignon il suo rivale più vicino in classifica generale ma manterrà la maglia per 52”. Due giorni dopo si ritirerà nella tappa verso l’Alpe d’Huez e il Tour de France sarà vinto da Laurent Fignon. Secondo quanto riportato dai giornali dell’epoca quel giorno a seguire la tappa in strada sono state 500mila persone e più di 300mila gli spettatori lungo la salita. Nel 1986 il Tour torna sul Puy de Dôme alla ventesima tappa. Greg LeMond è in Maglia Gialla dopo averla rubata al suo compagno di squadra Bernard Hinault qualche giorno prima sul Col du Granon. Tra i due non corre buon sangue e il Puy de Dôme sembra la salita perfetta per un regolamento di conti. Ma con la vittoria a cronometro del giorno prima di Hinault, gli ordini di squadra sono di fare la pace e di non tendersi imboscate. In gruppo non c’è lotta dunque e la vittoria va alla fuga. Lo svizzero Herich Mächler (vincitore della Milano Sanremo l’anno successivo) si regala la vittoria di tappa.L’ultima volta al Tour de France parla danese. Nel 1988 Johnny Weltz vince in solitaria lasciando il suo compagno di fuga a due km dall’arrivo. La tappa è strana. Pedro Delgado Maglia Gialla sta aspettando le controanalisi di un test antidoping positivo effettuato dopo la cronometro della 13ª tappa. Regola il gruppo dei migliori che arrivati alla 19ª tappa non sembrano avere grosse velleità di vittoria. La sera stessa, in un hotel di Clermont Ferrand, riceverà il risultato delle controanalisi anch’esse positive, ma gli sarà permesso di correre perché la sostanza all’epoca era vietata dal CIO ma non dall’UCI. Sulla tv francese intanto la polemica è sulla gestione delle persone in cima al Puy de Dôme. Secondo i commentatori sono troppe e mal gestite. Sarà uno dei motivi principali per cui negli anni a venire non si affronterà più la salita del vulcano.La salitaNel Tour de France di quest’anno la salita verrà affrontata da Clermont Ferrand per un totale di 13,3 chilometri. Il tratto migliore, però, sono i 4 chilometri conclusivi che normalmente sono vietati al transito. Un lungo serpente che costeggia a ricciolo le pendenze del vulcano ad una pendenza costante del 12%. Non ci sono curve. La percezione è quella di un lungo rettilineo. Essendo vietata, sono in pochi i ciclisti in gruppo che hanno potuto affrontare questo decisivo tratto. Il giorno precedente al Criterium du Dauphiné, sono state concesse due ore a tutte le squadre che ne avessero voglia. Nel video della ricognizione si possono vedere i 25 corridori all’opera. Tra quelli che parteciperanno al tour possiamo vedere Jonas Vingegaard, Giulio Ciccone, Carlos Rodriguez e Egan Bernal, Ben O’Connor, Matteo Jorgenson e quattro compagni di squadra di Tadej Pogačar che all’epoca era in ritiro in altura a Sierra Nevada per recuperare dopo lo stop forzato. David Gaudu dopo averla scalata ha dichiarato che tutti vorrebbero iscrivere il proprio nome tra i vincitori di questa salita perché è mitica e resterà a lungo.

Se andiamo a vedere il segmento su Strava il KOM appartiene a Romain Bardet, Auvergnat e residente a Clermont Ferrand, con il tempo di 15’27”. Subito dietro di lui Rémi Cavagna, il “TGV di Clermont Ferrand” con un tempo di 16’45”. Entrambi si palleggiano il record della scalata regolarmente perché come mi ricorda Frédéric Verna: «La salita è vietata ma i controlli la mattina presto sono più laschi e non è inusuale vedere anche amatori provare la salita clandestinamente». Rémi Cavagna ha fatto la ricognizione intera della salita per il quotidiano La Montagne e ha detto che il fatto che la pendenza sia costante è sia un vantaggio, perché puoi trovare facilmente un buon ritmo, che uno svantaggio, perché essendo costantemente ripida non c’è neanche un punto di recupero. Sarà interessante vedere la scelta dei rapporti. Secondo Cavagna la maggior parte del gruppo opterà per un 36x30, anche se qualcuno potrebbe azzardare un 36x28, magari sfruttando la velocità del gruppo. Il Puy de Dôme oggiC’è poi un’altra particolarità. Gli ultimi 4 chilometri di salita, quelli che portano alla cima, normalmente interdetti a qualsiasi tipo di circolazione, saranno affrontati senza pubblico. La conditio sine qua non che il Tour ha accettato per avere di nuovo uno dei suoi simboli più preziosi. Stéphane Boury, ex ciclista, è il responsabile degli arrivi del Tour da ormai sei anni e senza dubbio la sfida logistica che lo aspetta è una delle più grandi della sua carriera: «È una sfida ma anche un vanto. Faremo in modo che ci chiederanno di tornare», ha dichiarato a La Montagne. L’impianto logistico è imponente. La sala stampa e i mezzi tecnici saranno alloggiati al vicino circuito di Charade a una decina di chilometri. Per il pubblico ci saranno 4 parcheggi non distanti dalla rampa finale interdetta da una zona rossa e controllata dai militari anche con l’utilizzo di droni. Sarà allestita una fan zone prima dei celebri 4 chilometri con maxi schermo, DJ, stalli per cibo e bevande e villaggio pubblicitario dove «se sarà necessario per dare il buon esempio mi fermerò anche io a vedere la tappa», come ha annunciato Christian Prudhomme. «Sarà una grande festa», mi assicura Frédéric Verna. La gente del posto non vede l’ora. Mi chiedo e gli chiedo se in città si sentano anche l’ostilità pregresse, se qualcuno sia contrario al ritorno del Tour de France. Mi risponde che «Sicuramente qualcuno c’è. Non può mancare, ma onestamente non se ne parla in giro. Non ho sentito mai nessuno esprimersi in questo anno in maniera contraria rispetto alla tappa. Non sarà facile per i cittadini, perché comunque la mole di turisti che ci aspettiamo è imponente (quasi 5 volte superiore al numero degli abitanti) e sicuramente porterà dei disagi però la voglia di riavere il Tour è troppo forte». Dunque la scena è presto descritta. Da una parte il pubblico e i maxi schermi, la grande festa itinerante del Tour. Dall’altra il sudore, la fatica e, dato nuovo per tutti, il silenzio. Sarà interessante vedere come lo gestiranno. Saranno solo loro, una rampa eterna di quattro km senza curve al 12% di pendenza costante, le rotaie del treno e la vista su una valle che sembra essere infinita o quasi. Come ha detto Christian Prudhomme, interrogato sul Puy de Dôme: «Là dove c’è una volontà comune c’è un cammino, anche se è stretto solo tre metri e mezzo».

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