UFC 288 è stata una card molto interessante per diversi motivi, non ultimo per il rientro di Henry Cejudo contro Aljamain Sterling col titolo dei pesi gallo in palio. Cejudo rientrava nell’ottagono dopo un’assenza di tre anni (e un ultimo match stellare vinto per KO tecnico contro Dominick Cruz) e non erano chiare le sue condizioni atletiche. L’attenzione però è stata catturata anche da un co-main event di livello del main tra Gilbert Burns e Belal Muhammad, un match sulle cinque riprese che andava a coprire uno spot lasciato vuoto dall’incontro che avrebbe dovuto esserci tra Charles Oliveira e Beneil Dariush, saltato a causa di un infortunio subito dal primo. Il vincitore del match tra Burns e Muhammad avrebbe ricevuto la chance titolata a seguito di Colby Covington, come ricordato da Dana White.
Henry Cejudo non è quello di tre anni fa
Tre anni d’assenza dall’ottagono più famoso al mondo farebbero male a chiunque, a maggior ragione ad un atleta che ha conquistato tutto e anche più di ciò che ci si aspettava da lui. La carriera di Henry Cejudo non può essere messa in discussione: medaglia d’oro nel wrestling, campione dei pesi mosca e gallo in UFC, l’impresa di rientrare e riprendersi il titolo dei gallo alla veneranda età di 36 anni non sembrava per lui un’impresa impossibile. La ruggine di assenza dall’ottagono però si è un po’ vista e sentita, e “Triple C” (il soprannome col quale si è fatto presentare Cejudo, abbandonando ufficialmente quello di “The Messenger”) ha offerto una sua versione “normalizzata”, non eccezionale. Forse il termine “average”, come direbbero gli anglofoni, rende ancor più ciò che intendo.
Cejudo è stato uno dei più grandi fighter che si siano mai visti in una gabbia di MMA, un atleta a tutto tondo che ha saputo scalare le gerarchie, cadere e rialzarsi più forte di prima, riuscendo ad ottenere delle pietre miliari difficili da eguagliare. Ha superato di misura Demetrious Johnson, soffiandogli il titolo dei pesi mosca per ravvivare una categoria che era stata data per morta, è salito di categoria e si è giocato con Marlon Moraes il titolo dei gallo, vincendo con una grande prestazione in rimonta, dopo aver difeso il titolo ottenuto contro Johnson dall’assalto di T.J. Dillashaw. Tre anni meno tre giorni dopo l’impresa dell’ultima difesa titolata contro Dominica Cruz a UFC 249, a UFC 288 Cejudo ha provato a riconquistare il tanto agognato titolo per poi tentare l’assalto alla cintura di Alex Volkanovski, ma non tutto è andato secondo i piani. Andiamo con ordine.
Negli ultimi anni Aljamain Sterling - antipatico ai più per via della prima vittoria contestata contro Petr Yan, arrivata per squalifica dopo che il russo lo aveva colpito con una ginocchiata illegale mentre era a terra e che gli era valsa la vittoria del titolo per squalifica - è cresciuto molto ed ha operato degli incredibili aggiustamenti al suo stile già imprevedibile all’interno della gabbia.
Difeso quindi il titolo nel rematch contro Yan con una vittoria risicata ma meritata, Sterling aveva schiantato un Dillashaw a mezzo servizio, rientrante e praticamente senza una spalla, operata subito a seguito dell’incontro e del ritiro conseguente. Quando si è profilata la possibilità di battere un’altra leggenda, per giunta dopo un’assenza durata tre anni dai palchi, Sterling ha colto la palla al balzo e fatto di tutto per permettere a Cejudo di ottenere una title shot per un titolo che effettivamente “Triple C” non aveva mai perso nell’ottagono. La UFC, che ha fiutato la possibilità del grande match e del grande affare attraverso il rientro di Cejudo e la chance titolata, non si è fatta scappare l’occasione.
Reso main event di UFC 288, il match non ha deluso, ma forse la prestazione al rientro di uno stanco Cejudo sì. Henry Cejudo ci ha abituato all’eccellenza, alla prestazione senza sbavature, o al massimo con qualche sbavatura ma con un ritorno in crescendo che gli ha sempre - o quasi - consegnato la vittoria.
Il Cejudo entrato in gabbia contro Sterling ha da subito trovato difficoltà a gestire le distanze e - sebbene sempre nella sua ormai classica stance da karate - ha sofferto molto l’allungo e la fisicità del campione. Sebbene l’inizio fosse stato incredibile per la facilità con la quale Cejudo aveva portato a terra Sterling, nel giro di poco tempo quest’ultimo si è rimesso in piedi ed ha cominciato a farsi inseguire dal suo avversario.
C’è un appunto tecnico molto importante a mio avviso che va fatto su Aljamain Sterling. Se all’inizio della sua carriera, ma anche ad avventura avviata, l’americano d’origine jamaicana tendeva ad avere un footwork estremamente elusivo, nel quale ogni passo era diverso dal precedente, ad oggi quel tipo di dispendio energetico sulle cinque riprese Aljamain preferisce darlo in un’altra maniera. Il cambio di stance è parte fondamentale dello stile del “Funkmaster”, che ha anche implementato un footwork più orizzontale, più diretto nell’attacco e di fuga rapida in termini di difesa. La grande differenza di allungo tra i due (180 cm per Sterling, 163 cm per Cejudo) ha sicuramente giocato una grande parte nella scelta di Sterling, che ha accettato lo scambio a viso aperto con lo sfidante. In termini di colpi significativi, Sterling ha superato Cejudo in tre round su cinque, il primo, il terzo ed il quarto che poi, indipendentemente dai colpi e dalla percentuale di questi a segno (tre volte su cinque in favore di Sterling) sono stati i round che il campione, ai miei occhi, ha portato a casa. Nel secondo round infatti Cejudo ha ripreso la carica ed accorciato al meglio, riuscendo ad andare a segno coi primi leg kick e fiaccando così il footwork del campione.
È difficile da spiegare quanto complicato possa essere stare dietro ad un avversario che ha ben 17 cm in più di allungo: Cejudo, passo dopo passo, ha affievolito questa differenza, arrivando a vincere in maniera abbastanza netta il secondo ed il quinto round, ma lasciando almeno il primo ed il quarto nelle salde mani di Aljamain. Per i giudici, la situazione è stata un po’ più confusa: se il primo è per tutti di Sterling, il secondo per due di loro è di Cejudo (abbastanza nettamente, aggiungerei), il terzo è per tutti di Cejudo, il quarto per tutti di Sterling ed il quinto per due giudici su tre di Cejudo (anche questo per me abbastanza chiaro). Il risultato finale ha detto Sterling per due giudici su tre con verdetto di 48-47, mentre l’ultimo giudice aveva assegnato la vittoria a Cejudo, sempre per 48-47. Cejudo non ha cercato comunque di entrare “dentro” la guardia di Sterling: si è limitato a tenere la sua stance in maniera abbastanza laterale, ha subito leg kick prorompenti ed è stato preda di jab e diretti ai quali la sua testa non ha saputo dare la giusta risposta per schivare. Aljo non è stato l’avversario più rapido che Cejudo abbia affrontato e questo in effetti può far pensare alla qualità del rientro effettivo di Henry, sicuramente non al livello delle sue ultime prestazioni.
Il match si è giocato sui binari dell’equilibrio e sul piano del wrestling, se inizialmente pareva aver avuto la meglio Cejudo, in breve tempo Sterling è riuscito a prendere le misure ed a rispondere degnamente. Pur avendo subito dei takedown ed avendo visto i propri bloccati con sprawl, Sterling non ha voluto demordere ed il suo angolo composto da Matt Serra e Ray Longo lo ha caricato al meglio, dandogli la convinzione necessaria per giocarsela con Cejudo in ogni singolo aspetto del combattimento. La scelta di arretrare, per esempio, sulle occasionali cariche di Cejudo, ha ben pagato e Sterling è riuscito a sfruttare appieno il suo allungo per incrociare e sorprendere “Triple C” in più di un’occasione, invitandolo all’avanzamento e punendolo sul termine della sua stessa azione.
In delle occasioni è anche quasi riuscito a mettersi sulla schiena dello sfidante e lavorando ad un takedown è riuscito ad aprire le gambe di Cejudo quasi in una spaccata, togliendogli la base e portandolo giù.
Restano i se ed i ma (coi quali non si scrive certo la storia): un Cejudo al pieno della forma, il Cejudo di tre anni fa, avrebbe perso con Sterling? Io credo di no, ma a UFC 288, Sterling - per quanto sgradevole alle volte possa essere anche agli occhi del suo pubblico di casa - non ha rubato nulla, anzi, come ha anche detto Cejudo, ha combattuto un match intelligente, da “player”, strategico e ben gestito. I suoi jab, gli incroci, gli headkick e le ginocchiate che hanno raggiunto Cejudo hanno impressionato sicuramente non solo i giudici, ma anche il pubblico.
Cejudo ha sicuramente pagato l'inattività di questi anni e la sua versione arrugginita ha avuto serie difficoltà nel trovare misure e colpi giusti, sebbene non abbia mai sfigurato e questo può far ben pensare al suo team circa un’ultima scalata verso la cintura che è stata sua. Con una vittoria per finalizzazione contro un contender, considerata anche la sconfitta sul filo del rasoio contro Sterling, il suo nome rimarrebbe lì, a giocarsela coi migliori. Al termine del match si è trovato anche il tempo per un siparietto con Sean O’Malley, ormai pronto per la chance titolata, mentre Cejudo si è detto insicuro circa il futuro, si è complimentato con Sterling e si è tolto i guantini, salvo poi comunque tenerli e non appoggiarli al centro dell’ottagono, come si è soliti fare al momento del ritiro ufficiale.
Per ciò che si è visto, col rientro in pista ed un’adeguata preparazione, Cejudo può ancora giocarsela con chiunque. A patto che la sua condizione sia migliore rispetto all’ultima vista. Perché Cejudo, al massimo, è ancora il fighter più completo e tosto della categoria. Nonostante tutto.
Belal Muhammad è pronto per il titolo
Si possono dire moltissime cose sul co-main event della serata, ma la cosa che più è balzata all’occhio è la capacità strategica di Belal Muhammad. Un mese dopo aver affrontato e battuto Jorge Masvidal, Gilbert Burns si era detto pronto ad affrontare Muhammad in un match che sarebbe servito da eliminatoria per scegliere il prossimo sfidante al titolo dei pesi welter, che succederà il match già programmato tra Leon Edwards e Colby Covington. Il brasiliano però non aveva fatto i conti con uno dei fighter meglio maturati all’interno del roster. Belal Muhammad ha raggiunto la quinta vittoria consecutiva in un palmarès che vede la striscia di nove scontri positivi interrotta solo dal No Contest contro l’attuale campione Leon Edwards. Belal Muhammad sa letteralmente fare tutto e bene all’interno dell’ottagono, ma nella sfida sulle cinque riprese (un match che ha sostituito l’originale co-main event tra Charles Oliveira e Beneil Dariush) contro Gilber Burns ha mostrato una versione di sé davvero completa. Per cominciare, Muhammad non ha alcun problema a cambiare stance e la cosa che fa più impressione è che non ha difficoltà nel timing quando passa da una guardia all’altra: riesce comunque a mantenere l’inerzia dalla sua parte ed a gestire il ritmo dell’incontro anche opposto ad un avversario pericoloso e completo quale è Burns. Nelle prime battute del match, probabilmente a seguito di un takedown non riuscito, Burns si è infortunato al braccio sinistro e questo ne ha compromesso il prosieguo. “Durinho” comunque, per tenere fede al suo soprannome, è arrivato alla fine ed ha provato a ribaltare un match che è parso scritto sin dalle prime battute.
Già da subito, Belal ha invitato Burns a girare sul suo lato sinistro per colpirlo con il mancino al fegato. I calci di Muhammad hanno costituito la linfa vitale della sua strategia, andando spesso a segno, mozzando il ritmo di Burns e costringendolo spesso a cambiare approccio. Anche, come si vede sopra, nelle fasi più “sporche” del match, Muhammad ha puntato al corpo del suo avversario, concentrando il grosso del suo lavoro proprio lì ed incrociando senza paura i colpi del potente Burns. La delizia tecnica che mi ha più impressionato però è stata l’impostazione del suo headkick. Muhammad preparal’headkick come se dovesse tirare un middle, cambiando angolo solo alla fine del colpo, un po’ come faceva - con le relative proporzioni - Stephen Thompson, senza dare riferimento circa il bersaglio scelto. Burns ha abboccato più volte, ha subito al volto i calci del suo avversario, contenendoli spesso, ma senza riuscire a bloccarli del tutto.
Un middle kick perfettamente a segno da parte di Muhammad. Qui Burns viene costretto ad uscire sulla sua destra: appena vede Muhammad muoversi, para un colpo alto, ma viene sorpreso al corpo. Questo tipo d’azione si concretizzerà molte volte nell’incontro.
Burns, come si diceva, non ha mai mollato. Anche i suoi leg kick sono stati sul pezzo, ma Muhammad ha sempre incassato senza patire troppo il danno, cambiando guardia e ripiazzandosi per stanare Burns. Il brasiliano infatti non è quasi mai riuscito a perpetuare l’avanzamento costante e quando ha capito che non avrebbe potuto gestire un ritmo così intenso ha optato per gli assalti improvvisi che in carriera gli hanno regalato tante gioie, ottenendo sì in alcuni casi il successo, ma mai il vantaggio.
Burns a segno con l’overhand destro. Muhammad ha semplicemente fagocitato il colpo ed ha ripreso ad avanzare.
Burns, quindi, nelle battute finali, si è conservato un po’, ha comunicato all’angolo l’impossibilità di spingere al massimo col sinistro ed ha preferito puntare al blitz che avrebbe potuto regalargli uno stop prima del limite, ma un fighter duro ed esperto come Muhammad ha compreso subito la strategia di Burns, l’ha accettata ed ha continuato ad avanzare e puntare a fiaccare ogni energia del brasiliano. Anche all’inizio del quinto round, Muhammad era fresco, non respirava affannosamente ed era in piena gestione dell’incontro. D’altronde, da un fighter che strategicamente aveva superato persino il rebus della divisione, Stephen Thompson, non ci si aspettava di meno. Dirò di più: personalmente sono un grande fan di Burns, un fighter coriaceo e dotato di un atletismo e di un’esplosività impossibili da non ammirare o addirittura amare. Il modo in cui Muhammad ha disposto a piacimento del brasiliano mi fa pensare a che livello sia il fighter per metà palestinese e per metà americano. Ora, Belal attende il risultato del match che avverrà tra Leon Edwards e Colby Covington per conoscere il suo prossimo avversario e la sua prima chance al titolo. Quando, all’inizio della sua carriera in UFC, citava il suo soprannome, “Remember the name”, ricordate il nome, ricordo che era stato preso poco sul serio da molti componenti del roster per la sua incapacità a terminare i suoi incontri prima del limite; il sentore comune era che Belal fosse un fighter da media classifica, un gatekeeper da mettere agli ultimi posti della top 10, al massimo.
Oggi, credo che Belal Muhammad sia quanto di più vicino ci sia al monte Rushmore attuale dei welter in UFC, tra i quali inserisco anche Leon Edwards, Kamaru Usman e Colby Covington. Battuto Gilbert Burns ed in attesa di un altro match di Khamzat Chimaev, nella lista dei big è naturale inserire Muhammad di cui, sicuramente, non sarà più troppo difficile ricordarsi il nome.