Esclusive per gli abbonati
Newsletters
About
UU è una rivista di sport fondata a luglio del 2013, da ottobre 2022 è indipendente e si sostiene grazie agli abbonamenti dei suoi lettori
Segui UltimoUomo
Cookie policy
Preferenze
→ UU Srls - Via Parigi 11 00185 Roma - P. IVA 14451341003 - ISSN 2974-5217.
Menu
Articolo
(di)
Daniele Manusia
Il ritorno alla normalità di Christian Eriksen
04 ago 2022
04 ago 2022
Il suo passaggio al Manchester United segna la fine dell'incubo dopo l'attacco cardiaco agli Europei.
(di)
Daniele Manusia
(foto)
Dave Thompson/PA Images via Getty Images
(foto) Dave Thompson/PA Images via Getty Images
Dark mode
(ON)

Sembra un sogno. O comunque, come minimo, la fine di un incubo. Christian Eriksen con la maglia della Danimarca, 287 giorni dopo in quello stesso stadio, il Parken di Copenaghen, dove ha rischiato di morire - anzi, dove per cinque minuti è morto veramente. E dopo poco più di un minuto che è in campo Skov Olsen gli mette una palla davanti, al centro dell’area, leggermente a destra, che sembra fatta perché Eriksen la metta nella rete che ha davanti, calciando di interno destro nell’incrocio più lontano. È successo alla fine dello scorso marzo, contro l’Olanda, in una partita amichevole (persa poi 4-2, al momento del suo ingresso in campo il risultato era già compromesso per la Danimarca, sotto 3-1) che non aveva niente di quelle partite di addio con cui i grandi campioni salutano il proprio pubblico. Al contrario: sembrava l’inizio di qualcosa di nuovo, quanto di più vicino a una rinascita che ci possa capitare di vedere. Qualcosa che, oggi, è culminato nel passaggio di Eriksen al Manchester United. Una mossa di mercato così audace e rischiosa che nessuno può augurarsi che qualcosa vada male, un giocatore che anche solo vedere in campo è miracoloso nella squadra più disfunzionale d’Europa, che per l’ennesima volta cerca di ricostruirsi un’identità, con un nuovo allenatore alla prima esperienza in Inghilterra. Ten Hag non lo ha voluto solo perché, almeno a lui, a differenza del resto della squadra e della dirigenza, non avrà bisogno di spiegare la filosofia dell’Ajax, ma per dargli una centralità che gli permetta di influenzare il resto della squadra. Un anno dopo essere crollato a terra senza battito, cioè, Christian Eriksen è chiamato a risollevare uno dei giganti più pesanti del calcio europeo, che ha chiuso la scorsa stagione fuori dalla Champions League, perdendo 4-0 con il Brighton mentre i propri tifosi cantavano: «Non siete all’altezza della nostra maglia».

Il collegamento con Johan Cruyff è piuttosto diretto in questo caso: la maglia numero 14 dello United è stata precedentemente indossata dal figlio Jordi.

Eriksen era tornato a giocare un mese prima di quella partita con l’Olanda, lo scorso 26 febbraio. Al momento del suo ingresso in campo, in una splendida giornata di fine inverno in cui il sole londinese sembrava abbagliare il pubblico in piedi per applaudirlo, il volto di Eriksen era l’unico a non tradire nessuna emozione. Aveva scelto il Brentford perché Thomas Frank lo aveva allenato nelle nazionali giovanili danesi e in squadra c’era molti suoi connazionali. Ed è passato quasi inosservato che a lasciargli il posto in campo in quell’occasione (una sconfitta con il Newcastle) sia stato quello stesso Mathis Jansen che lo aveva sostituito con la Finlandia, alla ripresa della partita d’esordio dell’Europeo. La situazione, da quel momento in poi, ma forse anche da prima, da quando hanno iniziato a circolare le prime immagini di Eriksen che si allenava per conto proprio, e poi con la seconda squadra dell’Ajax, è la seguente: da una parte per noi sarà quasi impossibile guardarlo senza ricordare quel drammatico pomeriggio in cui è stato rianimato vicino al fallo laterale; dall’altra Eriksen farà di tutto per farcelo dimenticare.

Dopo il gol il pubblico olandese lo ha applaudito.

Da febbraio in poi Eriksen ha giocato dieci partite dall’inizio, con quattro assist - tre calci piazzati e uno splendido cross di sinistro in cui è visibile la qualità unica del suo calcio, quel taglio secco che dà ai palloni facendoli passare appena sopra le teste degli altri giocatori in campo, facendolo arrivare a destinazione con precisione ma anche con forza, come un sasso scagliato con la fionda - e un gol. Ha segnato anche in entrambe le prime due partite giocate con la Danimarca, nell’amichevole con l’Olanda e in quella con la Serbia, calciando da appena fuori area sul primo palo. Il Brentford, che aveva perso 14 partite fino al suo ingresso in squadra, ne avrebbe perse solo altre 4 (di cui una con Eriksen a riposo), passando dalla prima posizione sopra la zona retrocessione alla tredicesima. Frank ha provato a proporgli un contratto che lo facesse restare a Brentford ma si parlava anche di un suo possibile ritorno al Tottenham. Quelle dieci partite sono bastate a convincere tutti che Eriksen fosse tornato tale e quale a prima.Come se niente fosse. Anche perché Eriksen stesso ha raccontato di non ricordare niente di quei terribili momenti del giugno 2021. «Non ho sentito niente, non ho l’impressione che sia successo qualcosa di brutto, eppure so che è successo». Fosse stato per lui, avrebbe giocato anche la fine della partita della Finlandia - una partita che, invece, i suoi compagni hanno preferito giocare subito solo per non finirla dopo una notte insonne. Un paradosso che Eriksen vive da quando è tornato ad allenarsi e ha dovuto dire ai suoi compagni di squadra di trattarlo in modo normale, in campo, anche se ha un defibrillatore sottocutaneo. Nella sua seconda partita dopo il rientro, Eriksen ha trattenuto e portato a terra un giocatore del Norwich, Brandon Williams, che innervosito ha avuto un principio di reazione salendogli sopra, ma una volta riconosciuto Eriksen, Williams lo ha abbracciato tra gli applausi del pubblico.

Eriksen resiste a Kanté e poi con un filtrante di sinistro taglia il campo in diagonale.

Pochi giorni dopo essere tornato in Nazionale, ha segnato il suo primo e unico gol con la maglia del Brentford. Nella vittoria esterna con il Chelsea (4-1), inserendosi alle spalle di Kanté su un contropiede condotto da Mbuembo, che una volta superato il limite dell’area lo ha servito con un rasoterra al centro dell’area. Eriksen ha calciato sotto la traversa anticipando di sinistro l’uscita di Mendy, che gli è finito sulle gambe facendolo cadere. Quello forse è stato il singolo momento in cui siamo andati più vicini a dimenticare cosa gli è successo un anno fa. Ogni volta che colpisce la palla, con quella sua meccanica di tiro da golfista, pulita ed elegante, con il corpo leggermente all’indietro e le braccia come le ali di un pinguino, Eriksen sta provando a dirci che in realtà non è successo niente. E noi non abbiamo né il coraggio, né la voglia, di contraddirlo.Come Eriksen anche Daley Blind gioca dal 2019 con un defibrillatore. Ma non tutti sono stati così fortunati. Fabrice Muamba, rimasto col cuore fermo per più di un’ora durante una partita di FA Cup del 2012, ha dovuto ritirarsi. Anche l’ex giocatore di cricket James Taylor ha lasciato lo sport nel 2016, dopo che gli era stato impiantato un defibrillatore. Il belga Anthony van Loo, invece, a cui era stata diagnosticata un’aritmia, giocava già con un defibrillatore sottocutaneo da quando ha il suo cuore ha smesso di battergli la prima volta nel 2009, ma si è ritirato dopo il secondo episodio avvenuto a quasi dieci anni di distanza, nel 2018.«Sono più sicuro di voi», ha detto Eriksen, per rassicurare tutti. Certo è strano vederlo con la maglia dello United, oggi, così presto, e immaginare la pressione che avrà durante la stagione, i ritmi che dovrà sostenere in una campagna intera di Premier League, lo stress, le botte dei difensori. D’altra parte, se la scienza gli permette di tornare a una vita “normale”, be’, questa è la normalità di uno dei calciatori europei più dotati degli ultimi dieci anni. Sarebbe una favola se Eriksen riuscisse in tutti i suoi obiettivi di medio termine: giocare bene il Mondiale con la Danimarca, cioè, e riportare il Manchester United tra i primi quattro posti in Premier league. Sembra un sogno, dicevamo all’inizio, ma ci accontentiamo già che sia finito l’incubo.

Attiva modalità lettura
Attiva modalità lettura