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Umberto Preite Martinez
Filippo Ganna, ritorno al futuro
10 ott 2022
10 ott 2022
Il ciclista italiano ha scritto la storia frantumando il Record dell'Ora.
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Umberto Preite Martinez
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VALENTIN FLAURAUD/AFP via Getty Images
(foto) VALENTIN FLAURAUD/AFP via Getty Images
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Spiegare perché sabato eravamo tutti lì incollati a vedere un uomo che girava per un’ora intera in un velodromo da solo, senza avversari, è molto più complicato di quanto possa sembrare. Semplicisticamente si potrebbe dire che è perché si fa così da un sacco di tempo. Il Record dell'Ora si è imposto quasi subito come il simbolo più alto del ciclismo, la prova più estrema. Spingere per un'ora alla massima velocità possibile è uno sforzo che un ciclista riesce a preparare e ad affrontare due o tre volte al massimo nell'arco di un'intera carriera. Fisicamente - com'è ovvio - ma anche mentalmente, nella preparazione e nell'idea, malsana e folle, di dover correre per un'ora in tondo, a testa bassa, senza orizzonti da raggiungere ma tornando sempre inevitabilmente nello stesso punto. Più in profondità, quindi, forse quello che ci attira è proprio il fatto che non ci sia motivazione apparente, ma che il ciclista sia spinto da qualcosa di più profondo e viscerale, quasi inconscio. Da parte nostra, del pubblico, forse allora è gusto per la sofferenza - uno dei motivi principali per cui guardiamo il ciclismo. Da parte dei ciclisti, forse, l’ancestrale stimolo umano per la comprensione dei propri limiti, la ricerca di una linea che ponga fine all’infinito.Nel ciclismo il record, quello con la erre maiuscola, si fa da soli, senza avversari, senza competizioni in corso. Si decide in autonomia quando e dove, si prenota il velodromo, si organizza tutto e si prova a stabilire il nuovo record. L’avversario non c’è, come non c’è una gara da vincere. È la sfida dell’uomo contro sé stesso e - in un certo senso - dell’essere umano contro i suoi limiti. Il tempo è la dimensione all’interno della quale il ciclista si muove, mentre l’avversario è lo spazio da percorrere; quanto più possibile in quel determinato arco temporale che qualcuno ha deciso essere di 60 minuti. ___STEADY_PAYWALL___ 64x14Pochi istanti prima delle ore 20 del 8 ottobre 2022, quindi, Filippo Ganna si è sganciato dal blocco di partenza del velodromo di Grenchen, in Svizzera. Da quel momento in poi avrebbe pedalato per un’ora esatta, ritrovandosi nello stesso punto ogni 15-16 secondi, circa. Nei sessanta minuti successivi - non uno di più, non uno di meno - avrebbe spostato in avanti la sua bicicletta di 56 chilometri e 792 metri.La partenza è stata buona, il primo giro è già in vantaggio sul record precedente, e su questo forse ha inciso l’abilità nel gestire i primissimi metri acquisita da Ganna con l’esperienza nell’Inseguimento Individuale. Poi però arriva il difficile perché c’è da far entrare in temperatura le gambe, iniziare a rodarsi con il padellone da 64, che sarebbero i “denti” della corona anteriore, quella che ruota in corrispondenza dei pedali. Più è grande il padellone, più è duro il rapporto e più metri si fanno con ogni pedalata. E solitamente in una crono su strada pianeggiante si va con il 58 o il 60. Ganna deve quindi gestire lo sforzo prolungato, abituato com’è a correre su distanze molto più brevi di quella e su tempi molto più ridotti. E immediatamente infatti il rilevamento su Dan Bigham - detentore del record in 55,548 km stabilito lo scorso 19 agosto - inizia in grafica a colorarsi di rosso.

Bigham non è uno qualsiasi: è un uomo della Ineos, la squadra di Ganna, e ha stabilito il nuovo record in sordina, mentre lavorava con il team e i tecnici Pinarello allo sviluppo dei materiali. Il record di Bigham è quindi in un certo senso la prova generale per Ganna, il punto di riferimento da tenere a tiro com'è fosse una lepre virtuale.Un giro dopo l’altro il distacco in rosso cresce lento ma costante. I primi 40 giri - 10 chilometri - Ganna li percorre in 11 minuti e 623 millesimi, 3”682 più lento di Dan Bigham. Poi da lì inizia una fase di stallo con l’italiano che piazza una serie di giri a 16 secondi e poco più, come un metronomo. Al giro numero 58, quello che porta al parziale di 14 chilometri e mezzo percorsi, Ganna scende sotto i 16 secondi in 15”901 e inizia ad alzare il ritmo, oscillando al massimo di un decimo di secondo fra un giro e l’altro. La velocità media complessiva sale giro dopo giro e supera i 55 km/h al giro numero 61, dopo 15,5 chilometri percorsi in 16’54”299. Bigham è ancora davanti di quasi due secondi ma Ganna ormai sembra essersi messo in scia.La rincorsa di Ganna si inserisce nella grande storia di questo record, che affonda le sue radici negli albori del ciclismo. Si comincia da Parigi nel 1893, quando Henri Desgrange riuscì a percorrere 35 chilometri e 325 metri. L'anno successivo Desgrange viene battuto da Jules Dubois con 38,220. E poi il primo a sfondare il muro dei 40 chilometri, anche se in altura a Colorado Springs, l’irlandese Willie Hamilton nel 1898. Il suo record fu battuto ben 7 anni dopo da un assoluto fenomeno di questo sport, Lucien Petit-Breton. Ovviamente a Parigi, quando il piccolo bretone riuscì a percorrere la bellezza di 41 chilometri e 110 metri.Per anni fu un susseguirsi di record tentati e battuti, ma poi le guerre cambiarono il modo di pensare alle cose. E così il ciclismo divenne meno poetico e più concreto, più pragmatico, come fosse stato anch’esso temprato dall’orrore della guerra. I ciclisti divennero ciclisti di mestiere, non avevano bisogno di inseguire premi strampalati per mettere insieme qualche soldo per sopravvivere. E quindi anche il Record dell’Ora, questo strano orpello del passato, divenne un affare fra campionissimi, come fosse il simbolo di una carriera finalmente completa. Come a dire: bene, hai battuto tutti, ora facci vedere cosa sai fare davvero.Fausto Coppi migliora il record al Vigorelli di Milano nel 1942 di una manciata di metri. Poi è il turno di Jacques Anquetil e Roger Rivière che spostano l’asticella a oltre 47 chilometri (47,347 per l’esattezza). In mezzo, la meteora di Ercole Baldini e i suoi 46,394 chilometri il 19 settembre 1956. Il record di Rivière - forse il più grande specialista di sempre dell’Inseguimento individuale, vittima a soli 24 anni di un incidente durante il Tour de France 1960 che lo costringerà in sedia a rotelle per i restanti sedici anni della sua breve vita - è talmente grande che tiene botta per quasi un decennio. Lo batte Anquetil, di nuovo, nel 1967 ma il campione francese litiga con gli emissari dell’UCI, salta il controllo antidoping e il record viene automaticamente cancellato. Servirà aspettare un paio di mesi affinché Ferdi Bracke rompa il tabù del record di Rivière, andando addirittura sopra ai 48 chilometri percorsi in quei fatidici 60 minuti.ConsapevolezzaNel frattempo, nel velodromo di Grenchen, dopo 18 chilometri e 750 metri, al giro 75, arriva il sorpasso di Ganna. Il ciclista italiano è lì dopo 20’22”055, Bigham ci era passato con 241 millesimi di secondo in più sul groppone. È il momento in cui Ganna dà un piccolo strappo con due giri sotto ai 15”800, a quasi 57 km/h, prima di tornare a martellare il suo 15”900 a giro. Al centesimo giro, 25 chilometri, 26’59”, Ganna viaggia con una media di 55,580 km/h. In proiezione è già sopra al record di Dan Bigham.Si comincia allora a ragionare di quanto sia straordinario Ganna come atleta, forse mancando il punto della questione ma è inevitabile lasciarsi trascinare dall’entusiasmo del momento, dalla sensazione di essere davanti a qualcosa di veramente grosso. Dev’essere successa la stessa cosa a chi c’era quel 25 ottobre 1972 nel velodromo di Città del Messico il giorno in cui Eddy Merckx decise di frantumare il Record dell’Ora, con la brutalità che contraddistingueva il suo andare in bicicletta.Ernesto Colnago in persona gli aveva preparato una bici speciale, in alluminio ma di soli 5 chili e 750 grammi - un peso molto simile alle moderne biciclette in carbonio. Colnago e i suoi erano riusciti nell’impresa alleggerendo il carico ovunque fosse possibile: sul manubrio fecero 48 fori col trapano per alleggerire la struttura; stesso destino sui pedali, forati per risparmiare due etti, e la catena alleggerita di 150 grammi. I copertoncini in seta, 90 grammi davanti e 95 grammi dietro. I tubi sottili, di 4 decimi, tranne la forcella e il traversone di 7 decimi per garantire «la rigidità che Eddy deve tenere», spiegò Ernesto Colnago alla televisione belga.

Eddy Merckx sposta il Record a 49,431 chilometri percorsi in un’ora. All’aperto, con una bici tradizionale (per quanto modificata ad arte da Colnago). Un risultato mostruoso, che paradossalmente non solo segna una cesura netta con il passato ma anche con il futuro, con quello che verrà dopo di lui. Merckx rompe una linea, spezza il filo conduttore del progresso umano perché in quel momento la sensazione - chiara, netta, tangibile - è che non esista progresso umano al di là di lui.E infatti per batterlo bisognerà aspettare non che arrivi un essere umano migliore di lui - non esiste - ma che l’umanità progredisca a livello tecnologico. E bisognerà aspettare 12 anni prima che arrivi Francesco Moser con le ruote lenticolari, 28 anni prima che arrivi Chris Boardman a battere il record con una bici “normale” ma nel nuovo velodromo di Manchester, indoor.Nessuno, quindi, ha mai più battuto quel record nelle condizioni in cui lo fece Eddy Merckx. Eppure il record non è più suo, perché il punto di questa progressione - come dicevamo all’inizio - non è tanto stabilire chi sia il miglior essere umano in questa specialità. Bensì tenere traccia di dove siamo, di dov’è l’Uomo nel suo percorso di crescita tecnologica ancor prima che fisica. Nello sviluppo - oserei dire - del connubio fra l’essere umano e il mezzo meccanico e più in particolare di ciò che può riuscire a fare un essere umano in sella a una bicicletta.Oltre i limitiNel velodromo di Grenchen, mezz'ora dopo essersi sganciato dai blocchi di partenza, Filippo Ganna continua a girare a circa 56,8 km/h, quasi 16 metri al secondo. Il record di Dan Bigham in prospettiva è frantumato, e c’è poco da dire su quello. Il vantaggio - in verde, nella grafica televisiva in diretta - continua costantemente ad aumentare: ai 30 km siamo quasi a 15 secondi. Il temuto calo alla distanza non c’è, Ganna continua a girare su quella pista come fosse un androide progettato per questo. Invece di calare, il ritmo di Ganna aumenta e dal 125° giro inizia a piazzare parziali sotto i 15,7 secondi, che significa girare a 57,4 km/h. Dopo 36 minuti e 135 giri la media oraria complessiva sfonda il muro dei 56 km/h. E continua a crescere: ogni 10 giri sale in proiezione di un centinaio di metri. È a questo punto che il discorso inizia a spostarsi da Dan Bigham e dal suo Record dell’Ora a 55,548 km. Perché quello sì, è il record ufficiale riconosciuto dall’UCI, fatto con biciclette regolamentari che potremmo definire “normali”. Accanto a questo percorso, per così dire istituzionale, c’è però anche dell’altro.Per capire cos'è dobbiamo tornare al record di Francesco Moser, dopo il quale il mondo del ciclismo sembrava aver perso interesse per il Record dell’Ora. Moser aveva battuto un record, quello di Merckx, che durava da dodici anni e sembrava inavvicinabile. E lui l’aveva battuto di quasi 2 chilometri, un’enormità. Se il record di Merckx (49,432) sembrava inattaccabile, quello di Francesco Moser del 1984 (51,151) era davvero impossibile da battere per chiunque.Non si poteva battere sul fisico, questo è certo. L’unico sistema sarebbe stato inventarsi qualcosa di diverso, qualcosa di nuovo. Moser aveva battuto Merckx grazie alle ruote lenticolari e per battere Moser allora serviva qualcosa di ancora più spinto, di ancor più impensabile. Tra quelli che hanno questo pensiero c'è anche un ragazzo scozzese che è lì ad ascoltare alla radio il record di Francesco Moser, che in questo modo assiste all'impresa e ne rimane folgorato. Ad affascinarlo non è tanto Moser in quanto tale, né la sua prestazione a livello fisico o atletico. Quello che gli infila il tarlo nella testa, che gli fa scattare la molla che lo tormenterà per i successivi quindici anni di vita, è l’innovazione tecnica che Moser aveva portato nel mondo del ciclismo. Molla che porterà quel ragazzo scozzese, poco meno di una decina d’anni più tardi, a smontare la sua lavatrice per costruirsi una bicicletta speciale. Quel ragazzo scozzese è Graeme Obree e la sua storia segna un prima e dopo per il Record dell'Ora. Da quel momento diventa chiaro che il limite non va spostato tanto sul ciclista quanto sulla bicicletta. Da lì la storia ci porta a Chris Boardman e alla sua Lotus, agli studi sull’aerodinamica, ai cosiddetti marginal gains.È anche la storia dell’UCI che è completamente colta alla sprovvista da questa improvvisa esplosione di nuove tecnologie, di nuove posizioni speciali. E i vertici UCI sono spaventati dalla direzione che ha preso e che potrebbe prendere in futuro il ciclismo su pista. Così, decidono piano piano di porre dei limiti, là dove si accorgono di avere ancora strumenti per farlo. E poi tagliano del tutto: basta così, niente più bici speciali, si torna tutti a correre con le biciclette tradizionali. Un decennio di ricerca e di avanzamenti tecnologici saltano per aria, buttati dalla finestra con un colpo di spugna dell’UCI.E i record? Quelli fatti con bici speciali finiscono in una specifica categoria: la “Miglior Prestazione Umana” sull’Ora, così, come fosse un qualcosa di irraggiungibile. E in effetti l’idea che si potessero raggiungere quei risultati con bici normali era impensabile fino a pochi anni fa. Poi però l’innovazione tecnologica - ripartita da zero dopo il colpo di mano dell’UCI - ha fatto enormi passi avanti e poco alla volta il divario è andato assottigliandosi. Tanto che già qualche anno fa era possibile ipotizzare che in un prossimo futuro le bici tradizionali sarebbero state addirittura più performanti a livello aerodinamico rispetto alle super-bici degli anni Novanta.Se quindi quello di Dan Bigham è il Record dell’Ora, per la Miglior Prestazione Umana il riferimento sono - dal 6 settembre 1996 - i 56,375 chilometri percorsi da Chris Boardman a Manchester in sella alla sua Lotus 108. Una distanza fino a pochi mesi fa considerata irraggiungibile.Un nuovo inizioQuesta è tutta la storia che corre con Ganna, in un certo senso dietro di lui, spingendolo. Dopo 40 minuti il ciclista di Verbania è stabilmente oltre i 56 km/h di media complessiva, che in proiezione lo porterebbero a demolire il Record di Bigham. Ma la media continua a crescere e dopo 43 minuti e 37 secondi, al termine del 164° giro, finalmente in grafica compare il numero che tutti aspettavano: 56,381 km/h. È la media oraria che sta tenendo Filippo Ganna, 6 metri in più di quella di Boardman del 1996. Ganna a quel punto potrebbe calare di ritmo, sarebbe umano e naturale che lo facesse. Invece continua imperterrito e anzi aumenta: ora gira sotto i 15 secondi e 4 decimi, che significa che sta andando a più di 58 km/h. Procede su quei ritmi per circa dieci minuti, poi risale verso i 15 secondi e 8 decimi a giro ma ormai è andata, è fatta. Il record di Boardman non c’è più, la Miglior Prestazione Umana sull’Ora non esiste più.

Foto di VALENTIN FLAURAUD/AFP via Getty ImagesFilippo Ganna conclude il 226° giro quando mancano ancora poco meno di 20 secondi allo scoccare dei 60 minuti. 59 minuti e 41 secondi per percorrere 56 chilometri e mezzo: è già oltre, gli ultimi venti secondi sono in più, un bonus che serve a incrementare ancora la distanza percorsa. Quando suona la campana dell’ultimo giro mancano ancora 5 secondi e Ganna tira dritto, finché può continua a spingere sui pedali. Dopo un’ora esatta il conteggio si ferma: 56,792 chilometri. È fatta, stavolta sì.Niente più doppie classifiche, niente più asterischi o intrecci di regolamento. Certo, resta il paradosso di essere arrivati alla meta in ritardo, come se invece di andare avanti fossimo all’improvviso tornati indietro di 26 anni, a quel 1996 in cui l’Uomo era riuscito ad arrivare nello stesso punto in cui siamo noi adesso. Come in uno strano scherzo del tempo, che si piega su sé stesso a formare un'ellisse su cui continuiamo a pedalare. 26 anni dopo, però, il record è uno solo, finalmente. Adesso sappiamo che da qui in poi possiamo solo andare avanti, noi come comunità ciclistica in senso ampio, e forse, allargando ulteriormente lo sguardo, come umanità. Sappiamo che questi 56 chilometri e 792 metri sono la nuova base di partenza verso il futuro. Soprattutto sappiamo che per sempre, lì, all’incrocio di tutte le possibili classifiche, ci sarà il nome di Filippo Ganna.

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