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Riccardo Rimondi
Ritorno a Pechino
20 ago 2015
20 ago 2015
11 motivi per seguire i Mondiali di atletica leggera.
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Riccardo Rimondi
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L’ultima volta che l’atletica fece tappa a Pechino, nel 2008, c’erano le Olimpiadi. Il pubblico del

vide esplodere Usain Bolt, assistette al volo di Yelena Isinbayeva fino a 5,05 metri nel salto con l’asta e constatò come la cittadina etiope di Bekoji, 17.000 abitanti sull’altipiano di Oromia, potesse accaparrarsi in pochi giorni quattro ori olimpici per merito delle doppiette sui 5.000 e sui 10.000 di Kenenisa Bekele e Tirunesh Dibaba.

 

Sette anni dopo, di questo poker di fuoriclasse è rimasto solo Usain Bolt. Isinbayeva ha ripreso ad allenarsi dopo essere diventata mamma e punta a Rio 2016, Dibaba è a sua volta in maternità, Bekele sta cercando di capire se nella maratona può avere prospettive paragonabili a quelle che ebbe, da giovane, nel fondo su pista. Questi Mondiali arrivano in un momento molto complesso per l’atletica mondiale, tra l'elezione del 19 agosto di Sebastian Coe alla presidenza della IAAF e alcune recenti inchieste e rivelazioni che hanno messo sotto la lente d’ingrandimento i risultati di tutte le competizioni tra il 2001 e il 2012. Si parla di un enorme numero di medagliati olimpici e mondiali con valori ematici sospetti, oltre che di un 30 per cento di atleti che avrebbero ammesso, in questionario anonimo, di essersi dopati a Daegu 2011.

 

Lontano dai fatti di cronaca, in pista, tra pochi giorni andranno in scena gare di altissimo livello. Finora il 2015 è stato un anno eccezionale per la qualità dei risultati raggiunti in molte discipline. Quattro record del mondo sono caduti nel corso dell’anno e altri quattro potrebbero essere battuti a Pechino. Di questi, tre durano da oltre vent’anni. Ecco alcune delle cose più interessanti della rassegna che sta iniziando.

 



Il 24 luglio, dopo una prima parte di stagione disastrosa, Bolt è tornato a farsi vedere su buoni livelli. Nella tappa londinese della Diamond League, il fenomeno giamaicano ha corso due volte i 100 nel giro di un’ora, ottenendo in entrambe le occasioni 9’’87. In batteria ha dato una dimostrazione di forza notevole, mentre in finale è sembrato faticare di più. Nonostante abbia dimostrato di essere ancora un atleta di alto livello, le liste 2015 mettono in luce le sue difficoltà. Nei 100 hanno fatto meglio di lui in cinque, mentre nei 200 è scivolato fino al diciannovesimo posto con il 20’’13 ottenuto a Ostrava a fine maggio.

 

Sia sui 100 che sui 200, il favorito è l’americano Justin Gatlin. Nella distanza più breve è stato l’unico a scendere sotto i 9’’80 e ci è riuscito quattro volte, spingendosi fino al 9’’74 che rappresenta il suo primato personale a 33 anni. Nei 200 ha i primi due tempi dell’anno, 19’’68 e 19’’57 (nuovo record anche questo). I risultati stratosferici in età avanzata, con due squalifiche per doping alle spalle, hanno generato molte polemiche che, però, non gli possono certo impedire di gareggiare a Pechino né di presentarsi con concrete possibilità di dominare tutte le gare a cui prenderà parte. Se avrà questa stessa condizione di forma anche a partire dal 22, il Bolt visto a Londra non basterà. E anche quello visto a Mosca due anni fa potrebbe incontrare parecchie difficoltà.

 

Dietro i duellanti ci sono altri sprinter che possono dire la loro e sognano l’impresa. Asafa Powell, all’ultimo giro di giostra, spera ancora di riuscire a conquistare quella vittoria individuale che si è fatto sfuggire troppe volte nella prima parte di carriera, quando Bolt ancora doveva esplodere e il suo nemico più pericoloso era la paura. Il suo 9’’81, al momento, lo mette alle spalle di Gatlin. Il terzo atleta più veloce quest’anno è il giovanissimo americano Trayvon Bromell, che ha vent’anni e ha corso i 100 in 9’’84. Se per quest’anno ha già raggiunto i suoi limiti, ed è probabile che sia così, difficilmente sarà in grado di vincere: dovrebbe sperare in una gara sbagliata di troppi avversari. Ma è in corsa per le altre due medaglie.

 

Chi è rimasto in ombra, finora, è Tyson Gay. Probabile che sia il meno forte degli atleti nominati finora, ma è comunque sceso quattro volte sotto i dieci secondi e il suo miglior tempo stagionale, 9’’87, è pari a quello di Bolt. In finale (il 23 agosto) dovrebbe arrivarci senza troppi problemi e non è escluso che possa lottare per le medaglie. Altri due che possono arrivare in fondo sono il francese Jimmy Vicaut e l’americano Mike Rodgers. Vicaut ha eguagliato il record europeo di Francis Obikwelu (9’’86) ed è lo sprinter più forte attualmente in circolazione nel Vecchio continente. Rodgers è andato leggermente più lento (9’’88), ma è molto regolare: quest’anno è sceso già dodici volte sotto i dieci secondi. L’ottavo finalista è difficile da pronosticare, visto che altri nove atleti presenti a Pechino sono stati capaci di scendere sotto i dieci secondi nel 2015. Kemar Bailey-Cole ha dato forfait per infortunio, mentre Keston Bledman, che quest’anno ha corso in 9’’86, avrebbe le potenzialità, ma in passato nei momenti importanti si è sempre sciolto come neve al sole. I tre più indicati sembrano essere il giamaicano Nickel Ashmeade, l’ex nigeriano (oggi qatariota) Femi Ogunode e il canadese Andre De Grasse, che tre anni fa giocava a pallacanestro. Oggi ha ventun anni e fa 9’’95.

 

https://www.youtube.com/watch?v=KjeGxZLy5sM

24 luglio: a Londra, Bolt corre due volte i 100 in 9’’87 nonostante un forte vento contrario. Questa è la finale.



 

Sui 200 (finale il 27 agosto), il discorso per la vittoria sembra chiuso: se Gatlin è in forma solo un grandissimo Bolt può batterlo. Tra chi lotta per le medaglie e per la finale vanno segnalati i ventenni Miguel Francis e Zharnel Hughes, che quest’anno sono scesi a 20’’05. Hanno un futuro di altissimo livello davanti a loro, ma pure il presente non è male. Secondo

,

. La stessa rivista assegna l’argento ad Ashmeade. Bisogna considerare che si prevedeva l’assenza di Bolt, che invece pare intenzionato a difendere i suoi titoli. Una corsia verrà quasi sicuramente racimolata dal sudafricano Anaso Jobodwana, che è riuscito a piazzarsi bene sia nel 2012 che nel 2013.

 

C’è poi da segnalare il ritorno di due vecchi leoni. Il primo è l’americano Wallace Spearmon, un talento mai completamente realizzato che a 22 anni, nel 2006, fu in grado di correre in 19’’65, tempo che lo colloca ancora oggi all’ottavo posto tra i duecentisti più veloci di sempre. È l’eterno piazzato e non scende sotto i 20 secondi dal 2012, ma con questo lotto di partenti una medaglia non è fuori dalla sua portata. L’altro è il panamense Alonso Edward. Nel 2009, ai Mondiali di Berlino, conquistò l’argento arrivando alle spalle di Bolt. Aveva vent’anni e sembrava destinato a mettergli i bastoni tra le ruote nelle stagioni successive, ma scomparve quasi completamente dai radar. L’anno scorso è tornato a buoni livelli e quest’anno, ancora più di Spearmon, sembra in grado di giocarsi una medaglia. I giamaicani Rasheed Dwyer e Julian Forte, l’americano Isiah Young e il cubano Roberto Skyers, sebbene abbiano ottenuto ottimi tempi, sembrano meno pericolosi.

 



Da quando Bolt conquistò il centro della scena, sette anni fa, si sono disputate trenta finali olimpiche e mondiali nelle tre discipline più veloci (100, 200 e 4x100). Ventiquattro vittorie sono andate alla Giamaica, cinque agli Stati Uniti e una alla Russia. Un dominio praticamente assoluto dei caraibici, che hanno dettato legge quasi senza opposizione. Stavolta i ruoli rischiano di invertirsi. La Giamaica è favorita solo nei 100 donne (finale il 24 agosto), dove Shelly-Ann Fraser-Pryce ha buone possibilità di indossare l’ennesimo oro di una grande carriera. Probabilmente dovrà impegnarsi fino in fondo, ma è la più forte del mazzo. Per il resto, i pronostici parlano a favore degli Stati Uniti. Se nei 100 e 200 uomini molto dipende dalle reali condizioni di Bolt, che finora ha giocato a nascondino, nelle 4x100 (il 29 agosto) la differenza è molto marcata: si è vista a inizio stagione ai Mondiali di staffetta di Nassau, ma l’impressione è che la forbice si sia allargata.

 

Tra gli uomini, gli americani possono contare su quattro atleti da medaglia in gara individuale, mentre i giamaicani hanno solo Bolt e Powell su quel livello. O gli ultimi due primatisti mondiali tirano fuori un coniglio dal cilindro o, a meno di grossi errori, gli Stati Uniti sono una spanna sopra. Tra le donne il pronostico è più aperto, ma pende a favore delle americane. Anche loro hanno vinto i Mondiali di staffetta e, tra le iscritte ai 100 metri, possono contare su quattro atlete tra le prime dieci, mentre a parte Fraser-Pryce la Giamaica ha solo Sherone Simpson (decima) in top ten. Subito alle sue spalle c’è Veronica Campbell-Brown, che sembra aver perso lo smalto dei tempi migliori. Su sei gare di velocità pura, la Giamaica gode dei favori del pronostico solo per una, mentre gli USA sembrano avvantaggiati in quattro. Nei 200 donne (finale il 28 agosto) la gara è apertissima, ma per scelta di un’americana.

 



Se Allyson Felix corresse i 200 metri, li vincerebbe quasi di sicuro. È la migliore duecentista degli ultimi dieci anni, la quarta più veloce di tutti i tempi. Su cinque ori che gli Stati Uniti sono riusciti a strappare alla Giamaica, lei ha messo lo zampino in quattro. Ha vinto quattro finali olimpiche e otto ori mondiali tra 200, 4x100 e 4x400. Quest’anno è stata l’unica a scendere sotto i 22 secondi nel mezzo giro, con 21’’98, ed è in ottime condizioni di forma.

 

Ma Allyson Felix, salvo ripensamenti dell’ultimo minuto, non correrà i 200. È iscritta alla gara, ma c’è una sovrapposizione di orari con i 400 (finale il 27 agosto). Sul giro della morte, Felix non ha mai vinto una finale. È presenza fissa nella staffetta, che con lei in pista non ha mai perso. Stavolta ha intenzione di mettersi in proprio. A Daegu 2011 arrivò seconda per tre centesimi alle spalle della botswana Amantle Montsho. Quest’anno Montsho non si presenterà, perché è fuori per doping.

 

Felix può contare anche sulla scarsa vena dimostrata finora dalla britannica Christine Ohuruogu (oro olimpico proprio a Pechino e campionessa mondiale nel 2007 a Osaka e nel 2013 in Russia) e sull’assenza di Sanya Richards Ross, connazionale e campionessa olimpica in carica. Le avversarie forti non mancano: quella con il miglior tempo quest’anno è l’americana Francena McCorory, eterna piazzata nelle gare individuali. I loro primati personali danno in vantaggio McCorory, 49’’48 contro 49’’59. La possibile sorpresa è la giovane Shaunae Miller, che quest’anno è scesa fino a 49’’92.

 

Messa davanti a due possibilità Felix ha deciso di tentare la via più difficile e di rinunciare a un oro praticamente certo. Le avversarie non mancano, ma se dovesse farcela sarebbe una soddisfazione non da poco.

 

http://www.dailymotion.com/video/x30hdzx_allyson-felix-wins-200-m-in-diamond-league-stokholm-2014_sport

La vittoria di Allyson Felix nella tappa a Stoccolma della Diamond League 2014.



 



Gli 800 metri saranno la gara tecnicamente più interessante tra quelle del mezzofondo e del fondo maschili. Il livello dei partecipanti è altissimo. Il keniota David Rudisha, campione mondiale 2011 e olimpico 2012 e tre volte primatista mondiale, è tornato dopo una pausa per infortunio. Nel 2012 fu capace di fare il record a Londra, con due turni di qualificazioni nelle gambe e senza lepri. Fu la finale più veloce di tutti i tempi su questa distanza: sette atleti su otto ottennero il primato personale. Quest’anno è stato battuto più volte nei meeting e sembra in difficoltà.

 

Almeno altri quattro atleti vanno a Pechino per vincere. In testa alla graduatoria 2015 c’è un ragazzo bosniaco che fino a poche settimane fa era quasi sconosciuto: si chiama Amel Tuka, ha 24 anni e nel giro di un anno è migliorato di circa tre secondi e mezzo nei due giri di pista. Si è fatto conoscere la sera di Monaco, pochi minuti prima che Genzebe Dibaba battesse il record del mondo dei 1.500 femminili. Quella notte ha corso in 1’42’’51, sconfiggendo tre avversari formidabili che sono tra i candidati all’oro. Uno, Ayanleh Souleiman, ha 22 anni, viene dal Gibuti ed è compagno di allenamenti proprio di Dibaba. Ai Mondiali di due anni fa ha conquistato il bronzo, mentre l’anno scorso ha vinto l’oro iridato indoor sui 1.500.

 

Tra i pretendenti c’è anche l’etiope Mohammed Aman, campione mondiale 2013. Come si è visto a Mosca, sa come muoversi in gruppo e sa cogliere l’attimo per l’attacco decisivo. Il favorito d’obbligo è Nijel Amos. L’atleta del Botswana ha ventuno anni ed era in pista la notte in cui Rudisha fece il suo capolavoro. Finì alle spalle del keniota, staccato di quasi un secondo, ma capace comunque di ottenere il record mondiale juniores con 1’41’’73. Un tempo che eguagliava al centesimo quello ottenuto nel 1981 dall’inglese Sebastian Coe nel 1981, primato mondiale imbattuto fino al 1997. Quest’anno è il più forte, ma ha dimostrato di essere vulnerabile.

 

Rudisha è in difficoltà. Gli converrebbe rimanere nascosto e cercare di giocarsi le sue carte in volata, ma non è abituato a muoversi in mezzo al gruppo. Ma se prova a condurre la gara, viene battuto in volata. Amos ha il problema opposto. Quest’anno ha spesso sconfitto Rudisha in gare molto simili tra loro: si mette alle spalle del keniota, aspetta l’ultima curva e poi lo supera nel rettilineo finale. Ma ai Mondiali questa tattica potrebbe non funzionare, per due motivi. Primo, perché Rudisha potrebbe decidere di non mettersi più in testa. Secondo, perché se anche lo facesse e si arrivasse in volata, Amos si troverebbe a fronteggiare almeno tre avversari che lo possono battere in quel contesto: Tuka, Souleiman e Aman. Dovrebbe attaccare e provare a fare il vuoto prima degli ultimi 100 metri, imitando la condotta di gara di Rudisha tre anni fa, ma servono una condizione di forma eccellente e un’enorme fiducia nei propri mezzi. La finale si correrà il 25 agosto. Può avere diversi svolgimenti e questo la rende imprevedibile come poche in questa rassegna.

 

Peserà l’assenza dell’americano Nick Symmonds, argento a Mosca due anni fa. La federazione americana l’ha lasciato a casa perché si è rifiutato di firmare un contratto che lo obbligherebbe a indossare capi Nike anche fuori dalla pista. Essendo sponsorizzato Brooks, sostiene che la cosa lo danneggerebbe economicamente. Accusato di scarso patriottismo, ha replicato così in un’intervista all’

: «Questo è il mio lavoro. Questo non è un hobby per me. Questa è la mia carriera». Ora si lavora per evitare che la stessa situazione si ripeta tra un anno con le Olimpiadi di Rio. Nel frattempo il pubblico perde un atleta che in gara avrebbe potuto dire molto. Symmonds non è il primo mezzofondista americano a litigare ferocemente con la sua federazione. Poco più di quarant’anni fa un altro atleta, Steve Prefontaine, fece fuoco e fiamme per rivendicare i propri diritti. Tra questi, la libertà di sponsorizzare le scarpe da corsa di una piccola azienda dell’Oregon, che era agli albori della sua storia: la Nike.

 

https://vimeo.com/47355400

La finale degli 800 metri a Londra 2012, con il nuovo record del mondo a opera di Rudisha: 1’40’’91.



 



Il favorito per i 5.000 (29 agosto) e i 10.000 (22 agosto) è il britannico di origine somala Mohamed Farah, campione mondiale e olimpico su queste distanze e oro anche a Daegu 2011 sulla distanza più breve. Recentemente Farah è stato accusato di aver saltato due test antidoping (al terzo scatta la qualifica) poco prima delle Olimpiadi di Londra. Il suo allenatore, l’americano Alberto Salazar, è accusato da più parti di aver dopato i suoi atleti nel corso degli anni. Mo Farah ha risposto proclamandosi innocente e dichiarando di voler rendere pubbliche le sue analisi del sangue.

 

Intanto, a Pechino punta alla terza doppietta di seguito. La vittoria in volata dovrebbe essere quasi scontata, a meno che qualcuno non provi a far saltare la corsa forzando i ritmi. I suoi tempi sono molto buoni, quindi se sarà in forma perfetta difficilmente sarà battibile. Ma se non lo sarà, potrebbe andare in crisi e perdere. L’ultimo che provò una tattica del genere fu l’eritreo Zersenay Tadese, nei 10.000 di Berlino 2009. Bekele era molto più forte di lui in volata, quindi decise di alzare il ritmo a metà gara. Nei 4.600 metri successivi seminò tutti, mentre l’etiope rimase con lui fino all’ultimo giro. A quel punto Bekele, che era ancora nel pieno delle forze, fece partire la volata e vinse. Non elegante, ma efficace. Benché non abbia funzionato, Tadese sapeva quello che faceva.

 

Due anni prima, usando una condotta simile ai Mondiali di campestre, costrinse l’etiope al ritiro e vinse. E sui prati Bekele era forse persino più forte che in pista. Se qualcuno vuole battere Mo Farah deve correre nello stesso modo e sperare che il britannico non sia in grande condizione. Ma chi può farlo? Difficilmente ci proverà un atleta da solo: Galen Rupp, che è americano ed è allenato a sua volta da Salazar, ne avrebbe le capacità, ma è improbabile che spenda le sue energie per portare all’ultimo giro Farah e altri, col rischio di non salire nemmeno sui gradini ai lati del podio.

 

Un’imboscata del genere può essere organizzata solo in due casi: o da un singolo con il coraggio e le qualità di Tadese, e non si vede nessuno del genere all’orizzonte, o a tavolino in un gioco di squadra. Tradotto nel mondo del fondo su pista, questo significa Kenya ed Etiopia. Il Kenya ha tre atleti in grado di scendere sotto i 27 minuti nei 10.000, l’Etiopia ne ha quattro capaci di stare sotto i 13 nei 5.000. Se si organizzassero, potrebbero imporre ritmi alti e vedere le carte di Mo Farah. Il problema è che a queste due Nazionali manca un leader. Se in pista per l’Etiopia ci fosse qualcuno come Haile Gebrselassie o Kenenisa Bekele, forse si potrebbe vedere una gara pianificata in questo modo. Non c’è qualcuno che sia indiscutibilmente il più forte e quindi nessuno ognuno corre la sua gara. Con grande gioia di Farah.

 

http://www.dailymotion.com/video/x30r108_2012-london-olympics-10k-mo-farah-wins-last-3-laps_sport

 



La donna più attesa a questi Mondiali è la protagonista annunciata del mezzofondo femminile: dopo aver battuto quattro record del mondo al chiuso e quello dei 1.500 all’aperto, la ventiquattrenne etiope Genzebe Dibaba si presenta a Pechino per dimostrare di essere la più forte del mondo anche quando ci si gioca qualcosa d’importante. Inizialmente sembrava che avrebbe corso solo i 5.000 (30 agosto), ma pare che abbia cambiato idea e che proverà la doppietta con i 1.500 (25 agosto). Dibaba è decisamente la più forte in entrambe le gare, ma la sua vittoria non è scontata.

 

I 5.000 si correranno a un ritmo alto, l’avversaria più temibile è la connazionale Almaz Ayana: sono coetanee e sono le uniche due iscritte in grado di scendere sotto i 14’20’’. Per quanto Ayana abbia il personale migliore (14’14’’32), Dibaba sembra avere maggiori margini di miglioramento. Ayana è meno forte in volata e questo la costringerà a tenere un ritmo alto, se vuole vincere, ma potrebbe non bastarle. Dibaba, però, arriverà alla finale dei 5.000 dopo una settimana più intensa, perché avrà sulle gambe anche tre turni sui 1.500. Qui la fuoriclasse etiope è chiamata a fare la gara, per non complicarsi inutilmente la vita in una volata rischiosa. È vero, come dice lei, che ha una buona velocità di base, ma anche le altre non ne difettano. Senza contare che, in una gara breve come i 1.500, se i ritmi sono bassi c’è il rischio di trovare traffico negli ultimi 200 metri.

 

Perdere una medaglia così, per una con le qualità per scrivere la storia dell’atletica, sarebbe piuttosto sciocco. A questo va aggiunto che, come Symmonds, Dibaba vive del suo lavoro e della capacità di trovare buoni sponsor. Sotto questo aspetto, per diventare un’icona e monetizzare di più la propria bravura, conta anche

si vince. E vincere con una fuga da lontano non è la stessa cosa che aspettare l’ultimo rettilineo.

 



Quattro record mondiali rischiano di cadere. Uno di questi ha festeggiato i vent’anni da poco ed è di Jonathan Edwards. Il 7 agosto 1995, ai Mondiali di Göteborg, il britannico diventò il primo uomo al mondo capace di superare i 18 metri nel salto triplo. Lo fece due volte in una gara: la prima volta atterrò a 18.16, mentre la seconda si spinse fino a 18.29. Il suo record è ancora lì, ma quest’anno ci sono due atleti che si stanno dando battaglia sulle pedane di tutto il mondo. Con un po’ di fortuna, a Pechino potrebbero dar vita a un duello come non se ne vedevano da Tokyo 1991, quando Mike Powell e Carl Lewis diedero vita alla più bella gara di salto in lungo di tutti i tempi e il primo fece un record del mondo epocale.

 

I due triplisti sono il ventiduenne cubano Pedro Pablo Pichardo e il venticinquenne statunitense Christian Taylor. I loro nomi sono noti da diversi anni. Taylor è stato campione mondiale a Daegu 2011 ed è campione olimpico in carica, mentre Pichardo è arrivato secondo a Mosca due anni fa. Per batterlo, il francese Teddy Tamgho ha dovuto saltare a 18.04, diventando il terzo triplista della storia a superare i 18 metri. Il quarto e il quinto ce l’hanno fatta quest’anno, due volte a testa, nel corso di duelli mozzafiato. Pichardo è arrivato fino a 18.08, Taylor ha fatto due centimetri in meno. Ma se la prima fase della stagione ha sorriso al cubano, negli ultimi confronti ha prevalso lo statunitense. Dietro di loro, quest’anno gli avversari più vicini si sono fermati a mezzo metro di distanza. Nessuno sembra in grado di impensierirli (purtroppo Tamgho è infortunato). Con un po’ di fortuna, il 27 agosto potrebbe andare in scena una sfida epocale.

 

https://www.youtube.com/watch?v=cKBfvDSfB6E

Pichardo (18.06) batte Taylor (18.04) nel meeting di Diamond League tenutosi a Doha.



 



I 2.45 nel salto in alto del cubano Javier Sotomayor durano dal 1993, ma stavolta rischiano. Il qatariota Mutaz Essa Barshim, che ha un personale di 2.43 ottenuto l’anno scorso, sembra in grado di sferrare l’attacco decisivo. Non è il solo in grado di grandi cose: gli iscritti che in carriera sono riusciti a superare i 2.40 sono cinque. Il più pericoloso è l’ucraino Bohdan Bondarenko, campione mondiale in carica, capace di inarcarsi fino a 2.42 l’anno scorso. Quest’anno è sembrato in difficoltà e si è fermato cinque centimetri più in basso, ma resta un saltatore formidabile. Il connazionale Andriy Protsenko e il canadese Derek Drouin hanno entrambi un personale di 2.40. Quest’anno sono lontani, ma non lontanissimi da quella misura.

 

Non bisogna poi dimenticare il russo Ivan Ukhov. In carriera è stato capace sia di presentarsi ubriaco in pedana (nel 2008 a Losanna) che di vincere l’oro olimpico (tre anni fa a Londra). Per quanto discontinuo, è un saltatore formidabile che l’anno scorso è stato capace di arrivare fino a 2.41 all’aperto e a 2.42 al chiuso. È imprevedibile, ma se è in giornata è fortissimo. Il padrone di casa è il cinese Guowei Zhang. Quest’anno si è spinto fino a 2.38, ma gioca in casa e il tifo può spingerlo a superarsi nuovamente. Tra i primi ci sono anche due italiani, Gianmarco Tamberi e Marco Fassinotti. Entrambi sognano una medaglia: non è impossibile, ma per farcela dovranno superarsi nella finale del 30 agosto.

 



Un altro tentativo di record del mondo può arrivare dal salto con l’asta, il 24 agosto: Renaud Lavillenie è uno degli unici due atleti in gara in grado di superare i sei metri. Ma mentre l’americano Brad Walker ci riuscì l’ultima volta sette anni fa, quest’anno il francese è arrivato a 6.05. Il sogno è quello di riuscire a sconfiggere il mito Serhij Bubka, il più grande astista mai esistito. Al chiuso ci è già riuscito l’anno scorso: il suo 6.16 ha migliorato di un centimetro il 6.15 che l’ucraino realizzò nel 1993. All’aperto, Bubka si è spinto fino a 6.14, mentre Lavillenie si è fermato nove centimetri più in basso. Non sono pochi, ma non sono nemmeno una distanza siderale. Soprattutto per uno che è già salito così tanto al chiuso.

 

https://www.youtube.com/watch?v=mvA7AZEyciM

Il salto a 6.16 con cui Lavillenie ha sottratto a Bubka il record del mondo.



 



Che i kenioti fossero fenomenali nelle corse di lunga lena e i caraibici dei forti velocisti non è mai stato un mistero. Che entrambi potessero arrivare a dominare il giavellotto, pochi avrebbero mai potuto prevederlo. Eppure, è così. Il miglior lancio dell’anno è del keniota Julius Yego, che con 91.39 ha fatto il record africano e rispetto all’anno scorso si è migliorato di oltre cinque metri. Lo segue a ruota, con 90.16, il trinidegno

, campione olimpico in carica. Nessuno, fino a pochi anni fa, avrebbe mai previsto nulla di simile. Sarebbe come immaginare un etiope e un finlandese in lizza per vincere i 100.

 

La gara non è solo tra loro due. Il tedesco Thomas Rohler potrebbe avere qualche freccia al suo arco: quest’anno è salito fino a 89.27. Alle sue spalle c’è un atleta rinato: si tratta del finlandese Tero Pitkämäki, veterano che si era allontanato dalle vette delle classifiche per qualche anno. Si è rivisto nel 2013 a Mosca, dove ha dato una spallata che gli ha portato l’argento. Quest’anno il suo giavellotto si è allontanato fino a 89.09 metri. Non abbastanza per avvicinarsi a Yego, ma sufficienti a ricordare che lui ha più di chiunque altro i numeri per fare un lancio in grado di uccidere la gara del 26 agosto.

 

Anche il ceco Vitezslav Vesely, campione mondiale uscente, può dire la sua. Nessuno, però, è in grado di scalfire il record mondiale del ceco Jan Zelezny, che 19 anni fa fece volare l’attrezzo fino a 98.48 metri di distanza. Un primato nei lanci può invece arrivare nel martello femminile, dalla sua stessa detentrice: si tratta della polacca Anita Wlodarczyk, che quest’anno è arrivata fino a 81,08 metri battendo il suo record di un anno fa. Non è detto che il 27 agosto non riesca a rivedere la misura nel Nido d’Uccello.

 



Oltre a chi è già stato citato, vale la pena ricordare alcuni altri atleti che non saranno a Pechino. Vale la pena di iniziare dal dominicano Félix Sánchez, il più grande degli ultimi 15 anni sui 400 metri ostacoli. Il 30 agosto compirà 38 anni e questo è il primo Mondiale che salta da quando ha iniziato, nel 1999. Ha vinto due ori olimpici e due ori mondiali, è sceso fino a un sontuoso 47’’25, ma soprattutto ha emozionato molti appassionati con la sua storia. L’anno prossimo sarà difficile vederlo a Rio de Janeiro.

 

Non ci sarà per infortunio la neozelandese Valerie Adams, vincitrice degli ultimi quattro Mondiali e delle ultime due Olimpiadi nel getto del peso. Non ci sarà l’etiope Meseret Defar, ferma per maternità come l’eterna nemica Tirunesh Dibaba. Non si vedrà nemmeno Caster Semenya, ferma per infortunio da molto tempo. Sogna di vincere le Olimpiadi l’anno prossimo, sette anni dopo l’oro negli 800 donne conquistato ai Mondiali di Berlino. Aveva diciott’anni quando dominò quella gara. Nessuno le fece i complimenti, nonostante il tempo spaventoso. Per mesi si parlò dell’eventualità che fosse un uomo, fu sottoposta a test e alla fine le fu permesso di continuare a gareggiare come donna. Diciott’anni sono pochi, per passare dei mesi trattata come una via di mezzo tra un mostro e uno scherzo della natura. Un giorno, quando l’umanità avrà fatto qualche progresso, non sarà sbagliato chiederle scusa.

 

Chiaramente mancherà il giamaicano Yohan Blake, che doveva essere l’erede di Bolt e invece sta provando a risolvere i suoi mille infortuni. Mancheranno all’appello quasi tutti i russi della marcia, decimati da uno degli scandali di doping più clamorosi degli ultimi anni: sono stati dopati a decine e pare che la federazione russa abbia deciso di mandarne a Pechino solo uno, Aleksandr Yargunkin. Tutti gli altri dovrebbero essere sospesi finché un’indagine interna non sarà conclusa. Così come il loro allenatore, Viktor Chegin.

 

Ci sono molte altre assenze, impossibile ricordarle tutte. Ma una merita due righe: si tratta di Kira Grünberg, primatista austriaca di salto con l’asta. Ha compiuto 22 anni pochi giorni fa, il 13 agosto, e ha passato il compleanno in ospedale: il 30 luglio, in allenamento, è caduta ed è rimasta paralizzata dal collo in giù. Probabilmente a Pechino non ci sarebbe stata comunque, ma la sua assenza è la più dolorosa di tutte.

 
 

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