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Gianni Galleri
La rissa che portò la Bulgaria a USA '94
01 lug 2021
01 lug 2021
La Bulgaria del 1994 non sarebbe stata possibile senza una finale di Coppa finita a pugni qualche anno prima.
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Gianni Galleri
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La Bulgaria del 1994 è stata una delle squadre più iconiche degli anni Novanta, una delle formazioni che per eccellenza ha rappresentato il passaggio dal calcio socialista a quello post-sovietico. Sulle teste di quei calciatori, che portavano ancora con sé i calcinacci di un sistema appena crollato, gravitava una globalizzazione che li avrebbe resi famosi in tutto il mondo.


 

Da un punto di vista puramente calcistico quella era una buona nazionale, dove sulla cultura sportiva del blocco sovietico si erano impiantati i semi del più moderno calcio dell'Europa Occidentale. Non era una formazione di campioni, ma una squadra spietata che aveva approfittato di tutte le possibilità offerte dal campo. Il trionfo da cineteca, allo scadere, contro la Francia nelle qualificazioni, il girone passato grazie alla vittoria sull’Argentina già qualificata, i rigori con il Messico e infine il capolavoro contro la Germania. L’incrocio con un Roberto Baggio in stato di grazia aveva spezzato l’incantesimo e la Bulgaria non era andata oltre il quarto posto, con una sonora sconfitta nella finalina contro la Svezia. Noi ci siamo ritrovati di fronte a quello spettacolo senza sapere nulla di cosa ci fosse dietro. Ma la verità è che quella Nazionale aveva una lunga strada alle sue spalle. Che iniziava in un giorno preciso, il 19 giugno 1985.


 

Di fronte come sempre CSKA e Levski


Allora si disputava l’ultimo atto della nuova coppa nazionale, la Coppa di Bulgaria. Il trofeo era stato introdotto nel 1981, in occasione dei 1300 anni dello stato bulgaro. Le prime due edizioni non erano state neanche riconosciute dalla UEFA, perché a quel tempo il secondo trofeo del Paese (dopo il campionato) era la Coppa dell’Esercito Sovietico. Questa competizione era stata istituita nel secondo dopoguerra e dava diritto alla partecipazione alla Coppa delle Coppe. Nel 1983, la Coppa di Bulgaria sostituì per importanza la vecchia competizione che, pur rimanendo in piedi, perse lentamente fascino, fino alla definitiva scomparsa dopo il crollo dell'Unione Sovietica. Quel 19 giugno allo stadio Vasil Levski di Sofia si trovarono di fronte le solite due grandi del calcio bulgaro: il Levski e il CSKA. In palio c’era appunto la Coppa di Bulgaria.


 

Le due formazioni della capitale, al tempo, erano le due squadre più importanti del Paese. La prima era stata fondata nel 1914 e prendeva il nome dall’eroe rivoluzionario Vasil Ivanov Kunčev, “l’Apostolo della Libertà”. Insegnante, monaco ortodosso, ideologo del risveglio nazionale bulgaro, fu catturato dai turchi a Loveč e impiccato il 18 febbraio 1873 a Sofia. Era noto a tutti con il nome di Vasil Levski. La squadra indossava una maglia blu ed era da sempre stata ostile al potere costituito, nonostante i tentativi di repressione o di cooptazione. La formazione avversaria, invece, era nata “solo” il 5 maggio 1948, come espressione dell’esercito del nuovo governo socialista, ma velocemente era diventata la squadra più importante del Paese. Fondata come Septemvri pri Cdv, il CSKA era il Club Centrale Sportivo dell’Esercito. Maglia rossa, stemma con la stella a cinque punte, era il simbolo del potere e per questo amata e odiata in egual misura in tutto il Paese.


 

La Bulgaria del giugno del 1985 era un Paese molto diverso da quello che conosciamo oggi. L’inverno precedente il Partito Comunista Bulgaro aveva lanciato il cosiddetto “Văzroditelen protses”, il Processo di Rinascita, ovvero l’assimilazione forzata dei musulmani (turchi, pomachi, tatari e rom) che costituivano circa il 10% della popolazione. I nomi turchi o arabi vennero cambiati con nomi bulgari, fu vietata la lingua turca, così come la religione islamica. Era quindi un momento di grandi tensioni in tutta la nazione. È verosimile pensare che ci fosse paura di un atto terroristico di qualche cane sciolto, anche perché il nascente movimento delle curve non era ancora orientato politicamente. Per lo più i gruppi erano composti da ragazzi “non conformi”, punk, metallari e in genere giovani con lo sguardo verso la cultura occidentale. Durante le partite in curva era pieno di poliziotti in borghese, facilmente riconoscibili in quanto molto diversi dai giovani che affollavano i gradoni. Un forte nazionalismo sarebbe entrato negli stadi bulgari solo intorno agli anni Duemila. A caricare ulteriormente quell’incontro di tensione c’era il fatto che solo un mese prima era avvenuta la tragedia dell’Heysel, e nessuno voleva che succedesse qualcosa di neanche minimamente paragonabile.


 


Nei giorni precedenti all’incontro, la gara era stata caricata da grandi proclami, portati avanti dai ministeri che facevano capo alle due squadre: quello dell’Interno per il Levski e quello dell’Esercito per il CSKA. L’arbitro della gara, il signor Ahmed Jašarov o Asparuh Yasenov (secondo il nuovo nome bulgarizzato), non fu in grado di gestire la grande tensione e sbagliò molte interpretazioni. Pensò che la strada migliore fosse quella di tenere basso il profilo, non sanzionando i calciatori e lasciando correre. In questo modo però dette il diritto a chi voleva trasformare il campo da gioco in una guerra di legiferare e arrivare fino alle maniere forti.


 

Cronaca di una rissa


Il primo parapiglia avvenne dopo una ventina di minuti di gioco. Georgi Slavkov, imbeccato da un lancio dalle retrovie, si portò avanti il pallone con un tocco di braccio e segnò il vantaggio del Cska. Non contento andò a esultare sotto il settore occupato dai tifosi del Levski, mostrando loro il dito medio. A nulla servirono le proteste dei giocatori. Nessuno vide la mano e il gol fu convalidato. La rete dell’1-0 inasprì il comportamento in campo: iniziarono le provocazioni, le proteste e gli accenni di rissa.


 

La ripresa si aprì con una punizione dal limite molto dubbia accordata a Plamen Markov. Iliya Voynov dal limite trovò il secondo palo per il 2-0. Pochi minuti dopo l’arbitro abboccò a una simulazione di Slavkov, assegnando un calcio di rigore al CSKA. Le proteste furono veementi con il portiere Borislav Mihaylov sugli scudi. Il numero uno e giocatore simbolo della propria squadra, nonché della nazionale, spintonò diverse volte l’arbitro, senza però rimediare neanche un cartellino. La partita tuttavia rimase aperta, perché proprio il portiere respinse il rigore del possibile 3-0. A un quarto d’ora dalla fine, Plamen Nikolov colpì il giocatore del CSKA, Radoslav Zdravkov, causandogli una ferita sulla gamba. Sui televisori a colori di tutta la Bulgaria si vide il rosso del sangue.


 

Kostadin Yanchev del CSKA atterrò Emil Spasov dal Levski, che rialzandosi lo afferrò per la gola. In quel momento, un giovane di 19 anni della squadra dell'Esercito di nome Hristo Stoichkov intervenne, prendendo a sua volta Spasov al collo. La confusione a quel punto era fuori controllo ed entrarono in campo anche gli allenatori e i massaggiatori. Ci fu ancora tempo per tre tardive espulsioni (Nikolov e Yanchev del Cska e Spasov del Levski) e per il rigore del 2-1 preso e trasformato da Nasko Sirakov.


 

Partita finita, animi distesi? Neanche per sogno. L’arbitro venne accerchiato in campo dai giocatori del Levski. A guidarli c’era Bobi Mihaylov, che dopo aver corso per 50 metri spintonò diverse volte il direttore di gara. Anche Sirakov assestò uno o due pugni, ripresi dalla diretta televisiva. Una volta entrati nel tunnel e al riparo da occhi indiscreti i calciatori persero ogni freno inibitore e si scatenò un tutti contro tutti. I giocatori del Levski presero a calci l'arbitro e - pare - ruppero anche la Coppa.


 

Si racconta di un filmato che era riuscito a catturare tutte queste immagini, ma a quanto dicono le voci (mai confermate) le prove vennero distrutte. E anche di una foto, prontamente fermata dalla censura, che stava per essere pubblicata dal quotidiano Naroden Sport. Nell’immagine Sirakov dava un pugno in faccia a Stoichkov. Ma questa non è l’unica versione. C’è anche chi ritiene che nel tunnel non successe niente di grave. Forse giusto qualche spinta, come dichiarato dal capitano del CSKA Georgi Dimitrov o da Sirakov nella sua autobiografia.


 


Foto di PASCAL GUYOT/AFP via Getty Images


 

Quello che successe dopo


Come riportato dal libro “La storia segreta del calcio bulgaro” (Taynata istoriya na bŭlgarskiya futbol) di Stanil Yotov, proprio per prevenire eventuali problemi sugli spalti dello stadio, il regista TV Viktor Georgiev e la sua squadra avevano ricevuto dal Ministero dell’Interno l’ordine di filmare in dettaglio le tribune, dove si presumeva avrebbero potuto assieparsi elementi sospetti e provocatori. Tuttavia, Georgiev, che era considerato un giovane e promettente regista, non seguì la linea e non si perse uno scontro sul campo da gioco. Le sei telecamere di ottima qualità messe a disposizione dal Governo ripresero perfettamente le espressioni e la rabbia dei giocatori in campo. All’occhio del regista non sfuggirono gli scontri fra avversari e le minacce all’arbitro. La televisione nazionale diffuse le scene di due squadre che si prendevano a calci invece di giocare la partita. Lo spettacolo fu indecente: pare che Georgiev ricevette addirittura una telefonata dai piani alti a fine primo tempo. Ad ogni modo, il regista non ascoltò nessuno e continuò per la sua strada trasmettendo la partita in tutti i suoi dettagli. L’intera Bulgaria aveva assistito a questo spettacolo ritenuto da molti indegno.


 

E così sia Georgiev che il telecronista, il leggendario giornalista Nikolai Kolev, rischiarono il posto. Kolev a fine partita fuggì verso il suo villaggio natale Lazarstanevo (ora Toros) a 100 chilometri da Sofia, rendendosi irreperibile e rimanendo al sicuro per qualche giorno. Al regista venne chiesto di scrivere una lettera di dimissioni per non dover essere licenziato in modo più infamante. Georgiev qualche tempo dopo ha raccontato che uno dei generali aveva promesso addirittura di farlo diventare un riservista per due anni, come vendetta per la telecronaca.


 

I fatti di quella partita, però, assunsero un’importanza troppo grande per limitarsi al campo da gioco. Al Politburo del Partito Comunista Bulgaro presero la cosa in maniera molto seria. Si dice che lo stesso Todor Zhivkov, padre delle Bulgaria Socialista, fosse andato su tutte le furie a causa dello spettacolo indecente offerto dai giocatori. Il verdetto finale fu durissimo: squalificati a vita Mihaylov, Nikolov, Velev e Spasov del Levski. Questi ultimi due avevano già firmato un contratto per il Porto e il loro trasferimento venne annullato. Per il CSKA, invece, Stoichkov pagò per tutti. La coppa fu annullata e il campionato assegnato alla terza in classifica, il Trakia Plovdiv. Il Levski e il Cska furono sciolte.


 

Lo scontro tra queste due squadre non fu però un evento estemporaneo. La misura in realtà era colma già da tempo e il partito non aspettava altro per scorporare le due squadre dai rispettivi ministeri. Già nel febbraio dello stesso anno il Comitato Centrale aveva deciso che le due formazioni dovevano sganciarsi dall’esercito e dal Ministero dell’Interno. Giravano infatti voci di partite truccate, fondi neri, doppia fatturazione, giocatori che guidavano costose macchine tedesche mentre il Paese era colpito dalla crisi economica. Questo non era tollerabile in un momento storico così delicato. Ma non era accettabile neanche che dagli spalti i gruppi di tifosi lanciassero cori e urla come “Abbasso Levski” o “Morte al CSKA”, che in sostanza era come dire morte all’esercito. Forse, quindi, quella rissa alla fine tornò utile al Partito, che infatti risparmiò Georgiev e Kolev che alla fine avevano permesso di mostrare a tutti la corruzione morale del calcio.


 

I due club vennero quindi rifondati come squadre a sé stanti: il CSKA divenne Sredets, come uno degli antichi nomi della città e oggi quartiere centrale, mentre il Levski prese il nome di Vitosha, come la montagna che sovrasta la capitale (che non ha nulla a che fare con la squadra tanto cara al primo ministro bulgaro Boyko Borisov, il Vitosha Bistritsa che ha disputato recentemente alcune stagioni in prima divisione). Qualche tempo dopo la Bulgaria però si qualificò ai Mondiali e, pur con le loro intemperanze, c’era bisogno di alcuni di quei giocatori radiati dal Partito; le squalifiche a vita furono perciò ridotte a sei mesi e i calciatori tornarono arruolabili per la spedizione messicana.


 

Gli effetti di quella partita però si riverberarono molto oltre quel giugno del 1985 o i Mondiali messicani dell'anno successivo, e segnò un punto di non ritorno per il calcio bulgaro. Da quel momento in poi ci sarebbe stato - relativamente - meno spazio per le combine di palazzo e le squadre che fino ad allora si erano fatte forti con protettori molto in alto, avrebbero dovuto faticare come le altre. Certamente fu una mossa gattopardesca e poco cambiò in realtà negli equilibri calcistici del Paese, ma le formazioni subirono un forte ringiovanimento, e chi aveva offerto quello spettacolo indegno dovette farsi da parte.


 

Lo stesso Stoichkov, di cui si intuivano già le potenzialità, fu portato a Plovdiv e fatto allenare con la squadra militare, in una sorta di esilio che gli permettesse però di non perdersi del tutto. Molti giovani trovarono così spazio nei club più importanti del Paese, accelerando il ricambio generazionale. In particolare, in quegli anni si fece sempre più spazio un gruppo di ventenni o poco più che avrebbe avuto fra i 28 e 33 anni nell’estate del 1994. Una squadra che oggi conosciamo bene, ma che forse senza quella rissa non avremmo mai visto.


 

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