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Rinunciare al controllo
20 mar 2016
Roma e Inter giocano 90 minuti "in folle" che non rappresentano certo il meglio del calcio italiano.
(articolo)
7 min
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Roma-Inter era stata presentata dai media come una sorta di spareggio per la Champions League. Le due squadre, infatti, condividono l’obiettivo del terzo posto (seppur la Roma come obiettivo minimo mentre l’Inter come obiettivo massimo) ed entrambe avevano già affrontato la Fiorentina, l’altra candidata alla medaglia di bronzo del campionato. La sfida quindi avrebbe dovuto decidere idealmente quale delle due squadre meritasse di più la possibilità di accedere al preliminare della massima competizione continentale.

Mancini, molto penalizzato da squalifiche e infortuni (indisponibili Icardi, Palacio, Jovetic e Kondogbia), ha presentato sul prato dell’Olimpico un 4-2-3-1 con Eder a fare l’unica punta e Ljajic ad agire alle sue spalle. Spalletti, invece, nonostante la rosa quasi al completo, ha deciso di optare per il tridente leggero, El Sharaawy-Perotti-Salah, lasciando Dzeko in panchina.

Fin da subito le due squadre hanno dimostrato l’intenzione di non voler forzare l’errore dell’avversario, preferendo aspettare fino alla linea di centrocampo, per compattare contemporaneamente le linee all’interno della propria metà di campo. Il pressing alto è stato casuale, sporadico e individuale da tutte e due le parti nonostante i risaputi limiti dell’Inter nel far uscire la palla pulita dalla difesa e quelli tecnici della retroguardia della Roma nella circolazione bassa del pallone. Secondo i dati Opta, le due squadre hanno recuperato meno del 25% dei palloni nella metà campo avversaria (15 su 61 per la Roma, 13 su 59 per l’Inter) con un’altezza media del recupero del possesso decisamente bassa (35.1 metri per la Roma, 34.2 per l’Inter).

La strategia, sempre se di strategia si può parlare, era quella di invitare la squadra nella propria metà campo in modo da sfruttare la maggiore densità nella zona della palla e ripartire in transizione veloce una volta recuperato il pallone. Una scelta che ha favorito l’intensità e la velocità del gioco a scapito della qualità: la palla si impantanava molte volte a metà campo, contesa in maniera frenetica dai giocatori, e una volta recuperata era quasi subito ceduta all’avversario a causa di errori banali o scelte errate. La percentuale di passaggi riusciti è stata relativamente bassa (83,2% per la Roma, 75,2% per l’Inter, sotto di ben sette punti percentuali rispetto alla sua media stagionale) e le palle perse un’enormità (156 per la Roma, 158 per l’Inter).

In questo panorama, a risentirne maggiormente è stato il gioco della Roma, che ha preferito seguire l’Inter su questa strada invece che portarsi stabilmente nella metà campo avversaria attraverso un possesso ragionato, com’è nelle idee di Luciano Spalletti. I giallorossi hanno avuto molte difficoltà a far arrivare la palla sulla trequarti offensiva. Keita non è quasi mai riuscito a smarcarsi dalla schermatura di Eder e Ljajic (solo 26 passaggi riusciti per lui, il peggiore tra i titolari dopo Szczesny ed El Sharaawy), e i difensori centrali sono stati molto timidi nel portare palla in avanti, con i centrocampisti di maggiore qualità (Pjanic e Perotti) che molte volte si andavano a prendere palla direttamente dai loro piedi.

Manolas è in possesso e ci sono ben quattro giocatori della Roma sotto la linea della palla, mentre Keita è chiuso tra Ljajic ed Eder. Pjanic non lascia altra scelta al centrale greco che consegnargli la palla mentre il resto della squadra aspetta alle spalle del centrocampo dell’Inter.

A inizio azione uno tra Pjanic e Perotti si abbassava sulla trequarti difensiva, mentre Nainggolan insieme ai terzini si alzava su quella offensiva. Una scelta che ha aiutato l’Inter a spezzare il gioco della Roma in due tronconi con i giocatori della trequarti difensiva costretti a dover cercare molto spesso il lancio lungo (saranno 60 a fine partita) o la verticalizzazione pericolosa (213).

L’azione del gol annullato a Salah. Pjanic è sceso sulla trequarti difensiva per prendere il pallone e adesso è isolato dal resto dei compagni (Perotti è schermato, Nainggolan e Florenzi sono lontanissimi). L’unico modo che ha il bosniaco per attaccare la profondità alle spalle della difesa dell’Inter è il lancio lungo.

E questo nonostante l’Inter non facesse della distanza tra centrocampo e difesa un suo punto di forza, con El Sharaawy, Salah e Perotti che si sono ritrovati molto spesso liberi di ricevere alle spalle di Medel e Brozovic.

Una delle poche volte in cui Manolas ha deciso di portare palla fino a metà campo ha scombinato totalmente il sistema di marcature dell’Inter. I nerazzurri hanno portato ben quattro giocatori nella zona del pallone, liberando uno spazio enorme per El Shaarawy che riceve tra le linee.

La scelta di puntare esclusivamente sulle transizioni veloci ha invece pagato per l’Inter, almeno nelle sfide individuali tra le ali, Perisic e Biabiany (per lui 4 dribbling riusciti sui ben 9 tentati), e i terzini giallorossi. Florenzi e Digne, infatti, hanno sofferto la velocità e i dribbling delle due frecce nerazzurre, con El Sharaawy e Salah meno attenti nei raddoppi rispetto al recente passato spallettiano. Perisic in particolare, a parte l’azione del gol, è arrivato diverse volte in area, aiutato da un Florenzi troppo remissivo.

Nell'azione del gol dell'Inter, Manolas sbaglia l’impostazione e regala il pallone a Ljajic. La Roma è ancora spaccata in due e l’unico a poter coprire la transizione è Perotti che però è preso tra Brozovic e Perisic. L’argentino, invece di marcare uno dei due avversari, rimarrà in mezzo, permettendo a Perisic di arrivare facilmente in porta.

Ma se escludiamo i duelli individuali sulle fasce (a cui vanno aggiunti anche quelli difensivi tra Nagatomo e Salah, e D’Ambrosio e El Sharaawy), non si può dire che il gioco dell’Inter abbia aumentato il generale peso offensivo della squadra, anzi. I due giocatori centrali e maggiormente associativi del reparto offensivo nerazzurro, Eder e Ljajic, sono rimasti esclusi dal gioco per larghi tratti, isolati dalle catene laterali e molte volte costretti a lottare sulle palle alte con due colossi come Manolas e Rüdiger (Eder, ad esempio, ha completato solo 14 passaggi, quanto Handanovic, e non è mai arrivato al tiro). In tutti i 90 minuti, l’Inter è arrivata al tiro solo sei volte, di cui due respinti e due finiti fuori dallo specchio della porta.

L’Inter è riuscita a imporre il proprio ritmo all’avversario solo aumentando vertiginosamente l'intensità, una possibilità che per logiche motivazioni fisiche era sostenibile solo per brevi tratti di gara.

D’altra parte, nemmeno la Roma è riuscita ad arrivare in porta in maniera pulita con continuità a causa dei problemi descritti in precedenza. In questo senso, l’entrata in campo di Dzeko, al di là del pessimo impatto tecnico del bosniaco, ha aiutato, gettando un’ombra sulla lettura iniziale della partita da parte di Spalletti. Con Dzeko in campo la Roma è riuscita almeno a sfruttare le seconde palle derivanti dai lanci lunghi, con Murillo e Miranda finalmente impegnati nel contenere il bosniaco (per lui quattro tiri tentati e un’occasione creata in poco più di mezz’ora di gioco).

In definitiva, però, la partita è stata decisamente poco godibile, dal basso livello tecnico e povera di contenuti tattici. A deciderla sono state due giocate individuali nate da errori avversari o da assist casuali. Per entrambi gli allenatori, quindi, non si può dire che la sfida abbia diradato le nuvole sull’orizzonte delle due squadre.

Per la prima volta sotto la gestione Spalletti, la Roma si è ritrovata raramente in controllo del ritmo, scarica mentalmente e stanca fisicamente. I giallorossi non sono riusciti a colmare il gap fisico con un gioco coerente e si sono affidati quasi esclusivamente a giocate individuali, in un inquietante ritorno al recente passato.

Mancini, invece, continua nella sua strategia di estremo adattamento all’avversario, ancora una volta con scarsi risultati. L’Inter assomiglia a tratti ad una squadra inglese di media classifica, costretta ad alzare i ritmi e ad allungarsi pur di sbilanciare in qualche modo l’avversario. E questo nonostante il triangolo di centrocampo nerazzurro presentasse tre giocatori non affatto banali, come Medel, Brozovic e Ljajic.

In entrambi i casi, comunque, Roma-Inter ha mostrato alcune tra le caratteristiche peggiori del calcio italiano, tra squadre che non reggono la pressione fisica e altre che abbandonano qualsiasi pretesa di avere un’identità di gioco.

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