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Tommaso Clerici
Il ring è lo specchio dell’anima, intervista a Gloria Peritore
14 lug 2022
14 lug 2022
Abbiamo parlato con la campionessa mondiale di kickboxing.
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Tommaso Clerici
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In un palazzetto di Milano due ragazze si stanno affrontando in un incontro dilettantistico di kickboxing. Entrambe sono agli inizi: lo si nota dalla foga, dall’impeto con cui combattono, a volte a discapito della pulizia dei colpi e della tecnica, come se volessero lanciare il cuore oltre l’ostacolo. «Vai Gloria, bene così, attacca e poi spostati subito, via da lì», urla il coach alla giovane fighter che sembra in vantaggio dopo le prime battute. È veloce, più incisiva della sua avversaria, che però con un guizzo mette a segno un diretto destro che la scuote. Da quel momento Gloria non è più la stessa: diventa timorosa, incerta nell’azione, è evidente che qualche ingranaggio dentro di lei si è inceppato. Il primo round finisce, le atlete tornano ai rispettivi angoli. Libera dal paradenti, Gloria dice subito: «Basta, per me finisce qui, non me la sento più». Il suo team è sconcertato: il match stava andando bene fino a quel colpo, duro ma fisiologico, inevitabile in un incontro a contatto pieno. Ma Gloria ha deciso: perde la sfida per abbandono e mentre scende dal ring il pubblico rumoreggia stupito. È delusa, incredula, ferita per la sua reazione, inaspettata anche per lei dopo mesi di allenamenti, da quando è stata travolta da una passione bruciante per la kickboxing. Il battesimo del ring è imprevedibile, nessuno sa o può immaginare come andrà finché non lo vive. Chissà in quanti, quel giorno, hanno pensato: “Ecco una ragazza che non rivedremo mai più dentro le corde”.

 

Anni dopo Gloria è cresciuta. Dopo quel match non ha mollato, anzi, di strada ne ha fatta parecchia: oggi è una delle kickboxer più forti e note in Italia e fuori. Gloria Peritore infatti ha vinto 20 incontri su 28 disputati da professionista (i restanti 8 si dividono tra 2 pareggi e 6 sconfitte), si è laureata pluricampionessa mondiale e italiana nella sua disciplina combattendo nei palcoscenici più importanti tra Europa, Asia e Stati Uniti. Fuori dal ring da diverso tempo è il volto di tante iniziative contro la violenza sulle donne, per cui è stata premiata con numerosi riconoscimenti pubblici. Due anni fa ha fondato l’associazione

, chiamata così per via del suo soprannome da fighter (“The Shadow”, l’ombra, per la sua inafferrabilità in combattimento), che vuole essere un network utile a semplificare il percorso di persone, in particolare donne, che cercano di uscire da situazioni difficili, di violenza e sopraffazione.

 

La raggiungo al telefono a tre settimane dal suo ultimo incontro, in cui ha difeso il titolo del mondo ISKA con un pareggio che le va molto stretto per la performance sfoggiata sul quadrato: «Anche il mio match precedente aveva in palio una cintura mondiale, che ho vinto» esordisce nella nostra conversazione. «Disputarne due di fila con titoli così importanti in gioco si è rivelato impegnativo, sia a livello fisico che mentale. L’incontro più recente l’ho combattuto con un infortunio che ho nascosto, la preparazione è stata complicata. Al di là del risultato, me lo ricorderò come una sfida in cui non mi sono divertita né sentita soddisfatta per com’è andata. Paradossalmente ci sono state sconfitte che mi hanno lasciato sensazioni più positive. Non ho avuto modo di esprimermi perché la mia avversaria aveva uno stile scorbutico, legava spesso in clinch spezzando l’azione e così l’incontro ha avuto tantissime interruzioni. Ma ormai è andata, è stata un’esperienza da archiviare ma da tenere comunque nel cassetto. Mi sento già diversa: pensavo di tornare in palestra scarica, meno motivata e invece ho ancora quel desiderio di migliorare che mi spinge a rimettere i guantoni ogni volta».



 


Peritore in uno scatto dall’ultimo match disputato, contro la spagnola Mireia Garcia (via Instagram / @gloriaperitore)


 



Peritore è una di quelle personalità che ha tanto da raccontare oltre alla sua dimensione, pur fondante, di atleta. È solare ed estroversa ma nasconde una vena riflessiva, introspettiva, che la spinge in profondità, sia nelle cose che dentro di sé. Le dico di essere stato colpito da una sua risposta in un’intervista in cui le hanno chiesto cosa direbbe oggi alla sé stessa ragazzina, quella dell’inizio di questo articolo. «Le direi che non è colpa sua», aveva replicato in quell’occasione.

 

Una domanda sulle vicende che si è lasciata alle spalle nella sua vita era quindi inevitabile: «Sono nata a Licata, un comune di poco più di 30mila abitanti in provincia di Agrigento, in Sicilia. La mia è sempre stata una famiglia sana, papà è un medico mentre mamma insegna educazione fisica a scuola. È stata lei a trasmettermi da subito la passione per lo sport, per il movimento. Ho una sorella maggiore, Giorgia, anche se è poco più grande di me, siamo quasi coetanee. Ma pur avendo una base familiare così unita e armoniosa, durante la mia adolescenza ho vissuto una relazione tossica con un ragazzo molto più grande di me, che aveva problemi con la giustizia. Nonostante fossi giovanissima mi sono ritrovata in situazioni ben oltre il limite, che ho dovuto affrontare. È stata un’esperienza distruttiva, mi sono assunta colpe che non erano mie perché mi sentivo debole, incapace di reagire. In realtà ero finita in una trappola psicologica che mi ha messo a dura prova, e le conseguenze sono state pesanti, mi hanno segnata. Ho avuto parecchi strascichi, perché fai fatica ad assolverti: per tanto tempo ho convissuto con attacchi di panico e ansie di diverso tipo che ogni tanto riaffiorano. Non è facile liberarsene. In realtà si deve realizzare di aver agito, e subìto, in balia della paura. È un’emozione che è importante imparare a riconoscere per poterla gestire, perché è quella che ti impedisce di chiedere aiuto, anzi, che non ti fa capire di averne bisogno. La consapevolezza è il primo, fondamentale passo per fuggire da situazioni del genere. E serve anche una buona dose di amor proprio. Se da adolescente mi fossi amata di più, questa storia sarebbe andata diversamente. Ecco perché oggi a quella ragazzina spaventata direi che non è giusto ciò che le sta accadendo, e soprattutto che non è colpa sua se sta succedendo, perché è una vittima».

 


Gloria insieme a sua madre dopo un incontro (Credits: Faton Agolli)




Peritore inizia ad allentare quel legame malato quando, appena maggiorenne, si trasferisce a Firenze per frequentare marketing della moda all’università. Il supporto della sua famiglia è sempre fondamentale, e la aiuta a chiudere con fatica ma definitivamente il capitolo della relazione. Ma la vera svolta arriva a 21 anni: «È stato in quel momento che sono entrata per la prima volta in una palestra di sport da combattimento e ho scoperto la kickboxing, mentre in passato avevo giocato a pallamano. Grazie a questa disciplina sono rinata, mi ha insegnato ad allenare il coraggio, ad affrontare le mie paure e a credere in me. La ragazzina timorosa della mia adolescenza esiste ancora, è dentro di me, solo che è cresciuta sotto diversi punti di vista. Rafforzarsi mentalmente non vuol dire diventare imperscrutabili, inscalfibili, superuomini o superdonne; piuttosto significa accettarsi e convivere con le proprie emozioni, saperle accogliere e gestire, ed è un aspetto che fa la differenza. Così puoi lavorarci e renderle un punto di forza».

 



«Pensa che al mio esordio da dilettante ho avuto un crollo psicologico dopo un round» Peritore qui riavvolge il nastro, e quella scena ormai la conosciamo, «ho preso un colpo un po’ più forte degli altri e sono andata in crisi, mi sono ritirata e ho perso. Così ho avuto una specie di illuminazione, mi sono detta: guarda a cosa rinunci per paura. Mi sono rivolta a un mental coach e abbiamo avviato un percorso di mental training. Consiste nel lavorare su di sé per sfruttare al massimo il proprio potenziale, imparando a gestire i pensieri che possono ostacolarti. Un altro aspetto fondamentale è porsi degli obiettivi consoni e saperli motivare. Qualche atleta potrebbe voler conquistare un titolo per prestigio, per soldi o magari per mettersi alla prova. Io combatto per una questione di rivincita personale. D’altronde il ring è spesso una metafora della vita, si sa. Può sembrare un luogo comune, ma è vero, si nota dalla mia storia, per esempio. Quello psicologico è stato un percorso che mi ha fatto crescere e maturare tantissimo, infatti poi ho voluto formarmi nella programmazione neuro-linguistica (PNL) e diventare a mia volta mental coach. A Firenze mi sono laureata in marketing della moda, un’altra mia grande passione, e per diverso tempo ho lavorato in quel settore, poi ho lasciato per dedicarmi a tempo pieno alla kickboxing. Per fortuna quando mi sono licenziata hanno capito la mia scelta, pensa che il mio capo faceva boxe e i colleghi venivano a vedermi ai match. Non mi hanno mai fatta sentire fuori luogo, anche se ovviamente ero la figura un po’ “strana” dell’ufficio, ma lo ricordo con simpatia. A volte era pesante per me combattere e poi presentarmi al lavoro con i lividi o in stampelle, magari a un meeting importante».

 

Le chiedo se una fighter donna è una figura accettata e inserita nella nostra società: «Dipende dal contesto» replica. «A Licata sono ancora vista con sorpresa e stupore dopo anni, nonostante nel frattempo sia diventata una specie di idolo locale. Nella quotidianità invece non ho mai avuto problemi. In generale ci tengo a curare la mia femminilità, mi piace far vedere come nella vita sia diversa rispetto a quando combatto, fuori dal quadrato sono un'altra persona. Invece spesso la gente fa fatica a crederlo: le discipline da combattimento non sono percepite come gli altri sport, in cui l'atleta quando non gareggia sveste quei panni. Di noi pensano che siamo sempre come ci vedono sul ring».

https://youtu.be/HIhQL0ahFNo

 

Le ricordo un episodio che lei stessa ha raccontato su Instagram: dopo l’ultima fatica sportiva, Peritore ha viaggiato per una settimana di relax e si è stupita di come nessuno si fosse preoccupato vedendola con un occhio nero, un ricordo dell’avversaria. «Sono situazioni in cui è meglio fare un passo in più che uno in meno, basta trovare un pretesto per parlare con la persona in questione, chiederle se va tutto bene, e dalla sua reazione spesso si capisce tanto. Poi nel mio caso era pure evidente che si trattasse di un livido dovuto a una botta, a un cazzotto. Io mi prenderei il rischio di fare un paio di domande, meglio ricevere una brutta risposta piuttosto che restare con il dubbio. L'indifferenza è sempre la scelta peggiore. Ma in generale non c’è un comportamento giusto o sbagliato da seguire, dipende dalla propria sensibilità e dalle circostanze in cui ci si trova. Credo sia giusto che questo spunto resti uno stimolo per riflettere e arrivare ognuno alle proprie conclusioni».

 

Gloria Peritore è una fighter così umana anche perché nella vita ha dovuto affrontare tanti alti e bassi, come quando un membro della sua famiglia si è ammalato mentre lei preparava il match valido per il titolo di Bellator Kickboxing, organizzazione americana di fama mondiale, contro una forte avversaria che aveva già battuto in Italia sovvertendo i pronostici. «Un’atleta professionista non vive in una campana di vetro» mi dice, «può sempre capitare qualcosa nella sfera privata che ti influenza e ti distrae. Per fortuna la malattia dopo qualche tempo è sparita quasi miracolosamente, ma l'impatto della notizia su di me in quel momento è stato devastante». L’incontro lo ha perso, è stata una tappa sofferta che fa comunque parte del viaggio. «Il ring è lo specchio dell'anima, perché lì sopra si vede veramente chi sei, e lo riveli anche a te stessa» spiega. «Non ci sono tante scuse: se sei una persona timorosa, oppure troppo aggressiva e che non sa controllarsi, insomma chiunque tu sia, dentro quelle corde viene fuori. È un ottimo strumento per poter lavorare su certi aspetti emotivi e caratteriali di una persona, è terapeutico. Impari a conoscerti profondamente perché ti trovi in situazioni estreme, dove reagisci in modo istintivo. Scopri una connessione con la tua parte più intima, e il confronto duro con un'avversaria ti insegna l'autostima e ad amarti per come sei. Per me può essere paragonato ad altre pratiche come la meditazione, perché ti costringe a guardarti dentro. Corpo e mente devono essere allineati per raggiungere l'obiettivo, questa è la chiave del successo nel fighting. E ti serve soprattutto nella vita. È una sorta di psicoterapia profonda, anche perché alcune questioni con sé stessi si risolvono inconsapevolmente, su altri piani rispetto a quello cognitivo». Mi viene in mente la famosa frase pronunciata da Brad Pitt nei panni di Tyler Durden nel film “Fight Club”: "Quanto sai di te stesso se non ti sei mai battuto?". «Sai che prima di iniziare a combattere mi vergognavo a chiamare in pizzeria per farmi portare a casa la cena? Ora che ci penso ancora oggi a volte faccio chiamare mia madre...», e qui a Peritore scoppia in una risata spontanea.

 



«Dopo aver partecipato a molti progetti sull’antiviolenza e di sensibilizzazione sul tema della tutela delle donne quando vivevo a Firenze, due anni fa ho deciso di fondare una mia associazione» risponde quando le chiedo di parlarmi di “The Shadow Project”, «perché qui a Roma non avevo più occasioni simili e mi mancava poter dare il mio contributo. Mi ha spronato Manuele, che mi fa da coach al Raini Clan ed è diventato anche il mio compagno e, Sonia Fracassi, fighter di MMA, una donna coraggiosissima che è diventata colonna portante dell’organizzazione ma che soprattutto ha creduto subito nella visione che avevo. Così il progetto ha preso forma: il team dell'associazione è formato da ragazze e ragazzi fighter e non, e c'è anche uno psicoterapeuta di supporto. È strutturato in maniera innovativa per avere un approccio integrato, su più piani. Ci concentriamo molto sull'attività di prevenzione, per evitare che le situazioni critiche degenerino. La violenza si può manifestare in tanti modi, spesso è psicologica, non implica per forza dover alzare le mani. Lo sport può essere la strada giusta per uscirne, tante ragazze si rivedono in me e nel mio percorso, ne sono attratte e incuriosite, quindi per me è più facile creare quel rapporto che può aiutarle ad emanciparsi».

 


Gloria indossa una t-shirt della sua creatura, l'associazione "The Shadow Project" (Credits: Faton Agolli).


 

«Oltre a questo abbiamo creato una rete, un network di figure professionali e altre realtà specializzate che attiviamo a seconda delle necessità della persona in difficoltà» continua Gloria. «Una volta alla fine di una conferenza stampa prima di un mio combattimento ho dovuto rimandare delle interviste perché si era formata una fila di ragazze che volevano parlarmi, e in tante mi hanno chiesto aiuto. Una di loro su Instagram mi mandava le foto dall'ospedale. Credo che sia una caratteristica dell'essere umano, pensare di essere gli unici a vivere certe situazioni, ad avere un particolare stato d'animo, quando invece non è così. E appena lo si scopre le persone si sentono sollevate e si aprono. È il potere della condivisione, dell'empatia, che è curativa e infonde coraggio e speranza. Quindi, quando ho iniziato a ricevere queste confessioni, ho voluto attivarmi per creare qualcosa che accompagnasse le ragazze, invece che rimandarle altrove. Mi sono sentita responsabile per loro».

 

Ma come si può intervenire per ridurre fenomeni che sono ancora così drammaticamente diffusi? «Te lo dico fermamente: lavorando sugli uomini» chiarisce Gloria. «E sulla cultura, nelle scuole. Tante volte le iniziative antiviolenza vengono fatte solo per le donne, ma bisognerebbe andare all'origine del problema e coinvolgere, includere gli uomini. Io non sono una femminista però ci sono ancora tantissimi casi in cui l'uomo si comporta da padre-padrone, si impone sulla compagna a diversi livelli, dimostra gelosia o possesso, eccetera. E accade spesso tra gli adolescenti, perché non gli viene fatta un'educazione ai sentimenti, che a volte possono essere impegnativi da gestire ma non devono mai spingere oltre i limiti qualcuno o sfociare in atteggiamenti sbagliati e prevaricatori. Bisogna agire sull'immagine, la considerazione che le donne hanno all'esterno, e metterle alla pari degli uomini, per risalire alla fonte del problema ed educare. Solo così vedremo progressi. E ci vorrebbero anche pene più severe e una reattività e tempestività maggiore del sistema per tutelare le troppe donne che denunciano e non vengono ascoltate fino a quando non diventa tragicamente tardi».

 



In chiusura di intervista le chiedo di due donne ben note al grande pubblico che si sono cimentate nel fighting: «Il rapporto con Asia Argento è nato sui social» risponde Gloria. «Abbiamo iniziato a seguirci e a scriverci, ci siamo trovate subito perché lei è appassionata di Muay Thai e per qualche tempo si era allenata in Giappone, dove io avevo combattuto in quel periodo. Da lì abbiamo fatto tanti discorsi insieme, è nata una simpatia. Sono stata felice di vederla sul ring quando mi hanno consegnato la cintura, prima del match mi ha supportata scrivendomi spesso e ci tenevo che venisse all'incontro, mi ha trasmesso tantissima forza. Abbiamo fatto due vite diverse ma ammiro Asia per il suo coraggio, ne ha passate tante. Non giudico i suoi trascorsi, ognuno di noi ha la sua storia, difficile o meno, e va rispettata. Io guardo sempre come sono le persone nel presente, ed Asia è una grande donna».

 


Gloria e Asia esultano insieme sul ring (via Instagram - @gloriaperitore).


 

«Sono contenta che Elisabetta Canalis si sia messa in gioco» conclude, «l’incontro di kickboxing in cui si è cimentata è stata un'occasione per dimostrare che anche noi donne indossiamo i guantoni e diamo spettacolo sul quadrato, grazie alla sua visibilità. Spero che possa avvicinare nuove fan e future praticanti, siamo pronte ad accoglierle a braccia aperte».

 

Il coach probabilmente non si aspettava di rivederla in palestra. Erano passati solo due giorni dal match perso per abbandono, l’esordio a contatto pieno marchiato da un ritiro improvviso ma deciso con fermezza. E invece ecco di nuovo la ragazzina, Gloria, con un’aria colpevole ma determinata. Mentre lei si riscalda sul tatami e il coach la osserva, gli si avvicina un ragazzo, che gli dice: «Almeno è tornata. Ma durerà, Maestro?». «Non lo so» risponde lui, «dipende quanto è motivata». Poi si porta un dito sulla tempia mentre guarda il ragazzo negli occhi: «Questo sport all’ottanta percento si fa qui dentro». Gloria lo ha sentito, sa su cosa deve lavorare soprattutto ora. E lo farà, per riscattare la sconfitta, per dimostrare al suo coach quanto vale davvero, per far ricredere tante persone. Ma soprattutto lo farà per sé stessa, perché Gloria, con quei guantoni addosso, sta finalmente imparando ad amarsi davvero.

 

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