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La nuova Champions League è la soluzione?
28 apr 2021
28 apr 2021
Un formato che accontenta club e televisioni, ma non i giocatori.
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Lunedì scorso, poche ore dopo la presentazione del progetto della Superlega che aveva messo a ferro e fuoco il mondo del calcio, la UEFA si è affrettata ad approvare la sua riforma della Champions League, che entrerà in vigore dalla stagione 2024/25. Anche se in realtà erano state le "

” (come Alexander Ceferin ha trumpescamente chiamato i 12 club fondatori della Superlega) a voler svelare al mondo il proprio progetto nella notte proprio per anticipare mediaticamente il già previsto voto della UEFA la mattina successiva, in quel momento la riforma della Champions League sembrava davvero la mossa disperata di un’istituzione ormai esautorata della sua autorità da un colpo di stato. Oggi che la mossa è (temporaneamente?) fallita, però, la nuova Champions League è tornata di attualità: non più eredità morta ma futuro plausibile, al netto di nuovi e non troppo impronosticabili colpi di scena da parte dei top club europei.

 

Come cambierà quindi la Champions League dal 2024 in poi? La differenza più evidente rispetto al presente è il totale abbandono nella prima fase dei cosiddetti gironi all’italiana. Attualmente infatti la massima competizione continentale divide le 32 squadre complessive in 8 gironi da 4 squadre, che si affrontano tutte in partite d’andata e ritorno (per un totale di 6 partite per ogni squadra). Come sappiamo, le prime due squadre di ogni girone si qualificano alla fase ad eliminazione diretta con la terza che retrocede in Europa League. La nuova Champions League, invece, non solo avrà più squadre complessive (36) ma soprattutto non avrà alcun girone: ogni squadra affronterà 10 avversari diversi, in 5 partite d’andata e 5 di ritorno, probabilmente preso ognuno da una fascia di ranking diverso (sul funzionamento del sorteggio, però, non ci sono ancora dettagli ufficiali). È il cosiddetto “sistema svizzero”, chiamato così perché utilizzato per la prima volta nel 1895 in un torneo di scacchi tenuto a Zurigo, e molto in voga ancora oggi nei tornei dei giochi scacchistici e di alcuni esports.

 

https://youtu.be/HUEx2PNYbyg

Gli highlights della finale della Coppa dei Campioni del 1991, l’ultima edizione senza fase a gironi e con i campioni nazionali di 32 paesi diversi accoppiati in sfide a eliminazione diretta a partire dai sedicesimi. 


 

Senza gironi, il passaggio alla fase ad eliminazione diretta viene deciso sulla base di un’unica classifica per tutte le 36 squadre (con le partite della prima fase che ovviamente valgono tre punti a vittoria e uno a pareggio): le prime 8 si qualificano direttamente agli ottavi di finale, mentre le successive 16 vengono accoppiate per dei playoff ad andata e ritorno che decreteranno gli 8 posti rimanenti della fase finale. Le ultime 12 vengono invece eliminate dalla competizione. Dopo aver tanto parlato al modello NBA in relazione alla Superlega, insomma, alla fine è stata la Champions League ad imitare la lega statunitense di basket, con un sistema per la “

” simile anche se meno complesso. Per la fase ad eliminazione diretta, invece, non è previsto alcun cambiamento.

 

Al di là del format organizzativo, comunque, il vantaggio per la UEFA è chiaro: con questo sistema da una parte si aumentano le partite totali (in realtà quasi raddoppiano, passando da 125 a 225), dall’altra ci sono più possibilità di far incontrare squadre di livello medio-alto tra di loro. Se con i gironi all’italiana una squadra può incontrare una o al massimo due avversarie di alto livello (quindi ci vuole un sorteggio particolarmente sfortunato per avere al massimo sei incontri di cartello tra andata e ritorno), con il “sistema svizzero” si ha la plausibile sicurezza di avere quattro o addirittura cinque big match per ogni squadra, sempre con avversari diversi. Con un singolo cambio di format, insomma, la UEFA fa felici diversi soggetti: le televisioni, che con più partite complessive e più big match saranno comprensibilmente disposte a pagare di più per i diritti della Champions League, ma anche i club (soprattutto quelli piccoli e medio-piccoli), che passano da avere tre a cinque partite in casa (più eventuali playoff) contro avversari di livello con cui riempire lo stadio e rimpinguare gli incassi da botteghino.

 

I club di fascia medio-bassa e le televisioni, comunque, non sono gli unici soggetti che escono vincitori da questa riforma della Champions League. Con l’assegnazione dei quattro nuovi slot disponibili per la qualificazione si fanno infatti contenti altri due attori che, come abbiamo imparato di nuovo in quest’ultima crisi della Superlega, di fatto guidano le decisioni della UEFA, ovvero le leghe europee “intermedie”, cioè quelle che stanno nell’immediata periferia dei quattro principali campionati europei, e ovviamente i top club. Le quattro squadre aggiuntive che giocheranno in Champions League a partire dal 2024 saranno infatti assegnate in questo modo.

 

La prima sarà la terza classificata nel campionato al quinto posto nel

delle leghe nazionali, quindi probabilmente la Ligue 1 che al momento ha un vantaggio sufficientemente consistente sul campionato portoghese e può contare di mantenerlo da qui a tre anni. Se la squadra vincitrice dell’Europa League dovesse poi qualificarsi in Champions League anche attraverso il campionato (come successo l’anno scorso al Siviglia, arrivato quarto nella Liga 2019/20), le squadre francesi qualificate diventerebbero quattro. La seconda squadra qualificata in più proverrà invece dall’allargamento del numero di federazioni nazionali che portano la vincente del proprio campionato direttamente ai gironi di Champions League: al momento sono le prime 10, dopo il 2024 saranno le prime 11 (e possono diventare 12 nel caso in cui la vincitrice della Champions League della stagione precedente si qualifichi anche attraverso il campionato, come succede quasi sempre). Una misura pensata soprattutto per prevenire situazioni come quella a cui andò incontro l’Ajax nella stagione 2018/19, quando, dopo essere arrivato a un passo dalla finale di Champions e aver vinto il campionato, si ritrovò la stagione successiva a dover fare i playoff di Champions League perché l’Olanda si ritrovava al 14esimo posto del ranking UEFA.

 

Gli ultimi due slot aggiuntivi sono invece direttamente pensati per venire incontro alle richieste di Andrea Agnelli e Florentino Perez, e verranno assegnati ai due club con il coefficiente UEFA più alto che non si qualificheranno alla Champions League attraverso il campionato ma che otterranno comunque un piazzamento tale da permettergli di qualificarsi all’Europa League o alla Conference League. Se questa regola venisse applicata oggi, basandosi sul

e le classifiche attuali, queste due squadre sarebbero il Liverpool (sesto in Premier) e il Borussia Dortmund (quinto in Bundes). Ma da qui alla fine della stagione potrebbe interessare ovviamente anche club come la Juventus (a un passo dal quinto posto in campionato) o il Tottenham (settimo). I nomi di queste squadre vi ricordano qualcosa? Dato che ogni lega può portare al massimo sette squadre nelle coppe europee ogni anno, inoltre, se per via di questa regola un paese dovesse portarne cinque in Champions League, questo significherebbe una conseguente diminuzione dei posti in Europa League o Conference League.

 

Non è un caso che i dirigenti dei top club abbiano apprezzato molto questa riforma, che è stata votata all’unanimità dall’ECA (

). Andrea Agnelli, fino a pochi giorni fa presidente dell’associazione che riunisce i principali club europei, lo scorso 8 marzo

ad esempio «molto, molto vicina alla Champions League ideale». Oggi sappiamo che le sue parole non erano proprio sincere, ma non certo perché fosse contrario a un’idea simile, tutt’altro. Anche i club che alla fine sono rimasti dalla parte della UEFA, infatti, si sono detti molto soddisfatti. L’amministratore delegato del Bayern Monaco, Karl-Heinz Rummenigge, lo scorso 19 aprile ad esempio

che la riforma della Champions è «il passo giusto da prendere per lo sviluppo del calcio europeo».

 

Insomma, la UEFA aveva accontentato i grandi club molto prima che questi tentassero di forzare la mano per avere un sistema che li avvantaggiasse ancora di più. La sua colpa, agli occhi dei “

”, forse è stata quello di aver voluto soddisfare anche i club medio-piccoli e le federazioni nazionali intermedie, che a loro volta chiedono la loro fetta di torta. Ma avrebbe potuto fare diversamente? Alla fine la UEFA altro non è che un’organizzazione semi-politica non statale che non ha alcuna forza giuridica per imporre le sue decisioni e può mantenere la sua autorità solo cercando il consenso di quelli che oggi vengono chiamati

, cioè soprattutto i club (tutti) e le federazioni (tutte). Questa è anche la ragione per cui le minacce di Ceferin nei confronti dei club scissionisti appaiono così fragili e vuote: escludendoli dalla Champions League infatti non solo eroderebbe il valore commerciale della stessa competizione che dovrebbe promuovere ma soprattutto li spingerebbe ancora più fuori dalla UEFA alla ricerca di nuovi ricavi. La riforma della Champions League va quindi proprio in questa direzione, cercando di accontentare tutti e allo stesso tempo di aumentare l’appetibilità della competizione agli occhi delle televisioni, che ancora oggi nonostante tutto rimangono la principale fonte di revenue per il mondo del calcio. Contenti i club, contente le federazioni, contente le televisioni. Contenti tutti?

 



Ilkay Gündogan, con il progetto della Superlega ancora formalmente in piedi, ha ricordato che la riforma della Champions League stava dimenticando chi in prima persona dà vita al suo spettacolo, quelli per cui il pubblico va allo stadio e accende la televisione: i giocatori. Abbiamo detto come il nuovo formato arrivi quasi a raddoppiare le partite totali: per le singole squadre, invece, si passa da un massimo di 13 partite (nel caso in cui arrivino in finale) a un massimo di 19 - praticamente come se fosse stata aggiunta un’altra fase a gironi oltre a quella attuale. Una valanga di nuove partite che probabilmente “costringerà” la UEFA a farne giocare alcune anche il giovedì (si fa per dire dato che questa nuova finestra televisiva sarà un’altra occasione commerciale da vendere a televisioni e inserzionisti) e che ingolferanno ulteriormente dei calendari già invivibili.

 

Sono rimaste inascoltate quindi le innumerevoli dichiarazioni di giocatori e allenatori, che negli ultimi anni a più riprese chiedono meno partite per garantire uno spettacolo migliore e per salvaguardare la salute dei giocatori: ad esempio 

molto dure di Pep Guardiola, che ha proposto ironicamente di estendere la durata di un anno a 400 giorni, oppure

ancora più recenti di Thomas Tuchel, che ha dichiarato di non essere stato coinvolto in una riforma che prevede «ancora più partite ma non più qualità». Proprio quest’anno, d'altra parte, con i campionati compressi per via della pandemia, abbiamo visto quanto le molte partite ravvicinate incidano sugli infortuni, un aspetto che tra l’altro tenderà ad avvantaggiare ulteriormente quelle squadre che si potranno permettere rose più ampie.

 

Purtroppo, al contrario dei club e delle federazioni che conoscono benissimo il potere delle loro pressioni economiche e politiche nei confronti della UEFA, i giocatori sembrano ancora lontani da avere una reale coscienza della propria forza. Se si esclude il tweet di Gündogan, infatti, le reazioni dei giocatori a questo ulteriore ingolfamento del calendario sono state quasi inesistenti e persino quello che dovrebbe essere il loro sindacato, la FIFPro, ha preso una posizione ambigua a riguardo. Lo scorso marzo, infatti, il suo segretario generale, Jonas Baer-Hoffmann, parlando con l’agenzia di stampa AP

di mettere l’accento più sulle regole a protezione della salute dei giocatori (come un numero di giorni minimo di riposo dopo le pause per le Nazionali) che sull’aumento delle partite comportato dal nuovo formato della Champions League. «Queste misure che gestiscono il carico di lavoro individuale non significano necessariamente giocare meno partite», ha dichiarato Baer-Hoffmann «Ma darebbero la possibilità di distribuire le partite tra più giocatori così che ci si possa prendere meglio cura di ogni ogni singolo calciatore».

 

Forse i giocatori avrebbero avuto bisogno di una presa di posizione più netta dal proprio sindacato, su una questione che li riguarda in primissima persona. In questo senso, chissà che la forte reazione organizzata dei giocatori del Liverpool nei confronti della Superlega non abbia smosso qualche coscienza e aperto qualche occhio sulla reale forza dei giocatori. Magari, a forza di parlare di NBA in relazione al calcio europeo, ci si renderà conto che uno dei suoi punti di forza è anche il grande potere politico del sindacato dei giocatori.

 

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