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(di)
Gianni Montieri
Ricordi distratti da Venezia-Palermo
29 set 2023
29 set 2023
Reportage metafisico da una partita di Serie B.
(di)
Gianni Montieri
(foto)
IMAGO / IPA Sport
(foto) IMAGO / IPA Sport
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Per dimenticare i nostri cuori deserti / e che un giorno o l’altro si dovrà pur morire / andiamo al Penzo. Mi trovo a canticchiare e a modificare questo testo dei Baustelle mentre usciamo da un bacaro di via Garibaldi e facciamo le ultime centinaia di metri che servono per arrivare allo stadio, si gioca Venezia-Palermo, dettaglio trascurabile, chi gioca o meno a Venezia è sempre poco importante, rimane (e non credo solo per me) una faccenda secondaria. Ho cominciato da bambino a modificare i testi delle canzoni, un gioco che allena alla rima, tutto sommato ancora divertente.

In una via Garibaldi piena di gente - tra tifosi, residenti, turisti, che bevevano e cenavano all’aperto nella bella sera di settembre – mi sono messo a ragionare sul perché avessi preso proprio a cantare quella canzone dei Baustelle. La prima facile risposta è che mi piace molto e che l’ascolto spesso, la seconda cui sono arrivato qualche ora dopo riguarda il senso della fine che il testo del brano trasmette, una sensazione che è sempre presente a Venezia e alla quale non sfugge – anzi la esalta – il Penzo, lo stadio, piazzato in fondo a Sant’Elena, sull’acqua (forse i lettori ricorderanno Giocare sull’acqua). Si va allo stadio per tanti motivi, per il tifo, per la passione, per la gioia dello stare insieme, per tradizione, per divertimento; e forse si va per spostare l’idea della morte più in là. In quell’ora e mezza perpetua in cui si ritorna bambini, tutto il resto sparisce e se non si dimenticano i nostri cuori deserti, come cantano Bianconi e Bastreghi, quanto meno si allevia il peso della giornata. Sì, un giorno o l’altro si dovrà pur morire, ma non è mai il giorno della partita.

Ci si avvia con calma, a Venezia non c’è mai fretta, non c’è traffico. Nessuno dei miei amici parla della partita che comincerà da lì a mezz’ora. Si parla di pizzerie, ristoranti, questo da evitare, questo può andare, quello fa solo cinque cose ma le fa buone. Certo che qui dietro è bellissimo e tranquillo. Con noi camminano alcuni ragazzi tifosi del Venezia, con le maglie della squadra, molto belle anche quest’anno. Il Venezia è fashion. A un certo punto il calcio nella nostra passeggiata entra, parliamo del Pescara e di Zeman. Uno dei miei amici è stato un ultrà del Pescara, questo serve anche a dire che in base al principio di accoglienza che da sempre anima la laguna qui vive chiunque; e chiunque di noi tifa una squadra diversa, ma questo non ci impedisce di andare a guardare e a sostenere il Venezia. Il mio amico U. mi dice che l’ultima volta che è stato a Fuorigrotta è stata quella di Napoli-Pescara 8-2, una partita che non può dimenticare e che tutti i tifosi del Napoli ricordano. U. mi dice, a un certo punto mi pare che fossimo addirittura 2-2, lascio questo suo ricordo così com’è, è bellissimo e non vogliamo che un tabellino di mille anni fa ce lo possa rovinare. Parliamo di Galeone, di Zeman, di assurde trasferte, di Insigne, di Immobile, di Verratti. Mi racconta di un 6 o 7 a zero del Pescara a Padova, con doppietta di Insigne. Io gli racconto di quando sempre a Padova i tifosi del Napoli intonarono: Padovano pagaci le tasse. Tutti e due adoriamo Zeman, ma c’è qualcuno che non lo adora? Se c’è sta mentendo.

Arriviamo al Penzo spuntando dalle case di Sant’Elena, mancano una decina di minuti al fischio d’inizio. Ci vengono incontro alcuni poliziotti, che ci chiedono per chi tifiamo, sto per rispondere Napoli, ma poi V. dice prontamente Venezia. I poliziotti, allora ci dicono di passare da dietro le case e uscire sul canale davanti alle tribune, dicono di girare a destra, ma è a sinistra, non importa lo sappiamo. Ed ecco la sorpresa, siccome tutti vanno con calma, camminano, chiacchierano, bevono qualcosa, c’è ancora una discreta coda per entrare. Noi abbiamo i distinti, ai quali si accede dallo stesso lato della curva del Venezia, il ponte da attraversare è piccolo, comunque lentamente ma non troppo si va verso l’ingresso. Mi perquisiscono la borsina, dentro ci sono una penna, un taccuino, dei fazzoletti di carta, le chiavi di casa, i documenti. Che contenuto banale, non un fumogeno, una trombetta, una sciarpetta, un piatto di cicchetti. Davanti a me ci sono quattro ragazzi, uno indossa la maglia del Venezia ma ha un fortissimo accento di Palermo, e dice cose in dialetto siciliano, ma a prescindere da chi tifi non mi pare fuori luogo, sta solo parlando una delle mille lingue di Venezia. Sembra la coda per un concerto e non per una partita. Entriamo. I distinti sono divisi in blocchi, noi abbiamo il blocco 4, che detto così fa subito centro di detenzione psichiatrica, o possibile titolo di un romanzo di Orwell, che non troviamo subito, perché il numero è scritto solo in alto, coperto da chi è già seduto.

Ebbene ci sediamo, la partita è cominciata da uno a due minuti, non frega niente a nessuno, c’è gente che continuerà ad arrivare come si arriva in un ristorante, poco per volta, per almeno un quarto d’ora. Questi non vedranno il primo gol del Palermo, di Brunori sul rigore, ma si accomodano con birra in mano disinteressati alla cosa. Scatto delle foto, la curva colorata di rosa del Palermo, quella verde arancione e nera del Venezia, la tribuna non pienissima, un riflettore, manco a farlo apposta nelle immagini non rientra un calciatore, sarà che per me a Venezia sono irrilevanti. I distinti danno le spalle all’acqua, fosse giorno potremmo dare anche un’occhiata alle barche in darsena.

Mi concentro sui cori delle curve. I palermitani mi paiono molto più scatenati dei veneziani; ci sono cori banali con gli insulti standard, da una parte e dall’altra, nei quali la parola merda domina, poi canzoncine. Scopro di essere un veneziano pezzo di merda, non lo avevo mai sospettato. Nessuno nei distinti dà troppo peso ai cori dei palermitani, ogni tanto qualcuno dice: ma bastaaaa, ma ancora, cose così, e dà un altro sorso alla birra. Una decina tra i miei vicini di posto si scatena al pareggio di Pohjanpalo allo scadere del primo tempo e rimanda un po’ di insulti ai palermitani, ma sempre ridendo, sempre sorseggiando birra. Noi quattro ci guardiamo intorno e, soprattutto, ridiamo. La partita è brutta, come spesso accade in serie B, come è bene ricordarsi ogni tanto, il Palermo è più forte, si vede, qua lo sanno tutti, e infatti vincerà; il Venezia è una buona squadra con una fase difensiva abbastanza inquietante.

I miei idoli – stavolta non c’erano i miei anziani di riferimento – sono tre ragazzi alle mie spalle che commentano ogni azione in veneziano ma col piglio di Mai dire gol, dal loro tono – che non è mai teso ma sempre ironico – capisci che in fondo qui a Venezia quello che succede in campo conta fino a un certo punto, conta nella misura in cui ti suggerisce un coro da intonare, una battuta o in insulto verso un calciatore.

Johnsen è il calciatore che meglio rappresenta questa leggerezza e, a tratti indifferenza, con il suo talento che però quasi mai si concretizza; un colpo di tacco, un dribbling e poi il passaggio fuori misura, la palla persa come per distrazione. Lui è così e qui lo amano. Così come amano Pohjanpalo, per la storia, per le sue scelte, per i gol che pure fa – per carità – che però non è che sia un fenomeno. I commenti sugli altri sono stupendi, dalle esortazioni tipo Vai Nunzio, rivolte a Lella, o a quelle in dialetto per Busio e Altare. Non mancano i classici Caveo via ovvero sostituiscilo. Durante le due o tre azioni davvero belle del Venezia commentano: Numero, incredibile, numero nel numero, dove andremo a finire di questo passo. E ridono, nonostante il Palermo nel secondo tempo raddoppi e poi segni il terzo gol, tutti con Brunori, il terzo con un’azione molto bella.

L’acqua, intanto, sotto l’erba fa il suo lavoro con calma, ci orienta, muove il pallone, ci tiene sugli spalti e dopo ci riporterà a casa. Dalle due curve sono molto nominati i tifosi del Padova - senza che abbiano avuto bisogno di muoversi da casa – aggettivi e sostantivi sono gli stessi di prima.

A un certo punto è entrato Pierini nel Venezia. Testa fasciata e numero 10 sulle spalle. Alla prima azione, spostato a sinistra dentro l’area, ha diverse opzioni: tirare, crossare. Ma fa una cosa strana col sinistro che non somiglia a niente di tutto questo e i ragazzi alle mie spalle, traduco dal veneziano: Pierini, tutto potevi fare tranne questa cosa qua. Ma che ne sanno, magari Pierini pensava all’acqua sotto ai suoi piedi e calciando è andato alla sua infanzia, quando si scagliava il pallone in mare tra le onde.

Pierini, ieri sera, in ogni caso, non era in partita. Ha sbagliato ogni passaggio, ogni cosa. Pierini, non puoi fare così. Ti gà il 10 Pierini. Pierini, invece, lungimirante, ha continuato a giocare per fatti suoi perché sapeva dell’irrilevanza della partita in sé e si è fatto prendere da cose metafisiche che non contemplavano dribbling riusciti, passaggi fatti come si deve, tiri nello specchio. Pierini eroe. Sapeva forse che il Palermo è più forte e si è incupito – solo lui – man mano. A un certo punto Vanoli ha tolto Candela, il mio preferito fino a quel punto, e allora niente ha avuto più senso. Fischio finale, i veneziani ridono ed escono piano piano, parlano di barche e di bere qualcosa sulla via del ritorno. Brunori ha fatto la sua tripletta, anche se triste anche se dura, tripletta contro la paura. Noi passiamo dietro l’Arsenale, dai Greci, dalla Bragora, ci rendiamo conto che stiamo parlando di nuovo di Zeman, di Insigne in Canada, di Verratti in Qatar, di altre cose irreali.

Ci diamo appuntamento per una prossima partita da scegliere più avanti. Per gli amanti della cronaca, in B adesso il Parma è primo, il Palermo è secondo, il Venezia è terzo, ma chi se ne frega. Guardiamo l’acqua che passa sotto un ponte e siamo sollevati che la marea vada per conto suo e che non segua i simpatici suggerimenti dei tifosi palermitani.

Per restare vivi acquistiamo biglietti / partite sopra l’acqua dove socializzare. Canticchio nella calle di casa.

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