Sabato tre dicembre una delegazione ridotta della Curva Nord dell’Inter si è presentata sugli spalti dello Stadio Ernesto Breda per presenziare al derby d’Italia femminile. Era la prima volta che accadeva una cosa del genere. Tutto è andato per il verso giusto fino a quando Barbara Bonansea non ha portato in vantaggio la Juventus. Da lì in poi i tifosi della Curva Nord hanno iniziato a rivolgere cori contro la Juventus e la sua tifoseria, e fin qui non ci sarebbe nulla di nuovo o strano, se non fosse che a un certo punto la curva nerazzurra, come riportato da Juventus News 24, si sia scagliata anche contro le giocatrici dell'Inter, all’urlo di un coro che diceva: “Noi le donne non le tifiamo”.
Come poteva essere previsto, la pausa del campionato dovuta a Qatar 2022 ha causato un vuoto nelle domeniche calcistiche italiane a cui qualcuno avrebbe potuto rispondere andando allo stadio a vedere il calcio femminile. Per chi segue la Serie A femminile questo era un argomento importante, soprattutto perché lo sport femminile è abituato ad inserirsi e trovare risorse in quegli interstizi o vuoti lasciati dalla controparte maschile.
Quel che è successo in occasione del Derby d’Italia ha scatenato un piccolo caso mediatico all’interno di chi segue il calcio femminile, un po’ per il fallimento dell’innesto del pubblico del calcio maschile nella sua controparte femminile, che è un argomento che tante volte si era chiamato in causa come una possibilità, senza avere però un’idea chiara di come sarebbero andate le cose. Fra le persone che ho sentito io dopo la partita c’era il sentimento condiviso di distanziamento netto e protezione nei confronti del calcio femminile che, come vedremo fra poco, si pregia di mettere in atto un tipo di tifo che è “per la propria squadra”, e non “contro le avversarie".
Ci sono molte domande che mi pongo di fronte a questa notizia. Per esempio: la frangia della Curva Nord che ha intonato il coro è stata invitata alla partita? O si è presentata volontariamente? E perché hanno intonato questo coro? Cosa ci sono andati a fare, in buona sostanza, allo stadio se tanto loro le donne non le tifano? Sono domande nuove per il calcio femminile dove lo sviluppo di tifo organizzato è piuttosto recente e segue dinamiche diverse rispetto a quelle del calcio maschile. La prima fra tutte è che il tifo si fa per sostenere le calciatrici della squadra per cui si tiene, e basta. Questo è uno degli elementi che Dominio Bianconero, tifoseria organizzata della Juventus Women, e Roma Women Fan Club hanno in comune, ad esempio.
Lo dico perché ne ho parlato direttamente con i rispettivi esponenti, attraverso un'indagine quasi carbonara passata da Instagram e dalla mia rubrica telefonica sulle caratteristiche del tifo, sulle modalità di organizzazione o anche solo sul modo in cui questi gruppi si incontrano. In particolare ne ho discusso con Francesco Goccia, uno dei fondatori del Roma Women Fan Club, e poi con Elena e Raffaela, due tifose assidue e facenti parte di Dominio Bianconero. Prima di arrivare alle conclusioni a cui sono giunta dopo queste discussioni ci tengo a dire che su internet, di queste informazioni, non esiste nemmeno l'ombra. Il tifo organizzato nel calcio femminile è pressoché sconosciuto e per nulla indagato, ma esiste. Si tratta di una realtà in crescita, che parte da basi ereditate in maniera più o meno consapevole dal calcio maschile “di una volta”, ma che si sta sviluppando con una sua identità.
L'esempio del Roma Women Fan Club
Se la Roma Women è riuscita a laurearsi campionessa d’inverno e si è portata a casa la prima Supercoppa italiana della sua storia battendo la Juventus, è anche perché è da almeno due stagioni che la società e mister Alessandro Spugna stanno lavorando a un progetto con l'obiettivo di diventare la migliore squadra d'Italia. In questo senso è naturale che ai risultati positivi sul campo si sia accompagnato un numero sempre crescente di pubblico sugli spalti. All’inizio si trattava di un pubblico sparuto, assiduo ma forse disarticolato nel tifo. Eppure in queste persone che tornavano sempre ad incitare le calciatrici, Francesco Goccia e Marco Emberti Gianloreti hanno visto la possibilità di creare un gruppo, di avvicinarle, di metterle cioè letteralmente a sedere le une accanto alle altre, e non sparse sulle tribune del Tre Fontane, lo stadio dove gioca la Roma femminile, per far sentire meglio la loro voce. Ad oggi gli iscritti al Roma Women Fan Club sono quasi un centinaio e seguono la squadra in casa ed in trasferta, anche in quelle più lontane a Glasgow e a Sankt Pölten in occasione della Champions League che comunque è sempre disponibile in streaming per chi non può seguire la squadra fisicamente.
«Nel femminile a differenza del maschile non c’è un settore ospiti», mi dice Francesco Goccia. Gli chiedo come sono organizzati i settori per i tifosi: «Puoi andare in qualsiasi settore e questo è un bene perché vuol dire che non ci sono problemi di tifoserie avversarie; dall’altra può portare il pubblico a spargersi fra la tribuna e la curva». È per questo motivo che il settore occupato dalla tifoseria viene deciso a monte. Poi ognuno si reca allo stadio in maniera autonoma (non sono ancora stati ad oggi organizzati pullman o aerei per seguire la squadra) e ci si ritrova sugli spalti facendo in modo che il settore ospiti venga a crearsi con una dinamica molto naturale.
La filosofia di tifo condivisa da entrambi i gruppi organizzati, come vedremo fra poco, è sempre la stessa: il tifo in queste partite viene fatto per incitare la propria squadra, e non per sminuire le giocatrici delle formazioni avversarie. Non c’è un clima di odio, e si tifa “per" e non “contro”. Una dimensione calcistica vecchia e nuova allo stesso tempo, perché come mi racconta sempre Goccia, «a volte i tifosi della Roma fanno le foto a fine partita con le giocatrici della squadra avversaria, e viceversa. Se ci pensi nel maschile non succederebbe mai. Nel calcio femminile hai ancora la possibilità di avvicinare le calciatrici come avveniva negli anni Ottanta nel calcio maschile. C’è ancora contatto fra le atlete e il pubblico; un aspetto che manca completamente ormai nel calcio maschile, ed è uno dei motivi per cui il calcio femminile oggi sta crescendo».
Quello della Roma Women è un esempio virtuoso all’interno del sistema del tifo italiano ed europeo, perché secondo Goccia «non esiste un tifo vero e proprio a livello femminile. La cultura del calcio femminile deve ancora emergere, siamo un po’ un passo indietro e molti si avvicinano al calcio femminile ancora per curiosità e quindi i numeri sono bassi». Oggi il Roma Women Fan Club è iscritto all’UTR, unione tifosi romanisti, che ha al suo interno altri 140 club e questo è il primo in assoluto interamente dedicato alla Roma Women: «Da questo punto di vista noi possiamo essere considerati come un gruppo che inizia a fare qualcosa di concreto».
Dominio Bianconero
Elena era una tifosa del Milan. Ma poi quando hanno tolto la fascia di capitano a Valentina Giacinti, e quando la rottura tra Ganz e la squadra ha cominciato a farsi intollerabile per lei, ha deciso di guardarsi intorno. La squadra secondo lei è una cosa seria e infatti, non essendo d’accordo su come la società ha gestito le discrepanze di visioni fra allenatore e giocatrici, ha iniziato a prendere distanza. Nel frattempo una delle sue amiche, che è juventina, le ha proposto di andare a vedere le partite insieme. L’incontro con il tifo organizzato della Juventus Women che ha il nome di Dominio Bianconero è stato graduale, ma ad un certo punto è stato naturale spostarsi dall’insieme “pubblico” a quello del “tifo” e quindi cambiare posto all’interno degli spalti, andare ad unirsi agli altri e alle altre per incitare le calciatrici con cori e pezze.
È Elena a raccontarmi come il gruppo si organizza a partire dalle cose più pratiche. È in un gruppo WhatsApp che si decide dove ci si incontra e quando, chi porta la strumentazione per il tifo, in quale settore acquistare i biglietti (in genere in curva sud, cioè il settore 120 all’Allianz, quello centrale dietro la porta).
La mattina in cui ci sentiamo per esempio Elena e gli altri si stanno organizzando per andare alla partita del girone di Champions League della Juventus all’Allianz. Dopo la chiamata lei passerà a prendere un altro ragazzo che abita dalle sue parti, e insieme andranno a casa di Filippo, uno dei fondatori, a mangiare un piatto di pasta. Da lì poi direzione Torino, dove devono arrivare prima per sistemare il settore in attesa che arrivino gli altri iscritti a Dominio Bianconero.
Il caso vuole che quel giorno sia lei a guidare l’auto con tutto il necessaire. E così durante l’intervista, Elena si alza dalla panchina del parco da cui mi sta chiamando e si dirige verso l’auto. Apre il portabagagli e mi mostra alcune pezze, uno striscione arrotolato, un megafono e un tamburo giallo che non sa dove sistemeranno allo stadio perché «è la prima volta che all’Allianz ci fanno portare dentro il materiale. L’anno scorso per esempio non ci avevano fatto portare niente di niente», facendo riferimento alle restrizioni ferree che sono state indette negli stadi dal Decreto Amato in poi. Da una borsa poi tira fuori una cosa speciale: «questa è una reliquia, vale un sacco si soldi». È una pezza autografata dalle giocatrici che raffigura Harley Quinn, un personaggio dei fumetti che è stata scelta perché «è un’icona femminile coraggiosa». L’ultima cosa che mi mostra è un foglio A4 spiegazzato che è la lista dei cori: «Sara Gama, (Valentina nda) Cernoia, Pauline (Peyraud-Magnin nda), vedi per ognuna c’è il suo coro. E dietro ci sono quelli generali della Juventus».
Quando poi racconterò questo dettaglio per WhatsApp a un amico assiduo frequentatore della curva della Salernitana, Giuseppe mi commenterà: «Il fatto che usino i fogli dei cori è fantastico, non li vedo da vent’anni. Si usavano negli anni Ottanta e Novanta, son delle cose veramente vintage». Anche qui il collegamento diretto o meno con il calcio che fu è evidente, come se il calcio femminile stesse ripercorrendo esattamente lo stesso percorso fortunato degli inizi della controparte maschile nella speranza di arrivare però a esiti diversi.
Il tamburo, i fogli con i cori, le pezze firmate, le reliquie insomma, come le ha chiamate Elena, appartengono a tutti e tutte e vengono conservate o portate di partita in partita, come in processione per una santa, in base alla disponibilità. Chi, in un dato giorno ad una data ora, sarà presente alla partita avrà la responsabilità di recapitare gli elementi del tifo.
A raccontarmi quando nasce Dominio Bianconero invece è Raffaela, altra tifosa juventina della prima ora. Il loro gruppo nasce nel 2018 e si distacca come costola da un gruppo già esistente per divergenza di visioni anche se a volte, ancora oggi, i due gruppi in alcune occasioni continuano a tifare insieme per le bianconere perché «se non sei in molti, ti fai forza a vicenda». La sua storia di appartenenza nasce da una figurina Panini. Era il 2019 e fra le figurine della Nazionale era Cristina Girelli a mancarle, attaccante delle Azzurre e della Juventus. Attraverso uno scambio è venuta a conoscenza del gruppo e ha iniziato a frequentare Dominio Bianconero, entusiasmandosi subito per il fatto di aver trovato altre persone capaci come lei di «organizzarsi e organizzare i propri impegni per lasciare tutto per una sera e seguire la propria strada».
Il senso di appartenenza però è solo una parte, poi c’è tutta la questione del supporto alla squadra. Stare sugli spalti a cantare i cori non è solo un modo per tifare per le ragazze e non contro la tifoseria avversaria, ma è anche un modo di far mettere in atto un tipo di sportività sana. Ma, ci tiene a dirmi Raffaela, se qualcuno confonde questo tifo rispettoso nei confronti delle avversarie per una totale mancanza di competizione nel calcio, si sta sbagliando, è piuttosto «l’atteggiamento delle ragazze in campo che ti porta a prendere un certo tipo di posizione: ci sono poche perdite di tempo, poche sceneggiate. Questo atteggiamento ti induce ad un tipo di sportività diversa, ti aiuta a crescere nel tifo». Ma non si tratta solo di questo, «è anche l’atteggiamento dei gruppi che ti aiuta a crescere in una direzione: non c’è mai un brutto coro. Quando il pubblico mormora, il tifo copre questi mormorii e incita le ragazze. In questo modo le calciatrici non sono portate a percepire una ostilità intorno a loro». E poi conclude: «E tutto questo in un contesto in cui c’è sempre una faccia amica, una parte a cui aggregarsi se vai allo stadio da sola».
Organizzazione e spontaneità sono i due poli opposti all’interno dei quali questi gruppi sembrano muoversi. Da una parte infatti ci sono modalità interne e arbitrarie che ogni gruppo ha fatto sue per organizzare le trasferte, scrivere i cori, decidere come tifare, dall’altra emerge come ogni gruppo segua consapevolmente o meno regole non scritte del tifo femminile che hanno una loro identità e non si appoggiano, se non nella forma a quello che è invece il tifo per il calcio maschile.
Nel frattempo la speranza è che il calcio femminile venga seguito da sempre più tifosi. Ci sono ancora squadre senza gruppi organizzati o comunque sacche di tifosi "indipendenti" e altri in arrivo, con la crescita del movimento che avverrà nei prossimi tempi grazie anche all'arrivo del professionismo.
La responsabilità di creare un gruppo non appartiene a nessuno, se non a chi ha voglia e desiderio di prendersela. Uno dei dati che esce fuori da questa piccola ricerca è che aggregarsi è sempre una buona idea. Da un lato non ci si sente mai soli, e dall’altro la voce del tifo arriva più forte e chiara a chi sta giocando in campo partite più o meno importanti. Che alla fine, è proprio il motivo per cui ci si affeziona ad una squadra e si va allo stadio a guardarla.