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Emanuele Atturo
Quanto ancora può giocare male il Real Madrid?
07 mar 2024
07 mar 2024
Contro il RB Lipsia un'altra brutta partita riscattata dal talento individuale.
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Emanuele Atturo
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Foto Imago / Cordon press
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Si dice che la Champions League sia una competizione che si decide sui dettagli, ma non si spiega mai perché questi dettagli pendono sempre dalla parte del Real Madrid. Nella doppia sfida contro il RB Lipsia la squadra di Carlo Ancelotti ha giocato due partite pigre e sciatte: ha sofferto la migliore preparazione fisica e tattica degli avversari, eppure è riuscita a uscire imbattuta in entrambe le occasioni e a passare il turno col minimo sforzo. Un gol all’andata e uno al ritorno, frutto dell’oltraggioso talento individuale dei suoi giocatori. All’andata la rete maradoniana di Brahim Diaz, al ritorno l’associazione tra Bellingham e Vinicius Jr. in transizione, che fa sembrare il calcio facilissimo (se corri a duecento all’ora e hai piedi soffici come la seta).

Dall’altra parte è stato quasi penoso vedere i giocatori del RB Lipsia scontrarsi costantemente col semplice fatto che a calcio si gioca con i piedi, e non è cosa facile. C’è un aneddoto raccontato da Seirul-lo, di lui e Maradona che guardano Michael Jordan e che gli dice «Bravo no?» e Maradona risponde: «Sì, è un grande giocatore, lo ammiro, ma ricordati che gioca con le mani eh». Questo difficoltà intrinseca nel giocare con i piedi, che gli atleti di alto livello ci fanno dimenticare, è apparsa drammatica per il RB Lipsia. Per Openda che ha calciato a volte fuori di un metro, altre volte di dieci; per Sesko, che tra andata e ritorno ha cercato di abbattere fisicamente Lunin più che fare gol. Stiamo parlando di due attaccanti che hanno nella finalizzazione la propria migliore arma. Lois Openda ha già segnato 21 gol stagionali (17 in Bundesliga e 4 in Champions) e converte il 18% dei suoi tiri; Sesko è già a 11 e viene considerato uno dei numeri nove più promettenti al mondo.

Tra andata e ritorno hanno tirato 13 volte verso la porta di Lunin, senza segnare, prendendo la porta quando è andata bene. È stato fatto qualche maleficio ai loro piedi? Verrebbe quasi da crederlo, se guardiamo per esempio al modo in cui Openda si disarticola nel provare quella conclusione che gli finisce fuori di dieci metri, come scivolando su una banana, a pochi minuto dal fischio d’inizio. Oppure è stato fatto un incantesimo a Lunin, che ieri è stato solido ma all’andata persino miracoloso: il portiere che ha messo insieme più parate in una singola partita di Champions League.

Ci stiamo girando attorno per dire la solita cosa: cioè che non capiamo del tutto come faccia il Real Madrid in queste eliminatorie di Champions. In questi anni c’è sempre stato questo strano miscuglio tra estrema bruttezza tattica e breve ma folgorante brillantezza tecnica. E anche ieri possiamo dire sia stato così. Il gol confezionato da Bellingham e Vinicius Jr. è così bello che merita l’intera partita del Real Madrid. Ma ci dovremmo anche mettere altre luminosissime perle sparse nei novanta minuti soprattutto dal brasiliano, che gioca con una superiorità tecnica sul contesto a tratti imbarazzante. Quel tunnel su Haidara sulla linea di fondo, quei due dribbling su Henrichs senza nemmeno toccare palla, o sfiorandola a malapena. Queste giocate riscattano tutto il resto? Riscattano l’impressione di una squadra che avrebbe preferito restare a casa a guardare Netflix?

L’impressione è che ieri questo equilibrio tra sciatteria del match e singoli momenti di bellezza è stato particolarmente sbilanciato. Alla fine del match i giocatori del Real Madrid si sono guardati negli occhi per prendere consapevolezza del pericolo scampato. Alla fine del primo tempo la squadra è stata fischiata, perché a Madrid conta anche lo stile, e il modo in cui la squadra era stata in campo nel primo tempo era stato inaccettabile. Sovrastata fisicamente e tatticamente dal RB Lipsia, dalla sua intensità, dalla superiorità numerica in mezzo al campo. Ha ottenuto il più basso numero di xG in un singolo parziale in stagione (0.09). Il secondo tempo è stato più o meno uguale. Ancelotti è stato conservativo sin dalle scelte di formazione, riportando Tchouameni a centrocampo e Nacho in difesa, con Valverde finto esterno destro e Rodrygo in panchina. «Evitare le transizioni» ha detto Ancelotti. Come se il Real Madrid dovesse pensare innanzitutto a togliere agli avversari il loro miglior pregio. La squadra ha cercato un possesso palla lento e difensivo, come se volesse convincere il RB Lipsia che non valesse davvero la pena provarci. In fondo chi è che riesce a ribaltare un’eliminatoria al Bernabeu. C’era stata quella coreografia a salutare l’ingresso delle squadre in campo, per i 122 anni dalla nascita del club, la scritta “Re d’Europa”. Poteva bastare quello? Il Madrid avrebbe potuto passare d’ufficio? Non è un po’ presto, agli ottavi, doversi sforzare per ottenere una qualificazione? Nessuno poteva davvero pensare che i tedeschi ce l’avrebbero fatta. Per questo, forse, il Real Madrid è via via apparso più nervoso e pronto a litigare - come se tutta quell’intensità del Lipsia fosse un atto di lesa maestà.

E quindi, come ha fatto il Real Madrid a vincere questo doppio confronto? Le risposte le conosciamo, sono le stesse di sempre. L’intangibile della storia europea, il talento individuale, che permette alla squadra di fare poco per ottenere tanto. Ogni volta che succede, però, sembra un po’ più estremo, un po’ meno comprensibile. Così scontato, eppure così implausibile.

Il Real Madrid sembra esistere apposta per esasperare e far esplodere i conflitti nei nostri discorsi. Se sei il Real Madrid puoi giocare male e vincere, sempre; puoi mettere pochi valori in campo, ma sempre sufficienti a svoltarla; si può essere la squadra per cui vale la pena pagare il prezzo del biglietto, pur senza alcuna generosità. Non esiste organizzazione collettiva che può batterti e agli avversari giocare meglio non basta mai. Viviamo immersi nella retorica che nella vita bisognerebbe impegnarsi, e che impegnandosi, affinando la migliore versione di sé stessi, si possono ottenere i traguardi sognati. Il Real Madrid, invece, è la manifestazione stessa del privilegio. Ci ricorda ogni volta che basta essere la squadra con la bacheca più piena, quella con i giocatori più talentuosi, e si può vincere sempre senza nemmeno impegnarsi - quasi senza nemmeno volerlo, come un vecchio conte svogliato che accumula le proprie rendite con suprema indifferenza.

Stiamo parlando di una squadra prima in Liga con 7 punti di vantaggio, che ha perso due partite delle ultime 37. Più il gioco del Madrid si dissolve, più la squadra diventa competitiva, come è possibile? A fine partita Ancelotti ha ammesso di aver sbagliato la formazione.

Quanto ancora il Real Madrid può permettersi di giocare male e passare comunque il turno in Champions League? Quanto in là può spingersi con la passività, con l’accettazione del rischio; con l’accettazione dell’idea di offrire una pessima versione si sé? La prossima partita sarà quella in cui il Real Madrid dovrà sforzarsi, o gli basterà scendere di nuovo in campo in pantofole e aspettare che la magia succeda da sé?

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