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Marco D'Ottavi
Contro il Real Madrid avere un piano non basta
13 apr 2022
13 apr 2022
Il Chelsea di Tuchel ha giocato meglio, ma non è bastato a passare il turno.
(di)
Marco D'Ottavi
(foto)
OSCAR DEL POZO/AFP via Getty Images
(foto) OSCAR DEL POZO/AFP via Getty Images
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Nessuna squadra riesce a rendere il calcio più simile all'arte del Real Madrid. Ma l'arte di questo Real non è una forma di grandezza ma qualcosa di più sottile: è la capacità del grande scrittore di ribaltare la scena con una frase, del pittore di creare qualcosa che prima non esisteva con una linea. Come era già successo con il PSG, ma anche in altre sfide a eliminazione diretta della Champions League degli ultimi anni, gli spagnoli escono vincenti da un doppio confronto in cui per lunghi tratti non sono stati la squadra migliore in campo, quella in grado di controllare il contesto in maniera più brutale. Ieri non hanno avuto neanche bisogno di vincere la partita con il Chelsea, gli è bastato non disunirsi nel momento più difficile e affidarsi poi al talento e al carisma dei suoi giocatori appena l’avversario ha perso per un attimo la concentrazione.Il Chelsea invece può guardare con nostalgia alla sua versione perfetta dello scorso anno, proprio quella che era riuscita a spezzare l’incantesimo del Real Madrid, a fare a pezzi la sua arte in 180’ giocati con ritmo forsennato e controllo tirannico del pallone. Certo, Tuchel può dire che sono stati «puniti dai singoli» e che meritavano di passare senza andare troppo lontano dalla verità, maledire le parate di Courtois, lo stato di grazia del trentaquattrenne Benzema, leggere la superiorità nelle occasioni della sua squadra (4.58xG a 2.58xG nei 210 minuti di gioco) o rimpiangere alcune imperfezioni dei suoi. Questa sconfitta, onorevole c’è da dire, getta comunque una precoce ombra da fine impero, più che altro per quello che sta succedendo fuori dal campo. Il Chelsea per anni ha ambito a essere come il Real, e ha finito per affidarsi ai suoi prodotti dell’Academy - James e Mount, risultati tra i migliori in campo - per provare a rimontare l’avversario. Il suo giocatore più pagato dell'estate, Romelu Lukaku, è rimasto in panchina per 120 minuti. Non sono più gli andata e ritorno dei vostri genitoriIn un saggio pubblicato su Revista de Occidente Jorge Valdano parlava di Miedo Escenico, più o meno “paura del palcoscenico”, per gli avversari che dovevano presentarsi al Bernabeu, finendo per subire rimonte clamorose in maniera quasi inspiegabile. Gli ultimi anni di questa competizione hanno invece consolidato la possibilità di una rimonta come qualcosa di molto meno scenico, ma più legato al calcio di oggi, dove le migliori squadre hanno sempre più strumenti per fare gol e farlo anche davanti a uno stadio gremito di tifosi bianchi, con quell’atmosfera da Champions League d’aprile al Bernabeu, con la luce elettrica dei fari a mischiarsi con i lunghi tramonti sopra le volte dello stadio.La squadra di Tuchel, al contrario di quella di Ancelotti, ha cambiato molto rispetto all’andata: dietro Reece James è stato schierato nell’inedito ruolo di difensore destro per pareggiare la vitalità di Vinicius Junior; in mezzo al campo a sinistra c’era Marcos Alonso per Azpilicueta, al centro Kovacic per Jorginho, davanti Werner per Pulisic. Ma forse la mossa più "tattica" da parte dell’allenatore tedesco è stata quella di inserire Loftus-Cheek largo a destra, con l’idea di averlo ben dentro al campo nella fase di possesso per creare superiorità in al centro. La partita si è avviata lentamente, con le due squadre a dividersi il pallone guardinghe, poi una palla recuperata da Mount su Valverde al decimo ha come acceso il Chelsea, che si è riversato nella metà campo del Real Madrid, che nella sua versione più intimorita ha accettato di abbassarsi forse convinta che nulla poteva succedergli, che sarebbe bastato poi lanciare il pallone verso Benzema per mettere in ghiaccio la semifinale. E invece alla squadra di Tuchel sono bastati tre minuti di pressione organizzata e due di palleggio nella metà campo avversaria - due minuti e dodici secondi per la precisione - per sfondare al centro la difesa del Real Madrid e dimezzare lo svantaggio: una fitta costruzione a sinistra ha trovato la sua miccia quando Loftus-Cheek si è spinto fin quasi sull’altra fascia per trovare una strettissima combinazione di prima tra lui, la coscia di Werner e il taglio di Mount, che davanti a Courtois non ha tremato.

È anche così che si costruiscono rimonte epiche, approfittando della prima piccola crepa nel piano avversario. La possibilità di dover segnare solo un gol in 75 minuti per andare ai supplementari ha dato al Chelsea la sicurezza di giocare una partita meno disperata e più attenta, scegliendo quando alzare il ritmo e quando abbassarlo. Anche perché dall’altra parte il Real Madrid non riusciva a trovare stimoli né dal campo, né dall’ambiente: Vinicius era spento dalla grande prova difensiva di James, Benzema vagava per il campo come un fantasma senza toccare un pallone pericoloso, Kroos non sembrava a suo agio al centro del campo. Quando nelle partite del Real risalta l’acume tattico di Casemiro, l’onesto mestiere di Carvajal e l’intensità di Valverde vuol dire qualcosa non sta andando per il verso giusto.

Il Chelsea si è preso i suoi rischi: Vinicius e Benzema lasciati spesso in uno contro uno con James e Rudiger, che però sono stati sempre perfetti in questi duelli, almeno fino al 96’.

Non è dovuto succedere molto tra il primo e il secondo gol del Chelsea, anzi diciamo che non è successo quasi nulla, eppure è sembrato quasi normale arrivasse. Un colpo di testa da calcio d’angolo di Rudiger, che non è certo il risultato di finezze tattiche, ma che è una costante per la squadra inglese, storicamente capace di segnare da palla inattiva nei momenti cruciali delle sue partite. La ritrovata parità, figlia del nuovo regolamento che depotenzia i gol in trasferta, è stato il segnale che un nuovo quarto di finale poteva cominciare da capo, ma a questo punto la tripletta di Benzema, quel senso di onnipotenza mostrato dal Real all’andata, era lontanissimo. Il Chelsea, senza aver speso troppe energie fino a quel momento, aveva dalla sua l’entusiasmo, l’abbrivio di chi parte da dietro e recupera. Guidati da Tuchel in panchina, che nel suo piumino grigio si muoveva come un ossesso, i “Blues” - gialli per l’occasione - hanno alzato il ritmo del loro pressing, trovato più armonia nelle ripartenze, approfittato dello sbandamento del Real, indeciso tra il fare e il non fare.Con il Real Madrid per una volta sbilanciato, Mount e Havertz hanno aggredito con successo Mendy, recuperando il pallone sulla trequarti e lanciando un quattro contro tre. Quando il pallone è arrivato sull’esterno a Marcos Alonso, lo spagnolo ha vinto un rimpallo su Carvajal e poi con il piede debole ha spedito il pallone all’incrocio. Un tocco di mano rilevato dal VAR ha vanificato il gesto di Alonso, ma non l’idea che il Chelsea potesse segnare il terzo gol, che anche i suoi giocatori potevano fare grandi cose in una maniera più naturale del solito. E una grande cosa l’ha fatta, pochi minuti dopo, il giocatore forse meno atteso, quello che era stato ripudiato dal Chelsea dopo un anno disastroso fatto da gol sbagliati sempre più ridicoli. Werner, schierato da Tuchel più per la sua capacità di pressare in avanti e creare spazi per i compagni con i suoi movimenti che non per la sua capacità di saltare tre uomini e fare gol, invece ha saltato tre uomini e fatto gol. Anche questo gol è arrivato dopo un paziente palleggio sulla zona sinistra del campo, con una bella combinazione a tre capace di manipolare la difesa del Real Madrid. Alonso, partendo dalla posizione di centravanti, si è abbassato per ricevere un passaggio da Werner, che invece era scalato sulla fascia. Spalle alla porta lo spagnolo ha servito l’inserimento alle spalle di Valverde di Kovacic che poi ha premiato il taglio di Werner nel buco lasciato libero dall’uscita di Nacho attirato da Alonso fuori dalla linea difensiva. [gallery columns="9" ids="80147,80148,80149"] Insomma, una grande giocata di Werner (e una pessima difesa del Real), capace di eludere il recupero forse troppo irruento di Casemiro, di resistere alla tentazione di tirare addosso a Courtois o Alaba e poi anche fortunato nella conclusione, ma anche una grande preparazione, a dimostrazione che il Chelsea è arrivato al Bernabeu con un piano preciso che andasse ben oltre la foga del voler recuperare in qualche modo il risultato. Un piano preciso che però non aveva fatto i conti con la pistola appesa al muro fin dall’inizio. Il carattere come tatticaAnton Cechov diceva che «Se in un romanzo compare una pistola, bisogna che spari». Ieri la pistola è stata l’esterno di Luka Modric. Proprio per l’idea che ogni partita del Real è diversa, che lo scarto tra dominare e soccombere è molto più sottile, mentre tutto sembrava volgere verso il Chelsea, alla squadra di Ancelotti è bastato aspettare che la pistola sparasse. Alaba ha intercettato di testa un lancio che se lo avesse scavalcato avrebbe creato grandi problemi alla difesa, Marcelo, appena entrato, si è limitato a passare il pallone a Modric, che dopo il controllo si è girato e ha servito a Rodrygo uno degli assist più belli che vedrete nella vostra vita e lo ha fatto nel momento di massimo bisogno della sua squadra (vi rimando qui se volete approfondire il discorso estetico intorno a questo gesto, o a qui se volete rivederlo).Quando il Real ha pareggiato il conto dei gol mancavano ancora dieci minuti più gli inevitabili supplementari. Il Chelsea ha continuato a essere la squadra che in campo faceva le cose migliori, attaccava di più, in maniera più intensa. Tuttavia si aveva la sensazione che sarebbe comunque passato il Real Madrid. È quel tipo di inesorabilità che ha quasi stufato, che gli ha permesso di fare 10 semifinali negli ultimi 12 anni di Champions League; che spinge Ancelotti a fare cambi che si rivelano decisivi come quello tra Kroos e Camavinga, diciannove anni, o rispolverare Marcelo praticamente mai usato in stagione ottenendo in cambio calma e controllo, mentre Tuchel finisce per inserire Pulisic e Ziyech avendo in cambio solo confusione, rispolvera Saul (davvero?) senza che faccia una singola cosa utile.Anche il gol di Benzema, sebbene si inserisca alla perfezione nel racconto del francese come leader spirituale di questa squadra, viene da un assurdo momento di svagatezza del Chelsea, che lascia a Camavinga un pallone vagante su cui Kanté ha pensato sarebbe andato Loftus-Cheek e Loftus-Cheek che sarebbe andato Kanté. James, che fino a quel momento era stato perfetto, come preso da improvvisa stanchezza, lascia Vinicius entrare fino al cuore dell’area di rigore, alzare la testa e prendere la mira per mettere il pallone dove se ne sta appostato Benzema. Accanto a lui Rudiger scivola, e non riesce a rendere il lavoro del francese quantomeno più difficile. Impossibile vederlo sbagliare a questo punto.

C’è tempo per qualche altra occasione sporca per il Chelsea, più utile a ricordarci che, comunque, il Real Madrid non ha giocato una buona partita dal punto di vista difensivo. Dalla panchina Tuchel si sbracciava, indicando ai suoi un avanti ipotetico, come se quelli non sapessero gli servisse un gol per i rigori; alle sue spalle Lukaku era nascosto, invisibile, una risposta a una domanda che nessuno si è fatto. Havertz ha mancato un gol di testa, Ziyech ha tirato quando poteva crossare, Jorginho avrebbe potuto fare meglio su un tiro di sinistro proprio all’ultimo. Mentre il sipario calava sul Bernabeu, con i giocatori del Real di nuovo sopraffatti dalle emozioni, l’unico calmo era Ancelotti. Prima della partita aveva detto sicuro «Sono in questo mondo da molto tempo, forse troppo, e conosco le qualità che servono [...] la personalità, il carattere, che hanno questi giocatori per competere». Pochi allenatori come lui sono in grado di tirare fuori questi istinti dai grandi giocatori, assecondare il loro carisma come se fosse una tattica di gioco. Se non si può dire abbia vinto in maniera pulita la sfida tra allenatori contro Tuchel, che invece nel ritorno ha mostrato di saper costruire un piano per mettere in difficoltà una delle migliori squadre del mondo a casa propria, Ancelotti è stato capace di gestire meglio i momenti finali della partita rispetto al tedesco. Forse l'allenatore italiano era consapevole che dove l’altro doveva agitarsi per cercare risposte muovendo i suoi calciatori come pedine, lui poteva rimanere calmo e cercarle in Modric e Benzema, trovandole ancora una volta.

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