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Alessandro Ruta
Quella volta che il Real Madrid B arrivò in Coppa delle Coppe
09 apr 2020
09 apr 2020
Nel 1980 il Castilla si spinse fino alla finale di Coppa del Re.
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Alessandro Ruta
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«Se squadra giovanile arriva in finale di coppa nazionale e gioca contro la squadra dei grandi è normale che sia più carica». Nel giugno del 1980 Vujadin Boskov, lontano dalla prosa iconica che siamo abituati ad attribuirgli, da allenatore del Real Madrid deve affrontare una situazione più unica che rara. Ovviamente non è il fatto di essere arrivato in finale di Copa del Rey quanto di doversela vedere con i giovani delle amichevoli del giovedì. Cioè con il Real Madrid B, che in realtà si chiama Castilla e all'epoca giocava in Segunda Division.


 

C’è da dire che non era la prima volta che una squadra di Serie B arrivava in finale di Coppa di Spagna: già prima ci erano riusciti il Betis Siviglia, il Sabadell e il Ferrol, roba comunque degli anni Trenta. Tutte e tre avevano perso, contro Athletic Bilbao e Siviglia, due volte. La differenza, questa volta, era però che quella in questione non era una squadra qualsiasi ma una filial, come si chiamano in Spagna le Squadre B. Oltre all’unicità dell’evento in sé, poi, c’è anche la sicurezza che in ogni caso il Castilla andrà in Coppa delle Coppe, dato che il Real Madrid ha già conquistato la Liga. Insomma, non è una partita come le altre.


 

Ma partiamo dall’inizio. Dal nome, nello specifico. Santiago Bernabeu, morto durante il Mondiale argentino del 1978, opta per un cambio di nome del filial già nel 1972. Addio a Plus Ultra, come si chiamava in precedenza. O meglio: acquisizione da parte del Real Madrid del titolo sportivo del Plus Ultra, piccola squadra già affiliata al Madrid di Tercera Division (la quarta serie spagnola), ma a un passo dalla scomparsa.


 

Nasce così il Castilla. L'obiettivo dichiarato è di formare dei calciatori in grado di arrivare fino alla Segunda, anche perché come da regola, più in su non si poteva andare. E da lì, chissà, pescare qualche futuro giocatore per la Casa Blanca. Fino al 1978, però, il Castilla in realtà rimane inchiodato in terza serie, anche se qualche futuro titolare del Real riesce pure a sfornarlo: parliamo di giocatori come José Antonio Camacho o Isidro.


 

Alla prima stagione in Segunda, però, il Castilla parte subito con il botto con un settimo posto non lontano dalle promosse Almeria, Malaga e Betis Siviglia, l'incredibile trio andaluso capace di conquistare la promozione in blocco. Anche il campionato successivo sarà buono, con un altro settimo posto, ma è ovviamente in Coppa che la sua corsa assumerà contorni impensabili.


 

È il 1980, un anno speciale per la capitale e per l’intera Spagna. È l'anno della nascita della "Movida madrilena", un movimento culturale eterogeneo nato nella capitale iberica protagonista in quasi ogni ambito della vita sociale. Il nome che in quel periodo predomina la scena è quello di un eccentrico regista cinematografico figlio di carrettieri proveniente dalla remota e triste provincia di Ciudad Real, nella Mancha, poi trasferitosi in Extremadura: Pedro Almodovar, all’epoca impiegato della maggiore impresa telefonica spagnola (Telefonica), ma con l’hobby dei cortometraggi, del teatro (dove conosce una delle sue attrici-feticcio, Carmen Maura) e dei fumetti.



Almodovar è un tipico esempio di cosa fosse quel periodo in cui cinema, musica e letteratura stavano contribuendo a una rivoluzione dei costumi e della società: la controcultura della Movida tocca tutti gli ambiti e sembra davvero che a Madrid si possa ottenere di tutto. Dopo il quarantennio franchista e la Transiciòn verso la democrazia il vitalismo è ai massimi, si parla di omosessualità e droghe in una società ancora fortemente cattolica e chiusa, specie nelle provincie più remote, spuntano i movimenti femministi, i giovani invadono la Gran Via e locali come "La Via Lactea" e "La sala del sol", e il grigio della dittatura si trasforma in marea colorata al grido di "Madrid nunca duerme", "Madrid non dorme mai”.



È un contesto, insomma, che quasi sembra galvanizzare naturalmente una squadra di ventenni. Quel Castilla è composto da giocatori che nel Madrid dei grandi troveranno in alcuni casi molto spazio, a partire da Ricardo Gallego, elegante centrocampista che coi "blancos" disputerà 250 partite e con la nazionale parteciperà a due Mondiali (1982 e 1986) e due Europei (1984 e 1988). Madridista di nascita e di cuore, socio del Real già a tre anni, figlio di tifosi e tifoso lui stesso; a casa colleziona le figurine dei suoi idoli sognando, chissà, un giorno, di finirci anche lui su quell'album. «Eravamo un gruppo di ragazzi che andava in campo per giocare a calcio, semplicemente, con fluidità e questo sorprendeva gli avversari, che non se lo sarebbero mai aspettato», ha detto una volta.


 

L'allenatore, sulla scia della gioventù della rosa del Castilla, ha 35 anni. Si chiama Juan José Garcia Santos, per tutti Juanjo. Quattro anni prima aveva deciso, dopo una carriera calcistica decisamente anonima (Carabanchel, Gimnastica Segoviana, Avila e infine Urbis), di prendere una strada più sicura: impiegato di banca. E nel tempo libero qualche lavoretto per il Real Madrid, squadra con cui aveva iniziato nelle giovanili prima di un bruttissimo infortunio che aveva messo fine alla sua carriera. Una moglie, due figli, stipendio di due milioni di pesetas (12mila euro al cambio del 2001, non molto nemmeno nel 1980), in pratica l'uomo medio capitato in una situazione assurda. Ha avuto l'incarico quasi per esclusione, non trovando i "blancos" un nome all'altezza per il suo filial. Il giorno della finale, il 4 giugno 1980, è l'uomo più famoso di Spagna.


 

Campanadas
Il Castilla di Juanjo supera di slancio i primi tre turni di Coppa del Re contro Extremadura (10-2 nel doppio confronto), Alcorcon (1-0 e 4-1) e il Racing Santander di Quique Setien (3-1 e 0-0). Al quarto turno tuttavia il filial del Madrid sembra spacciato dopo che ad Alicante becca un 4-1 dall'Hercules, squadra di bassa classifica della Liga. Con il Real ancora in attesa per via di un tennistico bye che l'avrebbe fatto entrare in tabellone solo negli ottavi di finale, i tifosi della capitale possono andare a sostenere i ragazzini, in una fredda sera di febbraio: dopo mezz'ora è già 2-0, e a un minuto dalla fine Gallego timbra il 3-0 dopo un lungo assedio. Non esistendo ancora la regola del gol in trasferta bisogna andare ai supplementari: molti sugli spalti se ne sono andati, ma chi è rimasto vede il 4-0 in mischia di Cidon al 103esimo minuto. È la prima di tante “campanadas”, come si chiamano in spagnolo i risultati a sorpresa.


 

I titoli dei giornali del giorno dopo sono tutti per i giocatori di Juanjo, attesi agli ottavi dall'Athletic Bilbao. Una sfida sulla carta impossibile, anche se i baschi non sono in una delle loro migliori stagioni. Dopo lo 0-0 di Madrid, a San Mamès il pronostico pare proprio scritto, ma alla fine, a sorpresa, il ruolo dei Leoni, come vengono chiamati i giocatori baschi, lo interpretano gli sfavoriti: 2-1, col portiere Augustin in versione saracinesca umana. Una volta tornati in spogliatoio dopo la partita il pubblico bilbaino richiama a gran voce i "chavales" - i ragazzi - del Castilla per tributare loro un ulteriore applauso. 


 

Altro giro nei Paesi Baschi contro la Real Sociedad, che in campionato al Real Madrid "vero" ha rifilato un 4-0 ad Atocha, mitico e iconico stadio di San Sebastian abbattuto all'inizio degli anni Novanta. Per la proprietà transitiva, il filial non dovrebbe avere scampo contro una squadra difficilissima da battere (una sola sconfitta nella Liga); invece è 2-1 all'andata, stretto per i baschi, e al ritorno Paco e Sanchez Lorenzo ribaltano la situazione. Rimonta, un'altra, dopo quella contro l’Hercules.


 

In semifinale c'è lo Sporting Gijon di Quini, uno dei più forti attaccanti spagnoli di sempre, sette volte capocannoniere della Liga, una leggenda che cammina. Al Molinon di Gijòn, oggi intitolato a Quini dopo la sua morte avvenuta nel 2018, è 2-0. E che problema c'è? Ormai la "remuntada" è normalità, e infatti già dopo pochi minuti al Bernabeu il risultato è tornato in parità: all'intervallo è addirittura 4-0, poi 4-1 altro che rimonta, è un trionfo totale, tutta la Spagna che non tifa Real Madrid sostiene il filial dei “blancos". Il Madrid nel frattempo ha eliminato a fatica l'Atletico Madrid in semifinale, raggiungendo così la sua squadra B in finale. Anche se qualcuno, maliziosamente, dice che in realtà è il Real Madrid a essere diventato il "Castilla B", perché il filial gioca nettamente meglio dell'undici allenato da Boskov - è più divertente, più spensierato.


 

È una partita che deve essere davvero scritta nel destino perché, per la verità, già per due volte nei turni precedenti Real Madrid e Castilla erano stati estratti come avversari. Ma la regola vietava fino alla finale che le due squadre potessero incontrarsi prima dell’eventuale finale. A inizio torneo nessuno si sarebbe mai immaginato di poter mai vedere applicata regola. E invece ecco scodellata la sorpresa, l'entusiasmo, la realtà di un'amichevole di allenamento, come succedeva praticamente ogni settimana, trasformata in partita vera, con in palio un trofeo.


 

Il Real Madrid, tra l’altro, ha qualche ex-filial tra i titolari: Camacho, già citato, e poi Vicente del Bosque a centrocampo e il laterale Sabido. Non è ancora l'epoca dei Galacticos comprati a peso d'oro dall'estero, i due stranieri sono il mastino tedesco Uli Stielike coi suoi baffoni e l'attaccante esterno inglese Laurie Cunningham.


 

Fosse stato ancora vivo Bernabeu si sarebbe messo a piangere vedendo nello stadio che ormai portava il suo nome le sue due creature più amate: il Real Madrid, certo, ma pure il Castilla. L'atmosfera in campo quel 4 giugno 1980 è straniante, perché comunque vada un Real Madrid vincerà. Il Castilla gioca in viola, la divisa "da trasferta", è contratto, inevitabilmente, prende i primi due gol per colpa di rimpalli, i dettagli che l'hanno portato in finale gli si ripercuotono contro.


 

Segnano Juanito e Santillana, nella ripresa arrotondano Sabido e del Bosque, prima che Alvarez indovini il gol più bello della partita, il gol della bandiera, per salvare l'onore dei suoi, gran tiro da fuori all'incrocio dei pali. Il tabellino si gonfia ancora con Garcia Hernandez e la doppietta di Juanito su rigore, 6-1. «In allenamento li tirava tutti a destra, quindi mi sono tuffato di lì e mi ha ingannato», ricorderà il portiere Augustin.


 

Alla cerimonia di premiazione sono tutti felici e, caso unico nella storia, pure la squadra sconfitta può sollevare la coppa nel giro di campo canonico, perché sono tutti della stessa famiglia. Anche se il giorno dopo i giornali titoleranno "Infanticidio" in prima pagina, oppure "Ganò papà” (cioè “Ha vinto papà”), Gallego ribadirà: «Il fatto che fossimo arrivati in finale ha costretto il Real a prenderci molto sul serio. Il 6-1 è stata la giusta fotografia della distanza tra noi e loro». Non tutti la presero con questa filosofia, comunque: quando i giocatori del Castilla torneranno alla Ciudad Deportiva per gli allenamenti troveranno un mega-cartello con la scritta “6-1".



La partita completa.


 

L'Europa e la "Quinta del Buitre"


Ma il bello per il Castilla doveva ancora venire, per completare la storia. E cioè giocare una partita in Europa, nella Coppa delle Coppe. Al primo turno un sorteggio non fortunatissimo contro un'altra squadra speciale, il West Ham vincitore di FA Cup pur militando in seconda divisione.


 

Andata al Bernabeu e roboante vittoria 3-1, gol di Paco, Balin e Cidon, tutti titolari nella finale di pochi mesi prima. Corollario della partita, gli incidenti tra gli hooligans del West Ham e la polizia che porteranno alla decisione di far disputare il ritorno a porte chiuse. Era la prima volta nella storia della UEFA che succedeva. Purtroppo per il Castilla a Boleyn Ground, nonostante i 262 spettatori, si finisce ai tempi supplementari e gli “Hammers” dilagano 5-1. Fine della storia. 




 

Quell’esperienza lascerà comunque un’impronta visibile, almeno a livello culturale. Negli anni successivi, infatti, il Real Madrid, grazie a un'intuizione di Alfredo Di Stefano, nuovo allenatore dopo Boskov, diventa la squadra della "Quinta del Buitre", ovvero Emilio Butragueno e i suoi fedeli compagni come Michel, Sanchis, Martin Vazquez e Pardeza. Tutti venivano dalla “Fabrica”, come veniva chiamato il Castilla, e tutti sarebbero diventati titolari nel Real e della nazionale spagnola degli anni Ottanta. Nel 1984 questi cinque giocano contemporaneamente con il Castilla che, caso unico nella storia del calcio spagnolo, vince il titolo di Segunda pur consapevole di non poter salire nella Liga (peraltro arrivando a pari punti con il filial dell'Athletic Bilbao, il Bilbao Athletic, portando quindi alla promozione della terza, quarta e quinta del campionato). Forse senza quel precedente clamoroso (e peraltro irripetibile, dato che dal 1990 le squadre B non possono più giocare in Coppa), senza l’impresa del filial, forse, anche la storia del club più prestigioso del mondo sarebbe stata diversa.


 

E quella squadra, invece, che fine ha fatto?


- Juanjo morirà prematuramente, a soli 41 anni, per un infarto, nel 1987, da allenatore della Cultural Leonesa;


- Agustin Rodriguez, portiere, un anno dopo, giocherà da titolare la finale di Coppa Campioni persa contro il Liverpool 1-0.


- Il capitano, Javier Castaneda, difensore centrale duro ma corretto, dopo quella cavalcata invece di proseguire con il Real andrà all'Osasuna per diventarne una bandiera: anzi, il secondo giocatore, dopo Patxi Punal, con più presenze nella Liga nella storia del club di Pamplona. Memorabile una sua partita a "El Sadar" dove limiterà Maradona nella sua epoca barcellonista. Un tipo senza peli sulla lingua, che dopo il ritiro andrà a dirigere una compagnia di assicurazioni;


- Dopo il Real Madrid, Ricardo Gallego farà una comparsata anche in Italia nel campionato 1989-90, in un'Udinese che terminerà retrocessa. Lui, in realtà, era già oltre la trentina, e nonostante fosse capitano dei friulani, le gambe non erano più quelle di una volta e aveva molti meno capelli rispetto all’era madridista. A Udine i tifosi lo chiamavano "Soso", cioè "insipido", perchè va bene la classe, però un po' di sangue in quelle giocate, suvvia. Un palmares comunque di tutto rispetto: quattro volte la Liga e due Coppe UEFA, tra l'altro.


 

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