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(di)
Umberto Preite Martinez
Re Sole
26 lug 2016
26 lug 2016
La terza vittoria al Tour consacra Chris Froome oltre ogni critica possibile.
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Umberto Preite Martinez
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Quando mio fratello mi regalò il libro di Gianni Mura sui suoi articoli più belli da inviato al Tour de France, saltai a piè pari tutta la parte sugli anni di Lance Armstrong. Non perché io ce l’avessi particolarmente con il texano, ma piuttosto perché quella “

” a cui era stato sottoposto da tutto il mondo ciclistico in qualche modo aveva contagiato anche me.

 

Cancellare il nome di Lance Armstrong dall’albo d’oro del Tour è stato meno difficile di quanto potrebbe si potrebbe credere. All’inizio lodato, ammirato, persino tifato e sostenuto; piano piano, con il succedersi delle sue vittorie (7 consecutive, dal 1999 al 2005) una generale e sentita antipatia prese il sopravvento nei cuori dei tifosi, soprattutto francesi.

 

Del resto la psicologia del tifoso di ciclismo francese ha una logica tortuosa e piuttosto complicata da approfondire. Per citare un esempio, mentre al Tour il mondo assisteva alle imprese di Jacques Anquetil, i francesi hanno sempre preferito tifare per il povero Raymond Poulidor (“Pou-pou”, l’Eterno Secondo: 14 partecipazioni al Tour fra il ’62 e il ’77, 8 volte sul podio, 0 giorni in Maglia Gialla).

 

Armstrong in questo senso era davvero l’anticristo. Al texano non bastava vincere i tour, voleva comandarli: decidere chi poteva andare in fuga e chi poteva vincere una tappa. Come un monarca annoiato. La sua US Postal aveva il pieno e totale controllo della corsa, in ogni momento.

 

Una situazione che per anni non si è più ripetuta, almeno fino ad oggi, fino al Tour de France 2016. La Sky di Chris Froome ricorda molto da vicino la US Postal di Lance Armstrong, anche se con le dovute distinzioni. Se entrambe le squadre hanno dominato il Tour de France imponendo la loro legge a tutti gli avversari, la Sky ha mostrato sempre una mentalità molto meno

nella gestione della corsa, senza contare gli scandali doping che si sono abbattuti a ripetizione sulla squadra americana dopo la fine dell'Era Armstrong.

 

In entrambi i casi però, è stata la superiorità della squadra a fare la differenza nelle vittorie dei capitani.

 

Non è un caso che Chris Froome sia il primo ciclista negli ultimi dieci anni a vincere due Tour de France di seguito. Due vittorie apparentemente simili, ma in realtà profondamente diverse.

 

Se l'anno scorso il britannico aveva distrutto la concorrenza sui Pirenei prima di accusare un po' il colpo sulle Alpi dove aveva dovuto subire gli attacchi di uno scatenato Nairo Quintana, quest'anno il suo dominio è apparso più netto e continuo, anche se in un certo senso più subdolo.

 

Nessuno l'ha mai messo in difficoltà e la sua squadra è sempre riuscita a schiacciare qualsiasi fantasia degli avversari. E anche nell'unica occasione in cui si è ritrovato da solo, ad Andorra Arcalis, Froome ha dimostrato di avere la forza per rispondere a tutti gli attacchi, limitandosi sempre a conservare il vantaggio guadagnato nelle cronometro.

 

Non solo, ma nel corso di queste tre settimane, Chris Froome si è trasformato. Nel suo modo di correre, nell'idea che noi abbiamo di lui, nella mente dei suoi avversari.

 

Da robot è diventato uomo, per poi trasumanare all'eroismo.

 

 



 

Al via da Mont-Saint-Michel, Chris Froome parte con i gradi del grande favorito. È il campione uscente, ha vinto poche settimane prima il Giro del Delfinato e anche se il percorso ricco di salite sembra favorire Nairo Quintana, il suo principale antagonista, è su di lui che sono puntati tutti i riflettori. La sua squadra è brava a tenerlo fuori dai guai nella prima settimana e lui è perfetto nel rimanere nascosto.

 

Fino alla quinta tappa, la Limoges-Le Lioran. Sull'ultimo colle di giornata sono i Movistar a forzare l'andatura per mettere in crisi un sofferente Alberto Contador (che si ritirerà pochi giorni dopo). Froome si piazza a ruota degli uomini di Quintana e li segue come un'ombra fino al traguardo. Sono le prime schermaglie per misurare la febbre agli avversari, anche se il profilo altimetrico non presentava grandi asperità. È soprattutto la tappa prima dei Pirenei.

 

Il trittico pirenaico si apre con la scalata del Col d'Aspin, nel finale della settima tappa. La Sky si piazza in testa al gruppo a controllare la corsa e trascina tutti gli altri fino all'arrivo come un cane pastore e il suo gregge di pecore. Nel gruppo che taglia il traguardo dietro a Geraint Thomas ci sono cinque uomini Sky, mentre le altre squadre hanno al massimo due o tre ciclisti. Primi segnali di quel che sarà.

 

Il giorno dopo c'è quella che dovrebbe essere la tappa regina di questo Tour de France. Una tappa disegnata male, con quattro colli da scalare ma tutti con pendenze molto blande. Il Tourmalet messo a 100 km dall'arrivo, poi, è una specie di insulto al ciclismo.

 

Ancora una volta è la Sky che porta a spasso il gruppo fino all'ultima salita, il Col de Peyresourde. È qui che assistiamo al primo scatto di Chris Froome. Prima parte secco Sergio Henao, seguito da Valverde con a ruota Froome e Quintana. Poi è proprio Froome a prendere l'iniziativa. Non è uno scatto vero e proprio, perché non cerca di staccare gli avversari. È più come se volesse testare la sua condizione. È come se corresse da solo, contro sé stesso e i suoi stessi limiti.

 


Rimane in piedi sui pedali esattamente per 10 secondi.





Ma è in cima alla salita che succede l'imponderabile. Fino a pochi secondi prima, Chris Froome era un robottino che pianifica sempre ogni sua mossa guardando il suo computer. Era quello che corre senza passione, senza sentimento. Una macchina costruita per vincere e basta.

 

Era persino considerato uno che non sa guidare la bicicletta.

 

Figuriamoci se è uno che s'inventa un attacco su un falsopiano prima della discesa.

 



 

La leggenda narra che gli spartani buttassero i bambini storpi da una rupe. Froome ci si tuffa da solo, senza sapere cosa troverà in fondo. In un attimo prende qualche metro, che diventano dieci, che diventano cento.

 

In un attimo spazza via i suoi dubbi e distrugge ogni critica. Uccide ogni parola, ogni insulto, ogni perplessità. In un attimo si rende eroe.

 

Vincerà quella tappa con 13” sul suo rivale di sempre, Nairo Quintana, prendendosi anche quella maglia gialla che porterà con sé fino a Parigi.

 

 



 

Il secondo atto del suo trionfo si consuma a Montpellier, all'undicesima tappa. Il percorso di gara quel giorno si snoda per le campagne francesi nella pianura che separa i Pirenei dal Massiccio Centrale. Un giorno interlocutorio prima dell'inferno del Mont Ventoux.

 

Uno di quei giorni in cui rimani a guardare la televisione solo perché fa troppo caldo anche solo per uscire di casa. E l'ultima cosa che ti aspetteresti è di vedere la maglia gialla all'attacco negli ultimi chilometri.

 

Omero racconta che, dopo aver ucciso la sua matrigna, Eolo si rifugiò all'isola di Lipari, al largo della Sicilia. Da lì governa i venti che soffiano sulla Terra, spostando enormi masse d'aria da un luogo all'altro.

 

Lo scorso 13 Luglio, Eolo era a casa ad aspettare che Ulisse gli riportasse il suo otre in pelle di bue, con la televisione accesa sul Tour de France. Una tappa noiosa, completamente piatta.

 

Ma l'attesa di Ulisse può essere snervante, così pensò bene di ravvivarla un po' e con un semplice gesto ordinò al Maestrale di spazzare con tutta la forza possibile le campagne del Sud della Francia. Precisamente fra Carcassonne e Montpellier.

 

Al passaggio dei ciclisti nei pressi di Cessenons-sur-Orb, un piccolo comune di circa duemila anime nel nulla della campagna francese, un fortissimo vento laterale inizia a sferzare il gruppo spaccandolo in più tronconi. Inizia da lì un'altra corsa, segnata dal vento e dai ventagli.

 

E quando il gruppo arriva proprio alle porte di Montpellier, un locomotore svizzero che porta il nome di Fabian Cancellara decide che ancora non è giunto il momento di rilassarsi. Si mette a tirare in testa al gruppo e lo allunga, in fila indiana, tanto che basterebbe poco per spezzarlo.

 



 

E infatti subito dopo due uomini della Tinkoff, Maciej Bodnar e Peter Sagan, raccolgono l'assist del fuoriclasse svizzero e aumentando il ritmo guadagnano qualche metro dalla testa del gruppo.

 



 

Ora, in una situazione normale guadagnare qualche metro negli ultimi chilometri di una tappa in pianura non serve a nulla. Il gruppo può venirti a prendere quando vuole e prepararsi per la volata in tranquillità.

 

Ma con un forte vento laterale anche quei pochi metri possono essere decisivi per andarsene via fino al traguardo. Se poi a guadagnarli sono due passistoni come Bodnar e Sagan allora il pericolo è più che concreto.

 

Da dietro a muoversi subito è sorprendentemente Chris Froome.

 

Froome è un profeta che ha visto qualcosa che nessun altro ha visto e sente che il suo compito è quello di mostrarci ciò che solo a lui è stato rivelato.

 


Pochi metri…



 


...che scavano un solco incolmabile.



 

In una tappa che per noi mortali non aveva niente da dire, Chris Froome ha ucciso il Tour de France. Ha ucciso i suoi rivali con un colpo di giavellotto prima dell'inizio del corpo a corpo. Ha colpito tutti da lontano, con forza, in pieno petto. Con a fianco il suo fedele Patroclo, Geraint Thomas, Froome ha spezzato da solo le linee nemiche e ha sconfitto i troiani mentre gli altri cercavano soltanto di sopravvivere.

 

Lì, in quel momento, Chris Froome è diventato l'eroe che nessuno si aspettava ma che tutti volevamo.

 

 



 

La seconda parte del Tour de France di Chris Froome è stata una lunga cavalcata trionfale fino agli Champs-Élysées. Nessuno ha più osato sfidarlo, preferendo la sicurezza del gregge piuttosto che l'incertezza di un salto là dove il mare diventa nero e non puoi mai sapere se le gambe ti sosterranno fino a riva o se verrai azzannato prima dagli squali che dominano quelle acque.

 

Nella cronometro della tredicesima tappa ha posto la pietra tombale sulle speranze degli avversari. Sulle Alpi ha tenuto a bada i suoi rivali, splendente nella sua maglia gialla. All'ultima cronoscalata ha sublimato la sua vittoria mettendo in riga tutti i suoi avversari conquistando la sua seconda tappa.

 

Chris Froome è arrivato in trionfo a Parigi scortato da tutti i suoi compagni di squadra, dopo aver conquistato il terzo Tour de France della sua carriera. Ha vinto incantando su qualsiasi terreno, distruggendo gli avversari a cronometro, staccandoli in pianura, sorprendendoli in discesa. Ha vinto dimostrando a tutti di non essere un robot, ma anche di non essere un uomo.

 

O almeno non un uomo come gli altri.

 

 

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