Raúl González Blanco: l’icona del Real Madrid
In occasione dei 115 anni del Real Madrid, rendiamo omaggio al giocatore che ne rappresenta meglio la storia recente.
Parte VI. La nazionale
È opinione comune che la Nazionale spagnola rappresenti la pagina “nera” della carriera di Raúl, quella che ne ridimensiona la figura. Questo in parte è vero, ma puntualizzazioni, contestualizzazioni e sfumature sono più che mai necessarie.
Anzitutto va ricordato che González Blanco resta pur sempre il secondo massimo goleador della storia della nazionale (qui trovate tutti i gol), con 44 reti in 102 presenze (solo Villa con 59 gli è sopra). Però resta evidente il fallimento nelle grandi competizioni, europei (2000, 2004) e mondiali (1998, 2002, 2006). Sebbene sia andato in gol in ciascuna di queste manifestazioni (tranne Euro 2004) Raúl non è mai riuscito a trascinare di peso la Roja oltre l’ostacolo. Non è stato decisivo, è rimasto intrappolato in quella spirale d’impotenza che ha afflitto la nazionale spagnola prima dell’attuale ciclo vincente. Con la buona compagnia dei Hierro, Guardiola, Luis Enrique e simili.
Insuccessi innegabili, ma relativi: da sempre sostengo l’ingiustizia delle valutazioni tarate solo su competizioni come i mondiali, che col loro valore simbolico (per il fatto di essere le più seguite a livello planetario) sembrano quasi rendere più significativo ciò che i giocatori fanno ogni quattro anni, in un mesetto scarso, rispetto a ciò che producono nel lasso di tempo fra mondiale e mondiale, magari in competizioni di spessore tecnico indiscutibilmente superiore come la Champions League. E la Champions League, ricordiamolo, è il regno di Raúl.
Un’obiezione particolarmente malefica alla tesi del Raúl dominante in Champions che sovrasta quello negativo della nazionale è che il Raúl di club ha potuto godere dell’ausilio di mostri come Figo, Zidane, Roberto Carlos etc… e insomma, così sono bravo anche io, con la pappa pronta. La contro-obiezione però è che Raúl si è dimostrato decisivo già prima dell’era dei Galácticos, già prima dell’estate 2000, in dei Real Madrid che già contemplavano fuoriclasse come Hierro, Redondo e Roberto Carlos, ma nel quale comunque sul piano offensivo la “figura” restava lui, indiscutibilmente. Insomma, in nazionale è andata male, peccato. È una macchia, ma può capitare.
“Quando Raúl entra in trance, torna ad avere otto anni e torna a giocare in un parco. Non importa se intorno a lui ci sono migliaia di spettatori, è talmente dentro la partita che stacca la spina dal mondo. Corre, cade, si rialza, tira, corre di nuovo, cerca la palla, la vuole, pressa, si smarca, gli arriva la palla, fallisce la conclusione, cade, si rialza, poi corre di nuovo e di nuovo la vuole.” (Jorge Valdano)
Il prologo è nelle nazionali giovanili: ai 4 gol in 2 partite con l’Under 18, ai 2 in 5 con l’Under 20 seguono le 8 reti (9 presenze) nell’Under 21, con la quale però non riesce a vincere l’Europeo di categoria, giocato in casa, arrestandosi di fronte all’Italia di Cesare Maldini. In quel 1996 fanno seguito le Olimpiadi di Atlanta, in una Spagna però troppo inferiore (0-4) alla fortissima Argentina poi medaglia d’argento. Il ’96 è anche l’anno dell’esordio ufficiale nella nazionale maggiore, allora governata dall’eternamente discusso Javier Clemente. Raúl debutta il 9 ottobre a Praga contro la Repubblica Ceca, in una gara valevole per le qualificazioni mondiali. Il primo gol non tarda ad arrivare, alla terza presenza, contro la Jugoslavia (2-0). L’inserimento di Raúl avviene in una nazionale più che mai convinta delle proprie possibilità: non più l’outsider rognosa dei primi due tornei con Clemente (USA ’94 e Inghilterra ’96), ma una formazione che punta ad arrivare in fondo ai mondiali francesi, in virtù dell’organico e di una lunga striscia di imbattibilità che comprende tutto il girone di qualificazione.
Nell’undici di Clemente Raúl parte esterno sinistro, come faceva con Capello al Real Madrid, con funzioni simili perché l’interessantissimo quartetto offensivo spagnolo è basato tutto sulla mobilità e la mancanza di punti di riferimento, con Luis Enrique sulla fascia opposta e Kiko e Alfonso di punta, sempre pronti a incrociarsi, scambiarsi le posizioni e tagliare in zona gol. L’inizio sembra incoraggiante, la Spagna aggredisce la Nigeria con autorevolezza, si porta due volte in vantaggio, Raúl gioca bene e al volo su un perfetto lancio di Hierro segna un golazo da posizione defilata. Però quella con gli africani si rivela ad un’attenta analisi tecnico-tattica una partita dannatamente balorda: un po’ di rilassamento, di conservatorismo e il resto lo fa l’arcinota papera di Zubizarreta (parte della leggenda nera della Roja assieme alla gomitata di Tassotti a Luis Enrique e all’arbitraggio coreano). Il panico porta a sbattere contro il muro dei maestri della difesa paraguaiani anche nella seconda partita, e così non serve a nulla nemmeno il 6-0 alla Bulgaria, perché il Paraguay batte la Nigeria ed elimina ingloriosamente la Spagna.
Clemente tocca il fondo con la sconfitta di Cipro nella prima gara delle qualificazioni europee, e così comincia un nuovo ciclo, guidato da Camacho, che modifica lo stile (più palleggio) rispetto a Clemente e riporta su anche le quotazioni di Raúl, scoppiettante in un girone invero un po’ facile (con Israele, Austria, Cipro e San Marino), 11 gol in 9 partite, con tanto di quaterna in un esagerato 9-0 all’Austria. Ma di nuovo, con i favori del pronostico ancora più pronunciati di due anni prima, arriva la stecca. Dopo la sconfitta all’esordio con la Norvegia, la Spagna riesce a salvare capra e cavoli nel girone battendo la Slovenia (splendido gol di Raúl, sinistro da fuori che si insacca all’incrocio) e la Jugoslavia, una partita nella quale Raúl passa abbastanza inosservato pur succedendo di tutto, con la Spagna costretta a fare due gol a un quarto d’ora dalla fine, e qualificata al quinto minuto di recupero con il gol di Alfonso (partner in attacco di Raúl) che fissa il 4-3 finale. Ma nei quarti con la Francia non ci sono storie: i bleus trascinati da Zidane sono chiaramente superiori. Nonostante ciò, proprio a Raúl capita l’irripetibile occasione per portare la gara ai supplementari. Calcio di rigore, e il diretto interessato ricorda: “Se qualcuno mi avesse detto “ora sbagli”, gli avrei dato del pazzo. Ero sicuro di segnare” Talmente sicuro che sceglie la soluzione più rischiosa ma l’unica fisicamente imparabile, mirando all’incrocio. La traiettoria però è alta.
Un finale che più triste non si può per una partita nella quale Raúl non è mai riuscito a incidere come sperato.
Altro biennio e approdo senza patemi al mondiale nippo-coreano. Ecco, questo davvero poteva essere il mondiale di Raúl. Non che la Spagna fosse particolarmente convincente, ma procedeva, e Raúl finchè c’era rispondeva. Tipico del suo repertorio il bel gol alla Slovenia (controllo, finta e pallone pizzicato di punta fra le gambe del difensore, prendendo in controtempo il portiere), poi una doppietta nella terza gara col Sudafrica. Camacho, deluso da Tristán nella prima gara e mezza, si affida là davanti alla coppia storica madridista con Morientes, ma Raúl si fa male nel soffertissimo ottavo contro l’Irlanda, esce e si perde pure il quarto con la Corea del Sud.
Ora, non si può dire che la Spagna esca in questa gara per l’assenza di Raúl (sarebbe bastato che guardalinee e arbitro ci vedessero bene) però il nostro si vede negare la più ghiotta delle opportunità per lasciare finalmente il segno anche con la maglia della nazionale.
Dopo il mondiale, viene affidato un nuovo ciclo a Iñaki Sáez. Un biennio idealmente diviso a metà per Raúl, che seguono fedelmente il percorso col club. Una prima parte, fino a tutto il 2003, nel quale Raúl conferma anche con la Roja quel livello che aveva fatto arrendere Sir Alex in Champions League: il 12 febbraio, in un’amichevole contro la Germania al Son Moix di Maiorca, la brillante doppietta (gran gol il secondo) portando a 30 il conto totale gli vale il sorpasso su Hierro e il record di marcature che tuttora detiene; inoltre, i suoi tre gol (1 all’andata e 2 al ritorno fuori casa) nello spareggio con la Norvegia sono determinanti per la qualificazione all’Europeo.
Questo fino al 2003 però: col nuovo anno i Galácticos sprofondano e Raúl ne segue fedelmente la traiettoria anche in nazionale. L’Europeo portoghese è forse il peggior torneo internazionale disputato in tutta la sua carriera: zero gol, prestazioni impalpabili (anche se è palpabile il gol che si mangia contro il Portogallo nell’ultima fatale gara del girone) e subito a casa. Comincia a vedersi quel Raúl contratto, appannato e spesso in ritardo sul pallone degli ultimi anni.
Non meno triste è il suo ultimo torneo, il Mondiale 2006: Raúl ci arriva probabilmente fuori forma, non pienamente recuperato dai 5 mesi di infortunio, e infatti non parte titolare. Nel 4-3-3 di Aragonés giocano Villa, Torres e Luis García senza posizioni fisse, e danno spettacolo nel 4-0 d’esordio con l’Ucraina; Raúl ha però il merito di sfruttare la prima occasione. Contro la Tunisia entra nella ripresa, segna un gol facile, un tap-in sottomisura, però è il gol che avvia la rimonta spagnola, e un credito che gli vale la titolarità nell’ottavo contro la Francia.
Pagina quantomai ingloriosa: Raúl gioca con Villa e Torres, ma è un corpo estraneo, praticamente un giocatore in meno, e tutto l’attacco ne risente, perdendo la fluidità di movimenti delle prime gare. Non gli va comunque addossata tutta la responsabilità: quella era una Spagna ancora immatura, e a posteriori quella impartita da Zidane, Vieira e Ribery risulterà una lezione molto preziosa.
Raúl però non potrà più raccoglierne i frutti: il 6 settembre a Belfast, qualificazioni europee con l’Irlanda del Nord, giocherà la sua ultima partita con la maglia della nazionale. È il punto più basso della gestione Aragonés, e dopo questa figuraccia (sconfitta 3-2) il Sabio volterà pagina avviando una serie positiva per la quale passerà anche la vittoria dell’Europeo 2008 in Austria e Svizzera. In mezzo, una serie interminabile di polemiche fra Aragonés e la stampa (la stampa madrilena, sostanzialmente) che gli rimprovera incessantemente la mancata convocazione di Raúl.
Polemica dalla quale Raúl si tiene nobilmente fuori (unica “rivendicazione”, l’esultanza indicandosi nome e numero sulla maglietta, alternata al consueto bacio all’anello con pugni sul cuore, dedicato alla moglie Mamen), ma che si rivela francamente sgradevole per la logica campanilistico-commerciale e l’ossessività che tendono a far dipendere i destini della nazionale da un “Raúl sì-Raúl no” anche poco rispettoso nei confronti della nuova generazione di talenti spagnoli. Pure lasciando da parte le voci sull’incompatibilità fra le pretese di leadership di Raúl e il resto dello spogliatoio della Selección, tecnicamente ci sta tutta l’esclusione di Raúl.
Nemmeno la nomina di Del Bosque, cuore madridista ma ancora di più gestore di buonsenso (il gruppo vincente non si tocca), riporterà Raúl nel giro della nazionale.
E la Spagna vincerà tutto senza di lui. Anche questa purtroppo è Storia.