Raúl González Blanco: l’icona del Real Madrid
In occasione dei 115 anni del Real Madrid, rendiamo omaggio al giocatore che ne rappresenta meglio la storia recente.
Parte V. Come giocava
Cos’è un campione? Un giocatore capace di scartare avversari come caramelle e buttare giù i pali con bordate da trenta metri? Un giocatore più tecnico, più potente e più veloce di tutti gli altri?
Quello che segna di più?
Non necessariamente. Necessaria per un campione oltre alla capacità di trattare il pallone è una conoscenza superiore del gioco. E questa conoscenza può passare per gesti non immediatamente visibili, ma non per questo meno determinanti. Per fare gol bisogna compiere un gesto visibile, calciare il pallone in rete, ma sulla strada verso quel gol ci sono un’infinità di altri gesti. Provate a calcolare quanti minuti a partita in media un singolo giocatore mantiene il possesso del pallone. Due-tre minuti? E nei restanti ottantasette-ottantotto cosa fa? Ha lo stesso peso sui destini della squadra, però in tv non passa.
Questo è stato un po’ il problema di Raúl, un giocatore che spesso sembra fuori dal gioco, poco portato alla giocata spettacolare, e talvolta anche poco portato a toccare il pallone, per lunghi minuti. Ma sempre in partita, come pochi. E non solo in area di rigore. Non ha gli squilli, i soprassalti di genio di altri giocatori, il suo è un talento che si estende uniformemente su tutto il terreno di gioco e su tutti i novanta minuti, garantendo soluzioni efficaci anche quando non ha il pallone. Regolarità, metodo, sacrificio, senso tattico, visione di gioco (che non è solo quella del regista che fa il lancio di 40 metri), intuito. In una parola, intelligenza calcistica, qualcosa di molto più grande del semplice “fiuto” al quale in alcune analisi viene tristemente ridotta l’essenza di Raúl, quasi fosse una specie di Inzaghi iberico…
Per quanto riguarda le qualità tecniche, la definizione di Raúl come giocatore straordinario in nessun fondamentale particolare, ma buono praticamente in tutti, coglie nel segno. Raúl non ha un tiro potente, difficile segni fuori dall’area, però bene o male trova sempre l’angolo. Raúl non è uno che mette la palla dove vuole, che taglia traiettorie velocissime o effetti sbalorditivi alla Roberto Carlos, però in carriera ha sfornato più di un capolavoro in pallonetto.
“Raúl è uno dei miei giocatori prediletti perché ho sempre preferito attaccanti che possono muoversi negli spazi come facevamo con Éric Cantona… Raúl fa questo per il Real Madrid e lo sta facendo in tutta la carriera. È un cervello calcistico meraviglioso. Non è rapido come un lampo, ma ha un cervello rapido che compensa qualsiasi carenza di velocità- ed è un finalizzatore meraviglioso”) Alex Ferguson, 19/04/2002 su Planet Football.
È uno dei pezzi forti del suo repertorio, insieme all’”aguanís” (quello del gol al Vasco Da Gama) per scartare l’avversario: anche qui, Raúl non ha mai posseduto quel dribbling secco, partendo da fermo, che aveva uno come Figo, però giocando sul controtempo ha mandato culo a terra un’infinità di difensori, e inanellato così gol meravigliosamente inconfondibili. Raúl non ha mai avuto la colla sulla pianta e sulla suola del piede come Zidane, però ha domato lanci lunghi con perfetti controlli a seguire, preparandosi per conclusioni il più delle volte essenziali ma talvolta anche di una spettacolarità quasi barocca.
“È un attaccante colossale che sa fare benissimo ciò che i difensori soffrono maggiormente: uscire dalla giocata e poi rientrarci. Così la squadra dispone, allo stesso tempo, di un centrocampista e di un attaccante.” (Jorge Valdano)
Raúl non è mai stato veloce come Ronaldo (occhio però, una cosa è la reattività e rapidità dei suoi anni migliori, un’altra l’andatura arrancante delle ultime stagioni), però arriva sempre prima sul pallone. Raúl non ha mai avuto un grande colpo di testa come Morientes, però ha fatto tanti gol così, facendo valere la scelta di tempo. Raúl non è mai stato un visionario dell’assist come Guti, però si è sempre esaltato nelle triangolazioni di prima, smarcando il compagno con perfetti palloni nello spazio.
Ma come detto, ciò che nobilita il calcio di Raúl è l’intelligenza nel muoversi per il campo che valorizza tutte queste qualità in una misura superiore alla loro semplice somma. Quanto scritto da Valdano poco sopra rende l’idea. Uscire dalla giocata e poi rientrarci, con la massima intensità e le peggiori intenzioni, sempre. Ci sono molti attaccanti in circolazione che vengono incontro per appoggiare la manovra con un centrocampista: alcuni di questi però tendono a rimanere lì, talvolta a far ristagnare un po’ l’azione. Speciale nel Raúl dei tempi d’oro era la continuità e la frenesia con cui interpretava questo movimento, sapendo alternare alla costante proiezione verticale del suo gioco momenti di pausa in cui favorire e conservare il possesso-palla della propria squadra. E tutto questo, senza pausa, se mi passate l’apparente contraddizione. Uscire dalla giocata e poi rientrarci, uscire dall’area per andare sulla trequarti e poi rientrare in area, sfuggendo al radar avversario, liberandosi per la giocata fronte alla porta, per andare con la triangolazione (il suo vero “dribbling”) o tirare.
Non è mai stato un contropiedista, il paradosso è che quasi dà l’impressione di trovarsi più comodo di fronte a una difesa schierata piuttosto che in spazi ampi. Abile anche ad agevolare i compagni senza neppure toccare il pallone, coi movimenti a portare via il difensore, o ad aprire il campo offrendo in sovrapposizione, uscendo dalla giocata centralmente e rientrandovi esternamente, tanto per confondere le acque nelle difese avversarie. Notevole anche la capacità di sacrificio a palla persa, pressando ma talvolta anche abusando, va detto, della corsa demagogica spesa in situazioni non così necessarie ma utili a gasare il pubblico.
Tatticamente, ho sempre pensato che queste qualità di Raúl potessero esaltarsi maggiormente nella posizione di seconda punta. Quattro i ruoli ricoperti in carriera: seconda punta, prima punta, falso esterno a sinistra o a destra. Da unica punta se l’è cavata in più di un’occasione grazie al talento, ma i movimenti non sono così agevoli. Siccome parte dallo stesso punto dei centrali avversari, deve necessariamente giocare più sul corpo a corpo e sulla velocità, e come detto Raúl non è mai stato un prodigio di qualità naturali. Se deve prendere un pallone aereo può trovarsi a staccare da fermo con un centrale che magari lo sovrasta; per rubargli metri poi deve andare più veloce, per mantenere il possesso del pallone deve resistere a cariche di gente più grossa e attrezzata, costretto a muoversi anche spalle alla porta. Non può giocare quanto vorrebbe sulla scelta di tempo e sulla lettura dello spazio, non può arrivare a fari spenti e sorprendere. Non può uscire dalla giocata e rientrarci, torniamo sempre lì.
Da trequartista può partire e arrivare alla conclusione più libero, però non è un rifinitore. Deve permettersi di poter uscire dalla giocata, e quindi non può essere il giocatore su cui imperniare una manovra, da sollecitare in continuazione per scegliere la direzione e i tempi del gioco. Devono esserci altri con queste caratteristiche, e Raúl li supporta “ronzando” alla sua maniera, dando costantemente l’appoggio (“sempre vicino a tutti”, come diceva Queiroz) e inserendosi per la conclusione. Mai stato un numero 10, chiaro. Anche partire da esterno gli garantiva l’effetto sorpresa, con i tagli senza palla, però la posizione migliore resta quella di seconda punta, perché non lo allontana eccessivamente dall’area e al tempo stesso non lo schiaccia sui centrali avversari, oltre a preservarne maggiormente le energie in fase di ripiegamento.