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Valentino Tola
Raúl González Blanco: l’icona del Real Madrid
07 mar 2017
07 mar 2017
In occasione dei 115 anni del Real Madrid, rendiamo omaggio al giocatore che ne rappresenta meglio la storia recente.
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Valentino Tola
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Iniziare in maniera autoreferenziale non è mai elegante, ma devo farmi perdonare. All’indomani dell’ennesima delusione spagnola al Mondiale del 2006, sono stato tra coloro i quali hanno parlato e scritto di Raúl come di un giocatore declinante, difendendo a spada tratta la decisione di Aragonés di non portarlo all’Europeo 2008, ponendo fine alla sua carriera internazionale.

 

Ma non era una questione personale. È che in questo brutto mondo la cronaca fa a pugni con la Storia, e se giorno per giorno è la prima ad avere sempre ragione, quando ci fermiamo un attimo ci accorgiamo che è la seconda a possedere una dignità superiore.

 

Quando saremo tutti morti, gli archeologi nei loro scavi non reperiranno il 5 in pagella di una partita con il Levante, ma consegneranno al museo la rete nel primo derby con l’Atlético, il gol da torero nella finale di Champions 2000, l’altro gol nella finale di Champions del 2002, lo sgorbietto che piegò il Leverkusen, quel dito che zittì il Camp Nou, le prestazioni contro il Manchester United nel 2000 e nel 2003… troveranno gol segnati in tutte le maniere, migliaia di diagonali a fil di palo, di tocchi di prima di limpida intelligenza, di corse sempre utili per i compagni, di “cucharas” e “vaselinas” (la nobile arte del pallonetto, specialità della casa, prima che Totti la facesse diventare “er cucchiajo”)… troveranno 323 gol in 741 presenze (recordman di presenze e secondo massimo goleador nella storia del club, dietro a Cristiano Ronaldo, ma davanti a Di Stefano e i suoi 307; quinto goleador assoluto nella storia della Liga con 228, dietro solo a Messi, Cristiano, Hugo Sánchez e Telmo Zarra), 6 campionati, 3 Coppe dei Campioni, 2 Intercontinentali, 1 Supercoppa d’Europa e 4 Supercoppe di Spagna.

 

Troveranno Raúl González Blanco, uno dei migliori giocatori spagnoli della storia.

 

 



 



 

Jorge Valdano su Raúl, nel suo “Il sogno di Futbolandia”. I corsivi che trovate sparsi in questo pezzo sono quasi tutti tratti da questo libro; diversamente, verranno indicati l’autore e la fonte.

 

Il bello di tutta questa storia è che la leggenda madridista non è altro che un colchonero fallito. Raúl González Blanco nasce infatti il 27 giugno 1977 a Madrid (Colonia Marconi, quartiere umile in periferia) da María Luisa Blanco, casalinga, e Pedro González, elettricista ma soprattutto tifosissimo dell’Atlético Madrid. Ma è lo stesso Raúl, nei suoi primissimi anni di calciatore, a vestire la maglia biancorossa, negli Infantiles dell’Atlético, con prestazioni che presto richiamano l’attenzione generale.

 

https://www.youtube.com/watch?v=Z6kcGhlLpbg&feature=related

Il suo primo "campo d'allenamento", e le immagini della partita d'esordio a Saragozza.


 

Dopo gli inizi nel San Cristóbal de Los Ángeles, una squadra di quartiere, dal 1988 al 1990, ricorrendo ai classici mezzucci dei talenti così precoci da dover giocare già coi più grandi (nel cartellino si chiama Dani, e nella foto porta gli occhiali per sembrare più grande…), Raúl entra infatti nel settore giovanile dell’ Atlético. L’Atlético Infantil fa notizia anche oltre i confini della propria categoria (

? E perchè,

?), vince il campionato nazionale senza perdere una gara e Raúl, giocando centrocampista a sinistra, segna 65 gol. Promosso di categoria, nell’Atlético Cadete, vince di nuovo il campionato, ma la sua vicenda colchonera finisce qui, bruscamente.

 

Prima di partire in quarta con la retorica sul Destino, sui capricci del caso, sulle svolte stile “Sliding Doors”, bisogna chiarire che la sorte di Raúl è frutto di scelte responsabili. Anzi, irresponsabili, visto che parliamo di un personaggio come Jesús Gil y Gil . Questi, vivendo con la massima invadenza il presente, decise che del futuro non sapeva che farsene: quindi taglio netto, con una dubbia giustificazione finanziaria vengono eliminate tutte le formazioni inferiori dell’Atlético.

 

Raúl è libero, e Papà Pedro deve accettare che passi proprio al nemico: nel 1992 inizia la carriera merengue di Raúl, prima col Cadete (71 gol in 33 partite), poi promosso nel ’93 nel Juvenil B. Un anno ancora e passa al Real Madrid C, dove segna cinque gol nella partita d’esordio e totalizza 13 reti in sette partite. Troppo per passare inosservato, e quindi non solo scala subito al Real Madrid B (all’epoca in Segunda), ma comincia ad unirsi agli allenamenti della prima squadra, che lo schiera in due amichevoli, contro l’Oviedo e il Karlsruhe, entrambe concluse con Raúl a segno.

 

I tempi sono maturi per l’esordio in prima squadra, anche se il 29 ottobre 1994, sul campo del Zaragoza, Raúl ha solo 17 anni.

 

Sensazioni ambivalenti: il Madrid perde 3-2,

dopo aver dribblato il portiere, qualche tifoso storce il naso per la trovata di Valdano, però tutto sommato l’esordio ha successo presso la critica. Poi Valdano non ha alcun dubbio, e lo conferma anche nella gara successiva, la prima al Bernabeu della carriera, nientepopodimenoche il derby con l’Atlético.

 

È una Teofania: Raúl segna un gol, piazzandola all’incrocio con classe e sangue freddo, in controtempo sul movimento del portiere, e inoltre procura un rigore e fornisce un assist a Zamorano. Decisivo per il 4-2 finale, e pure coperto da un’ovazione all’uscita dal campo, al 60’. Una sorta di passaggio di consegne, perchè in quella partita Butragueño, il "7" ed idolo del Bernabeu prima di Raúl, esce dalla lista dei convocati.

 

https://www.youtube.com/watch?v=wQcImEBfvVA&feature=related



 

Poi, come si fa coi giocatori così giovani, Valdano lo rimanda qualche settimana al Real Madrid C, per tenerlo coi piedi per terra, ma sarà comunque consistente la partecipazione di Raúl nella vittoria finale della Liga. Il bottino è di 9 gol in 28 presenze (19 dall’inizio) nella Liga, 1 su 2 in Copa del Rey.

 

La stagione successiva, ‘95-’96, è già di piena titolarità, brillante sul piano individuale ma non priva di dispiaceri. Prende contatto con la Champions League, e i due si piacciono da subito: una tripletta con il Ferencvaros, ma il Real Madrid in generale stenta. Nel girone si becca al Bernabeu una lezione monumentale dall’Ajax “totale” di Van Gaal, e poi esce ai quarti con la Juventus, a nulla vale il gol proprio di Raúl nell’1-0 dell’andata (6 reti su 8 partite il totale della sua Champions). Prima ancora però una delusione personale per Raúl è rappresentata dall’esonero di Valdano: il mentore, al quale Raúl resterà così riconoscente da chiamare Jorge il primo figlio.

 

Al posto di Valdano subentra Arsenio Iglesias, il tecnico del primo SuperDepor che la storia ricordi, quello che si fermò a solo un rigore sbagliato dalla vittoria del campionato nel ’93-’94. Tecnico più difensivo di Valdano, comunque Raúl non la smette di segnare, e alla fine saranno 19 gol in 40 partite (tutte dall’inizio) di Liga, e 1 in 2 di Copa del Rey. La squadra però non riesce a piazzarsi nemmeno per la Coppa Uefa: sacrilegio.

 

Una tappa importante nella maturazione di Raúl la stagione seguente, quella del primo Capello. Il diretto interessato dichiarerà fondamentale per la propria carriera l’incontro con il tecnico italiano, che avrebbe portato al Madrid nuovi metodi d’allenamento e un diverso modo di vedere il calcio (come è noto Don Fabio porta gli occhiali).

 

Al di là delle solite critiche, spesso fumose, sull’aspetto estetico, è un grande Real Madrid, a maggior ragione quando riesce a relegare in seconda posizione un Barça che trovò il gol in 102 occasioni, vantando un Ronaldo onnipotente.

 





 

Capello ritaglia per Raúl una posizione già intravista con Arsenio Iglesias, non più di punta (primo o secondo attaccante che fosse) ma esterno sinistro a centrocampo nel 4-4-2. Esterno sui generis, posto che Raúl fedele alle proprie caratteristiche più che cercare il fondo taglia in diagonale verso l’area di rigore, alle spalle dei due attaccanti, Šuker e Mijatović. Questo micidiale trio totalizza circa il 75% delle reti stagionali del Madrid, e per Raúl sono 21 in 42 partite (41 dall’inizio; invece 1 in 5 partite di Copa del Rey), con alcune prove d’autore, come quella sul campo dell’Atlético, ancora una pugnalata a suo padre, anzi due, doppietta con uno dei gol più belli della carriera , forse quello con la maggior quantità di dribbling considerato il suo stile di gioco solitamente scarno.

 

https://www.youtube.com/watch?v=Bol8Sxa1qvU&feature=related



 

Capello lascia dopo una sola stagione, e per Raúl il ‘97-’98 rappresenta una delle annate più difficili della carriera: non ci sono problemi col nuovo tecnico, Jupp Heynckes, che ne modifica il ruolo, perché il centrocampo passa al rombo e Raúl fa il trequartista sempre dietro il duo serbo-croato (ma proseguendo la stagione Šuker perderà il posto e Raúl avanzerà), ma il canterano trova i primi ostacoli.

 

La pubalgia è insidiosa, perché non impedisce di giocare ma mina il rendimento, che nei primi mesi è molto deludente. Raúl si ferma un mese, ma le insidie non finiscono: ora è la chiacchiera un po’meschina che, come sempre succede in questi casi, al cattivo rendimento in campo accompagna le insinuazioni su quello che succede fuori. Così arriva qualche fischio, uscire la notte diventa una colpa, e sulla stampa scandalistica Raúl si trasforma in bevitore e addirittura drogato. Il diretto interessato accusa il colpo e si chiude in sé al punto da entrare in silenzio stampa. Reagisce male a un paio di sostituzioni, e dopo poco più di un mese rompe il silenzio convocando una conferenza stampa nella quale chiede scusa al tecnico, ai compagni e ai tifosi, impegnandosi a maturare.

 

Le prestazioni continuano a non essere le più brillanti, anche se si ha un progresso con l’avvicinarsi della fine della stagione. Intanto, il Real Madrid si laurea campione d’Europa battendo la Juventus ad Amsterdam (Raúl gioca trequartista dietro Morientes e il match-winner Mijatović). Il bottino personale però è uno dei più magri della carriera, solo 10 gol in Liga (su 35 gare tutte dall’inizio), la miseria di 2 su 11 in Champions e nessun gol nell’unica presenza nella coppa nazionale.

 

Dopo la delusione del mondiale (la prima di una lunga serie con la maglia della nazionale), Raúl ricarica però le batterie: stagione nuova, allenatore nuovo (Guus Hiddink) e un nuovo importante successo. È lui il mattatore nella Coppa Intercontinentale col Vasco Da Gama: è suo il gol decisivo, uno dei più belli, “più raúleschi” che si ricordino, con quel caratteristico tocco di genialità applicato a finalizzazioni chirurgiche.

 

https://www.youtube.com/watch?v=ROwTLmM8Gmc

L'aggancio sul lancio di Seedorf è chirurgico, geniale è l'attesa, l'esitazione con la quale manda a vuoto il ritorno del difensore brasiliano, prima di un'altra piccola pausa davanti al portiere che assicura la stoccata finale col destro.


 

Sul piano individuale è un’annata magnifica, 25 gol in 37 partite (tutte dall’inizio), primo titolo di capocannoniere, davanti a Rivaldo, in un Real Madrid un po’ più alterno invece, secondo in Liga ma a ben 11 punti di distanza dal Barça, e in mezzo c’è stato l’esonero di Hiddink, sostituito da John Toshack. In Champions il Madrid esce ai quarti con la Dinamo Kiyv, e Raúl si ferma a 3 gol in 8 presenze (0 su 2 in Copa del Rey).

 

Nei primi mesi del 1999-2000 la polarità si accentua: Raúl encomiabile, Real miserabile. Il talento madridista da seconda punta ha ormai consolidato una grande intesa con Fernando Morientes, e regala un momento epico nel Clásico al Camp Nou, finito 2-2 con due reti di Raúl, uno dei quali è un’altra perla marca de la casa: in corsa, senza la possibilità di dare forza alla conclusione, col portiere Hesp subito addosso, Raúl pizzica appena il pallone, il tanto giusto per scavalcare il portiere e farlo rotolare lento e beffardo in fondo al sacco.

 



 

Il successivo dito davanti alla bocca, a zittire l'arena blaugrana, è una delle istantanee degli ultimi venti anni di calcio spagnolo.


 

Però il Madrid resta un pasticcio, Toshack litiga con tutti, a novembre l’esonero, e così sulla panchina approda Vicente Del Bosque, uomo del club, tecnico delle squadre giovanili, fin lì utilizzato come traghettatore un paio di volte, prima nel ’94 dopo Benito Floro e poi nel ’95, fra Valdano e Iglesias.

 

Proprio con Valdano e Capello, Del Bosque può essere considerato il terzo allenatore fondamentale di Raúl. Non per quello che aggiunge al bagaglio tecnico di un fenomeno conclamato, ma per il suo lato umano, elogiato fino alla noia: “Lo conobbi quando avevo 15 anni, era il coordinatore delle giovanili. Lo vedevo passeggiare, osservare, parlare col mio tecnico di allora ma mai con me. Mi incuteva rispetto e timore. Me lo ritrovai sette anni dopo. Un uomo stupendo, perché ha evitato ogni protagonismo, lasciando a noi giocatori ogni vetrina, ha evitato ogni attrito”.

 

Beh, a dire il vero non è che le cose vadano subito a meraviglia, se è vero che anche con Don Vicente il Madrid arriva a toccare il fondo di una sconfitta casalinga per 5-1 con il Zaragoza, e a stazionare in zone di classifica inusualmente basse. Alla fine arriverà solo quinto, ma a portare il bilancio ampiamente in attivo c’è la Champions League, la coppa del Madrid, la coppa di Raúl (il massimo realizzatore nella storia della competizione, 66 gol davanti ai 60 di Van Nistelrooy; il conto totale delle coppe europee invece lo vede a quota 67, secondo a due gol da Gerd Mueller). I merengues passano due fasi a gironi a fari spenti. Ci arrivano così, ma una volta lì la camiseta e il talento riacquistano il loro peso, e te la giochi tutta.

 

Il quarto di ritorno, a Old Trafford, contro lo stratosferico Manchester United del centrocampo Beckham-Keane-Scholes-Giggs è una delle più belle partite della storia recente, per intensità e livello tecnico. E a sorpresa la vince il Real Madrid, che addirittura si porta su un triplo vantaggio prima del 2-3 finale.

 

Del Bosque ha virato sui tre difensori centrali (con l’infortunio di Hierro, Iván Campo, Helguera e Karanka) accentrando Steve McManaman vicino a Redondo, mentre Raúl è sobrio, leggero ed affilato come nelle sue migliori versioni, gioca in appoggio a Morientes ma in quel suo indefesso sguazzare fra trequarti e area di rigore è irrintracciabile per il sistema difensivo avversario. Poi mette i due gol che tagliano le gambe allo United: il primo una perla, per il controllo in corsa con l’esterno a seguire e il sinistro a girare piazzato sul secondo palo, il secondo idem, ma per meriti esclusivamente di l’arcinoto tunnel di tacco a Berg prima di smarcare a porta vuota Raúl.

 

Finisce impronosticabilmente in gloria: superato anche il Bayern in semifinale, e poi regolato il Valencia di Cúper, rivelazione entusiasmante ma evidentemente ancora poco scafata. Raúl finisce la Champions da trequartista, alle spalle di Morientes e dell’ingestibile indigeribile Anelka, e in finale segna un altro dei suoi gol, classe+freddezza, freddezza+classe=Raúl. Una rete semplice semplice, ma con le modalità avvincenti di un western di Sergio Leone: contropiede con la metacampo spalancata, prima del colpo finale Raúl e Cañizares hanno tutto il tempo per guiardarsi in faccia e pensare alle rispettive mosse, e questo tempo può giocare anche a sfavore di Raúl, tante possibili opzioni possono generare alla fine imbarazzo e indecisione, invece sterzata decisa verso destra, portiere dribblato e conclusione defilata nella porta vuota, con l’angolazione astuta che beffa il ritorno di Djukic.

 

Con questo fanno 10 in 15 partite, capocannoniere della Champions, mentre in campionato il bottino è più contenuto, 17 gol in 34 gare (32 dall’inizio; ormai consueta la scena muta nelle 4 partite di Copa del Rey; mentre arrivano 2 gol nelle 4 gare dell’improvvisato Mondiale per club disputato in Brasile).

 

https://youtu.be/wcjL20CXnCs?t=1m36s

 



 





 

L’estate successiva segna l’inizio di una nuova pagina: la discussa era dei Galácticos, che a una prima fase ricca di successi farà seguire un finale quantomai distante dal buonsenso e dalle vittorie.

 

Florentino Pérez, il nuovo presidente che succede a Lorenzo Sanz, farà dell’acquisto di un campionissimo strapagato a stagione la propria bandiera. Il primo, nell’estate 2000, è Figo. Ma il protagonista resta Raúl. Reduce tanto per cambiare da un Europeo negativo con la Spagna, ha un’altra delusione con la Coppa Intercontinentale, persa col Boca e giocata francamente male, però fra le mura domestiche risulterà per la seconda volta in carriera Pichichi, con 24 gol (36 partite, 34 dall’inizio) che impreziosiscono un titolo ottenuto in relativa scioltezza.

 

Merengues favorite anche in Europa, ma il Bayern di Hitzfeld ed Elber stavolta gioca lo scherzetto al Bernabeu. Non basta un nuovo titolo di capocannoniere continentale per Raúl (7 reti in 12 gare). È un Raúl pienamente maturo nell’anno in cui, secondo un parere assai diffuso, meriterebbe quel Pallone d’Oro che invece viene discutibilmente assegnato a Michael Owen. Altrettanto discutibile è il terzo posto nel Fifa World Player, dietro a Figo e Beckham (!).

 

https://www.youtube.com/watch?v=4lH9nOWF8dI

 



 

Pazienza, altra stagione e altra nuova compagnia galáctica: Zinedine Zidane. È una stagione di aspettative smisurate, l’anno del Centenario nel quale il Madrid è chiamato a vincere tutto. Due obiettivi però li fallisce: c’è il famoso

, la finale di Copa del Rey giocata nel Bernabeu nella quale secondo i piani il Deportivo dovrebbe fungere da vittima sacrificale. Invece i galiziani non sono proprio una squadretta, e, guidati da un maestoso Valerón, Sergio e Tristán assestano un uno-due nella prima mezzora che vanifica il consueto gol d’astuzia di Raúl nella ripresa.

 

Anche il campionato sfugge (14 in 35 gare, 34 dall’inizio; un gol a partita invece in Copa del Rey, 6 su 6), nelle ultime giornate il primo Valencia di Benítez opera il sorpasso. La nona Coppa dei Campioni però finisce a Chamartín: tutti rammenteranno la finale col Leverkusen per l’opera d’arte di Zidane che decide il risultato, però va ricordato che

(sesto gol, dodicesima presenza) a inizio match vale ugualmente 1 punto sul tabellone.

 

https://www.youtube.com/watch?v=8PZg-tU-GU0

Importante era stato anche il sinistro all'incrocio, questo sì un golazo, nel ritorno della semifinale contro l'arcinemico blaugrana.


 

Il 2002-2003 è l’ultima annata “sostenibile” del progetto-Galácticos, l’ultima di Florentino con vittorie importanti ed è anche l’ultima davvero grande di Raúl. Arriva Ronaldo, arriva la Coppa Intercontinentale contro l’Olimpia Asunción e arriva anche la Liga col sorpasso a fil di sirena sulla Real Sociedad rivelazione (Raúl ne fa 16 in 31, 30 da titolare; nessun gol nelle 2 presenze in Copa del Rey) . Però non arriva la decima Coppa dei Campioni, alla quale il Madrid sembrava destinato dopo aver brillantemente eliminato il Manchester United ai quarti. Qui c’entra parecchio proprio Raúl, ancora una volta in evidenza contro i Red Devils. Quella dell’andata al Bernabeu potrebbe essere anche considerata la massima espressione della carriera di Raúl(primo tempo, ripresa) una doppietta e una partita stratosferica, nella quale il suo gioco sobrio assume una ricchezza e profondità tali da spingere lo stesso Alex Ferguson a proclamarlo miglior giocatore del mondo in conferenza stampa.

 

https://www.youtube.com/watch?v=IkijYy1w2Ic

 



 

Forse Raúl non ha mai pesato così tanto (ricordiamo anche la

nella seconda fase a gironi), ed è probabilmente la vetta di un giocatore che da lì in poi si allontanerà progressivamente da tali livelli, purtroppo prematuramente perché all’epoca ha solo 26 anni (ma per un giocatore che ha cominciato a 17, alla massima intensità e pressione, il logorio tende ad arrivare anche prima). Raúl pesa (9 gol in 12 partite), e pesa anche l’infortunio che lo costringe a saltare il ritorno a Old Trafford e soprattutto gran parte della semifinale contro la Juventus che costerà l’eliminazione: Raúl viene raccolto col cucchiaino per dargli qualche minuto nel ritorno di Torino, una scoppola memorabile anche se proprio sulla testa di Raúl nel finale capita l’occasione per qualificarsi.

 

La notte della vittoria del campionato è anche la Notte dei Lunghi Coltelli nella quale vengono purgati in un colpo solo Hierro e Del Bosque. Florentino non ha più freni, e sbanda di brutto: per la stagione 2003-2004 compra Beckham, liquida la classe media dei Makelele, Cambiasso & C., affida una rosa cortissima a Queiroz estremizzando il concetto dei “Zidanes y Pavones”: megastelle da una parte, canterani inesperti dall’altra, nessuna via di mezzo.

 

L’inizio è entusiasmante, perché il Real Madrid primeggia nella Liga, segna valanghe di gol (

), ma inoltrandosi nella stagione la mediana Beckham-Guti non regge più e anche Raúl si appanna in un campionato perso di slancio dopo la figuraccia-spartiacque col Monaco in Champions. È un Raúl in progressivo appannamento, solo 11 gol in Liga (35 partite tutte dall’inizio; bene invece nella Copa, 6 gol su 7), ancora meno l’anno dopo, 9 reti per un Real Madrid a mani vuote, in pieno tramonto galáctico, che con la Juventus inaugura la clamorosa serie negativa, ancora non terminata, di uscite agli ottavi di Champions.

 





 

Peggio ancora la stagione dopo, se possibile: il Barça di Rijkaard e Ronaldinho continua il suo dominio, in Spagna e in Europa, e Raúl non ha nemmeno la possibilità di battersi sul campo, visto l’infortunio al ginocchio occorsogli proprio nel Clásico del Bernabeu (quando il pubblico di casa tributò un’ovazione a Ronaldinho), che lo tiene fuori 5 mesi consentendogli a malapena di tornare per i mondiali in Germania. Alla fine 26 presenze (solo 20 dall’inizio) e 5 gol, magro bottino (una sola presenza e zero gol nella Copa; 4 su 10 in Champions).

 

Qualcuno motiva questo scadimento nelle prestazioni con un presunto allontanamento di Raúl dall’area di rigore, man mano che con gli anni arrivavano nuovi galácticos, ma in realtà né Figo né Zidane né Ronaldo hanno mai spostato Raúl dalla sua posizione preferita di seconda punta. Semplicemente (per modo di dire, perché resta un mistero) Raúl perde quel non so che… chi scorge i filmati dei suoi gol col passare degli anni li nota persino più brutti, banali: diminuita la reattività, son basati più sul mestiere che su quella concisa brillantezza che caratterizzava il suo gioco negli anni migliori.

 

Nemmeno il ritorno di Capello lo risolleva del tutto. Il secondo Madrid di Don Fabio è la bruttissima copia di quello del ‘96-’97, ma vince comunque la Liga grazie al suicidio del Barça e a un orgoglio smisurato, al quale partecipa, come no, anche Raúl con qualche gol importante come quello che

. Sette gol in 35 partite (32 dall’inizio; 1 presenza e 0 gol nella Copa; buoni invece i 5 gol su 7 in Champions) però sono pochissimi, ancora una volta.

 

Con Schuster, ancora, il Madrid non supera lo scoglio degli ottavi di Champions, ma si conferma campione di Spagna, e le statistiche di Raúl migliorano sensibilmente: 18 gol in 37 partite (36 dall’inizio; 5 su 8 in Champions; 0 su 1 in Copa del Rey). Anche se non si può dire che le prestazioni tornino in tutto e per tutto quelle dei tempi migliori, ed esagerata appare la pressione dei media madrileni per un suo ritorno in nazionale.

 

Nemmeno fra i tifosi il consenso è più indiscusso, e qualcuno maligna su un suo eccessivo peso nello spogliatoio, che incidendo anche sulle scelte di mercato (come la discutibile cessione di Robinho nell’agosto 2008) avrebbe impedito al Real Madrid di puntare decisamente su un’accoppiata Robinho-Robben ai lati di Van Nistelrooy, posto che sulla destra del tridente (posizione solo teorica, con totale libertà di movimento a ridosso di Van Nistelrooy) Raúl non lascia alcuna possibilità.

 

Comunque, Raúl è tornato goleador affidabile, con 18 gol in 37 partite proprio come della stagione precedente (35 però dall’inizio; tripletta nell’unica presenza nella Copa; 3 su 7 in Champions), anche se forse la miglior prestazione la fornisce quando non riesce a segnare, nel Clásico del Camp Nou perso 2-0, la prima di Juande Ramos dopo le dimissioni di Schuster. L’ultima stagione è cronaca: Pellegrini riesce a sfilarlo dall’undici, gradualmente e senza usare scortesia, facendone una sorta di mostro sacro da usare soprattutto a partita in corso, senza eccessive pressioni, talvolta impiegato anche come cambio per Kaká o Van der Vaart sulla trequarti nel 4-3-1-2. Infatti sono solo 8 le presenze dall’inizio sul totale di 30, e 5 i gol (0 su 2 nella Copa; 2 su 7 in Champions).

 

È l’epilogo della sua carriera madridista, e non manca un tocco di romanticismo: l’ultimo gol ufficiale in maglia merengue Raúl lo sigla alla Romareda, sul campo del Zaragoza. Dove tutto era cominciato.

 

https://www.youtube.com/watch?v=QymTf9SHYTc

 



 





 

Cos’è un campione? Un giocatore capace di scartare avversari come caramelle e buttare giù i pali con bordate da trenta metri? Un giocatore più tecnico, più potente e più veloce di tutti gli altri?

 

Quello che segna di più?

 

Non necessariamente. Necessaria per un campione oltre alla capacità di trattare il pallone è una conoscenza superiore del gioco. E questa conoscenza può passare per gesti non immediatamente visibili, ma non per questo meno determinanti. Per fare gol bisogna compiere un gesto visibile, calciare il pallone in rete, ma sulla strada verso quel gol ci sono un’infinità di altri gesti. Provate a calcolare quanti minuti a partita in media un singolo giocatore mantiene il possesso del pallone. Due-tre minuti? E nei restanti ottantasette-ottantotto cosa fa? Ha lo stesso peso sui destini della squadra, però in tv non passa.

 

Questo è stato un po’ il problema di Raúl, un g

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