In occasione del 115° compleanno del Real Madrid, avvenuto ieri, ripubblichiamo questo pezzo di Valentino Tola, uscito in una versione leggermente differente sul blog Calcio Spagnolo.
Iniziare in maniera autoreferenziale non è mai elegante, ma devo farmi perdonare. All’indomani dell’ennesima delusione spagnola al Mondiale del 2006, sono stato tra coloro i quali hanno parlato e scritto di Raúl come di un giocatore declinante, difendendo a spada tratta la decisione di Aragonés di non portarlo all’Europeo 2008, ponendo fine alla sua carriera internazionale.
Ma non era una questione personale. È che in questo brutto mondo la cronaca fa a pugni con la Storia, e se giorno per giorno è la prima ad avere sempre ragione, quando ci fermiamo un attimo ci accorgiamo che è la seconda a possedere una dignità superiore.
Quando saremo tutti morti, gli archeologi nei loro scavi non reperiranno il 5 in pagella di una partita con il Levante, ma consegneranno al museo la rete nel primo derby con l’Atlético, il gol da torero nella finale di Champions 2000, l’altro gol nella finale di Champions del 2002, lo sgorbietto che piegò il Leverkusen, quel dito che zittì il Camp Nou, le prestazioni contro il Manchester United nel 2000 e nel 2003… troveranno gol segnati in tutte le maniere, migliaia di diagonali a fil di palo, di tocchi di prima di limpida intelligenza, di corse sempre utili per i compagni, di “cucharas” e “vaselinas” (la nobile arte del pallonetto, specialità della casa, prima che Totti la facesse diventare “er cucchiajo”)… troveranno 323 gol in 741 presenze (recordman di presenze e secondo massimo goleador nella storia del club, dietro a Cristiano Ronaldo, ma davanti a Di Stefano e i suoi 307; quinto goleador assoluto nella storia della Liga con 228, dietro solo a Messi, Cristiano, Hugo Sánchez e Telmo Zarra), 6 campionati, 3 Coppe dei Campioni, 2 Intercontinentali, 1 Supercoppa d’Europa e 4 Supercoppe di Spagna.
Troveranno Raúl González Blanco, uno dei migliori giocatori spagnoli della storia.
Parte I. Wonderkid
“Il giorno prima del suo debutto gli sottoposi una questione per metterlo alla prova: Sto pensando di farti giocare titolare, ma ho paura che possa sentire troppo la pressione.” Mi guardò con una faccia sbalordita, ma capì immediatamente quello che volevo sentirmi dire: “Se lei vuol vincere, faccia giocare me. Se vuole perdere, scelga pure uno qualunque”, rispose. Alcuni giocatori sanno giocare a calcio fin dalla nascita, alcuni giocatori sono uomini prima di uscire dall’adolescenza; alcuni giocatori sono vincenti senza ancora aver vinto nulla; alcuni giocatori continuano ad imparare dopo aver avuto successo. Tutti questi casi rari si fondono in Raúl, un tipo che, tra l’altro, appare assolutamente normale. Sono sul punto di esaurire le parole. Primo: sa fare tutto bene. Secondo: lo fa ogni giorno meglio.”
Jorge Valdano su Raúl, nel suo “Il sogno di Futbolandia”. I corsivi che trovate sparsi in questo pezzo sono quasi tutti tratti da questo libro; diversamente, verranno indicati l’autore e la fonte.
Il bello di tutta questa storia è che la leggenda madridista non è altro che un colchonero fallito. Raúl González Blanco nasce infatti il 27 giugno 1977 a Madrid (Colonia Marconi, quartiere umile in periferia) da María Luisa Blanco, casalinga, e Pedro González, elettricista ma soprattutto tifosissimo dell’Atlético Madrid. Ma è lo stesso Raúl, nei suoi primissimi anni di calciatore, a vestire la maglia biancorossa, negli Infantiles dell’Atlético, con prestazioni che presto richiamano l’attenzione generale.
Il suo primo “campo d’allenamento”, e le immagini della partita d’esordio a Saragozza.
Dopo gli inizi nel San Cristóbal de Los Ángeles, una squadra di quartiere, dal 1988 al 1990, ricorrendo ai classici mezzucci dei talenti così precoci da dover giocare già coi più grandi (nel cartellino si chiama Dani, e nella foto porta gli occhiali per sembrare più grande…), Raúl entra infatti nel settore giovanile dell’ Atlético. L’Atlético Infantil fa notizia anche oltre i confini della propria categoria (queste immagini hanno anche su di voi lo stesso effetto straniante? E perchè, questo dove intervista il suo futuro allenatore Schuster?), vince il campionato nazionale senza perdere una gara e Raúl, giocando centrocampista a sinistra, segna 65 gol. Promosso di categoria, nell’Atlético Cadete, vince di nuovo il campionato, ma la sua vicenda colchonera finisce qui, bruscamente.
Prima di partire in quarta con la retorica sul Destino, sui capricci del caso, sulle svolte stile “Sliding Doors”, bisogna chiarire che la sorte di Raúl è frutto di scelte responsabili. Anzi, irresponsabili, visto che parliamo di un personaggio come Jesús Gil y Gil . Questi, vivendo con la massima invadenza il presente, decise che del futuro non sapeva che farsene: quindi taglio netto, con una dubbia giustificazione finanziaria vengono eliminate tutte le formazioni inferiori dell’Atlético.
Raúl è libero, e Papà Pedro deve accettare che passi proprio al nemico: nel 1992 inizia la carriera merengue di Raúl, prima col Cadete (71 gol in 33 partite), poi promosso nel ’93 nel Juvenil B. Un anno ancora e passa al Real Madrid C, dove segna cinque gol nella partita d’esordio e totalizza 13 reti in sette partite. Troppo per passare inosservato, e quindi non solo scala subito al Real Madrid B (all’epoca in Segunda), ma comincia ad unirsi agli allenamenti della prima squadra, che lo schiera in due amichevoli, contro l’Oviedo e il Karlsruhe, entrambe concluse con Raúl a segno.
I tempi sono maturi per l’esordio in prima squadra, anche se il 29 ottobre 1994, sul campo del Zaragoza, Raúl ha solo 17 anni.
Sensazioni ambivalenti: il Madrid perde 3-2, Raúl fornisce un assist ad Amavisca ma sbaglia un gol a porta vuota dopo aver dribblato il portiere, qualche tifoso storce il naso per la trovata di Valdano, però tutto sommato l’esordio ha successo presso la critica. Poi Valdano non ha alcun dubbio, e lo conferma anche nella gara successiva, la prima al Bernabeu della carriera, nientepopodimenoche il derby con l’Atlético.
È una Teofania: Raúl segna un gol, piazzandola all’incrocio con classe e sangue freddo, in controtempo sul movimento del portiere, e inoltre procura un rigore e fornisce un assist a Zamorano. Decisivo per il 4-2 finale, e pure coperto da un’ovazione all’uscita dal campo, al 60’. Una sorta di passaggio di consegne, perchè in quella partita Butragueño, il “7” ed idolo del Bernabeu prima di Raúl, esce dalla lista dei convocati.
“Raúl si è inventato da solo. Io non sono il suo scopritore perché Raúl si scopre da solo. È di un altro pianeta.” (Jorge Valdano, “Gazzetta dello Sport” 23/8/2007.)
Poi, come si fa coi giocatori così giovani, Valdano lo rimanda qualche settimana al Real Madrid C, per tenerlo coi piedi per terra, ma sarà comunque consistente la partecipazione di Raúl nella vittoria finale della Liga. Il bottino è di 9 gol in 28 presenze (19 dall’inizio) nella Liga, 1 su 2 in Copa del Rey.
La stagione successiva, ‘95-’96, è già di piena titolarità, brillante sul piano individuale ma non priva di dispiaceri. Prende contatto con la Champions League, e i due si piacciono da subito: una tripletta con il Ferencvaros, ma il Real Madrid in generale stenta. Nel girone si becca al Bernabeu una lezione monumentale dall’Ajax “totale” di Van Gaal, e poi esce ai quarti con la Juventus, a nulla vale il gol proprio di Raúl nell’1-0 dell’andata (6 reti su 8 partite il totale della sua Champions). Prima ancora però una delusione personale per Raúl è rappresentata dall’esonero di Valdano: il mentore, al quale Raúl resterà così riconoscente da chiamare Jorge il primo figlio.
Al posto di Valdano subentra Arsenio Iglesias, il tecnico del primo SuperDepor che la storia ricordi, quello che si fermò a solo un rigore sbagliato dalla vittoria del campionato nel ’93-’94. Tecnico più difensivo di Valdano, comunque Raúl non la smette di segnare, e alla fine saranno 19 gol in 40 partite (tutte dall’inizio) di Liga, e 1 in 2 di Copa del Rey. La squadra però non riesce a piazzarsi nemmeno per la Coppa Uefa: sacrilegio.
Una tappa importante nella maturazione di Raúl la stagione seguente, quella del primo Capello. Il diretto interessato dichiarerà fondamentale per la propria carriera l’incontro con il tecnico italiano, che avrebbe portato al Madrid nuovi metodi d’allenamento e un diverso modo di vedere il calcio (come è noto Don Fabio porta gli occhiali).
Al di là delle solite critiche, spesso fumose, sull’aspetto estetico, è un grande Real Madrid, a maggior ragione quando riesce a relegare in seconda posizione un Barça che trovò il gol in 102 occasioni, vantando un Ronaldo onnipotente.