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Il complicato rapporto tra la Germania e la sua Nazionale
05 lug 2024
05 lug 2024
In Germania il patriottismo è stato sempre un tema controverso, ma negli ultimi anni ancora di più.
(articolo)
14 min
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IMAGO / Jan Huebner
(copertina) IMAGO / Jan Huebner
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A 18 anni dai Mondiali del 2006, la Germania è tornata ad ospitare un grande torneo per Nazionali. I paragoni tra i due eventi sono cominciati già prima dell’inizio del torneo e in alcuni casi la storia è sembrata effettivamente ripetersi. Dopo il gol del pareggio di Niclas Füllkrug al 91’ contro la Svizzera, con cui la Germania è arrivata prima nel suo girone, tanti tedeschi si sono ricordati di un altro gol, quello di Oliver Neuville all’ultimo respiro contro la Polonia, il 14 giugno del 2006, nella seconda partita della fase ai gironi di quei Mondiali. Il gol di Neuville viene generalmente considerato il punto d’inizio del cosiddetto Sommermärchen (“la favola d’estate”) del 2006. E dopo il gol di Füllkrug, e la buona partenza della Germania in questi Europei, in molti sperano oggi in una nuova estate da favola. La storia può davvero ripetersi?

Lo so che in Italia può sembrare strano per via della sconfitta in semifinale ai supplementari, eppure in Germania è proprio così: se i tedeschi parlano di Sommermärchen è perché la maggior parte ha una memoria molto positiva dell’estate del 2006. Se provate a parlare con un tedesco di quel Mondiale - il primo Mondiale nella Germania riunificata - quasi nessuno ricorderà la bambina che piange dopo il gol di Grosso, ma più probabilmente la festa con 500mila persone davanti alla porta di Brandeburgo per celebrare il terzo posto.

Il termine Sommermärchen ha iniziato a circolare dopo l’uscita di un documentario su quel Mondiale del regista Sönke Wortmann (che si chiama per l’appunto Deutschland. Ein Sommermärchen) ed è a sua volta un riferimento al testo di Heinrich Heine, chiamato Deutschland. Ein Wintermärchen (cioè: Germania. Una favola d’inverno). È un poema epico satirico pubblicato nel 1844, in cui Heine prende in giro il nazionalismo del popolo tedesco, mettendolo a paragone con quanto invece successo in Francia dopo la rivoluzione del 1789. Del documentario si ricordano in pochi, del libro di Heine ancora meno, ma tutti ormai hanno incamerato il termine. Soprattutto: quasi tutti in Germania sono d’accordo che l’estate del 2006 è stato un momento importante per il Paese, sia in campo che fuori.

Come i Mondiali del 2006 hanno cambiato la Germania

La Nazionale tedesca arrivava a quel Mondiale piena di problemi. Nel 2004, all’Europeo in Portogallo, era uscita ai gironi senza aver vinto nemmeno una partita. Il nuovo CT, un giovane e inesperto Jürgen Klinsmann, era stato criticato duramente dopo l’entusiasmo iniziale perché aveva deciso di continuare a vivere negli Stati Uniti. Di fatto veniva in Germania solo per le partite della Nazionale e subito dopo ritornava indietro. A pochi mesi dall’inizio del torneo, un disastroso 1-4 contro l’Italia a Firenze portò diversi ex giocatori e alcuni giornalisti a chiedere il suo esonero.

Con la partita inaugurale contro il Costa Rica, però, cambia tutto. Dopo pochi minuti, un giovane terzino promettente, Philipp Lahm, mette la palla all’incrocio e la Germania vince 4-2. La seconda partita, contro la Polonia, è più dura ma al novantesimo Oliver Neuville segna il gol vittoria e fa esplodere il Westfalenstadion di Dortmund. Inizia, come detto, la favola d’estate. La Germania vince anche contro Ecuador (3-0), Svezia (2-0) e Argentina (5-3 ai calci di rigore). Poi, come sappiamo, è costretta ad arrendersi all’Italia ai supplementari di una semifinale che è rimasta nella storia. L’eliminazione, però, non cancella l’entusiasmo per il torneo. Gli organizzatori vengono lodati per una gestione quasi perfetta. Il presidente del comitato organizzatore, Franz Beckenbauer, grazie al suo elicottero riesce a vedere quasi tutte le partite e miracolosamente in quattro settimane non c’è neanche un giorno di pioggia.

Quel torneo cambiò il rapporto dei tedeschi con la Nazionale. All’epoca avevo 12 anni. Prima di quel Mondiale, in Germania, quasi nessuno tifava davvero la Nazionale, o comunque cercava di farsi vedere troppo appassionato. Nessuno andava in giro con una bandierina tedesca in mano. Nei grandi tornei provavo sempre a vedere tutte le partite, ma quasi più per le altre Nazionali che per la Germania, e credo che non fosse così solo per me. Nella mia scuola calcio nessuno veniva all’allenamento con la maglia della Nazionale tedesca, mentre potevi tranquillamente vederne una del Brasile, della Francia, del Portogallo o dell’Italia. I giocatori che tutti volevano emulare erano Ronaldo, Zidane, Figo o Totti, di certo non uno tedesco. Allora mai avrei pensato di indossare un giorno la maglia della Nationalmannschaft.

Quell’estate del 2006, però, qualcosa è cambiato. Un giorno, non mi ricordo che giorno, mia madre tornò a casa con due maglie bianche, una per me e una per mio fratello. «Visto che ormai lo fanno tutti, anche noi tifiamo la Nazionale», mi disse, se la mia memoria non mi inganna. Certo, sono casi singoli, esempi personali, e anche prima del 2006 c’era chi sosteneva la Nazionale. L’entusiasmo per un Mondiale, però, non era mai stato così grande come durante quell’estate. Vennero installati maxischermi in tutte le grandi città. A Berlino, per la semifinale con l’Italia, c’erano circa un milione di persone per strada. Le bandiere erano ovunque: sulle macchine, sui balconi, sulle guance dei tifosi. Riferendosi ai colori della bandiera tedesca nero, rosso e oro (schwarz-rot-gold), il tabloid Bild inventò la parola “schwarz-rot-geil” (nero-rosso-figo).

C’erano tantissimi tifosi occasionali che non erano davvero appassionati di calcio ma volevano semplicemente godersi la festa. In un Paese che dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale aveva sempre avuto inevitabilmente un rapporto difficilissimo con ogni forma di nazionalismo e patriottismo, tanti giovani potevano dirsi «finalmente fieri di essere tedeschi». Certo, i risultati della Nazionale aiutavano, ma aiutava anche lo spirito del tempo, chiamiamolo così. Chi veniva in Germania per assistere al Mondiale aveva l’impressione di essere arrivato in un Paese ben organizzato e moderno, al potere da pochi mesi era arrivata la giovane cancelliera Angela Merkel. Anche lei in tribuna si lasciava trasportare dall’entusiasmo generale. Per la maggior parte della popolazione il Sommermärchen viene considerato ancora oggi un momento di “patriottismo sano”.

Oggi sappiamo però che quel patriottismo forse così sano non era. Come ha scritto l’autrice e giornalista tedesca Fatma Aydemir sul Guardian e come emerge anche dal documentario di ARD (la RAI tedesca, per intenderci), Einigkeit und Recht und Vielfalt – Die Nationalmannschaft zwischen Rassismus und Identifikation (Unità, giustizia e diversità - La Nazionale tra razzismo e identificazione), in realtà quella festa non è stata veramente per tutti quelli che vivevano in Germania. Tanti figli di immigrati si sono sentiti esclusi e agli ebrei tedeschi ha fatto paura tornare a vedere delle bandiere che a loro modo rimandavano al nazionalismo tedesco. Anche gli italiani hanno subito del razzismo dopo la semifinale vinta grazie alle reti di Grosso e Del Piero. Già prima della partita, Bild aveva usato degli stereotipi per diffamare gli italiani e aveva persino lanciato un appello a boicottare tutte le pizzerie in Germania. Ed è possibile che quel momento abbia lasciato degli strascichi, visto che in alcune zone della Germania il clima verso gli italiani è rimasto abbastanza ostile. Quattro anni i Mondiali del 2006 dopo sono andato allo stadio per assistere a Bayern Monaco – Fiorentina e tutto lo stadio cantava Scheiß Italiener ("italiani di merda"). Nessuno, in quel momento, ci ha fatto caso. Oggi che i tempi sono molto cambiati, invece, mi chiedo: sarebbero arrivati lo stesso quegli insulti se non ci fosse stato il Sommermärchen?

Dopo il Mondiale del 2006 la Nazionale è diventata sempre più importante, davvero un simbolo del Paese. Sotto la guida dell’ex vice di Klinsmann, Joachim Löw, comincia anche a giocare un bel calcio, non più basato sull’atletismo come in passato ma ispirato al gioco di posizione spagnolo. Arriva sempre almeno in semifinale e durante tutti i tornei ormai l’entusiasmo è la normalità, c’è sempre tanta gente per strada. Il cosiddetto “Party-Patriotismus” (cioè il patriottismo festoso, come venne definito per la prima volta da una ricerca dell’Università di Marburg sull’impatto dei Mondiali del 2006) diventa una moda e nel 2014 raggiunge l’apice con il Mondiale vinto in Brasile.

La Nazionale sempre più al centro

Allo stesso tempo più viene caricato di significato, più il rapporto con la Nazionale diventa complicato. Da una parte, il marketing sotto la guida del direttore Oliver Bierhoff viene ritenuto eccessivo. Il soprannome Die Mannschaft, per fare un esempio di un’invenzione di Bierhoff, viene totalmente rifiutato dai tifosi, perché ritenuto un soprannome artificiale, applicato dall’alto da esperti di marketing, ma anche perché linguisticamente sembra vuoto. Die Mannschaft, infatti, non significa nient’altro che “la squadra”, e se era un modo per sottolineare la Nazionale come "la squadra per eccellenza", di sicuro non riesce ad arrivare al suo obiettivo. Oggi la federazione tedesca, il DFB, non lo usa più e il termine si trova soltanto in testi sulla Nazionale tedesca in altre lingue. Certo, c’entra anche il generale senso di ostilità che provano le tifoserie organizzate nei confronti della federazione che allo stadio viene insultata regolarmente al grido di “Scheiß DFB” (DFB merda).

La Nazionale diventa anche oggetto di dibattiti politici, e uno dei motivi è che sempre più giocatori della Nazionale hanno origini straniere. La società tedesca in generale sta cambiando. Alcune leggi dell’inizio degli anni duemila hanno facilitato l’ottenimento della cittadinanza per i figli degli immigrati. La federazione promuove il calcio come strumento di integrazione e fa pubblicità con giocatori come Mesut Özil, nato in Germania da genitori turchi. Non tutti, però, sono d’accordo con questo cambiamento.

Già dopo la semifinale degli Europei persa contro l’Italia nel 2012, i giocatori con origini straniere vengono criticati da stampa e politici conservatori, accusati di non cantare l’inno. Per il giornalista Rolf Töpperwien la causa dell’eliminazione è chiara: “Gli italiani hanno gridato l’inno, i tedeschi non hanno cantato a voce alta e alcuni non hanno cantato nemmeno”. Il ministro dell’Interno bavarese, Joachim Herrmann, dice: «Chi non ha voglia di cantare l’inno, resti nella sua squadra di club».

Prima dei Mondiali in Russia nel 2018 una foto di Özil e Ilkay Gündogan con il presidente turco Recep Tayyip Erdoğan diventa un caso. I due giocatori vengono fischiati dal pubblico e la loro identificazione con la Germania viene messa in dubbio. Il presidente della Repubblica, Frank-Walter Steinmeier, interviene e convoca i due giocatori nella sua residenza: il Palazzo Bellevue, a Berlino. Mentre Gündogan fa mea culpa e viene “perdonato”, Özil non si scusa e dopo il torneo lascia la Nazionale accusando la Germania di essere un Paese razzista.

Anche durante gli ultimi due grandi tornei, la politica entra in gioco, ma in un altro modo. Nel 2021, prima della partita decisiva contro l’Ungheria, tanti politici tedeschi chiedono di illuminare l’Allianz Arena con i colori arcobaleno, come forma di protesta contro le leggi omofobe in Ungheria. La UEFA rifiuta la proposta, ma dopo il gol del 2-2 Leon Goretzka esulta davanti alla curva degli ungheresi mostrando con le mani il gesto del cuore. Il centrocampista del Bayern Monaco viene esaltato dalla stampa per il suo coraggio.

In quegli anni la Nazionale si carica addosso il simbolo di una Germania moderna e aperta. Questo sviluppo culmina nel Mondiale del 2022 in Qatar. In Germania il torneo viene criticato molto di più che in altri paesi occidentali e molte tifoserie chiedono che la Nazionale boicotti il Mondiale, o che per lo meno faccia un gesto di dissenso contro il Paese ospitante. Forse ricorderete come andò a finire. La FIFA vieta al capitano Manuel Neuer di indossare una fascia arcobaleno, e poi anche una fascia leggermente modificata con scritto “One Love”. La situazione diventa esplosiva. Una parte della stampa e anche alcuni sponsor criticano i giocatori e la federazione per non essere abbastanza coraggiosi. In altre parole: di non essere dei buoni ambasciatori dei valori della Germania. Dopo una discussione accesa tra i senatori dello spogliatoio, per la partita contro il Giappone i giocatori decidono di fare un gesto, tappandosi la bocca. È un gesto criptico, che forse rimanda alla “censura” fatta nei giorni precedenti dalla FIFA, e che in pochi capiscono davvero. Poi la Germania viene eliminata già alla fase a gironi e un programma TV del Qatar addirittura la deride, scimmiottando il gesto della mano davanti alla bocca.

Dopo il Qatar, la federazione tedesca fa marcia indietro. Il nuovo motto diventa: fuori la politica dallo sport. Il nuovo direttore della Nazionale, Rudi Völler, decide di abbandonare la fascia arcobaleno, dichiara che l’unica cosa che conta è la vittoria sul campo. Ormai però è diventato impossibile tenere fuori la politica e la società dalla Nazionale, soprattutto in una fase in cui la Germania si ritrova inaspettatamente in una crisi profonda. L’economia inizia ad andare male, il governo litiga in continuazione e il partito d’estrema destra Alternative für Deutschland (letteralmente Alternativa per la Germania o AfD) diventa sempre più forte. Proprio l’AfD esulta dopo la decisione di Völler di togliere la fascia arcobaleno pubblicando un tweet: “Grazie, Rudi”. La federazione prende le distanze, prova a non prendere applausi dalla parte sbagliata, ma è un equilibrio difficile da mantenere.

Tedeschi veri

Poco prima dell’inizio di questi Europei, viene mandato in onda il documentario di ARD che ho già citato sopra. C’è un momento in cui il giornalista tedesco Philipp Awounou incontra un uomo per strada che gli dice che la Nazionale non gli interessa più. Ormai ci giocano pochi “tedeschi veri”, dice. Dopo quell’incontro viene pubblicato un sondaggio da cui emerge che il 21% degli intervistati si augura una Nazionale “più bianca”. Quando viene interrogato a riguardo, il CT Julian Nagelsmann va su tutte le furie, dice che è un “sondaggio di merda” e che non doveva essere fatto a prescindere.

Sono passati 18 anni dai Mondiali del 2006 e nel frattempo tutto è cambiato, a partire dall’atteggiamento del pubblico verso la Nazionale. Prima del 2006 la maggior parte della gente in Germania tifava la Nazionale in modo riservato: nessuno voleva davvero essere considerato nazionalista. I gruppi di tifosi che seguivano la Nazionale in trasferta, negli anni ’90, spesso erano di estrema destra, o considerati tali. Ora, invece, la situazione si è quasi ribaltata. Non tifare la Nazionale sembra quasi strano, o sospetto, e la squadra è diventata il simbolo di una Germania che in molti vorrebbero cancellare. La destra - soprattutto l’AfD - considera la squadra troppo multietnica, si arrabbia persino del colore rosa della seconda maglia e ostenta disinteresse verso una Nazionale da cui non si sente rappresentata. Pochi giorni fa, uno dei volti più noti dell’AfD, Bernd Höcke, ha scritto sulla Schweizer Weltwoche che il calcio tedesco è pieno di “ideologia arcobaleno” e che la Nazionale non rappresenta “la Patria, ma la diversità”.

La sinistra, nel frattempo, fa a gara per mostrarsi vicina alla Nazionale, qualcosa che vent’anni fa sarebbe sembrata di un altro mondo. I ministri Robert Habeck e Annalena Baerbock, dei Verdi (un partito storicamente molto critico verso ogni forma di patriottismo), ora si fanno fotografare con la maglia della Nazionale. Alcuni giornalisti, come Hajo Schumacher, parlano della squadra come simbolo di una Germania nuova, “in cui conta quello che uno fa, non il colore della pelle” e la giornalista Dunja Hayali ha condotto il telegiornale portando la maglia rosa della Nazionale sotto il suo blazer. Un altro membro del partito dei Verdi, la vicepresidente del Bundestag, Katrin Göring-Eckardt, ha pubblicato un tweet, riferendosi al sondaggio tanto criticato da Nagelsmann: “Questa squadra è davvero eccezionale. Pensate un attimo se ci fossero solo giocatori tedeschi bianchi”. Un tweet che voleva riferirsi ironicamente al sondaggio razzista fatto pochi giorni prima ma che nessuno ha davvero capito, e che alla fine, dopo essere stata sommersa di critiche, è stata costretta a cancellare.

Dopo tutti questi dibattiti, comunque, alla fine è arrivato l'Europeo e la Nazionale è di nuovo riuscita a creare un po’ di entusiasmo nel Paese. Ci sono decisamente meno bandiere in giro rispetto al 2006, ma durante le partite le piazze sono piene, la maggior parte dei tedeschi ha un’immagine positiva della squadra di Nagelsmann e spera di arrivare in finale a Berlino. Anche i tifosi venuti dall’estero si stanno trovando bene in Germania nonostante ci siano dei problemi con treni costantemente in ritardo (a giugno solo il 55% dei treni è arrivato puntuale) e mezzi pubblici affollatissimi, come ha notato anche il The Athletic.

Certo, nel frattempo è cambiato tutto. La Germania non è più la locomotiva d’Europa - o forse sarebbe meglio dire che la locomotiva si è ingolfata; la guerra in Ucraina ha fatto esplodere i prezzi e continua a far discutere per il ruolo ambiguo avuto da Merkel con la Russia di Vladimir Putin; e una vittoria dell’estrema destra alle elezioni sembra ormai imminente (e in tre Bundesländer della Germania dell’Est si voterà già a inizio settembre).

Il richiamo ai Mondiali del 2006, il voler vedere la storia di quel torneo ripetersi oggi, allora forse è un tentativo inconscio di aggrapparsi a un ricordo felice, di un tempo in cui la Germania stava entrando nella sua piccola età dell’oro. Oggi però il futuro sembra molto più fosco e difficilmente gli Europei del 2024 entreranno nella storia come un’estate da favola. Anche se la Germania dovesse vincere il titolo i problemi del Paese rimarrebbero tutti lì e, in fin dei conti, come abbiamo visto, nemmeno nel 2006 lo scenario era così idilliaco come piace ricordarci. Alla fine, se ci pensate, le favole non esistono.

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