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Marco D'Ottavi
Come è cambiato il rapporto tra Ancelotti e il Napoli
05 dic 2019
05 dic 2019
La cupa trasformazione di un leader sempre meno calmo.
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Marco D'Ottavi
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Foto di Francesco Pecoraro / Getty Images
(foto) Foto di Francesco Pecoraro / Getty Images
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Il 6 luglio inizia ufficialmente la stagione del Napoli, con il ritiro di Dimaro. Carlo Ancelotti appare fresco dopo le vacanze passate in Canada insieme alla famiglia. Sembrano giorni felici: il sole splende in Trentino, il clima è fresco e il Napoli ha già centrato il primo colpo di mercato, prendendo dalla Roma uno dei migliori difensori del campionato, Kostas Manolas. L’allenatore va davanti ai microfoni per la prima volta in stagione e non ha paura di alzare l’asticella. Anzi, lo dice proprio a chi gli chiede l’obiettivo del Napoli: «Dobbiamo alzare l'asticella, il nostro obiettivo è cercare di vincere».La pax DimaroIn quei giorni il “sogno James Rodriguez” occupa quasi tutto lo spazio mediatico intorno ad Ancelotti. È il giocatore individuato dall’allenatore per aumentare il livello della squadra e quasi tutte le domande ruotano intorno al suo arrivo: «Il Napoli ha bisogno di più talento, pur avendo già un gruppo molto forte. James ci garantirebbe un ulteriore salto di qualità, anche se purtroppo non è ancora nostro». Il suo arrivo sembra cosa fatta o almeno così si percepisce dalle parole dell’allenatore in quei giorni di luglio.In mezzo a tante parole dolci per la vecchia guardia e i nuovi arrivati, l’unico ad essere pungolato è Insigne: «Viene da una stagione altalenante. Mi aspetto da lui comportamenti e atteggiamenti da capitano», una richiesta ripetuta anche dal presidente qualche giorno dopo. Ma il tono di Ancelotti non è negativo come può sembrare leggendo le sue parole trascritte, sembra più di sprono che di rimprovero. Le sue sono parole di un allenatore a cui riconosciamo la grande capacità di legare con i propri giocatori, come evidenziato dal siparietto che arriva qualche giorno dopo, quando l’allenatore si nasconde tra il pubblico per fare una domanda “scomoda” ad Insigne. «Ma com’è che in Nazionale con un modulo diverso ti trovi meglio? L’animaccia tua...». Insigne risponde ridendo: «È sempre colpa dell’allenatore».

Insigne ride, Ancelotti ride, i tifosi ridono. Per ora.

Ancelotti è pienamente a suo agio nel suo ruolo di allenatore del Napoli: la mattina aiuta un tifoso a cambiare la ruota di una bicicletta, il pomeriggio parla di Scudetto: «Il secondo posto non basta più, vogliamo tutti vincere». I tifosi gli dedicano cori, il mercato si riempie di nomi altisonanti, insieme a James Rodriguez si parla di Pepé (con cui i giornali dicono che Ancelotti abbia avuto una conversazione al telefono), Icardi e Lozano. In amichevole batte per 0-3 il Liverpool campione d’Europa. “Una città, un club, una passione" è lo slogan di un filmato promozionale del Napoli che ripercorre l’era De Laurentiis. Il video si conclude con l’immagine di Carlo Ancelotti, l’uomo destinato finalmente a vincere. Con Sarri sulla panchina della Juventus, l’allenatore diventa la speranza dei tifosi, che tornano ad avvicinarsi al Napoli nonostante una stagione interlocutoria vissuta l’anno prima, con la speranza di riuscire finalmente a battere il nemico, ancora più nemico da questa stagione. Il 29 luglio l’estrazione dei calendari mette il Napoli davanti a due trasferte difficili alle prime due giornate, a Firenze e poi a Torino, contro la Juventus. Ancelotti si dice “fiducioso”. Per la prima volta il Napoli va in tournée negli Stati Uniti, perde due volte contro il Barcellona e torna in Italia per l’inizio del campionato. Arriva Lozano.A poche ore dall’inizio del campionato, il rapporto tra Ancelotti e la società sembra assolutamente sereno: «Io sono molto contento e soddisfatto dell'operato della società, se dovessi dare un voto al mercato sarebbe sicuramente un 10: è un piacere allenare e vedere giocare questi ragazzi. Ci prendiamo la responsabilità di lottare per vincere il campionato». Non è facile capire se l’allenatore pensa davvero queste cose o se stia comunicando qualcosa alla società in maniera sottile, visto che il mercato è ancora aperto e le sue richieste sono state esaudite solo in parte.

L’inizio della stagioneIn generale l’aria che si respira intorno al Napoli ed Ancelotti è positiva, non la inquina neanche la rocambolesca sconfitta con la Juventus o il mancato arrivo di James Rodriguez e Mauro Icardi. I problemi arrivano dall’esterno ed è proprio l’allenatore ad esporsi in prima persona, occupandosi anche di argomenti che non dovrebbero competergli direttamente. Tipo i lavori di ristrutturazione del San Paolo. È Ancelotti infatti ad attaccare duramente la Regione, il Comune e i Commissari: «Sono indignato per la scorrettezza e l’inadeguatezza di chi doveva eseguire questi lavori» dice dopo aver visionato le condizioni degli spogliatoi a pochi giorni dall’esordio in casa. Ancelotti in questo momento è più di un allenatore, svolge un ruolo quasi di padre spirituale, il suo carattere mite e la bacheca impressionante lo mettono in una posizione superiore a quella degli altri allenatori, che non potrebbero permettersi un attacco del genere.In campo la squadra fatica a trovare equilibrio ma è capace di avere dei picchi di prestazione assoluti, come la vittoria contro il Liverpool in casa, forse il punto più alto toccato da Ancelotti al Napoli: il momento in cui allenatore, giocatori, società e tifosi sembrano remare tutti dalla stessa parte. La profondità della rosa, soprattutto nel reparto offensivo, permette all’allenatore di provare diverse soluzioni, alla ricerca delle migliori che arriveranno. La sconfitta con il Cagliari, 1-0, dopo aver fallito parecchie occasioni e subìto gol praticamente nell’unica concessa, viene derubricata da Ancelotti a spiacevole inciampo, «può succedere di perdere una gara dominata ed è capitato a noi».“Dovevamo fare meglio”La difficoltà a finalizzare quanto creato diventa presto un problema: contro il Genk arriva un pareggio (0-0) con molte occasioni sprecate. In quella partita il capitano Insigne viene lasciato in tribuna. «L'ho visto poco brillante in allenamento e ho preferito tenerlo fresco per la prossima partita» è la giustificazione di Ancelotti, anche se secondo Il Mattino la scelta non sarebbe stata tecnica, ma una punizione per lo scarso rendimento.Sono le prime crepe in una squadra che inizia a faticare anche in campo, con una distanza da Juventus ed Inter che aumenta rapidamente. Aumentano anche i problemi interni per Ancelotti, che deve convivere con la sfuriata del presidente De Laurentiis, che una placida mattina di metà ottobre decide di attaccare tutti: Koulibaly e Ruiz vengono praticamente messi sul mercato, Insigne “deve capire cosa vuole fare da grande”, ma le bordate più pesanti le riserva a Mertens e Callejon - in fase di rinnovo - accusati di voler andare a fare le marchette in Cina.Ancelotti prova a gettare acqua sul fuoco, rivendica l’importanza di Insigne: «Ha fatto un ottimo avvio di stagione, disputando gare di gran livello. Lorenzo per noi è fondamentale, lo vedo sereno e allegro. Per me il discorso è chiuso». In contrapposizione al presidente, Ancelotti svolge il ruolo del poliziotto buono, un ruolo che è stato in grado di ricoprire lungo tutta la carriera in maniera perfetta. Nei suoi molti successi da allenatore è sempre riuscito a costruire uno spogliatoio affiatato e ancora oggi quasi tutti i giocatori che ha allenato riconoscono in lui una grande empatia. Insigne, ad esempio, dopo il gol vittoria contro il Salisburgo va ad abbracciare proprio Ancelotti, chiudendo virtualmente la crisi.

La rottura tra squadra e societàAncelotti sembra capace di ristabilire la serenità nello spogliatoio, ma lui stesso non sembra averne molta. Dopo il pareggio contro la Spal, risponde stizzito ad una legittima domanda sul mancato impiego di Ghoulam. Contro l’Atalanta si fa espellere per proteste, arrivate dopo una contestata azione dove a un presunto mancato rigore per il Napoli è seguito il gol del pareggio dell’Atalanta. Le decisioni arbitrali catalizzano per qualche giorno l’attenzione, spostandola da una squadra che non riesce a trovare continuità e che non solo perde terreno dall’obiettivo dichiarato, il primo posto, ma non riesce ad affermarsi neanche nella lotta a uno dei primi 4 posti. «Mi sento un po' attaccato, alla mia serietà, professionalità, squadra e società. Preferirei parlare meno possibile», sono queste le parole dietro cui si nasconde l’allenatore, che non sembra in grado di risolvere tatticamente i problemi del suo Napoli.A causa della squalifica Ancelotti deve vedere dalla tribuna la successiva trasferta all’Olimpico, mentre il figlio Davide guida la squadra dalla panchina. La sconfitta di misura irrigidisce la società, che il lunedì tramite le parole alla radio ufficiale del presidente decide di mandare in ritiro la squadra fino a domenica, quando i giocatori partiranno per le rispettive Nazionali. È una decisione che De Laurentiis definisce “costruttiva” e non “punitiva”, ma la squadra non sembra essere d’accordo. Ancelotti si schiera con loro.

«Se mi chiedi un parere personale: non sono d’accordo». Ancelotti quindi accetta una scelta che viene dall’alto, ma la critica duramente. Per la prima volta lo vediamo ribellarsi apertamente, lui che appena arrivato disse «sono un allenatore aziendalista, lavoro per il Napoli». Dopo la partita con il Salisburgo, pareggiata 1-1, negli spogliatoi del San Paolo si è consumata la rottura. Carlo Ancelotti non partecipa alla conferenza stampa organizzata dall'Uefa, dileguandosi in silenzio dallo stadio. Nei giorni successivi la vicenda viene ricostruita dall’esterno, visto che la squadra e l’allenatore sono in silenzio stampa. Dopo la partita il vice presidente Edoardo De Laurentiis sarebbe sceso negli spogliatoi comunicando che il ritiro sarebbe continuato. Il patto a quanto pare era che si sarebbe interrotto solo in caso di vittoria. A quel punto i giocatori si sarebbero ribellati, a partire dai “senatori”. Sarebbero volate parole grosse, rischiando anche di arrivare al contatto fisico tra Allan e il figlio del presidente. Secondo la ricostruzione de La Gazzetta è per riportare la calma che Ancelotti avrebbe mancato la conferenza stampa della UEFA.In quei giorni viene messa in discussione anche la professionalità del tecnico nella scelta del figlio Davide come suo secondo, finito in panchina durante la squalifica. Dopo quella sera l’allenatore e il suo staff, pur non approvando il ritiro, ritornano a Castel Volturno. Una scelta - questa sì - aziendalista: Ancelotti non segue i suoi giocatori nell'ammutinamento, ma decide di continuare ugualmente un ritiro verso il quale si era mostrato contrario.L’Ancelotti confusoÈ da questo momento che Ancelotti inizia a perdere quel controllo che gli abbiamo sempre riconosciuto sulle proprie squadre. I problemi si accavallano: da una parte deve risolvere un evidente problema tattico, con la squadra che mostra qualche difficoltà nell’adattarsi al 4-2-3-1 (o 4-4-2) con cui l’allenatore pensava di affrontare la stagione (forse pensando di avere James, forse per avere maggiore fluidità); dall’altra deve agire come intermediario tra i giocatori e la società, che sceglie il pugno duro e decide di avviare il procedimento per multare i giocatori.Sfoga la sua frustrazione durante l’incontro tra allenatori, capitani, dirigenti e arbitri, in uno scambio con Rizzoli ripreso dalle telecamere. Nel contesto formale e spezzato da lampadari di cristallo vediamo l’allenatore del Napoli alzarsi dal pubblico per prendere la parola. «Allora» per Ancelotti è difficile anche trovare le parole, quasi sbuffa «parliamo chiaro, avete sbagliato in Napoli-Atalanta?», l’inquadratura lo riprende da dietro mentre muove nervosamente il braccio che non regge il microfono. Rizzoli risponde in maniera democristiana che sì, il gioco andava interrotto. Una dichiarazione che non equivale comunque ad ammettere l’errore dell’arbitro.

Ancelotti però capisce quello che vuole, forse sta cercando una piccola rivincita rispetto a un torto che ritiene di aver subito, interpretando in maniera personale le parole dell’ex arbitro: «dopo questo potrei alzarmi e andarmene via perché son contento di sentirti dire che avete sbagliato», cosa che l’arbitro si è guardato dal fare. Invece di andare via, Ancelotti continua parlando di regolamento e della sua interpretazione, fino ad alzare la voce e chiedere «chi arbitra le partite?». Il tono è sempre conciliante, il ragionamento che fa è anche corretto, all’interno di una riflessione più ampia dell’uso del VAR da parte dell’arbitro, ma dalle sue parole traspare una frustrazione eccessiva, che deve essere in qualche modo legata anche a quello che sta accadendo al Napoli.Che poi quello che accade è sostanzialmente un mistero: squadra e allenatore continuano il silenzio stampa, la società valuta con gli avvocati il modo migliore per rifarsi sui giocatori. Contro Milan e Genoa arrivano due scialbi pareggi che allontanano ancora di più il quarto posto. Trapela un patto tra Ancelotti e De Laurentiis, che aspetterà fino a Natale per prendere eventuali decisioni riguardo la guida tecnica della squadra. È costretto a preparare la trasferta di Liverpool mentre i giocatori ricevono le raccomandate da parte del club con le multe e i giornali dividono il gruppo in quattro fazioni, i ribelli, i mediatori, i pacifisti e i dissidenti.Alla vigilia della partita di Anfield, la società è costretta a mandare Ancelotti davanti ai microfoni, come dice il capo della comunicazione Nicola Lombardo «il silenzio stampa continua. È stato interrotto solo perché la Uefa non contempla la condizione di silenzio stampa [...] nessuna domanda sulla Brexit o su altri problemi di crisi mondiali o locali, voi potrete farle, ma a queste domande non ci saranno risposte». L’allenatore si arrampica sugli specchi, parla e non parla, prova a fare comunque da scudo: «L’ambiente è più sereno di quanto si dica. Il silenzio stampa ci ha fatto concentrare sul campo e ha dato fiato a tante bocche che hanno parlato a sproposito», ma qualcosa dice: «La squadra sa che deve fare meglio, la società sa che deve fare meglio. Siamo tutti coinvolti a trovare una soluzione ai problemi che abbiamo avuto e che speriamo di risolvere domani o nelle prossime partite». Dark AncelottiIl Napoli pareggia contro il Liverpool disputando un’ottima partita, ma poi si fa rimontare in casa dal Bologna, perdendo per 2-1, ma soprattutto riproponendo tutti i cronici problemi mostrati fino a quel momento. La sconfitta con il Bologna è il fallimento della versione conciliante di Ancelotti, aziendalista con l’azienda, paterno con i giocatori. Al termine della partita, davanti ai microfoni, scarica le responsabilità sui calciatori:

Dice molte cose in pochi minuti, che si sente in discussione (quando pochi giorni prima aveva detto l’esatto contrario), difende la scelta di lasciare in panchina Mertens e Callejon (due dei più attivi nella protesta contro la società, nonché i due più sicuri partenti), ribadisce di non avere problemi con il gruppo, «noi abbiamo un ottimo rapporto». Ammette però anche che esiste un problema e che se la società e i giocatori non sono in grado di risolverlo ci penserà lui: «devo confrontarmi con chi scende in campo: non ci stanno mettendo del loro fino in fondo. Sento la fiducia ma le cose non vanno bene, sono pronto a trovare la soluzione da solo».E la soluzione per Ancelotti è il ritiro. A un mese dalla decisione unilaterale di De Laurentiis di mandare la squadra in ritiro, questa volta è l’allenatore a pretenderlo, contraddicendo le proprie convenzioni, sbattendo i pugni sul tavolo, lui che ha sempre preferito un atteggiamento morbido nella gestione del gruppo. Una decisione che completa la trasformazione di Ancelotti, passato in 5 mesi dalla sua versione più bonaria, quella vista nel ritiro di Dimaro, alla sua versione più cupa, che chiude i giocatori a Castel Volturno alla ricerca di una soluzione che probabilmente non c’è.Perché mentre Ancelotti prova a salvare la stagione del Napoli, o forse più semplicemente la sua reputazione, giocatori e società stanno per arrivare allo scontro mediato dagli avvocati, come nei divorzi più dolorosi. Il presidente per la prima volta del tutto convinto dell'allenatore e cominciano a circolare voci di un interessamento a Gennaro Gattuso, curiosamente uno dei giocatori più legati all’ex allenatore del Milan, che solo pochi mesi fa gli scriveva addirittura una lettera che iniziava con «Auguri Rino, in campo eri il mio guerriero».Un leader sempre meno calmoTre anni fa Ancelotti pubblicava un libro dal titolo Il leader calmo. Come conquistare menti, cuori e vittorie.Lì riassumeva alcune delle sue scelte a livello di gestione dei rapporti e di come questi siano stati importanti nella costruzione delle sue vittorie: i rapporti con i presidenti, la leadership con la squadra, l’importanza dello staff. Un vangelo aziendale che ci racconta di un allenatore per cui il campo è solo una parte del lavoro, dell’importanza di uno spogliatoio unito e dei rapporti di lavoro e personali: dalla sua pubblicazione Ancelotti è stato esonerato dal Bayern Monaco per essersi messo contro una parte della squadra e adesso sta vivendo una situazione simile a Napoli.Una parte dei giocatori ritiene i suoi allenamenti troppo blandi, inadeguati a superare il momento di crisi. Sembra anche che vorrebbero tornare al 4-3-3 sarriano, modulo che Ancelotti aveva totalmente abbandonato e che invece è stato riprovato negli ultimi allenamenti. I tifosi che gli facevano cori in estate sembrano averlo abbandonato e ne chiedono l’esonero. Adesso, le prossime due partite con Udinese e Genk saranno decisive per il suo futuro, ma al di là dei risultati di domani e dopodomani, quella che sembra in bilico è l’idea che avevamo di Ancelotti. Quella di un allenatore in grado al tempo stesso di gestire spogliatoi complicati, tenere in ordine presidenti esigenti e proporre soluzioni tattiche innovative con al massimo, come massimo gesto di stizza, un sopracciglio inarcato. Oggi invece ci troviamo davanti la sua versione più cupa, quella che si contraddice, poco lucida. In estate si è scelto - e sarebbe interessante sapere l’influenza di Ancelotti in questa scelta - di non smontare una squadra che sembrava alla fine di un ciclo lungo e faticoso. Tenere Insigne però bacchettandolo, lasciare che la situazione contrattuale di Callejon e Mertens si trascinasse sono alcune scelte che si sono rivoltate contro la società. Forse non era Ancelotti l’allenatore adatto a guidare una rivoluzione, forse anzi il Napoli ha sperato che l'esperienza e le capacità manageriali dell’allenatore potessero tenere in piedi una squadra stanca. Cosa che non sta accadendo in questo periodo.Anche al Milan attraversò una fase turbolenta, verso la fine del 2006. In quella circostanza a ristabilire l’ordine fu un ritiro dopo Capodanno, occasione di confronto tra squadra e allenatore al termine del quale venne stipulato il “Patto di Malta”, che portò la squadra a trionfare in Champions League. Magari in queste ore a Castel Volturno sta succedendo qualcosa di simile. Ma più probabilmente no. Al quindicesimo anno da allenatore Ancelotti sta provando una nuova versione di sé stesso, alla carota sta sostituendo il bastone. Se stia snaturando consapevolmente o se si tratti solo di un uomo in difficoltà, che non siamo abituati a vedere in difficoltà, se funzionerà o meno, lo scopriremo più avanti. Per ora dobbiamo concedere ad Ancelotti il beneficio del dubbio. Se c’è un allenatore con una storia che ci impone di aspettare a giudicare, quello è proprio lui.

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