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Con Quique Setièn il Barcellona prova a tornare alle origini
22 gen 2020
Una scelta coraggiosa dopo l'esonero di Valverde.
(articolo)
11 min
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Quique Setién era senza squadra dalla scorsa estate, da quando ha lasciato il Betis dopo due stagioni intense e ricche di picchi positivi e negativi. In attesa dell’offerta giusta aveva scelto di tornare nella sua Cantabria per ricaricare le batterie, passando le giornate tra mare, vento e gli amici di sempre. Da ex atleta che vuole mantenersi in forma anche a sessant’anni, ha la buona abitudine di correre sul lungo mare del suo paese: Liencres. Era lì quando ha ricevuto la chiamata dell’agente che lo avvisava di un’offerta del Barcellona per diventarne l’allenatore.

Senza preavviso si è ritrovato nel giro di poche ore a Barcellona e nelle sue prime parole da allenatore della squadra catalana non ha nascosto il suo stupore per come possano cambiare velocemente le cose nel calcio: «Ieri stavo passeggiando accanto alle mucche nel mio paese e oggi sono qui per allenare i migliori giocatori al mondo».

Fino a solo due stagioni fa sarebbe stato impensabile vederlo allenare il Barcellona. Anche perché Quique Setién, nonostante i quasi sessant’anni, aveva solo due stagioni nella Liga alle spalle con l’esperienza al Las Palmas, portato a metà classifica dopo averlo raccolto a stagione iniziata in zona retrocessione. Mentre Valverde firmava con il Barcellona lui lo faceva con il Betis, una squadra ambiziosa, ma di metà classifica. Alla sua prima stagione lo aveva portato al sesto posto finale, andando oltre le aspettative; la seconda invece al decimo posto, andando sotto le aspettative. Nel suo biennio il Betis è diventato però una delle squadre dall’identità più riconoscibile della Liga, in grado di imporre il proprio calcio anche contro le grandi e andando a vincere sia al Bernabeu che al Camp Nou.

Il lavoro tattico di Setién, prima al Las Palmas e poi al Betis, si concentrava soprattutto nel creare dei meccanismi per lo sviluppo della manovra che consentissero al giocatore con la palla di avere sempre più di due opzioni a disposizione per un passaggio in diagonale. L’obiettivo era riuscire a mettere un giocatore sempre fronte alla porta. L’uscita del pallone dalla difesa è quindi l’aspetto più elaborato del sistema di Setién, fedele all’idea che senza un’uscita del pallone pulita la sua squadra non può avanzare compatta per il campo e quindi sviluppare il proprio gioco.

Se nel Las Palmas aveva lavorato con la difesa a 4, nel Betis, dall’arrivo di Marc Bartra, era passato definitivamente alla difesa a 3, in un 3-5-2 che si adattava nell’altezza dei giocatori in campo alla pressione degli avversari. Setién sceglieva i meccanismi con cui uscire di volta in volta, rimanendo però sempre fedele all’idea che alla base di una buona uscita del pallone c’è la creazione di superiorità numerica alle spalle delle linee di pressione. Il suo Betis aveva la capacità di sviluppare il suo gioco contro chiunque. Non era una squadra perfetta - nessuna squadra lo è - e i suoi difetti erano diversi. Per esempio aveva difficoltà a conciliare ampiezza e profondità quando schierata nella metà campo avversaria e troppo spesso falliva la riaggressione una volta persa palla. Ma nel complesso era una delle squadre di riferimento per l’utilizzo del gioco di posizione e che quindi prediligeva i giocatori con una spiccata sensibilità tecnica. Nel Betis, Setièn ha esaltato giocatori come Fabián Ruiz, Lo Celso, Joaquín, Marc Bartra, Sergio Canales.

Negli anni ’80 Quique Setièn era a sua volta un centrocampista tecnico. Ha avuto una lunga carriera iniziata nel Santander, a cui è rimasto sempre legato, e che nel momento di picco lo ha portato nell’Atlético di Madrid, arrivando anche a giocare in Nazionale. L’evento che ha cambiato la sua carriera è stato l’aver incontrato da avversario il Barcellona di Cruyff a fine anni ’80. Setièn non è mai stato allenato da Cruyff ma lo considera comunque la sua maggiore fonte di ispirazione, l’allenatore che gli ha cambiato la visione del calcio. Come detto da lui stesso: «Mi ricordo il Barcellona di Cruyff, giocavi contro di loro e passavi tutta la partita a rincorrere il pallone. Mi sono detto che quello che vedevo mi piaceva, che avrei voluto giocare in quella squadra e capire come facevano a giocare così». Una volta ha addirittura detto che avrebbe volentieri dato in pegno il suo mignolo per poter giocare nel Barcellona di Cruyff.

Folgorato sulla via dal Profeta Cruyff, Setién ne è diventato un seguace ortodosso. Da allenatore ha sviluppato il suo gusto ben definito e si è concentrato su creare dei sistemi che prima di tutto utilizzassero la palla per ordinarsi e per provare a disordinare gli avversari: allenamenti ossessivi col pallone, in campo possesso palla almeno al 70%, movimenti focalizzati all’avanzamento del pallone sul campo.

Non solo i principi di gioco partono da quelli di Cruyff, è il gusto per il calcio a essere lo stesso. Ritiene che in fondo dentro ogni calciatore c’è il bambino che amava giocare con la palla, e la palla deve essere sempre il sole del proprio sistema di gioco. Saperla controllare motiva e unisce i giocatori. Come ha detto lo stesso Setién: «Può sembrare superbia, ma la mia risolutezza arriva dal fatto che questo tipo di calcio mi piaceva da giocatore. Io mi divertivo nel cortile della scuola con la palla, non senza. E questo è quello che ha guidato e spinto la mia carriera. Questo è quello che provano il 99% dei calciatori».

Una passione viscerale per il pallone che gli è rimasta ancora addosso, partecipa agli allenamenti attivamente, se fosse per lui giocherebbe anche le amichevoli estive: «Rimango un calciatore, mi è rimasta la passione per giocare. Fosse per me starei sempre in campo».

Cosa non ha funzionato con Valverde

La scelta di Quique Setién per il Barcellona è quindi un vero ritorno a quello che in passato aveva reso il Barcellona una squadra speciale. Una scelta però in totale controtendenza con quella proprio di Ernesto Valverde due stagioni e mezzo fa.

Valverde è un allenatore pragmatico, che cerca di capire quali connessioni tra i giocatori, svilupparle e sfruttarle, disegnando poi, solo in un secondo momento, un sistema attorno. E infatti la connessione tra Messi e Jordi Alba non è mai stata così ben sfruttata dal Barcellona come con lui. Valverde insomma non è un allenatore che parte da un’idea di gioco, ma è un modellatore del materiale a disposizione: per esempio se ritiene che con Messi e Luis Suárez la squadra non possa pressare adeguatamente, allora preferisce direttamente non puntare su quell’aspetto di gioco. Questo ha avuto il pregio di dotare il Barcellona di continuità di risultati lungo le 38 giornate di Liga, con una squadra che si rimodellava di volta in volta senza patire troppo gli infortuni o i cali di forma dei singoli.

Il Barcellona di Valverde era una squadra incapace di imporre a piacimento il proprio dominio sulla partita attraverso il gioco. Lo faceva attraverso singole straordinarie azioni, spesso attraverso i piedi di Messi e del giocatore con cui si connetteva. Negli scontri diretti in Champions League però è stato evidente come questa assenza di principi di gioco portava la squadra a naufragare nel momento in cui le varie connessioni in campo non funzionano a dovere, magari per via di un contesto a loro ostile. E se la sconfitta di Roma, ormai quasi due anni fa, era stata considerata figlia dell’inesperienza a tali livelli di Valverde, quella di Liverpool aveva creato una frattura insanabile con l’ambiente. Non è chiaro cos’abbia spinto la dirigenza a rimanere fedele alla propria scelta anche dopo Liverpool, fatto sta che alla prima sconfitta di peso di questa stagione, quella in Supercoppa contro l’Atlético Madrid, Valeverde è saltato. Forse la dirigenza aveva capito che il suo Barcellona non avrebbe vinto neanche questa Champions League, l’ossessione dichiarata di tutti in Catalogna.

Ritorno alle origini

L’idea è quella di prendere un allenatore che fonda il proprio calcio nell’aderenza ai principi del gioco di posizione così da fare ritornare nel proprio habitat naturale quei giocatori che con quei principi sono cresciuti come Messi, Busquets, Sergi Roberto, Piqué e Jordi Alba, più altri che sembrano perfetti per giocarci: ter Stegen, Frenkie de Jong, Arthur Melo, Lenglet e Griezmann.

Con Setièn il Barcellona vorrebbe tornare a giocare un certo tipo di calcio. Il gol vittoria contro il Granada, la prima partita di Setièn, può essere visto proprio come manifesto dell’impatto immediato dello stile di Quique Setién. Il neo entrato Riqui Puig, fatto esordire nella Liga proprio da Setién, va in pressione alta sull’uscita palla della difesa avversaria e una volta recuperata con successo si può appoggiare accanto a Sergio Busquets, che a sua volta rimette al centro della trequarti a Messi. Tutto il Barcellona è compatto sulla trequarti avversaria, con tre giocatori davanti a Messi da poter essere serviti. Il numero 10 allora fa partire uno scambio al limite dell’area tra lui, Griezmann e Vidal, che di tacco gli ridà il pallone per il suo inserimento che termina col tiro di prima. Un’azione tutta tecnica, iniziata però dalla voglia di un giocatore di andare a togliere il pallone dai piedi dell’avversario.

La stessa partita d’esordio contro il Granada ha dato indicazioni sul tipo di sistema che vuole implementare Setién nel poco tempo a disposizione. Al suo esordio la percentuale di possesso palla del Barcellona è stata dell’82%, la più alta dai tempi di Guardiola e Vilanova ad inizio del decennio scorso: il Barcellona ha occupato ogni fascia verticale del campo fin dall’uscita dalla difesa e si è concentrato soprattutto su quest’aspetto del gioco.

Con il pallone, l’avanzata di Jordi Alba lungo la fascia sinistra viene bilanciata da destra da un Sergi Roberto bloccato accanto ai due centrali. A dare ampiezza dall’altra parte ci pensa la presenza di Ansu Fati. Con Griezmann che si accentra vicino a Messi al centro dell’attacco si finisce per disegnare un 3-5-2 (o 3-3-4 a seconda di come si vogliano leggere le posizioni dei due esterni).

In questo contesto assume un’importanza strategica per tutto il sistema Sergi Roberto, unico giocatore della rosa che può essere schierato senza problemi con funzioni di terzino bloccato per aiutare la costruzione dal basso, rispetto ai più verticali Jordi Alba, Junior Firpo, Semedo e Wague. L’idea del sistema asimmetrico era preventivabile. Come ormai da anni per Guardiola al City, anche per Setién è l’opzione più semplice per avere un’uscita del pallone sicura con superiorità numerica alla base, ampiezza e giocatori tra le linee in superiorità numerica a centrocampo. Non è detto che questo sistema sia quello del Barcellona nel resto della stagione, ma che sia stato quello dell’esordio ha molto senso considerando il tipo di calcio voluto da Setién e i benefici dal punto di vista della manovra si sono visti subito. Con l’assenza di Frenkie de Jong per squalifica, e con Arthur Melo senza i 90 minuti nelle gambe per via del lungo recupero dalla pubalgia, ai lati di Sergi Busquets sono stati inseriti Rakitic e Vidal. Ma dal tipo di richieste fatte a entrambi è verosimile che nel medio periodo saranno de Jong e Arthur i due interni.

Parliamo subito di un vantaggio immediato del piano di Setién: avere Messi più alto sul campo e più vicino a Griezmann in attacco; poi, avere maggiore resistenza alla pressione avversaria grazie a una circolazione del pallone efficace su tutto il campo; infine, una migliore capacità di recupero palla dopo la perdita, grazie soprattutto a una squadra più compatta.

Nell’ultimo aspetto ha aiutato soprattutto Sergi Busquets, che con alle spalle tre centrali in una linea avanzata ha potuto giocare più alto sul campo, con vicino sempre almeno due giocatori e quindi più a suo agio nella distribuzione e nel recupero palla. Il debutto del Barcellona di Setién può essere considerata la migliore partita stagionale di Busquets, per cui lo stesso allenatore ha avuto parole dolci a fine partita: «Sergio è quello che meglio capisce e legge dove deve stare in transizione difensiva. Ha fisso in testa il fatto di difendere in avanti e questo è un concetto che tutti devono saper fare bene».

Lo stesso Busquets è stato forse il barometro principale del gioco del Barcellona negli ultimi anni: quando il sistema non riusciva a esaltarlo il Barcellona finiva per pagarne le conseguenze. Al termine del Barcellona-Betis della scorsa stagione proprio Busquets era andato da Setién per congratularsi per come la sua squadra aveva giocato, lasciandogli una maglia firmata: «Per Quique, con affetto e ammirazione per come vedi il calcio».

Forse Quique Setién non avrà il blasone che avrebbero potuto avere altri nomi, ma dalla sua ha la capacità di far tornare i senatori dello spogliatoio a giocare il calcio che loro amano e i tifosi a veder giocare il Barcellona come vorrebbero.

I risultati, del resto, sono arrivati proprio quando c’era questo senso di unità di intenti in tutto l’ambiente. Quique Setién punta a far tornare questo spirito risvegliando l’anima di Cruyff. Se questo era l’ingrediente mancante per portare l’agognata Champions League dopo anni di delusioni sarà il campo a dirlo. Di certo vedendo il Barcellona di nuovo dominare lo sviluppo della manovra le aspettative non possono che impennarsi.

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