Nella primavera del 2022 Todd Boehly ha rilevato il Chelsea da Roman Abramovich sfruttando la guerra in Ucraina. In pochi mesi il club ha cambiato completamente faccia. Due anni dopo è già un caso di studio interessante: che impatto può avere una dirigenza con molti soldi e poca conoscenza del mondo del calcio?
Boehly ha fatto piazza pulita dei dirigenti e membri dello staff che aveva vinto la Champions League nel 2021, e ha poi messo in moto un piano tanto ambizioso quanto confuso, ma comunque accolto con ottimismo da una tifoseria spaventata dalla brusca fine dell’era Abramovich.
Boehly pensava di aver trovato un cheat code, un trucchetto semplice a cui apparentemente tutte le altre squadre al mondo non avevano pensato: sfruttare appieno le proprietà benefiche dell’ammortamento sul bilancio societario. Perché non far firmare ai giocatori contratti da 8 o 9 stagioni, così da poter spalmare su quegli anni il costo avuto per acquistarli e quindi abbassare il peso a bilancio di questi asset? Un’idea presa in prestito dal baseball, la sua vera passione. Geniale.
Solo in questa stagione sono stati acquistati: Moises Caicedo, Romeo Lavia, Christopher Nkunku, Cole Palmer, Axel Disasi, Nicolas Jackson, Robert Sanchez, Lesley Ogochukwu, Deivid Washington, Angelo Gabriel, Djordje Petrovic e Diego Moreira. Il più vecchio ha 25 anni e il più giovane 18, per un totale di 467 milioni, senza considerare i vari bonus.
I giocatori vengono presi giovani pagandoli quanto varranno nel picco della carriera, avvalendosi poi dell’escamotage contabile. Una squadra come il Chelsea è troppo grande per fallire, pensa Boehly, e allora chi se ne frega se alcuni di questi acquisti si riveleranno sbagliati. Se altri saranno invece giusti potrà comunque contare su una buona media. Una strategia di costruzione della rosa ritenuta da tutte le altre squadre rischiosissima, ovviamente. La stagione attuale del Chelsea dimostra il perché.
Ieri l’Arsenal ha sconfitto 5-0 il Chelsea, che è ora al nono posto e rischia di mancare la qualificazione alle coppe europee. La distanza vista tra le due squadre è stata, francamente, imbarazzante. Il Chelsea non è sembrata nemmeno una squadra ma undici giocatori presi dalla strada a cui è stata data la stessa maglia. Barney Ronay sul Guardian ha scritto che il Chelsea è stato «Così scadente che a volte non sembravano nemmeno giocare ma protestare per qualcosa, non era sport, il calcio come un lungo esercizio di attesa che sia finita».
Ecco, l’Arsenal è un buon esempio non dico “virtuoso”, ma almeno di come si può spendere una montagna di soldi per recuperare il gap competitivo con le migliori squadre del miglior campionato al mondo (o almeno quello che si auto-definisce tale). Oggi l’Arsenal è in lotta per la vittoria del titolo per la seconda stagione di seguito, e la sua squadra è molto diversa da quella 2020/21 ereditata da Arteta. Per completare questo rinnovamento, però, ci ha messo tre stagioni piene. Un ricambio graduale in cui, nel tempo, si è capito come costruire la formazione ideale (che comunque è un'utopia). Alla base un’idea di calcio coerente per selezionare i profili tecnici e umani utili sul mercato. Giocatori anche strapagati, come nel caso di Havertz e Rice, ma con dietro un’idea solida del tipo di contributo che avrebbero portato. Questo tipo di approccio chirurgico è il contrario della strategia del Chelsea, che sul mercato è sembrato limitarsi a sparare nel mucchio. A buttare un braccio meccanico in un cesto di sorprese di ogni tipo, indifferente a cosa sarebbe salito.
Il Chelsea ha prima demolito dalle fondamenta tutta la squadra che aveva già vinto, poi raccolto con una rete a strascico i giocatori ritenuti più promettenti in giro per il mondo (o consigliati dai procuratori con i migliori agganci) nel minor tempo possibile. Poi è arrivata la domanda: come dare forma a questa specie di talento? Mauricio Pochettino, che aveva costruito nel tempo il Tottenham più forte della storia moderna, è stato visto come il giusto allenatore (o il giusto demiurgo, il giusto mago alchemico, non so come definire il suo ruolo). È finito anche lui vittima inconsapevole di questo esperimento.
Ma che tipo di giocatori ha comprato il Chelsea? Diciamo calciatori dalle caratteristiche tangibili, riconducibili facilmente a delle metriche statistiche da FIFA: l’atletismo, il dribbling, la velocità, la capacità di calcio. Magari una solo di queste abilità, oppure tutte assieme, ma sempre almeno una determinata caratteristica che li fa spiccare rispetto alla media. L’idea è che un calciatore sia speciale in qualcosa, e fondendo le caratteristiche degli undici in campo si può ottenere - per aritmetica - una formazione bilanciata. Come un alchimista, appunto, l’allenatore deve creare l’oro fondendo gli altri metalli assieme. Pochettino è passato nel giro di pochi mesi da avere le mani legate al PSG, incastrato tra gli immensi ego dei suoi talenti, ad avere carta bianca totale su chi e come mettere in campo. Estrarre un undici dalla trentina di giocatori arrivati nel giro di poche settimane, tutti distanti dal picco della propria carriera.
La situazione è caotica e ogni partita del Chelsea è trasformata in un esperimento darwiniano per vedere quale giocatore si adatta meglio e promette il futuro più radioso. Succede quindi che Mudryk rimane un oggetto misterioso. Non è cresciuto di una virgola, finora, rispetto al giocatore dal talento grezzo ma evidente arrivato a Londra per 70 milioni (più 30 di bonus). Il suo yang sarebbe Cole Palmer, prelevato dalla panchina del Manchester City per 47 milioni, e che quest’anno ha segnato 20 gol e servito 9 assist. La stella assoluta della squadra a 20 anni.
Non c’è una logica. Onesti giocatori come Marc Cucurella si ritrovano titolari inamovibili; Conor Gallagher è addirittura capitano a 24 anni alla seconda stagione in prima squadra dopo aver passato la sua carriera in prestito. Quasi un miliardo speso in due stagioni e poi può succedere che nei big match giocatori teoricamente fenomenali come Enzo e Caicedo non sanno a chi passare il pallone. Ci sono poi giocatori ancora tutti da costruire, come Nicolas Jackson o Nodi Madueke, che devono reggere le sorti offensive di tutto il piano gara.
La squadra è diventata un meme, e non fa niente per sfuggire a questo destino. Avrete visto il video del calcio di rigore contro l'Everton; Gallagher che deve convincere Madueke a lasciare il rigore Cole Palmer. Poi Nicolas Jackson intromettersi, nel momento più infantile dell'anno.
Il lavoro di Pochettino è difficile da distinguere, in questo delirio. L’impressione è che la sua mano si riduca al gioco senza palla, come se essere organizzati in campo fosse solo una questione di dove stare rispetto al compagno di squadra. Poi quando la palla viene recuperata ognuno fa quello crede. Suona il proprio strumento sperando di accordarlo a una sinfonia che non inizia mai.
Il Chelsea non riesce ad avere continuità di prestazioni all’interno della stessa partita, o di risultati per più di tre partite di fila. In Premier League ha vinto solo una volta 3 match consecutivi - contro Crystal Palace, Luton e Fulham - e solo un’altra volta ne ha vinte due di fila - contro Fulham e Burnley. Ha dato filo da torcere al Manchester City, con cui ha pareggiato sia all’andata che al ritorno - ma poi ha perso entrambe le partite col Wolverhampton. Una squadra che il 15 aprile ha battuto l’Everton per 6-0 e il 23 aprile ha perso contro l’Arsenal per 5-0, sconfitta che rappresenta un record negativo, in termini di scarto, nell’ultra-centenaria storia della sfida tra le due squadre di Londra. «Non siamo stati competitivi. Non è una scusa, ma è il tipo di incostanza che abbiamo mostrato per tutta la stagione» ha detto uno sconsolato Pochettino a fine gara.
Quando alla vigilia della partita gli avevano chiesto del peso dell’assenza di Cole Palmer, Pochettino aveva provato a motivare ai microfoni i suoi giocatori: «È una bella sfida per i compagni di squadra. Se sono un compagno di squadra di Cole Palmer nella sua posizione o in una posizione simile, sarò motivato ad andare lì domani e dimostrare che questo è il Chelsea Football Club, non il Cole Palmer Football Club».
La stampa inglese ci è andata giù pesante. Ha scritto Barney Ronay, sempre nel suo pezzo post-partita sul Guardian: «È insolito vincere una partita per 5-0 nelle battute finali di una corsa al titolo, eppure in qualche modo è l'avversario a fare la storia. Ecco quanto è stato brutto il Chelsea. Persino la lista delle squadre ha dato l'impressione di una fine, di un avanzo di cibo, di un calcio post-apocalittico. Mudryk-Madueke-Jackson-Gallagher. Questo è uno strano minestrone umano, parti disparate, talento umano come numeri ammortizzati. Noi siamo gli uomini imbalsamati. Siamo gli uomini vuoti. Siamo il centrocampo del Chelsea. Immaginate di non battere questo Chelsea per 5-0.»
L’Arsenal ha recuperato palla ben 15 volte nella trequarti avversaria, come mai in stagione. Parliamo di una squadra che arrivava alla partita in flessione evidente di gioco e risultati. Ma la cosa ancora più umiliante è stata la strategia della squadra di Arteta di lasciare costruire il Chelsea per attendere semplicemente che il pallone gli venisse consegnato nella propria metà campo per un passaggio sbagliato o un errore nel controllo. Alternando pressing alto e semplice attesa dell’errore altrui l’Arsenal ha soffocato ogni velleità del Chelsea, riuscendo a creare azioni da gol a ripetizione. Sono bastati 4 minuti per vedere il primo gol e se il gioco senza palla era l’unico punto in cui si vede il lavoro di Pochettino allora è stato subito chiaro che sarebbe stata una serata da incubo.
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Il Chelsea si è fatto manipolare dalla circolazione dell’Arsenal, con la palla tenuta bassa e corta tra le linee senza alcuna resistenza. Bastava un filtrante per aprire il blocco medio e trovarsi contro una difesa nel panico.
La squadra di Pochettino ha provato a metterla sul piano atletico, ma non è riuscito a gestire nello stretto Martin Odegaard, che ha creato 8 palle gol; non ha mai letto i movimenti di Kai Havertz, autore di una doppietta facile facile. La prima subita in Premier League da un ex giocatore, uno dei tanti lasciati andar via a cuor leggero in estate.
Un paio di occasioni il Chelsea se le sarebbe pure create, ma è stato impreciso sotto porta. La partita si chiude poi con un doppio cambio finale eloquente: il vecchio Thiago Silva e il giovanissimo Casadei. Il resto della panchina, tolti i subentrati, era il seguente elenco “pendoliniano”: Bettinelli, Tauriainen, Chukwuemeka, Dyer, Colback e Washington.
Contro l’Arsenal, il miglior attacco per distacco di questa Premier League, la difesa del Chelsea ha schierato in porta Djordje Petrovic (costato 14 milioni dai New England Revolution), davanti a lui Badiashile e Disasi (costati 38 milioni e 45 milioni dal Monaco), il terzino sinistro Cucurella (costato 65 milioni dal Brighton) e il terzino destro Alfie Gilchrist, salito dalla prima squadra e alla prima partita da titolare in Premier League in carriera a 20 anni. Terzino che ha giocato al posto dell’assente Malo Gusto (costato 30 milioni dal Lione). Ha scritto sempre Ronay: «Una cosa strana di questi 18 mesi di mega-acquisti è stata la ristrettezza della gamma di talenti. Il Chelsea ha acquistato molti calciatori a temperatura ambiente. Tutti riempitivi e nessun fuoriclasse. Questo è il nostro DNA: il giocatore “sì, forse”».
Siamo a fine aprile e il Chelsea è a metà classifica, con un minimo di continuità potrebbe anche ambire ad un posto europeo. Il sesto posto è distante tre squadra, ma anche solo tre punti. Se pensiamo al Chelsea di Abramovich è tutto fuorché un traguardo. Il Chelsea è una delle autoproclamate big 6, una delle 3 squadre inglesi più vincenti degli ultimi 20 anni e in questo momento non arriverebbe neanche in Conference League. Vista la magnitudine del suo calciomercato non può bastare. Certo, il Chelsea ha comprato giocatori giovani e ha un progetto a lungo termine - come dovrebbero dirci i contratti fatti firmare ai giocatori - ma quest’anno sembra esserci davvero poco di promettente su cui costruire.
Durante questa stagione la UEFA ha imposto la fine della possibilità dell’ammortamento per più di 5 stagioni, una regola nata dalla necessità di impedire i vantaggi contabili trovati dal Chelsea, che rischiava di invitare le squadre ad accollarsi lo stesso rischio di crack finanziario. La nuova regola non è retroattiva e quindi il trucchetto del Chelsea per questa rosa funziona, ma già per i prossimi acquisti non varrà più. La sua strategia innovativa rimarrà un esperimento di brevissima durata, e il suo risultato lo si vedrà comunque solo tra almeno un paio di stagioni.
Chissà se qualcuno pagherà, se Pochettino verrà sostituito con un allenatore a peso d’oro per fare la magia che a lui per ora non è riuscita. Di certo il tempo non è infinito, le spese pazze già cominciano a presentare il conto. La proprietà ha venduto gli hotel controllati dal club per rimpicciolire un minimo i buchi di bilancio. Un’altra operazione finita sotto le lenti della UEFA. Il rischio che vedono i tifosi all’orizzonte è di non star affrontando solo una stagione di transizione, ma un anno zero da cui è difficile costruire perché mancano le fondamenta stabili. La più grande paura è che dopo tanta fatica proprio i migliori giocatori vogliano a breve andare in squadre più sane. Squadre che magari giocano la Champions League e che possono vincere tutto subito.
Se Enzo Fernandez o Cole Palmer chiedessero di essere ceduti magari la prossima estate al Real Madrid o al Bayern di turno, allora tutto lo sforzo fatto servirà solo ad aver sviluppato per gli altri giocatori già strapagati, su cui è impossibile rientrare economicamente.
Ce la farà il Chelsea ad avere ragione di questa massa informe, di questo innominabile casino tecnico-finanziario chiamato squadra?