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Michele Tossani
Quattro allenatori emergenti da seguire tra Serie B e C
10 nov 2023
10 nov 2023
Possanzini a Mantova, Pazienza all'Avellino, Aquilani al Pisa e Caserta al Cosenza.
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Michele Tossani
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credits: IMAGO / NurPhoto
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Come si fa a scegliere quattro allenatori da tenere d’occhio dalle serie minori? Tutti i criteri, ovviamente, sono opinabili, compresi quelli scelti per selezionare questi nomi. Il primo obiettivo è stato quello di trovare allenatori lontani dalle attenzioni del grande pubblico, per questo ho messo i risultati in secondo piano, concentrando la mia attenzione sulle proposte di gioco. Ciò non significa che tutte le squadre scelte stiano andando male, anzi, ma, tra le altre, ne ho prese anche alcune che non stanno attraversando un momento facile, ma che, magari, riusciranno a raddrizzare la rotta affidandosi ai propri principi di gioco. Dopodiché, ho cercato di alternare nomi già da qualche anno attivi tra Serie B e Serie C con allenatori alla prima esperienza tra i professionisti. Per questa ragione non troverete i vari Fabio Pecchia (Parma), Paolo Vanoli (Venezia), Vincenzo Vivarini (Catanzaro), Zdeněk Zeman (Pescara) o Alfonso Greco (Torres). Per il resto, non mi sono dato limiti, se non il mio gusto, che d'altra parte non posso certo eliminare. Cominciamo. Davide Possanzini (Mantova) Il termine coaching tree è mutuato dallo sport statunitense per definire il legame filosofico e tecnico che esiste fra un allenatore e i suoi discepoli, ovvero altri allenatori che hanno lavorato con lui e ne condividono le idee (tutte o solo in parte). Nel nostro calcio un coaching tree famoso è, per esempio, quello di Gian Piero Gasperini, che porta dal tecnico di Grugliasco ai vari Ivan Juric, Igor Tudor, Salvatore Bocchetti e Raffaele Palladino. Da qualche stagione un altro “albero" che sta crescendo è quello che ha le sue radici nella filosofia di gioco di Roberto De Zerbi, che, com’è noto, ha ormai attecchito con successo a Brighton. Tra i figli calcistici dell’attuale manager dei “Seagulls” troviamo tutta una serie di nomi di suoi ex assistenti che si stanno mettendo in luce in vari campionati. Il più famoso è Francesco Farioli, ex allenatore dei portieri e collaboratore di De Zerbi al Sassuolo, attualmente capolista in Ligue 1 con il Nizza. Ma ci sono altri nomi legati a De Zerbi da un trascorso nel suo staff e oggi alla ribalta come allenatori in altri contesti. Stiamo parlando di Francesco Magnanelli, collaboratore di Massimiliano Allegri alla Juventus, Paolo Bianco, allenatore del Modena, e Davide Possanzini, oggi capolista del girone A di Serie C sulla panchina del Mantova. Possanzini è stato un attaccante con un grande curriculum in Serie B. Ex centravanti, tra le altre, di Brescia, Palermo, Catania (dove fu allenato dall’ex tecnico del Real Madrid Benjamin Toschak) e Sampdoria, dopo aver lavorato con De Zerbi a Sassuolo lo ha seguito anche allo Shakhtar Donetsk. Se si esclude una brevissima parentesi come allenatore del Brescia (due partite nello scorso febbraio, prima di restare vittima dell’ennesimo ribaltone tecnico imposto da Massimo Cellino) quello di quest’anno sulla panchina del Mantova è il vero debutto di Possanzini alla guida di una prima squadra. Per riportare il Mantova in Serie B (categoria che manca dal 2010, anno della retrocessione dalla B alla C e del fallimento che costrinse alla ripartenza dalla D), Possanzini si è affidato a tutte le idee che fanno parte del ventaglio tattico di De Zerbi. Seguendo le sue orme, il modello di gioco dei lombardi ha una impronta posizionale che ricerca connessioni fra i giocatori avvicinandoli tra loro, all’interno dei corridoi verticali del campo. L’immagine qui sotto riproduce una situazione di possesso dei biancorossi durante la sfida contro la Pro Vercelli. La manovra si sviluppa con una prima linea di costruzione a tre e un rombo davanti, formato dai due mediani e dai due trequartisti di partenza, sfalsati.

La palla circola per smuovere il blocco difensivo avversario (un concetto più vicino all’idea di gioco di posizione di Guardiola che a quella di De Zerbi, che invece cerca di provocare la prima mossa avversaria per reagire poi di conseguenza con la palla), creando così le premesse per liberare le zone che vengono poi occupate dai giocatori del Mantova, incaricati appunto di occupare la zona di rifinitura (compreso lo spazio fra le linee di difesa e centrocampo avversari) e quella di finalizzazione. Nell’immagine in basso, invece, vi è una situazione di prima costruzione 4+2 con Radaelli e Panizzi che assumono le posizioni di terzini. Successivamente Radaelli si alza da laterale alto mentre Panizzi va ad agire come terzo “costruttore” di sinistra, per poi inserirsi in avanti nel prosieguo dell’azione.

Il Mantova utilizza la palla anche per difendersi, cercando di ridurre al minimo la fase di non possesso attraverso marcature preventive e riaggressione. I lombardi affrontano con un certo fastidio le (poche) fasi di difesa posizionale alle quali sono costretti. In sede di presentazione, la scorsa estate, Possanzini aveva dichiarato di volere una squadra «protagonista e padrona del gioco». Sono in molti a dirlo, ma pochi poi a realizzarlo davvero, e Possanzini è fra questi. Fabio Caserta (Cosenza) Chi ha detto che il 4-4-2 è morto e sepolto? In Serie B, almeno, non sembra esserlo. Catanzaro e Venezia lo usano come struttura base (declinata poi in modo fluido nelle varie fasi) e lo stesso si può dire del Cosenza di Fabio Caserta. L’ex centrocampista di Catania e Lecce ha iniziato ad allenare nel 2016-17, quando è entrato nello staff di Gaetano Fontana alla Juve Stabia. Nel 2018-19, diventato nel frattempo primo allenatore, Caserta ha condotto i campani in Serie B. Nel corso degli anni, però, la sua carriera non ha avuto una crescita lineare: è arrivata un’altra promozione (col Perugia, sempre dalla C alla Serie B), ma anche un esonero, l’anno scorso alla guida del Benevento in cadetteria. In Calabria Caserta è chiamato a trasformare il Cosenza in una squadra che possa ambire a qualcosa di più di una salvezza tribolata. Per una volta, il presidente Eugenio Guarascio ha allestito una squadra all’altezza delle aspettative della tifoseria, con tanti nomi abituati a lottare per le zone nobili della classifica. Nonostante un buon inizio, coronato dalla prestigiosa vittoria in casa del Palermo, i rossoblù ultimamente faticano a trovare continuità di risultati. Nelle tre giornate appena trascorse sono arrivate una sconfitta contro la Sampdoria e due pareggi, contro lo Spezia in trasferta e contro il fanalino di coda Feralpisalò in casa. Per questo motivo la tifoseria ha iniziato ad esprimere del disappunto nei confronti del nuovo tecnico. Caserta schiera i rossoblù con un 4-2-3-1 di base che però, in fase di possesso, assume i contorni di un vero e proprio 4-2-4, qualcosa di desueto nel calcio ad alti livelli ed il motivo per cui, nonostante qualche inciampo, il Cosenza rappresenta comunque un caso interessante nel panorama della Serie B.

Il Cosenza non è una squadra ossessionata dal possesso (49.7% la media secondo i dati raccolti da Fbref), preferisce andare il prima possibile in verticale dai quattro riferimenti più avanzati. Questi ultimi sono piuttosto mobili e utilizzano movimenti codificati assimilabili, per certi versi, al calcio di Conte. Un ruolo fondamentale lo hanno gli esterni, che Caserta preferisce schierare a piede invertito. A loro sono demandate anche giocate individuali, per creare superiorità numerica in fascia o tagliando verso il centro del campo. In mezzo alla linea d’attacco vengono privilegiate combinazioni fra la punta centrale e il trequartista, con quest’ultimo che, partendo da dietro il riferimento più avanzato, va spesso ad associarsi al centravanti sulla prima linea d’attacco. Tra gli attaccanti spiccano per grande dinamismo e tecnica individuale Manuel Marras e Simone Mazzocchi (in prestito dall’Atalanta), oltre al contributo fondamentale di bandiera del Cosenza come Gennaro Tutino, tornato in Calabria quattro anni dopo l’ultima volta. L’ex attaccante di Salernitana e Parma ha la facoltà di allargarsi sull’esterno (preferibilmente a sinistra), scambiando la posizione con l’ala. L’altro pezzo pregiato dell’attacco cosentino è Francesco Forte. Il romano, classe 1993, ha avuto una carriera forse al di sotto delle sue reali potenzialità. Oggi a Cosenza il suo movimento sul fronte offensivo, la sua fisicità e la sua presenza in area di rigore sono utilizzate al meglio da Caserta. Il tutto in attesa che esploda anche Luigi Canotto, arrivato a inizio settembre in Calabria e già alle dipendenze di Caserta nell’esperienza di Castellammare di Stabia. La particolarità dell’approccio di Caserta non risiede soltanto nell’utilizzo di quattro attaccanti. Il tecnico dei “Lupi” infatti schiera spesso una coppia di registi in mediana, associando elementi simili come Calò, Praszelik o Viviani. Con una formazione così sbilanciata in avanti, in un calcio sempre piuttosto diretto (proprio per mettere in moto il prima possibile i riferimenti avanzati) la difesa è accorta, con i terzini abbastanza bloccati. Un atteggiamento tipico dei laterali bassi nel 4-2-4, come accadeva anche nelle squadre del primo Conte o nel Bari di Giampiero Ventura. Michele Pazienza (Avellino) Quando a settembre l’Avellino ha deciso di sollevare dall’incarico Massimo Rastelli, la dirigenza del club irpino si è rivolta subito a Michele Pazienza. Classe 1982, ex centrocampista del Napoli di Mazzarri, Pazienza si è messo in mostra durante la scorsa stagione con il Cerignola, riportato in Serie C dopo un’assenza di 85 anni e poi condotto fino ai playoff. Un’esperienza che ha rilanciato l’allenatore di San Severo, reduce da annate negative a Pisa e Siracusa. Visti i trascorsi a Cerignola, era solo questione di tempo prima che una grande del Girone C di Serie C gli affidasse la panchina. In una analisi dei tecnici emergenti di questi primi mesi di stagione non poteva mancarne uno che avesse nel 3-5-2 il suo sistema di base, e Pazienza è uno di questi (dopo un iniziale approccio alla C col 4-3-3). Questa disposizione è diventata infatti una sorta di mantra per la terza serie italiana, dopo gli anni dei successi di Antonio Conte con la Juventus. La maggior parte delle squadre di Serie C ne ha proposto un’interpretazione standardizzata: quinti a tutta fascia, gioco diretto, ricerca di palle esterne da mettere in area. Rispetto a queste versioni monocorde, il 3-5-2 di Pazienza presenta qualcosa di più interessante. La fase di costruzione è affidata generalmente al rombo formato dai tre difensori centrali e dal play basso, con le mezzali che si associano ai quinti e alle punte nell’attaccare la metà campo avversaria, oppure si abbassano per aiutare la fase di costruzione. L’Avellino risale il campo attraverso i triangoli laterali, formati da mezzala, per l’appunto, esterno di centrocampo e attaccante di parte. In questo modo, la squadra di Pazienza porta spesso molti uomini in fase offensiva. I due attaccanti possono aprirsi e non devono restare per forza centrali, come avviene invece nel 3-5-2 di scuola Conte. Questo anche perché, con Sgarbi e Gori, Pazienza ha a disposizione due punte mobili, in grado di attaccare anche la profondità.

Una combinazione a tre nata da fallo laterale a favore fra quinto (Ricciardi), trequartista (Varela) e punta (Gori) che porterà al gol.

I principi non cambiano quando Pazienza presenta due trequartisti a ridosso di un’unica punta o un triangolo rovesciato che vede due mediani alle spalle di una mezza punta, come accaduto ad esempio nella sfida vinta 4-1 ai danni del Potenza. In quella occasione la coppia di mediani era composta da Luca Palmiero e Federico Cesarini con Lores Varela trequartista alle spalle delle punte. L’Avellino ha vinto 7 delle ultime 10 partite e al momento è terzo nel girone C, a soli quattro punti dalla vetta. Prima dell’arrivo di Pazienza, la squadra, nonostante una delle rose migliori della categoria, aveva perso le prime due giornate. L’ex centrocampista del Napoli si è insediato a metà settembre, per cui non ha potuto né condurre il ritiro, né scegliere i profili giusti da acquistare sul mercato. Circostanze del genere sottolineano una volta di più la bontà del suo lavoro. Alberto Aquilani (Pisa) Disclaimer: Il Pisa di Alberto Aquilani sta attraversando un periodo pessimo. I toscani occupano il quattordicesimo posto, alle porte della lotta salvezza, un piazzamento inaccettabile per una società e una tifoseria che avrebbero come obiettivo la zona playoff. Il caso dei neroazzurri, però, è interessante proprio perché testimonia le difficoltà a cui può andare incontro un allenatore ambizioso alla prima esperienza tra i professionisti. Giunto in Toscana dopo gli ottimi risultati con la Primavera della Fiorentina, Aquilani ha provato ad imporre ai neroazzurri la sua versione del gioco di posizione. Dal punto di vista tattico l’idea è quella di occupare tutti e cinque i canali verticali del campo in fase di costruzione e definizione, utilizzando la densità in zona palla per disordinare il blocco difensivo avversario. La sfera si muove per liberare linee di passaggio che permettano alla squadra di avanzare. Se c’è la possibilità di andare direttamente in profondità, sfruttando una situazione o un mismatch favorevole, il Pisa può però anche andare direttamente in verticale. Nonostante la stagione sia iniziata da poco, il Pisa di Aquilani ha già avuto molte forme. All’inizio, fin dalla partita di Coppa Italia contro il Frosinone, il tecnico nerazzurro ha presentato in fase di costruzione una struttura 2-4-1-3. L’idea era quella di far costruire i due difensori centrali insieme al portiere, avanzando i terzini sulla seconda linea, accanto ai mediani (i 2 e i 4 del modulo citato prima). I terzini tenevano una posizione stretta, nei corridoi intermedi. Un modo per aiutare la squadra a mantenere il controllo del pallone nella zona centrale del campo e per difendersi da eventuali transizioni avversarie. Arrivato in mediana, il Pisa cerca l’imbucata per il trequartista, che gravita fra le linee di centrocampo e di difesa avversarie. A tenere in basso l’ultima linea avversaria ci pensano i tre riferimenti avanzati con i movimenti in profondità. Nelle scorse settimane, forse proprio in risposta alle difficoltà, il Pisa è passato a un modulo diverso, una sorta di 4-4-2 che, in numeri, potremmo definire come 2-4-2-2 o 4-2-2-2 a seconda delle fasi (potete vederlo nell’immagine qui sotto).

Stavolta la disposizione sull’ultima linea era sfalsata, con due trequartisti e due esterni alti. In questo modo si creava un quadrilatero centrale in possesso, che mirava a svuotare la zona davanti ai centrali difensivi avversari e non dare punti di riferimento ai marcatori.

Vista la tendenza a subire imbucate centrali una volta persa palla, però, Aquilani nelle ultime uscite ha virato verso una costruzione con tre difensori centrali, sempre mantenendo l’idea di un quadrilatero per collegare la prima linea a quella d’attacco.

Quella di Aquilani è una proposta coraggiosa, che forse richiede ancora un po’ di tempo per essere implementata. Vedremo se riuscirà a portare i risultati dalla sua parte con le stesse idee, se sarà costretto a cambiare forma o se la dirigenza cercherà altro.

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