Ekroth, Girelli e Aluko: con i loro tre gol nell’ultima giornata di campionato la Juventus ha battuto per 3-0 l’Hellas Verona e si è aggiudicata lo scudetto con un punto di vantaggio sulla Fiorentina e cinque sul Milan. Molte calciatrici di queste tre squadre giocano nella Nazionale italiana e saranno in campo al Mondiale.
Il 9 giugno esordiranno con l’Australia a Valenciennes, per poi affrontare Giamaica e Brasile nel girone C. Il Mondiale sarà una vetrina preziosa per il calcio femminile, su cui la FIFA sta già puntando con storie e interviste, cercando di migliorare la narrazione in un contesto che fatica ad avere fascino mediatico. Quest’esperienza può essere anche un palcoscenico importante o un ottimo biglietto da visita per la carriera di una calciatrice: potrebbe approfittarne per ridefinire il contratto con la società in cui gioca e ottenere delle condizioni migliori. Peccato che quasi da nessuna parte si possa fare, Italia compresa.
Possiamo parlare di calciomercato senza cessioni e contratti?
Le calciatrici che giocano in serie A e B non hanno dei veri e propri contratti e non possono averli. Pur essendo affiliate alla neonata Divisione Calcio Femminile, rientrano nel calderone che ospita anche tutte le giocatrici e i giocatori dei campionati organizzati dalla LND: sono dilettanti, o per meglio dire “non professionisti”. Come per tutti gli altri tesserati FIGC “non professionisti”, anche nel loro caso è esclusa “ogni forma di lavoro autonomo e subordinato”: proprio per questo motivo, in Italia, le calciatrici non possono firmare dei contratti di lavoro o di collaborazione con le società. Questo, però, non vuol dire che il rapporto tra la calciatrice e la società in cui gioca non sia definito, anzi. Come per ogni dilettante che si rispetti, anche per le calciatrici valgono tre parole chiave: vincolo, trasferimento e accordo economico.
Il vincolo è una costante nella vita delle calciatrici e dei calciatori non professionisti, accompagnandoli dal primo tesseramento come “giovani dilettanti” fino al venticinquesimo compleanno. Per tutto questo tempo devono tesserarsi con la società che è in possesso del loro cartellino (un’intera carriera per chi ha giocato a calcio “solo da giovane”, tralasciando le seppur significative prestazioni al calciotto, in spiaggia e al campetto con gli amici). Fino al 2015 lo erano a vita, cosa che non ha di certo contribuito a internazionalizzare il calcio italiano e ha condizionato la vita di più di una giocatrice, come per esempio Patrizia Panico: «Dovevo andare a giocare negli Usa. Per l’esistenza del vincolo indissolubile delle giocatrici dilettanti, non potei svincolarmi dalla mia società. Questa chiese un premio per il mio cartellino agli americani che rifiutarono la proposta», ricordava qualche anno fa in un’intervista a Repubblica.
A differenza di allora, oggi il vincolo non è più una specie di patto con il diavolo, ma può essere sciolto anche prima dei 25 anni, a determinate condizioni. La più evidente per il numero di svincoli e per la risonanza che ha, perlomeno a livello locale, è la mancata iscrizione o il ritiro della squadra dal campionato; spesso per problemi finanziari (cosa che succede anche nel calcio professionistico) e il mancato rispetto di accordi economici con le stesse giocatrici. Di conseguenza, le giocatrici sono libere di tesserarsi con altre società. La stessa cosa succede se le calciatrici e la società decidono, di comune accordo, di non essere più legate (cosa che, perlomeno ufficialmente, non prevederebbe alcuna forma di pagamento del cartellino da parte della calciatrice) prima che si apra la finestra estiva dei trasferimenti. In tutti questi casi e dal 25° compleanno in poi, le calciatrici possono decidere come legarsi a una nuova squadra, se scegliere ogni anno dove giocare oppure stringere accordi per due o tre stagioni al massimo.
Questi accordi limitati nel tempo hanno giocato un ruolo considerevole negli ultimi anni, quando l’arrivo di squadre legate ai club professionistici maschili ha sparigliato le carte in tavola. Molte giocatrici svincolate si sono legate alle nuove squadre, come per esempio alcune giocatrici che nel 2017 si sono spostate dal Brescia alla Juventus. Svincolate a parte, le calciatrici, d’accordo con la società di provenienza, possono spostarsi in un’altra squadra.
FICHAJE 📝
🇮🇹 La internacional italiana @ElenaLinari llega para reforzar la línea defensiva y se convierte en el primer fichaje de cara a la próxima temporada.
¡Bienvenida! 😃
Benvenuta! ☺
👉 https://t.co/9IGTwOmYWb#AúpaAtleti #BienvenidaLinari pic.twitter.com/wVIGlSvXzI— At. Madrid Femenino (@AtletiFemenino) June 20, 2018
Elena Linari l’estate scorsa si è spostata dalla Fiorentina all’Atletico Madrid, mentre Cristiana Girelli dal Brescia (ora Milan) alla Juventus.
Anche nel calcio femminile, come negli altri campionati, ci si trasferisce in altre squadre in modo temporaneo o definitivo. Se i prestiti (“trasferimenti temporanei”) sono possibili solo tra le società iscritte alla FIGC, i trasferimenti veri e propri possono avvenire anche dalle federazioni straniere, ma solo entro la scadenza indicata ogni anno dalla Divisione Calcio Femminile. Nel campionato appena concluso era il 31 dicembre 2018. Per le calciatrici che giocano già in Italia i trasferimenti avvengono in due periodi all’anno, come nel calciomercato maschile: in estate e per 14 giorni durante la pausa invernale. Non ci sono però cessioni di contratto: con il trasferimento o il prestito smettono di valere gli accordi tra la squadra di provenienza e la calciatrice, che può contrattare invece con la nuova squadra.
Fino all’anno scorso le calciatrici dei campionati italiani potevano ricevere dei rimborsi spese o stringere degli accordi annuali che prevedevano un fisso mensile, così come i calciatori dei campionati LND. Con il passaggio alla Divisione Calcio Femminile e l’inizio del campionato 2018/19 ci sono state alcune novità che hanno migliorato la condizione economica delle giocatrici delle due serie maggiori. A differenza di tutti gli altri dilettanti del calcio, pur non essendo professioniste possono accumulare i rimborsi spesa con un fisso definito in accordo con la società. Non si parla di grandi cifre, né di accordi di lunghissima durata, Gli accordi pluriennali durano fino a tre anni e le giocatrici non possono ricevere più di 30.658 euro (lordi) per ciascuna stagione. A questa somma possono essere aggiunti dei rimborsi spese (forfettari e non) e delle indennità di trasferta per un massimo di cinque giorni alla settimana durante il campionato e 45 giorni durante la preparazione della stagione, senza superare i 61,97 euro al giorno (contando le spese per i viaggi, i pasti e gli scarpini non sono un rimborso altissimo). Nel caso ci fosse un accordo pluriennale tra calciatrice e società, è possibile che la società paghi un’ulteriore indennità alla giocatrice per la durata dell’accordo e che deve essere definita fin dall’inizio.
Riassumendo, il massimo che potrebbe ricevere una calciatrice in Italia si aggira sui 40.000 euro lordi all’anno, ai quali può aggiungersi un’eventuale indennità se ha un contratto pluriennale. Una cifra che potrebbe sembrare quasi dignitosa, se non si tenesse in conto una cosa: dato che il calcio tecnicamente non è il loro lavoro, le giocatrici non ricevono i contributi previdenziali (un problema “risolto” negli sport individuali con l’arruolamento nelle forze armate). E, dato che si allenano tutti i giorni per poter giocare ad alto livello, non possono permettersi un altro lavoro a tempo pieno. Date queste premesse, la mancanza di un contratto vero e proprio non è solo una questione di soldi, ma anche di qualità della vita durante gli anni in campo e dopo. Ma è così solo in Italia?
Il professionismo che avanza
A dire il vero no, non è così solo in Italia, come riconosce anche la FIFA. Da quest’anno le squadre professionistiche del calcio femminile devono usare il sistema TMS (“Transfer Matching System”) della FIFA per i trasferimenti internazionali, come sono tenute a fare anche le squadre maschili pro dal 2010. Tra i dati riassunti nel report di fine anno, due sono particolarmente interessanti. L’89% dei 696 trasferimenti internazionali (tra, da e verso squadre femminili pro) registrati nel 2018 riguarda atlete che prima non avevano un contratto, che quindi erano dilettanti o svincolate; inoltre soltanto il 3% di tutti i trasferimenti internazionali è stato accompagnato da un accordo di trasferimento tra le due squadre (v. cessioni). Per quanto riguarda la durata dei nuovi contratti, il 48% va dai sei mesi all’anno, mentre il 33% dura meno di sei mesi: in media otto calciatrici professioniste su dieci, appena arrivate in una nuova squadra hanno un contratto al massimo annuale (per esempio gli uomini nella stessa situazione sono cinque su dieci).
In molti Paesi, quindi, il calcio femminile è considerato uno sport dilettantistico, da praticare nel tempo libero, come è emerso anche dallo studio pubblicato dalla Fifpro e dall’università di Manchester nel 2017: il 49,5% delle calciatrici intervistate, che giocano tutte ad alti livelli, non riceveva uno stipendio dalla società in cui giocava. Purtroppo non stupisce (anche se dovrebbe stupire) quello che è capitato alla calciatrice argentina Macarena Sànchez, lasciata a casa dall’UAI Urquiza a stagione iniziata perché il suo contributo in campo non era più richiesto. Senza possibilità di firmare per un’altra società, dato che il mercato era chiuso, la calciatrice ha denunciato la squadra e la federazione e messo sotto i riflettori la situazione delle calciatrici nel suo Paese. L’UAI Urquiza non è un’eccezione, anzi: Sànchez ha specificato in un’intervista, che è uno dei club più seri della Primera División Femenina. A differenza dell’UAI, «in molti club le giocatrici devono pagare una quota mensile per giocare. Altre società non coprono le spese necessarie per allenarsi e giocare e le giocatrici devono pagarsele da sole: abbigliamento da allenamento, il materiale, il cibo, e anche l’ambulanza, la polizia e il medico (che devono essere presenti perché si possa giocare e che dovrebbero essere pagati dal club). Molte squadre non coprono gli infortuni o le cure che servirebbero alle giocatrici per riprendersi».
Dopo la denuncia di Sànchez, che le è costata anche delle minacce di morte, la situazione in Argentina sembra poter migliorare. A metà marzo la federazione argentina, ha lanciato la Liga Profesional de Fútbol Femenino, a cui parteciperanno tutte le squadre della prima divisione femminile. Sono stati definiti anche gli stipendi minimi delle calciatrici, che saranno come quelli dei giocatori della serie C argentina; ogni squadra dovrà poi avere almeno 8 giocatrici professioniste in rosa. In questo passaggio le società saranno sostenute dalla federazione, che si occuperà anche del pagamento dei contributi delle giocatrici. Le prime vere e proprie professioniste del calcio argentino sono state assunte dal San Lorenzo, che ha ingaggiato anche Macarena Sànchez:
#FútbolFemeninoProfesional ⚽ Las Santitas, el Bidegain, la incorporación de @Macasanchezj, la firma de 15 contratos y un día inolvidable para #SanLorenzo e histórico para el fútbol argentino.
💙📸❤ Mirá las mejores imágenes ➡ https://t.co/8Ez83hT6Gb
#OrgulloAzulgrana pic.twitter.com/pWAg6qfKNL— San Lorenzo (@SanLorenzo) April 12, 2019
Quindici giocatrici, compresa Macarena Sanchez, il 12 aprile hanno firmato dei contratti professionistici con il San Lorenzo.
Anche dove le calciatrici sono riconosciute professionalmente, però, non va tutto a meraviglia. Il campionato in cui le giocatrici vengono pagate di più è la prima divisione francese con una media poco superiore ai 42mila euro annui (secondo uno studio di Sport Intelligence del 2017). Secondo France Football, in questo campionato, per l’esattezza nell’Olympique Lione, giocano anche le tre calciatrici più pagate al mondo: Ada Hegerberg (400.000 €), Amandine Henry (360.000 €) e Wendie Renard (348.000 €). Dato che anche i loro ingaggi contribuiscono alla media degli stipendi, è evidente che le giocatrici di altre squadre (non dell’altra squadra che investe molto, ossia il PSG) sono pagate molto poco.
Meno del passato, ma ugualmente moltissimo rispetto ad altre giocatrici con e contro cui gioca, è pagata Marta, la giocatrice brasiliana in forza all’Orlando Pride, che guadagna 340mila euro all’anno. Solo 37mila di questi arrivano dalla squadra statunitense: il resto deriva da contratti aggiuntivi. Lo stesso vale anche per Carli Lloyd, la giocatrice statunitense dello Sky Blue che raggiunge i 345mila euro. Negli USA le giocatrici ricevono dalle squadre degli stipendi ben definiti, che nei giorni scorsi sono stati alzati del 5%: si va da un minimo di 14.383 a un massimo di 40.176 euro all’anno. Anche in questo caso, non è molto quello che guadagnano le calciatrici senza sponsor e contratti al di fuori del campo.
La situazione non pare però inevitabile: professionalizzare le calciatrici e aumentare i loro ingaggi sono due delle iniziative che la FIFA ha previsto per far crescere il calcio femminile. Tra le recenti strategie definite dalla federazione internazionale per rendere concreta la sua missione di promuovere, preservare ed espandere il calcio, una è interamente dedicata al calcio femminile, un settore globalmente in crescita sia nel numero delle praticanti, sia nel seguito che ha.
Il palcoscenico regge?
Questo crescente interesse è ben rappresentato dal seguito che hanno avuto quattro anni fa i Mondiali femminili. Le partite sono state guardate alla tv da più di 750 milioni di spettatori e da più di un milione di persone negli stadi: un interesse mai raggiunto prima. Far uscire il calcio femminile da uno stato di generale dilettantismo può farlo quindi crescere anche da un punto di vista economico, oltre a rispettare dei sacrosanti diritti delle calciatrici: molte federazioni hanno iniziato a lavorarci su. Le altre seguiranno, si spera.
Nel frattempo ai Mondiali vedremo delle giocatrici provenienti dalle realtà più diverse ed è evidente che non ci sarà un “caso Islanda”, come abbiamo visto nel maschile: saranno diverse le squadre composte da solo – o quasi solo dilettanti – senza ingaggi o non pagate. Tra tutte loro, qualcuna farà delle partite eccezionali e, magari, verrà ingaggiata da una squadra professionistica ancora durante il Mondiale o subito dopo: tutte le dilettanti, infatti, possono passare a una squadra professionistica, a prescindere dagli accordi con le squadre dilettantistiche. Nessuna, però, avrà un potere contrattuale così forte da poter imporre una somma precisa: nemmeno Ada Hegerberg, che ha lasciato la Nazionale norvegese due anni fa e che non prenderà parte alla competizione. Non è stato chiaro quali fossero le motivazioni che hanno spinto Hegerberg a non prendere parte al Mondiale, e alla CNN ha fatto capire che si è trattato anche di una scelta politica: «Il gap economico tra il calcio maschile e quello femminile è enorme. Rispetto il calcio maschile per i privilegi che ha ottenuto, ma allo stesso tempo dovremmo dare alle giovane ragazze le stesse opportunità che hanno i maschi. È qui che dobbiamo cambiare. Ci sono federazioni, club, che sono in una posizione di forza e che hanno la responsabilità di mettere le donne al posto giusto. La strada è ancora lunga».