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La qualificazione della Roma non è mai stata in discussione
19 apr 2024
19 apr 2024
Il Milan non è riuscito a riaprire il discorso qualificazione nemmeno in superiorità numerica.
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11 min
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IMAGO / ABACAPRESS
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Nel momento in cui Marciniak ha deciso di espellere Çelik per un brutto fallo su Leão, molti tifosi della Roma hanno iniziato a pensare al peggio. Lukaku, un fattore fino a quel momento, si era appena infortunato e aveva lasciato il posto ad Abraham. Il meteo, poi, non faceva altro che disseminare presagi di sventura. Mentre il terzino turco abbandonava il terreno di gioco sull’Olimpico aveva iniziato a cadere una fitta grandinata, di cui a Daniele De Rossi, zuppo a bordo campo, non sembrava poi importare molto. Chissà, forse in realtà era il più preoccupato di tutti, dato che una situazione del genere, in Europa, l’aveva già vissuta in prima persona: era stato proprio Marciniak a espellerlo durante un preliminare di Champions League contro il Porto, che per la Roma si era poi concluso in disgrazia.

Eppure, per una volta la Roma ha ribaltato la propria narrazione di sfortuna cosmica e ha continuato a giocare in maniera imperturbabile, come se nulla fosse successo. Difatti, quell’espulsione per il Milan non ha comportato nessun vantaggio e, forse, le occasioni più ghiotte le hanno avute i giallorossi in inferiorità numerica, con un paio di contropiede sprecati da Spinazzola e Abraham.

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Alla fine, quindi, è passata la squadra che ha disputato l’eliminatoria migliore. La Roma non era la squadra tecnicamente più forte, il Milan ha colpito traverse sia all’andata che al ritorno e magari con un po’ più di fortuna l’inerzia della sfida sarebbe cambiata, ma non c’è stato un minuto di questi quarti di finale in cui gli uomini di De Rossi non abbiano interpretato meglio di quelli di Pioli il contesto delle due gare.

Non sono serviti nemmeno i cambi di formazione a variare lo spartito dei rossoneri. Davanti a Maignan la difesa sembrava la solita, mentre a centrocampo, in teoria, Musah aveva preso il posto di Reijnders nella coppia di mediani del 4-2-3-1. Alla fine, invece, Calabria ha fatto il centrocampista a tempo pieno, non solo in fase di possesso ma anche in fase difensiva, mentre Musah ha agito da esterno a destra, così da mandare in zone più interne Pulisic quando il Milan, durante lo sviluppo, si disponeva con una sorta di 3-2-4-1, con Bennacer e Calabria stretti a centrocampo e Theo più bloccato con Leão in ampiezza a sinistra.

L’unico cambio di De Rossi, invece, è stato forzato, visto che Bove ha dovuto prendere il posto dello squalificato Cristante in mezzo al campo. Per il resto, stessa disposizione di San Siro: 4-4-2 in fase difensiva con El Shaarawy esterno a destra per limitare la catena di sinistra del Milan, fase offensiva con una sistemazione meno definibile, visto che nel teorico 4-3-3/4-3-1-2, mentre il “Faraone” rimaneva aperto a destra, Dybala aveva libertà totale di abbassarsi al centro.

Così come all’andata, De Rossi ha modulato l’atteggiamento della sua squadra sui principi del Milan in pressing. La Roma, ancora una volta, ha utilizzato a proprio favore il riferimento sull’uomo utilizzato dai rossoneri in aggressione alta. Un tipo di uscita spesso ricercato, ad esempio, è stata la palla lungo linea per Lukaku sulla fascia sinistra. Da quel lato, infatti, il Milan mandava Musah sul terzino Spinazzola, mentre Calabria, come detto, era stretto nel corridoio centrale vicino alla mezzala Pellegrini. Così, alle spalle di Musah non c’era nessuno a dare copertura in fascia. Lukaku aveva il compito di aprirsi e dettare la verticalizzazione lungo linea, per poi resistere alla pressione di Gabbia alle sue spalle e far avanzare la manovra.

La Roma sapeva quindi riconoscere quali spazi attaccare in base alle scalate del Milan. Il gol dell’1-0 ne è una dimostrazione, non solo per il movimento in avanti con cui Mancini si smarca dietro Loftus-Cheek – pattern esplorato con frequenza già all’andata e a cui Pioli e il Milan, in sette giorni, non hanno saputo trovare rimedio – ma anche per la facilità con cui la Roma ha aggirato il pressing costringendo il Milan ad abbassarsi.

Parte tutto da una pressione alta del Milan, che come nel secondo tempo dell’andata pressa in parità numerica rispetto ai difensori e ai centrocampisti giallorossi. La palla arriva a Svilar e Pulisic lascia il suo uomo, Mancini, per stringere sul portiere. A quel punto, quindi, Mancini resta libero. Certo, la linea di passaggio è coperta da Pulisic, ma alla Roma basta trovare una parete per andare da Mancini: Svilar va da Bove, pressato da Bennacer, e il centrocampista spalle alla porta appoggia in orizzontale a Mancini totalmente libero, visto che il Milan marca a uomo e non scivola verso di lui né di squadra né facendo alzare qualcun altro.

A quel punto Mancini è libero di avanzare addirittura fino alla metà campo e di allargare per Spinazzola; il Milan non può far altro che indietreggiare.

Dopo aver scaricato, Mancini si smarca in avanti, alle spalle di Loftus Cheek, in quella occasione incaricato di seguirlo. Calabria gli fa anche cenno di non perderselo, ma l’inglese non è abituato a difendere nella propria metà campo, né a dover seguire l’uomo in zone così profonde. Pellegrini allargandosi attira Gabbia e apre un canale nella difesa avversaria in cui si infila proprio Mancini. Così il difensore della Nazionale offre uno sbocco in verticale a Spinazzola che lo raggiunge con un lancio.

Solo a quel punto la difesa del Milan riesce a tamponare. Mancini, rivolto verso la linea laterale, è costretto a tornare indietro da Spinazzola.

Il cross del terzino viene ribattuto da Calabria, che alza un campanile. Sullo spiovente, Mancini, in contrasto con Pulisic, si inventa uno di quei controlli di controbalzo che di solito riescono a Dybala (e chissà che il fatto di allenarsi insieme tutti i giorni, in questo senso, non abbia contribuito). Il difensore scarica per Pellegrini che dal limite colpisce il palo con un tiro molto simile a quello del gol contro il Feyenoord. La palla finisce ancora una volta tra i piedi di Mancini, che si trova in area in maniera tutt’altro che casuale e segna.

Non c’è niente di nuovo in questa azione per i tifosi del Milan: il pressing a uomo abortito dopo una semplice giocata a muro, i movimenti alle spalle dei centrocampisti. Il dato preoccupante è che i giocatori dei rossoneri, ormai, certe cose sembrano eseguirle di default, senza preoccuparsi del fatto di avere copertura. Quanto avviene sul secondo gol in questo senso è abbastanza indicativo.

Su un tentativo di ripartenza della squadra di Pioli c’è un contrasto a centrocampo tra Pulisic e Pellegrini, con il romanista che ne esce vincitore.

La palla torna dai difensori giallorossi. Per il Milan in zona avanzata ci sono solo Pulisic e Giroud ma il francese, nonostante non ci sia nessuno a seguirlo, pensa lo stesso di lanciare il pressing. Quando Giroud arriva su Svilar, per il portiere è troppo facile appoggiarsi a Pellegrini, libero da qualsiasi pressione visto che nessuno ha seguito la punta francese nella sua avanzata. Davvero Giroud non si era accorto che c’erano solo lui e Pulisic a pressare? Possibile che i giocatori del Milan si siano assuefatti a questo modo di difendere che richiede poca riflessione?

Da lì Pellegrini è libero di alzare la testa e basta una semplice palla scoperta per bucare il Milan. Dybala, infatti, si abbassa tra le linee e Tomori lo segue come se i centrocampisti del Milan stessero portando pressione su Pellegrini in possesso (cosa che, ovviamente, non stanno facendo, essendo rimasti indietro rispetto a Pellegrini). Lukaku fiuta il buco lasciato da Tomori e vi si lancia con un taglio interno-esterno.

Per un centrocampista con la qualità di Pellegrini nelle verticalizzazioni, a palla scoperta quel lancio è relativamente facile. A contrasto col belga, Gabbia va a terra e di sicuro non fa una bella figura, ma è solo l’ultimo dei colpevoli, le scelte dei suoi compagni lo hanno lasciato preda di Lukaku senza alcuna protezione. Il cross del belga viene respinto da Gabbia stesso dopo essersi rialzato, ma la palla finisce sul sinistro di Dybala, che da quella posizione è una sentenza.

Per fortuna dei rossoneri, l’impaccio nel dover pressare alto la Roma ci ha pensato a levarlo l’espulsione di Çelik, giunta su una transizione del Milan partita da una protezione palla di Leão. A quel punto la squadra di De Rossi non si è più preoccupata di come aggirare le marcature avversarie, mentre il Milan si è ritrovato padrone del possesso.

Nonostante la superiorità numerica, però, i rossoneri non hanno saputo come sfondare. Pioli ha provato da subito a incidere con le sostituzioni. A fine primo tempo Jović ha preso il posto di Bennacer – mossa alla quale De Rossi, per sua stessa ammissione, ha risposto con Llorente al posto di Dybala – poi a inizio secondo tempo Reijnders e Chukwueze hanno sostituito Loftus-Cheek e Calabria. Il Milan a quel punto si è sistemato con un 4-1-4-1 con Musah terzino destro, il solo Reijnders a centrocampo, Chukwueze e Leão in ampiezza e Pulisic e Jovic alle spalle di Giroud. De Rossi, invece, ha risistemato i suoi con un 4-4-1 con Llorente terzino destro.

Se i cambi e la superiorità numerica non sono bastati al Milan per rimettersi in gioco è perché la squadra di Pioli si è ritrovata ad affrontare i soliti problemi di staticità in attacco posizionale. L’unica idea sembrava essere isolare Leão e, soprattutto, Chukwueze, sperando che da loro partisse la scintilla. Il nigeriano c’è riuscito in parte; il portoghese, chiamato a fare il passo in avanti che si richiede ai fuoriclasse nelle eliminatorie europee, è stato impalpabile, al netto dell’assist per Gabbia. Llorente, non un terzino e di sicuro un giocatore che non fa della velocità il suo punto di forza, è riuscito ad arginarlo.

Difficile fermarsi alle responsabilità individuali dopo un’eliminazione del genere, però. Il Milan, infatti, non aveva idea di come smuovere la Roma. Avrebbe dovuto cercare di disordinare il 4-4-1 di De Rossi, magari tirandone fuori i centrocampisti. Poteva farlo con qualche conduzione centrale che attraesse gli avversari e liberasse spazi, ma i giocatori arretrati – Musah e Gabbia in particolare, visto che si è sviluppato soprattutto a destra – non si sono mai presi la responsabilità di portare palla perché dovevano subito allargare per l’ala alta e aperta, e lasciare ogni responsabilità alla sua iniziativa.

Leão e Chukwueze sono due dribblatori e il nigeriano, come detto, è riuscito a portare un po' di scompiglio. Tra l’altro, l'azione migliore del Milan è arrivata quando Chukwueze è riuscito ad entrare dentro al campo. Con Theo pronto a ricevere lo scarico, El Shaarawy è stato costretto a stringere sul francese. Leao, quindi, è rimasto libero sulla sinistra e Chukwueze lo ha trovato con un cambio gioco.

Il portoghese, in una situazione di vantaggio e con la Roma schiacciata a difesa della porta, ha disegnato un cross rasoterra sul dischetto per Jovic, il cui sinistro, però, è stato lento e centrale.

Difatti, è stata l'unica volta in cui il Milan ha portato fuori posizione qualcuno nel 4-4-1 romanista – nella fattispecie, El Shaarawy costretto a stringere – e infatti i rossoneri vi hanno ricavato un’occasione pulita.

Per il resto, per quanto Leão e Chukwueze cercassero il dribbling risolutivo, la Roma si è difesa senza affanno. Il Milan, d’altra parte, non ha fatto molto per supportare le sue ali. Con la solita occupazione statica del campo, mentre Leão e Chukwueze puntavano l'uomo, da una parte c'erano i compagni che aspettavano il cross in area, dall'altra i pochi chiamati a rimanere dietro per tappare un'eventuale transizione. Nessuno si avvicinava a Chukwueze e Leao per dargli un appoggio o per muoversi in profondità alle spalle del terzino che usciva su di loro.

Non è un caso che il gol sia nato da un corner corto, dove il sostegno di Theo una volta tanto ha dato un minimo di vantaggio nel cross a Leão.

Per la Roma, in questo modo, è stato più facile resistere. Certo, gli uomini di De Rossi non si sono accontentati di difendere passivamente vicino la propria porta, e questo ha fatto la differenza nella parte centrale della ripresa. In particolare, è stato encomiabile Abraham. Svilar non poteva più costruire corto, così decideva di giocare lungo sull'inglese che si allargava a destra. Sul rinvio del portiere, Abraham è stato una spina nel fianco per Tomori, sia vincendo i duelli aerei, sia costringendo il difensore a colpi di testa scomodi. La presenza di Abraham ha reso Tomori insicuro sui disimpegni. In più, sulle seconde palle c'erano sempre Bove ed El Shaarawy pronti ad accorciare, regalando così possessi preziosi alla Roma che teneva lontana la minaccia.

Quando poi c'è stato da difendere nei propri sedici metri, Chris Smalling ha eretto un muro, spazzando ogni pericolo con i suoi colpi di testa o portando pressione agli attaccanti girati di spalle. Allo stesso modo, Paredes si è esaltato nella lotta, togliendosi lo sfizio di qualche intercettazione in scivolata.

Il successo della Roma, quindi, non è mai stato in discussione. Al termine della partita, in conferenza stampa, Pioli si è detto deluso. «In entrambe le partite non abbiamo giocato al nostro livello». Ma qual è, allora, il livello del Milan? La partita contro la Roma non ha offerto nulla di diverso rispetto ai problemi visti in campionato: viene da pensare che a questo punto del ciclo di Pioli il livello del Milan sia proprio quello visto in questi quarti di finale. Quello di una squadra, cioè, che ha armi sufficienti per imporsi nella routine della Serie A contro squadre di livello più basso, ma che contro le grandi non ha gli strumenti per essere competitivo.

La Roma, invece, ha celebrato la conferma di De Rossi come meglio non avrebbe potuto. Con un’altra semifinale europea da disputare (la quinta negli ultimi sette anni, la quarta consecutiva) e la prospettiva del quinto posto valido per la Champions, la stagione dei giallorossi sembra poter prendere improvvisamente una piega positiva. L’Olimpico nelle notti di coppa, ormai, è uno spettacolo a parte e un periodo di continuità del genere, in Europa, è destinato a entrare nella storia del club.

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