All’inizio di questa stagione della Serie A femminile le allenatrici erano quattro: Carolina Morace (Lazio Femminile), Manuela Tesse (Pomigliano), Rita Guarino (che in estate ha lasciato la Juventus Women per approdare all’Inter) e Patrizia Panico, che dopo aver lasciato il suo ruolo di vice della Nazionale maschile U21 è diventata l’allenatrice della Fiorentina Women.
4 allenatrici su 12 squadre – il 33,3% del totale – è un buon dato, se si considera che in Italia il calcio è considerato uno sport prettamente maschile. Era sembrata una ventata di ottimismo, ma non è durata: dopo la terza giornata Tesse è stata esonerata, seguita a ruota da Carolina Morace alla quinta. Non vi sorprenderà sapere che i sostituiti sono uomini: Domenico Panico al Pomigliano e Massimiliano Catini alla Lazio Femminile. Sono bastate cinque giornate di campionato e alcune sconfitte, peraltro di due squadre entrambe neopromosse e quindi forse anche un po’ giustificate nel ritardo tecnico e tattico messo in campo, per dimezzare la quota di allenatrici nel campionato italiano.
È interessante come le due società, al primo problema, abbiano pensato di sostituire una allenatrice con un allenatore. Sarebbe stato infatti più logico il contrario, per diversi motivi. Prima di tutto per spingere il cambiamento invece di ostacolarlo, in un momento storico in cui il calcio femminile viene gradualmente restituito alle donne. Nel mondo calcistico femminile infatti si sta affermando la tendenza che, oltre alle giocatrici, anche le squadre sono composte da manager donne, uffici stampa donne, staff composti da donne. A questo si aggiungono gli spalti gremiti di pubblico femminile, le terne arbitrali composte da donne e infine il giornalismo sportivo raccontato dalle donne.
Non si tratta certo di sessismo rivolto verso gli uomini, ma più semplicemente di lasciare la possibilità di uno spazio in cui far evolvere la carriera sportiva anche per le allenatrici, dato che al momento l’idea per una donna di allenare in un campionato maschile è ancora considerata una vera e propria eresia. Per le donne è quindi fondamentale riprendersi i propri spazi di azione per crescere come movimento, anche perché è a partire dalla burocrazia che per una donna è più difficile diventare allenatore.
A volte qualcuno vorrebbe lasciar intendere che, dato che i corsi per allenatori a Coverciano sono aperti a tutti e tutte, allora se le donne non vi partecipano la responsabilità, in un certo senso, è la loro. Ma è davvero così? Spesso questa visione – se vuoi, puoi – viene usata contro le istanze delle donne in maniera però imprecisa. Narrazioni sghembe che raccontano di possibilità aperte anche alle donne che per non hanno il coraggio o il reale desiderio di cogliere. Narrazioni poi smentite dai dati.
Il bando di ammissione al corso allenatori UEFA PRO di Coverciano riporta questi due punti:
- Per poter accedere al corso, i candidati devono aver compiuto il 32esimo anno di età ed essere in possesso del diploma Allenatore di Base – UEFA A; chiaramente, qualora le richieste di partecipazione al corso fossero superiore ai posti disponibili, il Settore Tecnico, attraverso un’analisi dei titoli presentati – esplicitato nel Bando relativo al corso stesso -, provvede a stabilire una graduatoria di ammissione per la scelta dei partecipanti. Il costo è di 8.000 Euro.
- I punti maturati da titoli sportivi quale calciatore possono essere fino ad un massimo di punti 35; quelli maturati con titoli sportivi come allenatore fino a 40 punti.
Già da questi due elementi emergono due problemi. Il primo di carattere economico, e cioè che ci vogliono 8mila euro per partecipare a questo corso. Se la quota è uguale sia per le donne che per gli uomini, lo stesso non può dirsi degli ingaggi dei giocatori e delle giocatrici. Ipotizzando una simile carriera in serie A, infatti, a oggi una calciatrice donna è una dilettante e ha un tetto di guadagno che non può essere superato e che certamente non la fa arricchire, diversamente da quello che accade ai colleghi maschi. Investire una ingente somma di denaro in un percorso formativo in cui poi sarà probabilmente molto complesso avere uno sbocco non è una scelta che le ex calciatrici possono affrontare facilmente.
L’altro elemento che emerge dal bando è che i punti maturati per la graduatoria di accesso si basano principalmente sulla lunghezza della carriera del candidato o della candidata. È noto però che, in genere, una atleta donna ha una carriera molto più breve di quella di un uomo. Essendo una dilettante, non è raro che al termine degli studi universitari la carriera venga interrotta per accedere a un lavoro serio, oppure alla maternità. È vero quindi che ogni anno giocato vale lo stesso punteggio per un calciatore ed una calciatrice, ma se la carriera di un uomo è automaticamente messa in condizione di essere più lunga, questa equipollenza è reale o è di comodo?
Ho parlato di questi aspetti con Patrizia Panico, l’attuale allenatrice della Fiorentina Women. Il motivo per cui ho scelto di discuterne con lei è perché da un lato la sua carriera da giocatrice è stata eccezionalmente lunga (quasi trent’anni, dal 1988 al 2016) e proficua (Panico è stata una delle migliori attaccanti nella storia di questo gioco, con oltre 650 gol all’attivo e un palmares che servirebbe un articolo a parte per elencarlo); dall’altro perché è una delle rare eccezioni di allenatrici che ha avuto modo di sedere sia su una panchina maschile (Nazionale giovanile Under 15, Under 16 come prima allenatrice e nell’Under 21 come vice) sia su una femminile. Un caso più unico che raro nel mondo del calcio, ma di certo un esempio a cui ambire, se davvero prima o dopo si vorrà parlare in maniera credibile di equipollenza fra il calcio femminile e quello maschile.
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Quando hai deciso di diventare allenatrice hai semplicemente seguito una passione oppure hai prima fatto una riflessione sulle possibilità economiche, sullo spazio disponibile o più in generale sugli eventuali sviluppi in questa professione?
Questo è dovuto al fatto che fino a qualche anno fa il calcio femminile aveva una struttura meno chiara e chi arrivava ad allenare o ai ruoli apicali aveva più un approccio arrembante che non una formazione?
Quando ti immaginavi come allenatrice, lo facevi pensandoti allenatrice di calcio maschile o di calcio femminile?
Che poi tu rappresenti un’eccezione. La tua carriera da allenatrice è iniziata in una squadra maschile, nel 2017 hai seguito la Nazionale giovanile Under 16 come vice. Sei riuscita ad abbattere un muro subito, appena uscita dal corso.
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Discriminare te in ambito calcistico è complesso data la tua carriera da calciatrice. Ma durante il corso, oppure a carriera iniziata, hai avuto la sensazione che qualcuno non ti prendesse sul serio perché sei una donna?
Quante donne c’erano con te al corso per allenatori UEFA A PRO?
Quali deterrenti raccontano le tue ex colleghe, o allenatrici di livello inferiore, che decidono di non compiere il passo definitivo di accedere al corso di Coverciano?
Il bando prevede un accesso al corso che si basa sui punteggi maturati soprattutto negli anni di carriera come giocatore/giocatrice. Eppure è noto che, eccettuati rari casi come il tuo, la carriera di una donna nel calcio è di regola più breve di quella di un uomo. Insomma, quello che apparentemente sembrerebbe equipollente, in realtà non lo è.
Per allenare le donne in Serie A basta il titolo UEFA A mentre per gli uomini ci vuole il titolo UEFA A PRO. Anche questo è un retaggio del fatto che nell’immaginario comune il calcio maschile è migliore, più tattico, più complicato e quindi bisogna studiare di più?
Un dato importante emerge dagli accessi al corso UEFA A PRO per il 2021/2022: ci sono 23 iscritti, di cui 22 sono uomini e uno è donna, Selena Mazzantini. Mi pare che rispetto a quando tu hai fatto il corso (2017, nda) non è cambiato nulla. Questo cambiamento in atto delle donne nel calcio di cui si parla è una cosa che sta accadendo davvero oppure è una cosa che ci piace raccontarci?
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All’inizio della stagione calcistica di Serie A femminile 2021/2022 per la prima volta c’erano quattro allenatrici donne, dopo la quinta giornata erano dimezzate. Mi domando se, anche qui, c’entri il fatto che sono donne.
Il fatto che siano state immediatamente sostituite con degli uomini mi fa pensare che forse in Italia l’allenatore uomo rappresenta ancora un po’ la sicurezza. Magari sia alla Lazio che a Pomigliano sarebbe stato logico e sensato continuare sul percorso iniziato con le allenatrici donne; e invece entrambe le squadre hanno preferito rientrare in sicurezza e hanno preso allenatori uomini. Tu come la vedi?
Si parla molto delle fantomatiche differenze di fronte alle quali si trovano un allenatore o una allenatrice quando hanno a che fare con squadre maschili o femminili. Dato che tu hai alla mano entrambe le esperienze, mi piacerebbe sapere se c’è una versione diversa di Patrizia Panico quando alleni l’una o l’altra categoria.