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Qual è la più bella maglia della Premier League 2017/18
08 ago 2017
08 ago 2017
Le divise del campionato inglese commentate e votate una a una.
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Da quando il mitico allenatore dell’Arsenal Herbert Chapman ha inventato le maniche bianche per aiutare i giocatori a vedersi meglio in campo, ci vuole molto impegno da parte degli sponsor tecnici per sbagliare una maglia dell’Arsenal. Anche quest’anno Puma sceglie di continuare la soluzione già utilizzata in questi anni di spingere il bianco fino al collo, comprendendo le spalle. Una soluzione simile a quella già utilizzata da Adidas

, e soprattutto da Nike per

. Un richiamo quindi a tempi (più) gloriosi.

 

Un merito va anche alla tonalità di rosso scelto, più profondo rispetto a quello della scorsa stagione. Semmai ci sarebbe da discutere sulla solita aderenza delle maglie Puma, oppure sul colletto bicolore e sulla scelta di utilizzare un inutile striscia sfumata grigia con una linea punteggiata rossa sulle spalle, due particolari che non pregiudicano il giudizio complessivo di una maglia che quasi certamente è la più bella dell’ultimo lustro.
(DVM)

 





 



 



 

Dopo undici anni di sponsorizzazione Adidas, questo è il primo anno in cui il Chelsea indossa il template Vapor Aeroswift della Nike, che abbiamo visto esordire agli Europei 2016 e poi dilagare nella passata stagione tra le squadre di club. L’unica differenza rilevante rispetto al design originale del template sta nel colore delle maniche, della stessa colorazione della maglietta anziché più scure: una scelta dettata dall’eventualità che Kanté potesse confondersi e portare nel borsone la maglia della Francia.

 

Il risultato finale omaggia il principio per cui l’originalità è un rischio, dove less is more sta per meno dettagli decorativi e più magliette vendute. Il Chelsea si ritrova quindi a presentare una sloppy second, un copincolla di modelli già presentati, in un’ottica conservativa: il risultato finale però è molto elegante, evidentemente Nike ha preferito entrare in punta di piedi in un mercato occupato per anni dai rivali storici (contestualmente, gli anni migliori della storia del club).


 

Per non rinunciare completamente all’innovazione, quest’anno la tinta di blu che riveste l’intero completo è vagamente navy, leggermente più scura rispetto al canonico

utilizzato da Adidas. Nella stessa direzione convergeva l’idea di rivelare la prima maglia attraverso le Instagram Stories, anche se il

dei Gorillaz che si scatta dei selfie con David Luiz. La maglia sta bene ad entrambi. (FL)

 





 



 



 

Il Crystal Palace non ha avuto la maglia a strisce rosso e blu per i primi settant’anni di storia, dove ha cambiato vari colori partendo dalle magliette regalategli dall’Aston Villa dopo la fondazione. È stato l’allenatore Malcom Allison a modificare tutta l’immagine della squadra nel ’73, imponendo i colori le strisce attuali pare in onore al Barcellona. Il Crystal Palace non è mai diventato il Barcellona d’Inghilterra come il suo allenatore sognava, ma la Macron ha evidentemente fatto i compiti a casa perché la maglia che gli ha dato è praticamente l’archetipo di quella che dovrebbe essere la maglia del Barcellona.

 

Disegno classico al limite dello spartano, con strisce della giusta grandezza e presenti anche sulle maniche, che però si concede delle tonalità accese del rosso e del blu per uscire meglio in tv nelle giornate di pioggia. Unico vezzo quel colletto giallo appena accennato. Che poi anche il giallo è un richiamo al passato perché è il colore usato negli anni ‘60 dal Palace per la prima maglia. Il fatto stesso che il nuovo allenatore sia un ex Barça come de Boer fa funzionare ancora di più il tutto. Si può parlare di una maglia solida, che fa il suo mestiere per una squadra come il Palace, con cui non si fa bella figura al campetto, ma con cui i giocatori escono bene nelle figurine.

 

Tutto bello se non fosse per quello che forse è lo

a rovinare tutto: l’ennesima azienda di scommesse (stavolta cinese) dal nome uscito da un generatore automatico (ManBetX) e che questa volta oltre al doppio utilizzo dei caratteri cinesi e latini in bianco ci infila anche uno strano stemma da casa automobilistica anni ‘90.
(DVM)

 





 




 



 


In tempi di identità di brand fondamentali anche nel calcio è durissima la vita per l’Everton che pur essendo nato molto prima e pur avendo vinto in passato molto di più, ha la sfortuna di dover fare i conti con il fatto che il Chelsea avrà sempre una maglia che per immaginario andrà a sovrapporsi alla loro. Pensare al blu reale nel calcio inglese significa ormai per prima cosa pensare al Chelsea. Riuscire a staccarsi pur rimanendo nel solco della tradizione di una maglia solo blu (con al massimo dettagli bianchi) è un’impresa quasi impossibile per la Umbro. L’idea di quest’anno però potrebbe essere quella giusta, ovvero togliere di mezzo il bianco nei dettagli e aggiungere invece un tono su tono con un blu molto più scuro. Un tono su tono che sulle spalle ha la forma del simbolo ripetuto che piace tanto ai nostalgici degli anni ‘90, e che invece nel resto della maglia ha la forma di due grandi pannelli attorno alle ascelle da cui è impossibile distogliere lo sguardo. Proprio quello che serve per non essere dimenticati subito.

 

Questo espediente ha il pregio di far funzionare la maglietta sopra i jeans e di eliminare il problema delle ascelle pezzate.
(DVM)

 





 



 



 


I

dello Yorkshire, che tornano in Premier dopo 47 anni, negli anni ‘20 del Novecento sono stati all’avanguardia del calcio britannico, anche stilisticamente: quando inanellavano vittorie di campionati in serie (tre consecutivi dal ‘24 al ‘26, un record ancora imbattuto) potevano già vantare divise esteticamente superiori nei dettagli, pur nella loro semplicità di design. Effettivamente anche la scelta di preferire il bianco-blu al rosa salmone proposto in fase di fondazione sembrava indizio di buon gusto.

 

Poi è arrivata Puma, che ha preso in mano l’outfit dell’HTAFC cinque anni fa: dopo un inizio discretamente

ha un po’ sperimentato, inserito

o inserti

fino a scegliere di virare alla bella maglia,

, della stagione che l’ha vista trionfare ai playoff.

 
Perché osare allora nuove boutade DaDa?

 

Gli inserti rossi di quest’anno, ragionatamente irrazionali (il logo del fornitore tecnico, il bottoncino minuscolo che chiude il colletto di una polo senza colletto, il contorno dello stemma) strizzano l’occhio ai cuoricini dell’Hereenveen nel disperato tentativo di acquisire Punti Hispter: e in effetti l’unica maniera di indossare la maglia dell’Huddersfield senza apparire sfigati è farsi crescere una barba bella lunga, o almeno vergare, con il pennarello (ovviamente: rosso) una grossa “D” prima dello sponsor, sproporzionato.

 

Ma il vero orrore è nella deriva

intrapresa da Puma, che in questo caso si scontra con un assunto trigonometrico prima che estetico: come combinare il punto con la retta? La risposta, accomodante e intuitiva fino alla stucchevolezza, è nel matrimonio fallimentare che trasforma la prima maglia dei neopromossi in una serie di punti che generano strisce, un capolavoro di divisionismo catastrofico, o forse l’ideale disegno mentale di una maglia attraversata da copertoni, rimando (chissà quanto benaugurante) al futuro di

che aspetta l’HTAFC.
(FG)

 





 



 



 


Da quando il Leicester ha vinto la Premier (ve lo ricordate?), Puma sta aumentando esponenzialmente la presenza di oro sulla sua maglietta, forse per ricordare i soldi fatti sponsorizzando il più grande miracolo sportivo di sempre. La maglia 2017/18 presenta questa striscia d’oro sulle spalle che in teoria non ci azzecca molto né con i colori sociali, blu e bianco, né con la volpe dello stemma, tanto meno con lo status operaio che in qualche modo ancora conserva la squadra di Leicester.

 

Fortunatamente a parte l’intarsio d’oro sulle spalle, il resto si sposa bene con una squadra il cui punto di forza è rappresentato dai giocatori coatti. Il colletto totalmente diverso da quello della passata stagione è abbastanza fico, molto minimale come la nuova moda richiede. Ma il vero punto forte della maglietta, caso più unico che raro, rimane lo sponsor: KING POWER con la corona stilizzata sopra la I. Guardate quanto risalta sul torace enorme del capitano Wes Morgan.

 

Insomma, non è una bella maglietta, ma neanche brutta. Come mi immagino la stagione della squadra che fu di Ranieri.
(MDO)

 





 



 



 

La New Balance è entrata nel mondo del calcio in punta di piedi, consapevole forse che con risorse limitate rispetto a Nike a Adidas puntare sull’innovazione e sul design ardito sarebbe stato un rischio di vendita troppo elevato. In questi anni con il Liverpool ha sempre proposto una maglia di casa fedele alla tradizione (sperimentando invece su quelle da trasferta). Quella di quest’anno sembra una copia carbone aggiornata del

, con tanto di ampio collo a V e risvolti delle maniche bianchi e stemma invece giallo.

 

Sullo stemma sulla maglia c’è da dire che proprio la New Balance ha spinto, da quando è sponsor tecnico del Liverpool, per non essere quello societario ma per riprendere il semplice “

” il simbolo della città di Liverpool e stemma della squadra proprio negli anni precedenti alle necessità di copyright.

 

La New Balance e il Liverpool sono un’accoppiata perfetta. La prima ha capito in termini di maglie i tifosi di calcio sono fondamentalmente conservatori: meno vengono toccati i simboli della propria squadra meglio è. L’altra è la squadra con la storia più gloriosa della Premier, con al seguito una tifoseria gelosa delle proprie tradizioni. Fare una copia aggiornata della maglia del periodo più bello della storia del Liverpool equivale a calciare un rigore a porta vuota.
(DVM)

 





 



 



 

La scorsa stagione la Nike aveva inserito delle maniche blu nel completo del Manchester City. Bisognava quindi fare un ulteriore sforzo per raggiungere la più completa asetticità, quindi quest’anno la maglia è tutta azzurra e pace. Un altro tassello nel vasto progetto estetico della Nike, quello di un mondo del futuro in cui giocheranno solo “rossi contro blu”, “azzurri contro bianchi”, “neri contro arancioni” etc. etc. Un progetto di cui riusciremo a capire lo scopo ultimo solo tra qualche anno.
(EA)

 





 



 



 

Disegnare la prima maglia dello United comporta tendenzialmente una sola, significativa responsabilità: scegliere in che misura bilanciare il bianco e il nero tra colletto e maniche. Quest’anno anche il colletto sarà tutto rosso, con due bottoncini ton sur ton che costringeranno a una precisa scelta espressiva: scoprire il petto come fanno Pogba e Lindelof, o abbottonarli entrambi come fanno Mata, Blind e Mkhitaryan. Lukaku ne abbottona

, forse perché non si sente abbastanza giovane (e in effetti tende a dare quest’impressione), o più probabilmente per potersi permettere di gonfiare i muscoli del collo. Il bianco e il nero sono stati quindi relegati all’estremità delle maniche, dove fanno una gran figura.

 

Dopo una prima maglia minimalista e riuscitissima, l’Adidas ha scelto di prendersi qualche rischio in più sulla terza: ha creato una piattaforma per aspiranti designer, Football Creator Studio, e ha indetto un concorso per valutare la proposta migliore (così come ha fatto per Bayern, Real, Juventus, Milan e Flamengo). Ha vinto uno studente di Salerno, che ha saggiamente puntato sulla nostalgia, anche se nelle handshake con Pogba e Lingard se l’è cavata

.
(FG)

 





 



 



 

Nel corso degli anni abbiamo imparato a conoscere la maglia del Newcastle per quella

della birra Newcastle Brown Ale. Una maglia semplice, ma sempre bellissima, che conservava quel sapore di Inghilterra del Nord, quasi Scozia. Ma quei tempi sono passati e immagino che dobbiamo abituarci a vedere una maglia per il 125esimo anniversario dei Magpies per nulla legata alla tradizione, se non per una scritta sotto il logo.

 

Per il resto rispetta i colori, bianco e nero neanche difficile, ma non c’è niente che la faccia sembrare una maglia da Premier. Sembra una maglia da Paok Salonicco o da formazione sfigata di ciclismo. Non c’è nessuna particolarità, evidentemente la Puma aveva altro a cui pensare.
(MDO)

 





 



 



 

Stoke-on-Trent è una città eminentemente orizzontale: il suo skyline è spezzato di tanto in tanto dalle ciminiere delle industrie della ceramica, un dettaglio interessante nella misura in cui la maglia della squadra cittadina, praticamente da sempre, cerca di riprodurre questa verticalità significativa (“Potters”,

, è anche il soprannome dei calciatori dello Stoke).

 

Anche a Crespellano, frazione di Valsamoggia, nel cuore della Pianura Padana, domina l’orizzontalità. Eppure la Macron, che qua ha sede, si è sempre distinta per lo stile con il quale disegna maglie a righe verticali: Bologna, Vicenza, praticamente il sancta sanctorum della tradizionalità a strisce italiane. Un bel corto circuito. Lo Stoke City, che è a righe dai tempi di Stanley Matthews, e che è la seconda squadra - per data di fondazione - nata in Britannia, non poteva scegliere partner migliore.

 

Quello che viene fuori è un inno alla coerenza, a partire dalla scelta del punto di rosso, fino alla nonchalance con la quale il marchio del main sponsor, bianco su sfondo rosso, viene inglobato nella banda orizzontale che taglia a metà il petto. Ciò non significa un rifiuto categorico del dettaglio sbarazzino: il colletto tricolore, per esempio, che conferisce linearità accettando il rifiuto del colletto propriamente detto; o la

della seconda maglia, che avremmo preferito su uno sfondo magari nero, più sobrio del blu elettrico per il quale hanno optato i designer.

 

Con la striscia verticale pulita e compatta, evitando inserti monocromatici impegnativi, non si corrono rischi: anche Shaqiri e Bojan ne beneficiano in slancio, mentre Crouch riesce davvero a sembrare lo

, il punto più alto che è proibito sorpassare. Tipo l’obelisco a Washington DC.
(FG)

 





 



 



 

I lunghi tentacoli della Joma sono arrivati fino al Galles meridionale per vestire una delle squadre più interessanti della Premier, se non altro da un punto di vista estetico. Apprezzo la scelta del marchio spagnolo di proporre una maglia sobria, dominata dal bianco con piccoli bordi neri sul colletto e alla fine delle maniche. L’unico difetto è lo sponsor con le lettere azzurre e arancioni, ma un azzurro e un arancione da catena di dentisti economici (a differenza del

che filava a meraviglia col bianco e il nero).

 

Non è certamente una maglia che brilla per originalità - potete facilmente riprodurla con una una vecchia t-shirt bianca che usate come pigiama e un pennarello - però tenete conto che è tutta la vita che lo Swansea si veste di bianco, che i cigni sono bianchi, che la spuma delle onde che si infrangono sulle scogliere gallesi è bianca. Ma soprattutto ricordate che questa maglia deve indossarla Gylfi Sigurðsson e non Neymar, e mi sembra la maglia perfetta per lui.
(MDO)

 





 



 



 

Le squadre inglesi sono in assoluto quelle che hanno più soprannomi che nessuno utilizza più, e tra questi c’è anche quello dei giocatori del Tottenham, detti “Lilywhites” (letteralmente “bianchi come cenci”) per via del bianco tradizionale delle loro magliette.

 

La Nike, che ha preso il posto della Under Armour come sponsor tecnico del Tottenham a partire da questa stagione, ha cercato di essere il più possibile aderente a questa tradizione, come fa di solito quando produce le maglie di una squadra per la prima volta, mettendo al mondo una maglia il più possibile bianca. Via gli orpelli che era solita mettere l’Under Armour, come i grossi inserti scuri sulle spalle dell’anno scorso o il dorato un po’ cafone sulle maniche e sul colletto, e nessuna interferenza con il bianco candido, sporcato solamente dai sottili inserti blue navy sui fianchi e sul colletto.

 

Anche il ritorno al blue navy, che viene sfoggiato in tutta la sua eleganza sui pantaloncini (che sono pensati a negativo della maglietta, compreso lo stemma), è a sua volta un ritorno alla tradizione, che soppianta quel blu petrolio molto scuro dell’anno scorso. In definitiva una maglia sobria ed elegante, anche se non particolarmente originale, per una squadra che non si sente più in soggezione tra l’aristocrazia del calcio inglese.
(DS)

 





 




 



 

Il Watford

per stabilire i suoi colori sociali, passando attraverso il giallo, il rosso, il turchese, il verde, il blu, finché nel 1959 una votazione popolare ha imposto il “black and gold”. Con questi colori gli “Hornets” - che non erano stati sempre “Hornets”: anche “Magpies”, come il Newcastle, durante gli anni in cui invece vestivano bianco e nero - conquistarono una promozione al primo tentativo. Fu accolto come un buon segnale.

 

Un processo decisionale così tortuoso non si rispecchia un granché nel giallo sbiadito impiegato da Adidas sul suo template di base per il 2017, con lo sponsor di un’agenzia di trading scritto grande in Times New Roman, uno

sui cartelloni e Troy Deeney che dispiega le mani per invocare misericordia. La reazione dei tifosi è stata

.
(FL)

 





 



 



 

La maglietta del West Bromwich Albion sembra essere uguale ogni anno, ma ogni anno sa essere piacevole in maniera diversa. Quest’anno è il blu a dominare, che ha preso il posto del bianco sulle maniche e sulla schiena.

 

Tanti i dettagli che impreziosiscono il lavoro dell’Adidas, che è stato leggero senza però passare inosservato. Innanzitutto il blu della schiena, leggermente più scuro rispetto al blu delle strisce verticali sul busto, che dà l’impressione che i giocatori stiano indossando un mantello. Non banale nemmeno la sottile linea bianca sulle spalle, che segna il confine tra il fronte e il retro della maglia. Ma il vero tocco di classe è il rosso del logo dell’Adidas, che riprende il lampone dello stemma del WBA. Unica anche l’integrazione tra le strisce verticali della maglia e i caratteri cinesi dello sponsor Palm, indistinguibili al punto da sembrare una fantasia.

 

La nuova maglia del WBA porta con sé la tradizione della Premier League ma non sfigurerebbe tra le casacche avveniristiche della MLS.
(DS)

 





 



 

Tradizione: 7,5
Innovazione: 3
Stile complessivo: 8+

 


La maglia claret&blue del West Ham - il suo logo con i martelli incrociati - fa parte del patrimonio estetico inglese quando i muri rossi a mattoncini, il big ben, la pizza con l’ananas. Per questo ha così senso che si unisca a un brand inglese così iconico come Umbro, che ha spinto sulla tradizioni con pochissimi dettagli più innovativi (la ripetizione del logo del brand, in rilievo, sulle maniche, l’effetto a V con il colore più scuro sotto il colletto). Tutto perfetto in particolare addosso al capitano dall’aria ottocentesca Mark Noble, che

di trovare la maglia perfetta per tutti i giorni come per una battuta di caccia alla volpe.
(EA)

 





 




 




 


Tra le tante cose che si possono imparare studiando l’albero genealogico delle divise dei club è che

succedutesi nella storia sono in realtà una storpiatura dell’original outfit pionieristico: il rossonero è stato introdotto negli anni ‘70 per poi essere abbandonato per un ventennio, prima di tornare di moda agli albori dei ‘90 (con concomitante somiglianza ammiccante alla divisa del Milan di Sacchi) ed essere definitivamente adottato con il nuovo millennio (anche in una strepitosa variante

).

 


Nelle ultime tre stagioni l’escalation nazionalista ha portato il club ad affidarsi, come sponsor tecnico, a Carbrini, JD e - in ultimo, per la stagione prossima - a Umbro.
Il risultato è monumentalmente british: righe perfettamente tagliate, presenti sul fronte e sul retro, bilanciamento dei colori che non permette all’uno di sovrastare l’altro. Anche lo sponsor, potenzialmente confusionario con quell’accozzaglia di caratteri gotici e ideogrammi cinesi, e il logo, una rivisitazione britannica della Dea bergamasca, finiscono per risultare perfettamente embeddati nella maglia, con la finezza del richiamo dorato nella parte interna del colletto.

 


Non è il tipo di maglia che indosseresti per andare a prendere un gelato, a meno che non vivi in provincia e i gusti li lasci scegliere a Jermain Defoe (al quale pure la variante Chacarita, tutto sommato, non è che

).
(FG)

 





 



 




 


La maglietta del Burnley deve ogni anno trovare un modo per distinguersi da quella del West Ham, e ogni anno puntualmente non ci riesce.

 


La trovata di questa stagione è una texture a pallini bordeaux sugli inserti azzurri, a formare delle specie di frecce e strisce che portano ai vari stemmi della Puma disseminati tra maglia e pantaloncini. È una fantasia che rimanda alla prima metà degli anni 2000, che condanna la maglia del Burnley all’

(come se non bastasse vivere nell’ansia di doversi distinguere da una squadra più conosciuta ma con i tuoi stessi colori sociali). Anche il colletto, con l’apertura a bottoncini ma senza essere a polo, non aiuta renderla distinguibile in qualche modo.

 


La maglietta del Burnley cerca insomma disperatamente di muoversi dalla tradizione del club, senza però innovarla davvero. Paradossalmente, in un modo del tutto antinostalgico, l’unico elemento che attira un minimo l’occhio è lo sponsor, con il logo di Dafabet che rimanda vagamente al giallo dello stemma del Burnley e che, soprattutto, dona un tocco di futuro a questa maglia triste.
(DS)

 





 



 




 


Senza troppi giri di parole: qual è la prima cosa che vi viene in mente su cui si posano, normalmente, i gabbiani? Ecco: la seconda, quest’anno, a pari merito, è la maglia del Brighton & Hove Albion. La terza i pescherecci e la quarta il balcone della vostra casa al mare.
E la divisa che i Seagulls vestiranno per la prossima Premier League non somiglia a una terrazza di Fiumicino né a un’imbarcazione da diporto. È

.

 


Il trionfo di strisce e striscette di quest’anno, davvero, è troppo schizofrenico, non ricalca nessuna tradizione. Passi il coprispalle che è un po’ il marchio distintivo per le divise di Nike 2017/18, ma che senso ha ricoprirlo di quei righini bianchi, che peraltro qualsiasi media trainer ti sconsiglierebbe di indossare per andare in tv? Il contrasto di stili che si spalanca sulla schiena dei giocatori del Brighton & Hove Albion sembra una compilation di cumbia, un cacciucco, un rave, un casino troppo distante dall’aura di seriosità che lo sponsor, American Express, diffonde tutto intorno. Non ci voleva molto a presagire gli infausti effetti del

.
Unica nota positiva: gli inserti gialli sul colletto e nel logo Nike che riprendono il becco del gabbiano dello stemma, peraltro tra i migliori quattro di questa Premier League. Ma qua si fa il power ranking delle maglie, mica degli stemmi, e il BHA parte molto penalizzato.

 


(Bonus track: ho scoperto una lunga tradizione, dalle p

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