Per favore non chiamatela impresa: la possibilità che l’Atlético Madrid batta il Barcellona, questo Barcellona, non appartiene al regno delle imprese sportive. Parliamo di una squadra che in casa in Champions League ha subito solo 4 gol in tutti i suoi 16 incontri (o se preferite 1-0-0-1-0-0-0-0-0-0-0-2-0-0-0-0, dove il “2” rappresenta i gol subiti nel girone questa stagione) e che conferma la sua presenza tra le squadre più forti del mondo arrivando alla seconda semifinale di Champions League in tre anni.
Per trovare di meglio potete guardare solo al Real Madrid e al Bayern Monaco. Questo è il livello attuale della squadra di Simeone quando compete in Champions League, dove al valore della rosa vanno sommate tutta una serie di cose come il sistema, la forma fisica, le motivazioni e l’esperienza su certi palcoscenici. I 180 minuti contro il Barcellona hanno dimostrato che le uniche cose dove l’Atlético era in svantaggio erano il valore complessivo della rosa e l’esperienza recente (perché giocava pur sempre contro la squadra campione in carica). Il sistema di Simeone ha vinto il doppio confronto: per quanto riguarda forma fisica e motivazioni non c’è mai stata gara.
Serviva, semplicemente, sbloccarsi e vincere una partita contro Luis Enrique, dopo 7 sconfitte consecutive in cui sembrava sempre mancasse poco per riuscire ad invertire la tendenza. Quel poco che mancava era un Barcellona finalmente umano. Con una parabola che ricorda da vicino quella del Real Madrid di Ancelotti, che va dalla straordinaria forma della scorsa primavera, concisa con la vittoria della Champions League, ai mesi di dominio in lungo e in largo con tanto di record di partite senza sconfitta (in questo caso 39). Non venendo da Marte, però, la forma fisica e mentale del Barcellona ha incrinato la parabola quando le troppe partite hanno iniziato a farsi sentire. Oggi il Barcellona è una squadra stanca e con le idee confuse.
Il primo sintomo è arrivato quando il miglior giocatore al mondo ha iniziato ad allontanarsi dall’area di rigore, per compensare, forse, una difficoltà della sua squadra a proporre il solito gioco dopo l’uscita del pallone dalla difesa. Questo ha creato una reazione a catena nelle distanze tra i giocatori che Luis Enrique non è mai riuscito pienamente a correggere, e che ha portato la MSN ad incepparsi. Con (va detto) Neymar nel suo momento stagionale peggiore, il Barcellona ha riscoperto dopo più di un anno quanto possa essere difficile fare gol.
Su questo punto ha insistito Simeone, in una partita impostata più sui momenti che sulla continuità. L’Atlético ha giocato a folate, concentrandosi prima di tutto nel rendere impossibile quanto già era difficile per il Barcellona (entrare in area di rigore) e contando proprio su momenti favorevoli per sbloccare poi la gara. Un atteggiamento che ha sorpreso anche Luis Enrique: “Non mi aspettavo un Atlético con il baricentro a metà campo, pensavo sarebbero scesi in campo con un atteggiamento volto a un recupero del pallone molto più alto”.
Cholismo
Contrariamente alle aspettative (dettate più che altro dall’obbligo di segnare almeno un gol), l’Atlético ha utilizzato quella che è la sua arma migliore, un mix tra transizione difensiva perfetta e difesa posizionale: con un piano che prevedeva pressione immediata a folate e successivo ripiegamento quando la palla veniva indirizzata dove non poteva essere pericolosa.
In questo, la squadra di Simeone non ha eguali al mondo. Il 4-4-2 del Cholo è ormai un classico: due centrocampisti bloccati al centro, Augusto Fernandez e il capitano Gabi, che salgono solo se devono andare in pressione, due esterni particolari, Koke e Saúl e due attaccanti, Griezmann e Carrasco, posizionati sulla trequarti per schermare il pallone diretto al centrocampo. E quelle pressioni improvvise, anche solitarie, con cui si alza tutta la squadra al momento giusto. Il tutto in un sistema a zona con l’uomo come punto di riferimento invece della palla.
L’Atletico ha governato il ritmo della partita, ha gestito non solo gli spazi ma anche il tempo delle giocate: inizialmente frenetico (con ben tre conclusioni da parte dell’Atlético) per poi assestarsi su un ritmo più congeniale al Barcellona dopo i primi dieci minuti. Dopo lo sfogo iniziale, il Barcellona è stato costretto a pensare più all’uscita della palla dalla difesa che a come attaccare e il risultato è stato una partita sterile esattamente come voleva Simeone. Il momento in cui avevano provato a segnare era passato, senza risultato positivo, e la squadra si è rimessa in standby, attenta a non concedere.
L’unico giocatore in grado di spaventare l’Atlético è stato l’ancora immenso Andres Iniesta. Solo su di lui la sicurezza di conquistare il pallone dopo il contrasto veniva meno, e il Barça ha avuto qualche occasione per attaccare fronte alla porta in superiorità numerica. Per il resto: Neymar è stato attaccato sempre da Juanfran e Messi da un sublime Filipe Luis. Con i due esterni di centrocampo sempre in raddoppio, anche solo per mettere fretta nella giocata del rivale. Persino Suarez è stato seguito nei movimenti fuori dall’aera, con Lucas Hernandez che non l’ha mai lasciato con lo sguardo. C’è quindi tutta una catena che riesce a tamponare sia il centro che gli esterni, impedendo di fatto al pallone di arrivare in area.
La percentuale di contrasti vinti è talmente a favore dell’Atlético da far pensare al Barcellona come una squadre molle (cosa che non è): l’Atlético ha vinto il 73% dei suoi contrasti, il Barcellona solo il 48%, come a dire che quando la gamba ce la mette Gabi o Godín più di due volte su tre è dell’Atlético, quando ce la mette Rakitic o Piqué la metà delle volte è comunque dell’Atlético.
In questo contesto la posizione di Messi nella zona di Filipe Luis (forse per ricevere alle sue spalle) non lo ha aiutato, costringendolo anzi a superare sempre almeno due uomini una volta ricevuta palla (il terzino brasiliano e Koke). Le zone di ricezione libere non esistevano, e con esse l’influenza dell’argentino nel gioco della sua squadra. Messi non ha giocato bene perché non sta bene, ma è anche vero che il giocatore più forte del mondo non è riuscito neppure a ricevere il pallone e quando si è mosso per lasciare spazio a Rakitic, il croato si è dimostrato incredibilmente timido e privo di idee con la palla. Questo, con l’andare dei minuti, ha costretto ad un radicale cambiamento di posizione di Messi verso il centro, dove ha giocato gran parte della partita, toccando comunque solo 60 palloni, una cifra che impallidisce davanti ad un giocatore la cui sfera di influenza solitamente si aggira sopra i 100.
Messi al centro trova zone di ricezione, ma è anche nel mezzo del sistema di aiuti centrali dell’Atlético con uno tra Koke e Saúl che si abbassa senza palla nella sua zona quando vede che sta ricevendo e contribuisce così a non dargli mai superiorità numerica nemmeno dopo il dribbling.
I limiti del Barça
Se fino ad ora non ho neanche accennato al piano offensivo di Simeone, è stato per mettere in risalto il sistema di aiuti e spazi, sottolineando anche di passaggio il lavoro difensivo di Saúl, chiaramente il miglior giocatore dell’incontro nel primo tempo. Il centrocampista di Simeone è stato tanto fondamentale per il lavoro difensivo (che il suo fisico gli permette di eseguire senza problemi) quanto il centro stesso del piano offensivo dell’Atlético. Tolta l’opzione ovvia della conduzione palla al piede in contropiede, per sfidare la transizione negativa del Barça con le schegge Carrasco e Griezmann, il piano di Simeone prevedeva il più classico dei lanci lunghi dalla difesa. Il bersaglio non era esattamente Saúl, ma la sua zona di competenza: perché lì gioca Jordi Alba e lì il Cholo ha individuato il mismatch fisico da sfruttare.
Con Mascherano a sua volta non un gigante non esiste nessuno in grado di contenere fisicamente Saúl. Il canterano poi ha anche una sorta di magnetismo per le seconde palle che lo rende il giocatore perfetto per la partita voluta da Simeone, anche più del suo preferito Koke, abile nel controllo a terra e quindi meno utile in un contesto di guerra aerea.
In un secondo tempo poco adatto a chi cerca lo spettacolo tecnico, sono usciti fuori i problemi dei singoli del Barcellona che solitamente, esaltati dal contesto, si notano meno. Con Messi fuori dalla partita, la squadra non ha una soluzione per cambiare il volto alla gara (e questo dimostra ancora di più quanto sia importante il 10 per tutto il sistema di Luis Enrique): Suarez si muove ma non vede una palla, Neymar riceve ma è tanto fumoso quanto vittima della guerra psicologica della difesa avversaria, brava a portare ogni singolo scontro sul piano fisico e mentale. A gioco fermo uno sguardo cattivo, una spallata, una carezza in testa: Godín e Juanfran sono entrati sotto pelle all’asso brasiliano che sembrava tornato il rookie di due anni fa.
Busquets non è riuscito a trovare lo spazio per l’ormai brevettato passaggio oltre la linea del centrocampo avversario, limitandosi ad appoggiarsi al più vicino. Dani Alves, importante visto lo spazio che Messi gli ha liberato spostandosi al centro, ha cercato giocate più barocche che utili, mostrando il peggio di un repertorio tecnico fatto di passaggi d’esterno e cross controtempo. Di Rakitic ho già detto e sarebbe superfluo aggiungere altro. Il Barcellona ha tenuto la palla senza voler necessariamente fare una partita di controllo, semplicemente non sapeva come attaccare. L’unico lucido, appunto, è stato il solito Iniesta, bravo a battere l’uomo e a condurre palla al piede, a prendersi delle responsabilità senza però provare giocate difficili. In un momento della stagione tragico è uscito fuori come l’unico giocatore in forma smagliante, ma un singolo contro un sistema come quello dell’Atlético non ha speranze.
La cosa più crudele di questa gif è che esattamente un minuto dopo arriverà il gol dell’Atlético. Un pallone rilanciato da Jordi Alba sotto pressione e recuperato da Gabi, che ha servito Saúl con spazio a destra a due metri dall’area. Il gesto tecnico di Saúl è perfetto, un cross d’esterno che finisce esattamente dove Griezmann in area sarebbe arrivato saltando. Il francese festeggia una rete che aspettava da mesi, per dimostrare di poter essere decisivo anche in Champions League contro i più forti.
Cambio di equilibrio
Il gol è arrivato al minuto 35 e nei successivi 10 è successo poco, tra perdite di tempo dell’Atlético e momento di smarrimento del Barcellona. Il secondo tempo si è aperto invece con un aggiustamento tattico interessante da parte di Luis Enrique: a Busquets è stato chiesto di abbassarsi tra i centrali in fase di possesso (l’ormai celebre Salida Lavolpiana) con Jordi Alba e Dani Alves che si sono alzati in pianta stabile all’altezza dei centrocampisti, e Iniesta e Rakitic che hanno scalato dalla mezzala a centrocampo con Messi trequartista. Quello che sembra un cambiamento per eliminare la debolezza di Jordi Alba su Saúl, aiuta anche Messi a ricevere palla senza il raddoppio continuo al centro da parte dei due esterni e quindi ad entrare in partita.
Niente di eccezionale rispetto a quanto ci ha abituato l’argentino, ma il semplice fatto che a quel punto è diventato parte integrante della manovra ha dato sicurezza al Barcellona e inaugurato una fase di controllo accentuata dal cambio di Arda Turan e Sergi Roberto per Rakitic e Dani Alves, forse i due peggiori in campo (a riprova comunque della lucidità di Luis Enrique nelle scelte tattiche).
Con il baricentro della gara che si sposta nella trequarti dell’Atlético c’è da notare però che, a differenza dello stesso periodo della gara d’andata, l’Atlético Madrid è in 11 uomini e con questo particolare non da poco può essere spiegata la fatica che del Barcellona a tirare in porta. L’unico vero tentativo è stato un tiro di Suarez che finisce in bocca ad Oblak.
Con l’ormai classico cambio di modulo all’ora di gioco Simeone passa al centrocampo a 5 con solo Griezmann come punta e porta quindi Koke nella zona di Messi in pianta stabile.
Con l’uscita di Carrasco per il fisico Thomas Partey messo sull’esterno, la partita è diventata un vero esercizio di puro cholismo, con uno stadio che non ha mai smesso di cantare, Godín con l’occhio gonfio che è entrato comunque in contrasto su qualsiasi cosa si muovesse, i gialli che hanno iniziato ad uscire dal taschino di Rizzoli e i tempi tra un’azione e l’altra che si sono fatti sempre più lunghi. Addirittura, nella pura disperazione per il gol, si è rivisto Piqué centravanti per occupare l’area accanto a Suarez. Con risultati però non influenti.
A mettere fine all’incontro ci ha pensato Filipe Luis a tre minuti dallo scadere, coronando la sua solita splendida partita con l’azione che provoca il rigore poi segnato da Griezmann. Il brasiliano bracca come un coyote affamato il povero Sergi Roberto che prova invano a mantenere l’equilibrio, poi con una transizione offensiva perfetta e con il perfetto posizionamento del corpo nei confronti del pallone, in due falcate arriva a centrocampo e triangola con Koke.
Tre contro due, arriva prima il superamento della copertura di Macherano e poi il passaggio intercettato con il braccio da Iniesta. E dopo ben 7 minuti di recupero il Calderon ha liberato la propria gioia.
Maledizione
Torna quindi d’attualità la maledizione della vittoria in Champions League: nessuna squadra campione in carica è riuscita a ripetersi da quando la competizione ha questo nome e formato. Non è da meno il Barcellona, che ha avuto la grande sfortuna di trovare il picco della stagione quando non ci sono titoli in palio e che adesso deve pure difendere un titolo di Liga che prima sembrava cosa fatta.
Per quanto Luis Enrique sia stato incolpato per il 99.9%, il tecnico asturiano ha provato a cambiare la partita e dal punto di vista tattico il suo lavoro è stato utile a creare il momento di cambio di dominio nella partita. La forma fisica e mentale dei suoi giocatori non ha permesso che si creasse mai la sensazione di gol imminente e forse una soluzione immediata ad un problema come quello attuale non esiste, ma qualcosa il tecnico deve provare perché se uscire dalla Champions League in questo modo è possibile, perdere una Liga già vinta a dicembre sarebbe imperdonabile.
Per quanto riguarda Simeone, adesso esiste la concreta possibilità di avere una vendetta servita fredda a Milano contro il Real Madrid, o una sfida dal fascino tanto grande quanto la differenza tra lo stile delle due squadre, contro il Bayern Monaco di Guardiola. Con una squadra diversa da quella che ha raggiunto la finale di Lisbona ma, come dimostrato contro il Barcellona, non meno motivata e preparata (detto anche che prima manca la semifinale) è evidente come il lavoro del Cholo abbia posto l’Atlético in pianta stabile tra le pretendenti della coppa. In questo momento in Europa se esistono dei giocatori che sembrano volere alzare la coppa più di tutti sono Godín, Filipe Luis e compagnia. E, se pur capricciosa, la Champions League ha sempre premiato alla lunga chi la voleva di più.