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Psicodramma romano
22 mag 2015
22 mag 2015
Questo derby potrebbe valere davvero una stagione. Come ci arrivano, chi è favorito, che succede in caso di sconfitta?
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In questa città, se non tifi né l’una, né l’altra, prima del derby diventi un confessore, perché c’è dell'ansia da sciogliere. Due miei amici romanisti sono pensosi e timorosi, ma è passato forse troppo tempo dall’aggancio subìto e se ne sono fatti, benché tristemente, una ragione. Gli amici laziali che hanno viaggiato a fari spenti per un po', adesso li hanno accesi e vedono che la strada comunque non è in discesa. Parlano poco di loro e molto degli altri. Erano di buon umore, si stanno sforzando di non perderlo.

 

Tutti sono tesi e curiosi, perché questo derby è come una favola di Esopo: ha una morale che ci aspetta laggiù in fondo. Roma e Lazio al momento sono due archetipi. Il lupo, o forse addirittura il leone, forte, affamato e così sicuro che la caccia andrà bene da annunciarlo inizialmente alla foresta e trovare anche il tempo di fermarsi e specchiarsi nello schermo di un iPhone. E poi l’aquila, ma ancora meglio la formica, che lavora alacremente e costruisce in silenzio, senza nemmeno disturbarsi ad avvisare la cicala che l’inverno arriverà.

 

La morale, però, dipenderà dal risultato.

 



L’importanza di un derby a Roma va al di là di ogni contingenza e addirittura aumenta quando non c’è nulla in ballo: è con un certo fastidio che ricordo una sconfitta in un derby amichevole (era un triangolare con il Cagliari, 45 minuti a partita: non è uno scherzo) dell’agosto 1993. Il prossimo derby è sempre il più importante, ma sembra arrivare in un modo quasi malinconico, con un certo timore da entrambi i lati.

 

La Roma ci arriva con un ambiente arrabbiato, ma soprattutto spento e disilluso, depresso come prima di quel derby innominabile con Andreazzoli in panchina (sono ammessi gli scongiuri). Pochi giocatori nella squadra di Garcia sembrano pronti a una sfida così delicata in questo momento: Nainggolan, certo, il nuovo Florenzi terzino destro, forse anche Ibarbo, che non segna mai ma è l’unico a fornire soluzioni di gioco in avanti con dribbling geniali, oltre a sobbarcarsi un bel lavoro in fase difensiva.

 

La Lazio ci arriva con il timore di chi ha disputato una grande stagione e teme di perdere tutto all’ultima corsa. Il rientro di Gentiletti ha garantito maggior copertura difensiva e anche capacità di impostare l’azione, mentre Candreva sembra ritornato a un livello di forma strepitoso; nella Lazio, però, Parolo e Mauri sono i giocatori che possono risolvere la partita. La continua ricerca della profondità di Klose e Felipe Anderson allungherà la difesa avversaria, e si sa che la Roma non riesce a mantenere compatte le linee, e neppure ad assorbire bene gli inserimenti da dietro.

 

Poche volte nella storia le due squadre si sono disputate qualcosa di rilevante, questa volta invece sì: l’accesso (diretto o meno) alla prossima Champions League. Il vero significato, in fondo, di questo derby, riguarda il futuro più che il presente, ed estende la supremazia cittadina nel mondo a venire: chi arriverà secondo potrà incassare il gruzzolo della UEFA e investire nel rafforzamento della rosa; chi non ce la farà, dovrà leccarsi le ferite e sopportare un’estate di calciomercato bollente.

 


18 agosto 1993, Trofeo Dino Viola. Lazio batte Roma 1 a 0 con un rigore di Beppe Signori.



 



Il derby non è mai stato una partita di calcio, ma un termometro. Non è vero che ribalta i pronostici, perché ha così tante variabili che molto spesso non riesce a ribaltare niente. Tra i tanti fattori che comportano il suo andamento in campo ce n'è uno fisso e dal quale dipende sempre e inevitabilmente il risultato finale: la mentalità costruita in stagione dalle due squadre (e dalla tifoseria). Il martello della paura di perdere batte sull'incudine-testa dei giocatori.

 

È per questo che al derby è facile veder bollire di rabbia e nervosismo il giocatore più improbabile, ma accade anche a quello più probabile: il derby ti tasta il polso e denuda i punti deboli, è il neurologo che valuta i riflessi di una rotula e la reazione del ginocchio che si alza non deve risultare né molle ma neppure un salto secco: equilibrata, deve essere equilibrata. Non vince la sfavorita o quella messa peggio, ma chi ha meno timore delle sue fragilità, le gestisce, sa che non ha l'obbligo di fare da Caronte a traghettare le anime all'Inferno, o in Paradiso, come epilogo di una stagione.

 

Perdere la finale di Coppa Italia, come accaduto mercoledì, non comporterà alcun “danno” morale agli uomini di Pioli in vista del derby. È stato messo un altro mattone di fiducia al gruppo e all'allenatore che ha indovinato la partita sotto il piano tattico perché la difesa a tre e il centrocampo più robusto hanno permesso alla Lazio di giocare alla pari con la Juventus. Tuttavia siamo di fronte a una squadra con i cerotti sui muscoli e i polmoni prosciugati, non solo dai supplementari. Il gioco del mister si sta facendo sentire. Sarà un derby dove quindi conterà la condizione atletica, fondamentali per le ali della Lazio, ali intese con i nomi di Candreva e Felipe Anderson. La vera gara comunque si giocherà a centrocampo. Magari Pioli presenterà il modulo utilizzato contro la Juventus. Mi sbilancio sugli uomini partita: Parolo per la Lazio e, sarò banale, Nainggolan per la Roma (partite come il derby gli stanno cucite addosso).

 



Il Derby di Roma (in realtà qualsiasi derby, ma in particolare quello di Roma) è un prisma ottico triangolare che funziona al contrario. Il meccanismo di rifrazione della luce, fascio neutro in ingresso e fascio scomposto in nuances all'uscita, per un giorno a stagione almeno (anzi due) si ribalta: così finisce che gli alti e i bassi, le motivazioni, le delusioni, la variopinta essenza di una stagione vengano convogliate in questa cruna dell'ago, in questo GRA con un tempo di percorrenza di 90 minuti, per uscirne luminescente-fluorescenti o buie, ma non d'un buio normale: buie peste.

 

Dopo la finale della Coppa Italia di due stagioni fa, forse questo è il derby del Duemila che conta di più. In ballo non ci sono Coppe da mettere in bacheca, vetusti orpelli del passato soprattutto per chi sullo scaffale non ce li ha, ma tagliandi d'ingresso a un Mondo Del Domani più ricco, prestigioso, migliore; sembrano i tagliandi d'imbarco per l'Arca di Noé, se il paragone può rendere l'idea dell'imprescindibilità.

 

C’è anche un altro motivo per il quale il prestigio di questo derby è molto alto, ed è il valore oggettivo delle squadre che si affronteranno, dei giocatori che potrebbero deciderlo. Forse dirò qualcosa che mi renderà impopolare, ma io due o tre biancocelesti in squadra me li prenderei subito. Soprattutto uno, che emana pericolosità come certi santi essenza di gladioli, che è Filip Djordjevic.

 

Chi ha gioito o imprecato per quel rigore di Signori nel Memorial Dino Viola '93 di cui parlava Emiliano, che un derby potesse arrivare a contare (e valere) così tanto, forse non se lo sarebbe neppure mai immaginato.

 



Secondo me conta fino a un certo punto. L'accesso diretto alla prossima Champions League non è per niente automatico.

 

Di sicuro questo derby conta più per la Roma che per la Lazio. Perché un rovesciamento delle posizioni di classifica, tra squadre così lontane per monte ingaggi e proclami estivi, sarebbe clamoroso. Perché alla Lazio basta arrivare terza (e perdere una finale di Coppa Italia contro una Juve finalista di Champions League) per firmare una grandissima stagione. E perché il 26 maggio è ancora troppo vicino.

 


Il momento in cui Lulic sta per mettere in rete il gol decisivo della finale di Coppa Italia del 26 maggio. Molti tifosi laziali la utilizzano ancora come foto copertina di Facebook.



 



 



Mi pare che entrambe le squadre non abbiano molta voglia di giocarlo questo derby. La Roma ha approfittato del 2015 per dare un’impressionante continuità alla sua indefinitezza offensiva. Guardandola giocare c'è da chiedersi come possa essere arrivata fin qui ancora seconda in classifica, e la risposta è che probabilmente è davanti per il solo fatto di essere davanti, come se fossero due macchine da corsa e per il sorpasso la Lazio avesse bisogno di uno spazio che la Roma non ha concesso. Ha le gomme consumate e lo sguardo fisso sullo specchietto retrovisore. Questo derby è il pit stop.

 

Inoltre, la Lazio ha senz'altro perso energie preziose in Coppa Italia, eppure ha avuto il lusso di poter pensare a qualcos’altro fino a quattro giorni dal derby. Chissà che questo non l'aiuterà ad entrare in campo con i nervi meno consumati.

 



La Roma, qui e ora, è una squadra slegata e soprattutto poco reattiva: fisicamente, tatticamente ed emotivamente. Il ritiro a targhe alterne a Trigoria è forse l’emblema di questo momento: tutto sembra confuso. Queste caratteristiche sembrano essere passate, quasi per osmosi, anche alla tifoseria, che attende con inquietudine e preoccupazione questa partita.

 

La Lazio, invece, ci arriva dopo una stagione in cui ha corso molto, con alcuni strappi improvvisi fatti di numerose vittorie consecutive: sembra ancora molto più in forma, ma meno scintillante; comincia a farsi sentire il peso di obiettivi che a inizio anno non erano neppure immaginabili.

 

La sconfitta in Coppa Italia, paradossalmente, deve essere motivo di fiducia e non di depressione: se la Lazio riuscisse a mantenere quell’intensità e quella concentrazione anche nel derby, per la malridotta Roma di questi mesi ci sarebbero davvero poche possibilità di fare punti.

 

Sembra un derby tra squadre preoccupate di non perdere (e tutto ciò potrebbe essere aumentato da una vittoria del Napoli a Torino): la classica partita che si può “sbloccare” al primo episodio, e in cui crolli e rinascite potrebbero susseguirsi in pochi minuti.

 



È il derby 1. Nel senso che quello dell'andata lo chiamo 0. Roma-Lazio ha infatti cambiato totalmente la stagione di entrambe, seppur nel lungo periodo. Un 2 a 2 in cui la squadra di Pioli ha capito che una partita va gestita in modo diverso, anche se la condizione fisica è migliorata e ha premuto sull'acceleratore, fino alla serie di otto vittorie consecutive.

 

Per la Roma è invece iniziato un girone di ritorno al di sotto delle aspettative e, seppur non sia stato sottolineato da nessuno (almeno credo), l'andamento stagionale sta ricalcando quello della Lazio di Petkovic 2012-13. Non dico che tutte le colpe vadano imputate allo stesso preparatore, ma la cosa credo abbia influito molto, perché gli infortuni sono stati prevalentemente muscolari, al contrario di quelli della Lazio, quasi totalmente da contrasto.

 

Però la Lazio si gioca tutto perché è vero che la stagione sarebbe comunque positiva, vista in un percorso di crescita molto importante, sotto il piano del gioco e della mentalità acquisita, ma dalla sorpresa di aver raggiunto traguardi impensabili adesso siamo passati al rischio di trovarsi con un pugno di mosche in mano. Un fattore che peserà perché la Roma ha metabolizzato prima il fatto di aver dovuto mollare gli obiettivi pre-campionato.

 



Oltre che a un prisma ottico triangolare, il derby somiglia anche a quegli specchi deformanti immancabili nei Luna Park degli anni '80, che facevano sembrare i bassetti altissimi e i ciccioni degli smilzi.

 

L'assioma non scritto ma facilmente comprovabile è che chi arriva al derby più derelitto, depresso, svantaggiato, in genere finisce per avere la meglio, vai a capire per quale meccanismo di azione-reazione psicologico: e tra le due, a oggi, è la Roma a essere in crisi di gioco prima che di risultati, ad avere l'ambiente più mogio e i tifosi meno baldanzosi, più disillusi, se vogliamo anche intimoriti. Mentre la Lazio ricoprirebbe il ruolo della Favorita, quella cioè che più dovrebbe temere di affacciarsi allo specchio per vedersi riflessa un'immagine deformata.

 

Ovviamente questo è un trucco prestidigitativo che funziona alla perfezione quando in ballo non c'è nulla per cui valga la pena di starsi ad ammorbare, o quando il divario di classifica tra le due è notevole (tipo l'anno scorso). Quando al contrario le due squadre sono arrivate con lo stesso stato di forma e mentale (a memoria il derby-quasi-salvezza del 2005, e anche la finale di Coppa Italia), e sto parlando di uno stato pessimo, quasi sull'orlo della crisi di nervi, l'esito è stato noiosissimo.

 

Ci arrivano così, a questo derby, Lazio e Roma. La Lazio, sconfitta ai supplementari in finale di Coppa Italia dalla Juventus, forse stanca ma non delusa, piuttosto orgogliosa o meglio affamata, con il match ball per togliere di nuovo una coppa, anche se in maniera più metaforicamente raffinata, all'avversaria; la Roma con il terrore negli occhi, il terrore di chi vede ogni contingenza infilarsi nella maniera giusta (la finale persa che scongiura l’entusiasmo, i centoventi minuti nelle gambe del nemico) e ciononostante non riesce a godersela, ad avere fiducia nel futuro, a pensare positivo.

 


Al termine dello zero a zero del derby 2004 2005 tutto il pubblico ha fischiato le squadre e gridato «buffoni» ai giocatori. Il servizio sulla partita del TG regionale iniziava con la frase: «Lazio e Roma fanno finta di essere morte per paura di morire».



 



Contesto che sia un match ball per la Lazio: la partita di Napoli, l'ultima di campionato, può cambiare il segno. Infine, la mia idea è che Biglia e de Vrij siano le pedine fondamentali nel sistema di Pioli: uno mancherà di certo, l'altro è appena recuperato, e questo pesa parecchio.

 

La Roma arriva in uno stato di tensione maggiore. Più aspettative deluse, meno compattezza ambientale. Mi sembra che, dovessero vincere, i tifosi la vedrebbero come se la squadra avesse fatto il suo. Garcia ha pensato ci fosse bisogno di caricare («Pronti a morire sul campo»), secondo me no.

 



 



Considerata l’importanza della partita, e il momento in cui arriva, il pareggio rappresenta l’equilibrio a cui i 90 minuti tenderanno: ci sarà grandissima attenzione soprattutto a non commettere errori, ed evitare rischi; il pallone potrebbe scottare talmente tanto che entrambe le squadre potrebbero decidere di attendere. Nonostante la Lazio sia chiaramente più in forma e abbia idee di gioco molto ben assimilate e meno caotiche e casuali di quelle della Roma, per me finirà 1-1, con gol di Holebas e Basta, (con tutte le implicazioni tattiche che nasconderebbero l’importanza degli inserimenti sulle fasce, ma soprattutto le soluzioni su tiri da fuori e calci piazzati).

 



Un pari, ma non uno 0 a 0. Roma e Lazio vanno in campo con pressioni di natura diversa che tuttavia hanno lo stesso peso. Negli ultimi vent'anni il risultato di questo contesto è sempre stato un pari. Può starci benissimo anche domenica.

 



Decotto della spensieratezza che avrebbe potuto generare un derby più divertente, e a compimento della metafora di un gigantesco tiro alla fune gli estremi della quale sono vigorosamente impugnati dai signori Ansia e Timore, finirà—com'è prevedibile che possa finire una stracittadina giocata al caldo di maggio, in limine al suono della campanella dell'ultimo giorno di scuola—con un pari, come sarebbe a dire. Zero a zero, ovviamente. Se posso spingermi più in là del derby vorrei che Roma e Lazio vincessero entrambe, contro Napoli e Palermo, perché sarei contento (e il mio senso della giustizia si sentirebbe in un certo senso appagato) se anche la Lazio si qualificasse per la prossima Champions.

 

https://www.youtube.com/watch?v=gcMcsWBVmcI

Il pareggio è il risultato più frequente in gare ufficiali. Qui quello del 2 a 2 con cui la Lazio ha fatto penare più del previsto la Roma per vincere lo scudetto. Le due entratacce che vediamo a inizio video fanno sembrare i derby recenti “sereni”.



 



Alla Roma va bene un pareggio, quindi direi di escluderlo dai risultati probabili: questa partita qualcuno la perde e qualcun altro la vince, sia pure per sbaglio. Scelgo la Lazio, che quantomeno proverà a giocarsela, più per spirito che per reale necessità. Anche se poi, dovessi pensare a uno che davvero la decide, mi viene in mente Alessandro Florenzi.

 

Uno dei suoi tre campionati (82/83) la Roma lo ha vinto con la Lazio in Serie B. Nell’anno del primo scudetto (41/42), a 4 giornate dalla fine pareggia il derby 1-1 (aveva vinto all’andata in modo rocambolesco: 2-1, con autogol al 90' del laziale Faotto) e viene scavalcata dal Torino, che poi si suicida perdendo due delle ultime tre e finendo di nuovo dietro ai giallorossi. La sconfitta peggiore dell’ultima Lazio campione d’Italia (99/00) arriva nel derby, 4-1. Cito questi eventi per supportare una mia tesi che è fondata in buona parte anche su sensazioni: senza questa doppia sfida stagionale, i risultati di Lazio e Roma in Serie A sarebbero stati migliori. Il derby di Roma è il trofeo di un mondo parallelo, capace di dare un senso alle stagioni grigie, colpevole di zavorrare quelle più esaltanti. Chi lo perde, lo soffre. Chi lo vince, pure, perché poi si sveglia in hangover ed è tornato il campionato, e si rende conto che erano solo 3 punti. Stavolta è oggettivamente importante—seconda contro terza alla penultima giornata—ma ad aspettare Roma e Lazio resta poi un’ultima partita, una sola, e non perdere questo derby significa ricordarsi di giocare anche quella.

 



 



I giallorossi ripiomberebbero incredibilmente nel vortice della negatività post 26 maggio 2013: a quel punto la Roma rischierebbe tutto (persino di arrivare quarta), e in attesa dell'ipotetico preliminare di Champions vivrebbe in uno stato di depressa stagnazione. Sempre ammesso e non concesso che una sconfitta non comporti l’ennesima rivoluzione tecnica (via Garcia e/o Sabatini): sarebbe la quarta in cinque anni di gestione americana.

 



Nella partita contro il Palermo, Dybala & Vazquez scendono in campo con i nomi Psico & Dramma sui numeri di maglia.

 

La Curva Sud rispolvera lo striscione srotolato durante la presentazione della squadra di Garcia, nell'anno post-Ventisei-Maggio, lo striscione che fa la morale sull'unica cosa peggiore di

. L'allenatore della Roma allenta il nodo della cravatta fino all'ultimo bottone della camicia, quasi vicino alla fibbia della cintura. Finisce 1-1, il Napoli batte la Lazio in casa. I partenopei arrivano secondi, la Lazio è comunque in Champions, Totti annuncia il ritiro; De Rossi raggiunge Gerrard ai L.A. Galaxy. Se la racconto con tutta questa dovizia di particolari è perché c'è un processo linguistico che si chiama tabuizzazione. Consiste nel descrivere qualcosa come il contrario di quel che è (o sarà) per scongiurarne gli esiti malmostosi. È il processo alla base dei nomi Benevento (da Maleventum) o bonaccia (tabuizzazione per il greco malakia, che designa il mare piatto e dunque poco pescoso). E pure della narrazione della sconfitta della Roma al derby.

 



 



Direi un'attesa più nervosa della partita di Napoli. Poi c'è sconfitta e sconfitta. Comunque la Lazio resterebbe con la sensazione che può andare tutto allo sfascio (a condizione che il Napoli sia ancora a portata di sorpasso) e che non sarebbe giusto, vista la stagione. Ma l'ambiente resterebbe unito e concentrato sull'ultima gara, di questo sono sicuro.

 



Concretamente, perdere il derby comporta un diverso approccio alla partita col Napoli, che diventa più decisiva della stracittadina se la squadra di Benitez fa risultato a Torino contro la Juventus. Sempre analizzando a freddo, c'è da fare poi i conti (anzi no) con un tesoretto europeo che poteva far comodo per il mercato estivo, visto che il prossimo anno in ogni caso c'è un'Europa League da giocare e la Lazio sa bene che significa non poter contare su una panchina lunga (sia d'esempio la stagione precedente). A caldo, invece, il pugno di mosche in mano lascia sempre l'amaro nonché un oscuro rancore verso un capro espiatorio stavolta invisibile. Non ci sarebbero Lotito o tecnico o giocatori a cui dare la colpa: una squadra che gioca intraprendente e senza risparmiarsi dal 1' all'ultimo minuto è difficile da criticare. In più, negli ultimi mesi, si è cementato il rapporto giocatori-tifoseria.

 

https://www.youtube.com/watch?v=hqNGbXn4jL4

Il derby ha i suoi giocatori talismano. Marco Delvecchio è uno di loro.



 



 




Marchetti; Florenzi, Manolas, de Vrij, Lulic; Parolo, Nainggolan, Candreva, Pjanic, Felipe Anderson; Klose.

 

Centrocampo molto fluido con Pjanic a tutto campo, che si allarga e si abbassa a piacere. Dovessi fare tre cambi, Seydou Keita per uno dei due mediani, Basta per Candreva o Anderson, con Florenzi che va a fare l’esterno offensivo, Totti per Klose. Se la giocherebbe contro la Juve di quest’anno? In 90 minuti sì, in 38 partite no.

 



Marchetti; Florenzi, Manolas, de Vrij, Cole; Nainggolan, De Rossi, Cataldi; Candreva, Totti, F. Anderson.

 

Farei giocare titolari tutti i romani, e li schiererei secondo il 4-3-3, modulo che le due squadre condividono. I terzini sinistri di Roma e Lazio non mi piacciono, per questo preferisco una menzione alla carriera per Ashley Cole, accantonato dopo la rovinosa sconfitta contro il Bayern; la romanità della squadra mi costringe a escludere grandi giocatori come Biglia da una parte e Pjanic dall’altra. Ovviamente questa squadra non avrebbe alcuna possibilità di giocarsela con la Juventus: Candreva non la passerebbe mai a Totti, e viceversa; poi manca un centravanti d’area.

 



Marchetti; Florenzi, Manolas, de Vrij, Lulic; Nainggolan, Biglia, Strootman; Candreva, Felipe Anderson, Klose.

 

La fascia sinistra è quella più debole per entrambe. Scelgo quindi Lulic, seppur giochi terzino solo in emergenza estrema. Non potrebbe battere una Juventus in una competizione nel lungo periodo perché nessuna delle due ha un Pogba, un Vidal (degli ultimi due mesi) e un Tévez da venti gol a stagione.

 



De Sanctis; Florenzi, Manolas, Gentiletti, Cholevas; Nainggolan, Biglia, Strootman; Candreva, F. Anderson, Djordjevic.

 

Anche se son mica sicuro che potrebbe lottarsela con la Juventus. Di certo potrebbe farci divertire un bel po'. A patto che sulla panchina sieda Pioli.

 



De Sanctis; Basta, de Vrij, Manolas, Holebas; Biglia, Nainggolan, Strootman; Candreva, Klose, Felipe Anderson.

 
 

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