Alla vigilia de Le Classique di domenica scorsa - la sfida tra Marsiglia e PSG, la più sentita di Francia - c’era ancora una piccola speranza che la lotta per la Ligue 1 potesse rimanere aperta. Il PSG, come sempre, era al comando, ma i soli cinque punti di vantaggio e la prospettiva di uno scontro diretto in casa del Marsiglia secondo in classifica, lasciavano ipotizzare, ai più ottimisti, la prospettiva che la squadra di Tudor potesse issarsi a soli due punti dalla capolista. Dalle parti del Velodrome il titolo manca da quasi quindici anni, da ancora prima che la dinastia qatariota prendesse in mano il Paris Saint Germain e lo portasse a cannibalizzare la Ligue 1. Era il 2009/10, sulla panchina dell’OM sedeva Didier Deschamps e quella squadra poteva contare su un centrocampo di superba qualità, con Bruno Cheyrou e col "Comandante" Lucho Gonzalez, mentre sulla trequarti, oltre a Valbuena, ogni tanto faceva capolino anche Ben Arfa.
Da allora, il Marsiglia ha avuto anche stagioni esaltanti, tra cui l’annata con Bielsa e quella della finale di Europa League con Garcia. Però in campionato non è mai riuscito ad infastidire il PSG, o almeno, non fino a quest'anno. Eppure l’annata non era partita affatto bene per Tudor, inizialmente ripudiato da una delle tifoserie più calde d’Europa. Il Marsiglia aveva disputato un precampionato piuttosto grigio e alle sconfitte in amichevole si era aggiunta la voce di una fronda nello spogliatoio, con i giocatori insoddisfatti per i rigidi metodi del tecnico croato. A inizio agosto si parlava addirittura di un possibile esonero per Tudor. All'esordio in Ligue 1, in casa contro il Reims, il Velodrome ci aveva messo il carico: all’annuncio delle formazioni, comparso il suo volto sullo schermo gigante, Tudor era stato subissato di fischi. Poi, però, il Marsiglia aveva vinto 4-1 e da lì l'allenatore aveva iniziato a guadagnarsi il favore della piazza, portata definitivamente dalla sua parte dopo un perentorio 0-3 a fine agosto in casa degli acerrimi rivali del Nizza.
Da quel momento la simbiosi tra Tudor e Marsiglia è stata totale. C’erano tante speranze alla vigilia dello scontro diretto col PSG, tanto che a dare il calcio d’inizio simbolico era stato invitato Fabrizio Ravanelli, ricordato con affetto nel sud della Francia per una simulazione con cui si guadagnò il rigore decisivo proprio in un Classique, al Parco dei Principi nel 1997. A dare ulteriore fiducia l’ultimo incontro tra le due squadre, un paio di settimane prima in Coppa di Francia, quando il Marsiglia aveva surclassato il PSG ben più di quanto non dicesse il 2-1 finale.
La partita
Il PSG arrivava al big match di domenica senza Neymar, a causa di una distorsione alla caviglia destra rimediata nella partita col Lille. Per sostituirlo Galtier non ha inserito un altro attaccante, ma è ritornato alla difesa a tre vista a inizio anno. I parigini si sono schierati con un inedito 3-5-1-1, con Messi vertice alto di un centrocampo composto da Verratti regista, Vitinha sulla destra e Fabian Ruiz sulla sinistra. Il ritorno ad alti livelli di Sergio Ramos, poi, giustificava ulteriormente la scelta di affidarsi a un centrale in più. L'assenza di Neymar, se da un lato priva Galtier di una fonte di gioco a tutto campo – e non solo dalla trequarti in su – dall’altro, forse, gli permette di bilanciare meglio l’undici titolare. Contro il Bayern, il PSG aveva giocato in maniera passiva, senza mai sapere come recuperare palla per alzare il baricentro, anche perché Messi, Mbappé e Neymar, un po’ per diritto acquisito un po’ per limiti fisici, offrono un contributo nullo in fase difensiva, sia nel pressing che nello schermare gli avversari.
La risposta di Tudor è stata una specie di 3-4-2-1, dove però a schierare i giocatori non è tanto il modulo quanto le marcature a uomo in fase di difensiva e le catene di fascia in quella offensiva. Dietro i centrali di ruolo erano Balerdi, incaricato di salire su Messi, e Bailly, che invece doveva occuparsi di Mbappé. Accanto a loro c'era Kolasinac, che quest'anno ha giocato anche da terzo centrale. Quando l'azione del PSG si sviluppava dal suo lato però, doveva alzarsi in pressing su Mukiele. Mentre dall'altro lato era Nuno Tavares ad avere il compito di aggredire in avanti l’esterno di sinistra del PSG Nuno Mendes.
Insomma, Tudor non ha rinunciato a giocare uomo su uomo nonostante ciò nei fatti creasse una parità numerica al centro contro due avversari come Messi e Mbappé. Ovviamente, un sistema del genere per funzionare ha bisogno di un pressing aggressivo ed efficiente, che impedisca agli avversari di giocare in maniera pulita il pallone da dietro verso le punte: per sopravvivere contro una coppia d’attacco tanto talentuosa l’unica strada è fargli ricevere solo palloni sporchi e spalle alla porta. Per questo serviva il lavoro di tutti: le tre punte – da sinistra verso destra Under, Sanchez e Malinovskyi – si orientavano sui tre centrali; Guendouzi, sorta di trequartista-incursore, si alzava da subito su Verratti, mentre i mediani Rongier e Veretout si occupavano di scalare sulle mezzali Fabian e Vitinha, avvicinandosi a loro e aggredendole a seconda del lato palla.
Il PSG, però, ha trovato il modo di far saltare il sistema di marcature di Tudor. Se da una parte del primo tempo la strategia del Marsiglia ha funzionato, costringendo Messi a ricevere tanti palloni sporchi, la qualità del PSG è così alta che è bastato poco per cambiare l'inerzia. Galtier aveva individuato una soluzione per rigirare contro il Marsiglia il suo sistema: allontanare i difensori l’uno dall’altro con i movimenti a di Messi e Mbappé per poi attaccare gli spazi che si venivano a creare con le corse in avanti delle mezzali. Così, mentre Kolasinac e Tavares si alzavano sui quinti e Balerdi si allontanava da Bailly per seguire Messi, si creavano delle voragini in cui si infilavano Fabian e Vitinha.
A questo punto il PSG doveva solo trovare il modo di per verticalizzare su di loro e per difensori con i piedi di Marquinhos, Ramos e Kimpembe (ma anche Danilo Pereira quando lo ha sostituito) non è stato difficile farlo, con una conduzione o appoggiandosi a Verratti. Innescate le mezzali nello spazio tra centrali e terzini, queste ultime dovevano solo controllare e attivare Messi finalmente frontale. Da lì, la strada sarebbe stata in discesa.
È nato così il primo gol, con un movimento profondo di Vitinha alle spalle di Kolasinac. Il portoghese, poi, si è mosso incontro, ha ricevuto sui piedi ed ha appoggiato a Messi, che ha alzato la testa e servito il taglio dietro la difesa di Mbappé, troppo veloce per poter essere seguito da Bailly.
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Dopo il secondo gol - arrivato quattro minuti dopo il primo e frutto di un triangolo tra Mbappé e Nuno Mendes che ha fatto saltare le marcature individuali dell’OM, seguito da un cross rasoterra geniale con cui il francese ha restituito il favore a Messi - la squadra di Tudor si è liquefatta, tanto che il PSG ha avuto la possibilità di fare il terzo più volte in pochi minuti, addirittura con Marquinhos, dopo una conduzione di sessanta metri. Nel secondo tempo è arrivata la ciliegina sulla torta: una scucchiaiata di Messi per il gol al volo di Mbappé che ha chiuso la partita.
Il PSG esce con indicazioni positive dal Velodrome. Un atteggiamento meno passivo senza palla e idee chiare su come attaccare in maniera diretta. Se poi c'è bisogno di un gioco di posizione, con questo schieramento Messi ha tre centrocampisti ricchi di qualità con cui dialogare e Mbappé a creargli spazi con i suoi movimenti, il miglior modo per per consentire all’argentino di creare pericoli al limite dell’area. Certo, è un sistema che alza tanti uomini sopra la linea della palla, visto che a dare ampiezza ci pensano gli esterni del centrocampo a cinque, e che quindi richiede tempismo e coraggio ai tre centrali, chiamati ad accorciare in avanti se si perde il possesso. Da questo punto di vista, l’infortunio di Kimpembe - rottura del tendine d’Achille - è una pessima notizia per Galtier, che l’ha sostituito con Danilo Pereira. Il 3-5-1-1, comunque, ha dato buone risposte e potrebbe essere la soluzione per affrontare il Bayern. L’importante è che Messi abbia sempre compagni vicino per giocare a parete, perché una volta raggiunta la trequarti l’intesa con Mbappé funziona ad occhi chiusi.
Il livello della Ligue 1
Marsiglia-Paris Saint Germain doveva essere il fiore all'occhiello di questa Ligue 1, ma come abbiamo visto è risultato essere uno scontro impari, che già dopo mezz'ora non aveva più molto da dire. Dopo partite di questo tipo viene sempre da chiedersi quanto valga la pena seguire un campionato con un tale dislivello tra una squadra e il resto della concorrenza. La lotta per i posti europei può essere interessante quanto si vuole, ma è difficile trovarla coinvolgente se si tratta di un paese estero. Qual è, allora, l’appeal della Ligue 1? Non è di certo il campionato coi migliori giocatori – escluse le individualità del PSG – né sembra un campionato di avanguardia tattica come magari può essere la Bundesliga, dove dietro al Bayern cannibale si possono trovare comunque delle squadre interessanti da seguire al di là della competizione per il primo posto.
Eppure, scavando un po', ogni turno di Ligue 1 offre qualcosa di interessante. Il motivo più ovvio per seguire questo campionato sono i giovani talenti, visto che la Francia può attingere ad un serbatoio pressoché infinito. Non è un caso che il nuovo claim del campionato francese sia La ligue des talents, la lega dei talenti. E sono i giovani a essere messi in vetrina ogni domenica, nonostante la Ligue 1 al momento possa vantare Messi, forse il miglior giocatore della storia.
Qualche settimana fa Geoffrey Moncada, capo dell’area scout del Milan, ha rilasciato un’intervista in cui si soffermato proprio su questo aspetto del campionato francese, una vera e propria miniera d’oro ai suoi occhi: «In Francia il mercato è incredibile: in ogni club si trovano giocatori interessanti. Io vedo che le squadre comprano anche all'estero, ma questo non funziona molto e quindi poi mettono in campo i prodotti dei loro settori giovanili. Il Rennes ha acquistato Doku e Sulemana, che sono dei buoni giocatori, ma alla fine giocano Doué (17 anni), Kalimuendo (20) e Ugochukwu (18). Il Monaco ha preso Boadu e Minamino, ma è il diciasettenne Seghir che gioca. A Lione fortunatamente hanno Gusto (19 anni, poi venduto al Chelsea, nda), Lukeba (20) e Cherki (19): sono loro che vengono a vedere gli osservatori stranieri, non gli altri. Non potete immaginare il numero di osservatori che vengono in Francia. Molti club stranieri hanno due scout nel paese, uno per il Nord e uno per il Sud». Per chi ama scoprire futuri campioni, per chi è stato plagiato da Football Manager, o per chi tifa una squadra che ha la felice idea di comprare dalla Francia, seguire la Ligue1 è un obbligo: non è da escludere che i milanisti più curiosi, con Adli già sotto contratto, lo scorso anno abbiano guardato qualche partita del Bordeaux, oppure del Brest nella speranza che il Milan finisse per acquistare Romain Faivre.
Al di là di giovani più o meno promettenti, poi, la Ligue 1 è una sorta di riserva naturale di dribblomani, forse l’unico torneo che ancora riesce a produrne in maniera seriale. Non c’è nessun campionato che valorizzi il fondamentale più di quello francese. Secondo Whoscored, tra i primi 20 giocatori per dribbling riusciti ogni 90’ con almeno 15 presenze, 8 appartengono alla Ligue 1 (e, sorpresa, Messi è solo il quarto, preceduto da Doku, Doué e Cherki). Se si considerano le squadre, poi, tra le prime 20 per dribbling ogni 90’ quelle della Ligue 1 sono 9, quasi il doppio di quelle della Bundesliga (5), dietro alla Francia in questa speciale classifica. Certo, ci sono molte squadre che giocano in transizione, ma la Ligue 1 è piena di giocatori a cui piace sperimentare col pallone tra i piedi, dalla cui creatività dipende quasi tutto l’impianto offensivo delle proprie squadre (la Juventus ne ha avuto una dimostrazione con un nome, magari prima poco noto, come Ludovic Blas, esattamente il tipo di giocatore che un osservatore cerca se si sintonizza sul campionato francese). Il Rennes, ad esempio, non ha direttrici di gioco troppo chiare, ma Terrier con la sua qualità nello stretto, oppure Doué con la sua elettricità, possono associarsi con i compagni e dare vita a combinazioni veloci e letali da un momento all’altro. Lo stesso Lione, in crisi da anni, nelle scorse settimane ha trovato linfa nel calcio di strada di Rayan Cherki, un giocatore unico nel panorama mondiale per la sua inventiva.
Il rovescio della medaglia è che la libertà lasciata ad ali e trequartisti alle volte coincide con un livello tattico non troppo raffinato. L’allenatore francese classico è conservatore, bada soprattutto a difendere basso, a volte anche in modo passivo. Negli ultimi tempi, però, si è vista maggior varierà anche sulle panchine. Franck Haisé, ad esempio, è stato il primo a proporre idee simili a quelle di Gasperini fuori dal nostro paese. Il suo Lens è diventato un esempio di successo negli scorsi anni e probabilmente la dirigenza del Marsiglia deve essere stata affascinata da quel modello di gioco quando quest’estate ha scelto Tudor. Nel 2021/22, una delle sorprese era stato lo Strasburgo di Julien Stephan, una sorta di riadattamento del 3-5-2 di Antonio Conte. Quest’anno, invece, la storia da raccontare è quella di Will Still, allenatore del Reims di appena trent’anni: inglese, aveva iniziato come assistente nella seconda divisione del Belgio, il paese in cui è cresciuto, per poi diventare capo allenatore; la dirigenza del Reims lo ha contattato per entrare nello staff del tecnico Oscar Garcia nel 2021 e ad ottobre 2022 gli ha affidato la panchina.
Insomma, di sicuro la Ligue 1 non è al livello della Premier League. Rispetto ad altri campionati come Serie A e Liga, però, non sembra vivere un momento di stagnazione ma di crescita, probabilmente perché è un sistema che viene alimentato dal basso, dai settori giovanili e dalle aree scout: un torneo sì di esportazione, ma sempre pronto a offrire un ricambio all’altezza rispetto a chi va via. In questo momento storico, la Francia è più vicina a Spagna e Italia e non solo per demerito di queste ultime due.
Il grande limite della Ligue 1, però, è la capacità di competere in Europa. Senza scomodare la possibilità di vincere la Champions (potrebbe riuscirsi il PSG, ma non sarebbe di certo una vittoria del sistema calcio francese), le squadre transalpine hanno vita breve sia nei gironi di Champions che in Europa League. In un ecosistema con caratteristiche simili, per alzare il livello sarebbe fondamentale avanzare nelle competizioni continentali. Invece, puntualmente, arrivano delusioni: il Marsiglia che si infrange contro la sfortuna dopo aver dominato il Tottenham, le tragicomiche eliminazioni di settimana scorsa di Rennes e Monaco contro Shakhtar e Bayer Leverkusen. Sui cattivi risultati europei delle squadre francesi pesa di certo l’impiego massiccio di giovani, ma probabilmente anche il livello non eccelso degli allenatori. Il fatto di essere un campionato d’esportazione, poi, finisce per stravolgere ogni anno le squadre.
In Ligue 1 la lotta per i posti europei è sempre accesa e le gerarchie non sono chiare: confermarsi di stagione in stagione è davvero complicato, difficilmente la Francia porta le stesse squadre in Champions da un anno all’altro. In questo modo, ipotizzare un percorso di crescita è più arduo: non si può superare una certa asticella per migliorare la squadra e non ci si abitua a competere contro avversari più esperti. Club della media borghesia ma di successo in Europa come Porto e Siviglia, forse meno ricchi di giovani eccitanti ma pieni di giocatori scafati, in grado di leggere i momenti della partita, rappresentano l’esatto opposto rispetto alle fragili squadre della Ligue 1. Quelli, però, sono problemi del mercoledì e del giovedì, che comunque riguardano chi dirige il calcio francese. Se invece da neutrali vi piace un certo tipo di giocatore e non volete conformarvi alla Premier League, allora la Ligue 1 è un torneo su misura per voi.