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La demolizione tattica dell'Inter, punto per punto
01 giu 2025
Il PSG ha fatto a pezzi la squadra di Inzaghi.
(articolo)
18 min
(copertina)
Foto IMAGO / Branislav Racko
(copertina) Foto IMAGO / Branislav Racko
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È finita con il trionfo di Luis Enrique e del Paris Saint Germain. Una vittoria storica nelle dimensioni – mai fino a oggi c’era stato uno scarto di gol così grande in una finale di un torneo internazionale – e nel significato per il club francese, che dopo più di un decennio di investimenti senza limiti della proprietà qatariota ha finalmente raggiunto l’obiettivo. È certo significativo che ce l'abbia fatta proprio subito dopo perso il suo miglior giocatore, Kylian Mbappé.

Della finale tra PSG e Inter abbiamo parlato anche a caldo, subito dopo il fischio finale, nel nostro podcast video riservato agli abbonati "Che Partita Hai Visto". L'abbonamento a Ultimo Uomo contribuisce anche al lavoro disponibile gratuitamente per tutti ogni giorno, e più in generale alla proposta di giornalismo sportivo che portiamo avanti da quasi dodici anni. Se non siete abbonati, potete farlo a questo link.

È stata una partita entusiasmante per il PSG e in occasioni come questa, oltre ad ammirare la grandezza della prestazione dei vincitori, ci si chiede quale possa essere il livello di complicità della squadra perdente. È forse una domanda sgarbata, perché sembra focalizzare l’attenzione sugli eventuali errori commessi dai perdenti invece che concentrarsi sulla bellezza di gesti, prestazioni e interpretazione della partita.

Eppure, se si vuole commentare compiutamente un match sportivo, in cui due contendenti si affrontano mettendo in campo le loro armi e le loro difese, le loro mosse e le relative contromosse, non si può che guardare alla prestazione di entrambi gli attori in gioco, e di come queste si sono intrecciate per generare il risultato finale. A meno di non dire, semplicemente, che uno dei contendenti è troppo più forte dell’altro, affermazione non certo condivisibile per due squadre arrivate alla finale di Champions League.

IL PRESSING DEL PSG
Iniziamo in ordine cronologico. Il calcio d’inizio del PSG va direttamente in fallo laterale, all’altezza del limite del calcio di rigore, e consegna il pallone all’Inter. Non che il PSG avrebbe avuto problemi a portare il pallone nella metà campo nerazzurra. Tutt’altro. È invece una dichiarazione di intenti, un messaggio nemmeno troppo nascosto inviato agli avversari da Luis Enrique che comunicava con forza la volontà di soffocare gli avversari col suo pressing. A partire da una delle situazioni più facili da attaccare, una rimessa laterale.

Le scelte di pressing del tecnico asturiano sono state nette ed estreme. In genere, anche le squadre che giocano un pressing piuttosto aggressivo con riferimento sull’uomo, devono fare delle scelte di tipo numerico che definiscono la tipologia di pressing. In particolare, devono scegliere se garantirsi superiorità numerica in zona arretrata, adottando quindi, più avanti nel campo, meccanismi di pressing in inferiorità numerica. E, ancora, è necessario decidere come gestire il possesso palla del portiere avversario che può garantire superiorità numerica alla squadra in attacco e che, se pressato, può generare inferiorità numerica alle spalle della pressione aprendo varchi al possesso avversario. Luis Enrique ha scelto la via più aggressiva, accettando la parità numerica in zona arretrata e pressando con Dembélé in maniera sistematica e furiosa Sommer.

Il piano, chiaramente, era di soffocare il possesso palla dell’Inter. E il piano è riuscito in modo formidabile. L’intensità in pressing di Dembélé su Sommer è stata di un livello forse mai visto, ma al medesimo livello dell’impatto atletico è stata la qualità e la disciplina del pressing del numero 10 del PSG. Mollando Acerbi e alzandosi su Sommer Dembélé ha tolto il tempo delle giocate al portiere nerazzurro, ma ha anche sempre scelto bene le traiettorie e gli angoli. Sommer, uno dei grandi segreti dell'Inter, non è mai riuscito a trovare l'uomo libero dalla pressione.

Perché è stato così importante il pressing di Dembélé su Sommer? In fondo la pressione sul portiere è spesso ritenuta quasi solo utile a evitare che il portiere avversario perda troppo tempo con il pallone tra i piedi. Un semplice dato accende però un faro sulla questione. Sommer è stato il giocatore dell’Inter che ha giocato più passaggi (42) dopo Bastoni (48). Il pressing su Sommer era solamente il punto finale della strategia di soffocamento del PSG verso i tentativi di muovere il pallone dell’Inter. Il pressing del Paris Saint Germain, orientato sull’uomo, quasi come un’onda che si alzava ha costantemente spinto il pallone all’indietro verso Sommer. I tre attaccanti di Luis Enrique si orientavano sui tre difensori interisti, Fabián Ruiz si alzava su Çalhanoğlu con João Neves e Vitinha sulle mezzali nerazzurre. Hakimi e Nuno Mendes affrontavano rispettivamente Dimarco e Dumfries e, sulla linea arretrata Marquinhos e Pacho accettavano il duello in parità numerica contro la coppia d’attacco dell’Inter.

Il pressing uomo su uomo del PSG con Kvaratskhelia su Pavard, Ruiz su Çalhanoğlu e Dèmbéle che molla Acerbi – che prova a smarcarsi più avanti – e attacca Sommer. La palla scivola verso Bastoni su cui si alza Doué e, da lì, esternamente verso Dimarco. Bastoni dopo avere scaricato esternamente attacca lo spazio davanti a sé per ricevere il passaggio di ritorno di Dimarco, ma Doué, dopo avere pressato in avanti, torna subito indietro (a dimostrazione della grossa intensità ed abnegazione in pressing dei giocatori del PSG) tagliando la traiettoria del passaggio verso Bastoni e recupera il pallone.

L’intensità, l’attenzione e la disciplina con cui il Paris Saint Germain ha giocato il pressing ha impedito del tutto all’Inter di sviluppare in avanti la manovra, spingendola indietro verso Sommer. Sebbene fosse una scelta forzata, il portiere svizzero avrebbe potuto in ogni caso fungere generatore di superiorità numerica, come del resto ha fatto nelle scorse eliminatorie di Champions, ma la qualità atletica e tattica della pressione di Dembélé ha tolto anche l’ultima possibilità agli uomini di Inzaghi di bucare il pressing avversario.

Del possesso dell’Inter è quindi rimasto ben poco. Giusto qualche tentativo di raggiungere direttamente Lautaro e Thuram nella speranza, quasi sempre vana, che, vincendo il duello con i propri marcatori i due attaccanti potessero fare risalire la squadra. In più l’occasionale ricerca, sempre sul lungo, dell’atletismo di Dumfries nel tentativo, anch’esso fallito, di alzarsi sulla fascia destra con l’esterno olandese.

L’incredibile pass map dell’Inter appare invertita e ha come destinatario finale Sommer (via OPTA).

Il pressing del Paris Saint Germain ha annichilito la fase di possesso dell’Inter e si è lasciato ammirare per costanza, abnegazione e rigore. Tuttavia dobbiamo tornare alla domanda iniziale e guardare entrambe le facce della medaglia: cosa dire della circolazione palla dell’Inter? La squadra di Inzaghi avrebbe potuto fare di più?

I neroazzurri sono rimasti troppo ancorati alle proprie posizioni, rendendo più agevole al PSG trovare i riferimenti da pressare senza nemmeno modificare la propria struttura difensiva. Per battere pressing di questo tipo vengono generalmente utilizzate parecchie rotazioni posizionali per portare fuori zona gli avversari e togliere loro comodi riferimenti, si effettuano tanti movimenti senza palla per spostare i marcatori e quindi attaccare gli spazi liberati, si giocano combinazioni tecniche rapide muovendosi velocemente dopo aver giocato il pallone.

L’Inter non ha nemmeno provato ad utilizzare le armi più comuni per battere la tipologia di pressing utilizzata dal PSG, assecondando una tendenza in atto da parecchio tempo della squadra di Inzaghi, che ha progressivamente perso la brillantezza delle sue continue rotazioni e l’imprevedibilità dei movimenti in fase di possesso della sua struttura posizionale che per tanto tempo le avevano garantito la capacità di sfuggire a pressing molto orientati sull’uomo.

Insomma, ieri sera alcuni nodi sono venuti al pettine.

Negli ultimi mesi l'Inter è diventata sempre più statica, prudente e prevedibile. Per sfuggire al pressing avversario usa quasi esclusivamente le giocate dirette verso le due punte o l’atletismo sulla fascia destra di Dumfries.

IL POSSESSO PALLA DEL PARIS SAINT GERMAIN
Lo scenario tattico più probabile si è subito palesato. Il PSG ha preso il dominio del possesso e l’Inter si è accomodata a difendere con un blocco medio-basso. Complice anche il pressing che gli consentiva di recuperare molto preso il pallone, il PSG nei primi 12 minuti – quelli precedenti il gol del vantaggio realizzato da Hakimi – ha avuto quasi il 69% di possesso palla. Hanno sviluppato la loro manovra secondo le direttrici ormai note: un perimetro della struttura posizionale costituito da 3 uomini arretrati – di cui Marquinhos sul centro-destra e Pacho in mezzo erano i componenti fissi – e da due esterni e, all’interno di questo perimetro, 5 giocatori interni capaci di leggere gli spazi dentro la struttura difensiva dell’Inter, muovendosi nelle sacche libere della disposizione spaziale avversaria scambiandosi azione dopo azione la posizione. La caratteristica principale di questo movimento è l'assenza di giocatori deputati a fissare il perimetro avanzato della struttura, ed eventualmente ad allungarne le dimensioni attaccando centralmente la linea arretrata nerazzurra.

Il possesso palla del PSG era guidato dai principi del juego de posición interpretato con grande fluidità e naturalezza. La ricerca continua di zone – micro e macro – di superiorità posizionale, tramite il posizionamento dei giocatori; l’induzione della pressione avversaria per generare libertà posizionale alle spalle della stessa tramite conduzioni mirate (il principio del condurre per attrarre su cui Vitinha ha, oggettivamente, regalato al mondo intero una masterclass); l’utilizzo di passaggi diagonali verso il lato debole, sul fianco esterno dell’ultimo uomo della linea di pressione avversaria; la ricerca continua dell’uomo libero. Questi principi sono eseguiti dai giocatori con perfetta consapevolezza. Sono, come si dice, interiorizzati. L'Inter non ha trovato nessuna risposta efficace ed è crollata dopo soli 12 minuti, quando già per ben due volte il PSG era giunto al tiro, prima con Doué e poi con Dembélé.

Negli ultimi anni qualcuno ha provato a fare il funerale al Gioco di posizione, quindi bisogna fare una digressione più concettuale.

Nel continuo rincorrersi tra idee offensive e contromosse difensive che caratterizza il calcio, a un certo punto è sembrato che fosse stato disinnescato da un utilizzo sempre più ampio delle marcature a uomo che rendeva più complesso per la fase offensiva trovare gli spazi liberi (dove posizionare quello che quindi diventava l’hombre libre) all’interno della struttura avversaria che il juego de posición utilizza per generare vantaggi sulla fase difensiva. L’idea era piuttosto semplice e prevedeva il dissolvimento, totale o parziale, della struttura difensiva, che si adattava, invece, a quella offensiva, imponendo essa stessa il disordine che il juego de posición si proponeva di generare negli avversari. All’uso esteso delle marcature a uomo il gioco di posizione ha risposto cercando una sempre maggiore fluidità posizionale che riportasse in mano all’attacco il comando strategico delle posizioni in campo e la possibilità di muovere secondo la propria volontà i difensori avversari. In questo incessante gioco di mosse e risposte, è comunque evidente che per difendere contro squadre che utilizzano un approccio di tipo posizionale alla fase offensiva è necessario trovare il modo di disinnescare i meccanismi tipici del juego de posición.

Nonostante la ventata di fluidità che ha rinfrescato il gioco di posizione, l’utilizzo di marcature a uomo è una risposta ancora molto usata, spesso con successo. In ogni caso è fondamentale negare in qualche maniera gli spazi all’interno della propria struttura difensiva per non farsi manipolare e per non permettere all’attacco di generare situazioni di pericolo. L’Inter di Inzaghi non ama difendere uomo su uomo e preferisce un approccio più attento agli spazi (per prudenza). Per questo, sfruttando la linea arretrata a 5 e la conseguente superiorità numerica contro l’attacco del PSG, alla vigilia sembrava importante che i componenti del reparto difensivo nerazzurro, in particolare i due braccetti Pavard e Bastoni, ma anche gli esterni Dumfries e Dimarco, interpretassero il ruolo in maniera molto attiva. Pur all’interno di un approccio difensivo prudente e basato sulla creazione di un blocco medio-basso, il fondamentale compito di negare gli spazi al juego de posición del PSG era assegnato alla capacità dei componenti della linea difensiva di alzarsi velocemente in pressione sui giocatori avversari posizionati nelle sacche libere della struttura nerazzurra: le zone alle spalle delle mezzali, le zone ai fianchi delle due mezzali e, infine, le zone esterne. Oltretutto, in assenza di una minaccia centrale alla profondità, con il PSG che accumulava uomini tra il centrocampo e la difesa dell’Inter, la linea difensiva avrebbe potuto alzarsi più aggressiva. Invece è rimasta passiva, così come passivo è stato l’atteggiamento della prima linea di pressione contro la costruzione avversaria. Ciò ha permesso al Paris Saint Germain di trovare continuamente e con estrema facilità riferimenti liberi nelle zone desiderate e a dominare totalmente la fase di possesso consolidato.

Il primo tiro in porta della partita del PSG. L’Inter è stata già abbassata dal possesso del PSG ed è schierata col suo 5-3-2. Nonostante l’Inter sia ordinata Doué trova lo spazio libero alle spalle della pressione, fiacca, di Barella su Nuno Mendes. Pavard rimane passivo e non accorcia su Doué regalando una preziosissima linea di passaggio oltre la pressione al PSG. Doué ha il tempo di controllare, girarsi e tirare in porta

Con un’interpretazione piuttosto semplice, ma anche efficace, si può dire che, con la linea difensiva così passiva ed ancorata all’indietro, l’Inter abbia regalato superiorità numerica ai 5 giocatori interni del PSG contro i propri 3 centrocampisti. La passività della pressione in avanti ha reso oltretutto ancora più semplice agli uomini di Luis Enrique l’accesso alla zona di superiorità numerica. Troppi vantaggi per una squadra che ha poi, nell’ultimo terzo di campo, doti tecniche e capacità di rifinitura e finalizzazione eccezionali. Una squadra contro cui non ci si può ridurre a difendere in area di rigore. Fare così equivale a pregare.

I giocatori del PSG “galleggiano” tra centrocampo e attacco dell’Inter. La difesa nerazzurra, pur non impegnata da alcun attaccante, si tiene lontana e la pressione sul portatore di palla e di scarsa qualità. Si crea una zona di superiorità numerica (3 vs 2) facilmente raggiungibile dagli uomini di Luis Enrique

Oltretutto, la consapevolezza ha regalato ai giovani del PSG (più di 5 anni di differenza tra le età medie della due squadre titolari in campo) una capacità di lettura delle situazioni puntuali che spesso si associa all’esperienza, ma che in realtà è legata alla chiarezza delle idee da portare in campo.

I primi due gol sono certo frutto del dominio tecnico e strategico del PSG, ma anche della capacità dei giocatori di Luis Enrique di girare a proprio vantaggio specifiche situazioni di gioco, di innestare soluzioni puntuali all’interno di un disegno generale.

In occasione del primo gol, il PSG sfrutta il tentativo dell’Inter di utilizzare l’atletismo di Dumfries per attaccare subito la profondità in fase di possesso palla. L’esterno olandese si alza presto, ma il pressing del Paris Saint Germain recupera il pallone nella metà campo avversaria. A quel punto Dumfries si trova avanzato e in transizione difensiva rimane indeciso se precipitarsi a recuperare la posizione al fianco di Pavard, o - ormai in ritardo - provare a pressare in una zona più vicina a lui. È quindi in una zona intermedia, incapace di recuperare e di pressare. Vitinha, come al solito, vede tutto, e velocemente, trasferisce il possesso a Kvaratskhelia, generando un uno contro uno esterno contro Pavard, uno degli obiettivi strategici della manovra del PSG e l’origine del gol di Hakimi.

Nello sviluppo dell’azione la linea difensiva dell’Inter rimane totalmente confusa dal movimento dei giocatori del PSG, con Acerbi che prova in maniera improvvida ad alzare la linea e Bastoni che non segue il taglio di Doué alle spalle dello stesso Acerbi. È quasi superfluo sottolineare come Vitinha legga tutto alla perfezione e serva in maniera chirurgica il taglio di Doué.

L’azione del secondo gol nasce invece da una mancata protezione della palla di Barella che, provando ad ottenere un calcio d’angolo (individuato dai nerazzurri come una delle poche armi capaci di potere generare pericoli per la porta di Donnarumma) si fa soffiare la sfera da Nuno Mendes che lancia una vertiginosa ripartenza su 100 metri di campo conclusa col tiro di Doué deviato goffamente da Dimarco.

È forse curioso, ma non casuale, che i primi due gol del Paris Saint Germain ssi sviluppino puntualmente sfruttando a proprio vantaggio alcuni meccanismi pensati dall’Inter – la posizione avanzata di Dumfries in fase di possesso palla e la creazione di calci piazzati nei pressi dell’area parigina – per rendersi pericolosa, che, quasi a punire la mancanza di ambizione dei nerazzurri e per merito delle letture impeccabili del PSG, si sono ritorti contro gli uomini di Inzaghi.

Era appena il ventesimo e si sa come in Champions League le cose posso cambiare presto. Ma l’Inter non ha fatto nulla per invertire la pendenza del piano inclinato, ripidissima, del match. I nerazzurri non sono mai riusciti a calciare in porta su azione nel primo tempo e le uniche due conclusioni sono stati due colpi di testa da calcio d’angolo. Il PSG ha invece calciato 13 volte verso Sommer nei primi 45 minuti. Già nel primo tempo l’Inter è quindi sembrata in procinto di crollare. La passività in fase di non possesso, limitata spazialmente nei primi 20 minuti alla metà campo difensiva, vista l’assenza di ogni tentativo di pressing avanzato, si è estesa in un campo più grande nel goffo tentativo di alzare la pressione. Alle difficoltà contro il possesso consolidato si sono aggiunte quelle, se possibili maggiori, di difendere senza alcuna intensità sul portatore di palla, in un campo lungo contro il talento e la velocità dei giocatori del PSG. Era solo questione di tempo prima che l’argine crollasse, e ha infine ceduto al ventunesimo del secondo tempo quando l’ennesima lezione di “conduzione per attirare la pressione-scarico-attacco dello spazio liberato” di Vitinha, unita a un geniale colpo di tacco di Dembélé, ha aperto le porta al terzo gol di Doué e alla successiva goleada dal PSG.

UN PSG ENTUSIASMANTE, UN'INTER SCONFORTANTE
Che il PSG potesse essere più brillante dell’Inter e che potesse prendere in mano il dominio del gioco era uno scenario tattico probabile alla vigilia del match. Le armi in mano all’Inter erano quelle di una difesa compatta, magari alternata a qualche puntuale blitz in pressing alto come fatto in semifinale contro il Barcellona, che fungesse da base per transizioni offensive mirate che punissero la transizione difensiva del Paris Saint Germain non sempre impeccabile durante la stagione, Inoltre, in fase di possesso palla, l’Inter avrebbe dovuto e potuto provare a risalire il campo alternando costruzioni più ambiziose palla a terra sfidando il pressing del PSG e soluzioni più dirette verso Lautaro e Thuram. Non ha funzionato nulla. La difesa, schierata come prevedibile con un blocco basso, è stata incredibilmente passiva, oliando, ancora di più, qualora ce ne fosse bisogno, i meccanismi del juego de posición di Luis Enrique, diventato inarrestabile. Di pressing non si è visto nemmeno l’ombra fino a quando, costretto dal risultato, Inzaghi non ha provato a difendere più avanti, aggiungendo, a causa della disorganizzazione e della mancanza di intensità della pressione, alle difficoltà in un campo piccolo quelle in un campo grande.

In fase di possesso l’Inter ha mostrato una inaccettabile carenza di ambizione, rimanendo statica, puntando quasi esclusivamente sulla ricerca diretta di Luataro, Thuram e Dumfries, favorendo così il già fenomenale pressing del PSG che ha letteralmente soffocato i nerazzurri. In questo contesto tattico si sono dissolti la forza mentale e il predominio atletico in situazioni statiche e vicino l’area di rigore avversaria che l’Inter avrebbe potuto mettere in campo in un match del genere. Insomma, è quasi superfluo dirlo, non ha funzionato nulla, è stato un totale disastro che pare in maniera inequivocabile e fragorosa sancire la fine di un gruppo di giocatori stanco ed anziano.

Il Paris Saint Germain ha fornito, invece una prova entusiasmante sotto ogni aspetto del gioco. Si è vista una formidabile organizzazione e interpretazione del pressing, un’adesione incredibilmente consapevole ai principi del gioco di posizione attuato in maniera libera e fluida, la capacità di giocare in maniera ugualmente ed enormemente brillante sia in un campo piccolo che in un campo grande. All’interno di questa cornice tattica il talento cristallino dei giocatori del PSG ha sfavillato. Doué ha regalato perle di sfacciataggine tecnica, Vitinha ha dominato l’andamento tattico del match, Hakimi è stato un incubo per la difesa interista, apparendo ovunque. È stata la vittoria di Luis Enrique che lontano da Barcellona sembra avere costruito la cosa più vicina al Barça di Guardiola vista su un campo di calcio, in una versione aggiornata e moderna, esaltando i singoli, la loro tecnica, le loro capacità di lettura e improvvisazione – geniale, per esempio, il sorprendente e riuscitissimo utilizzo di Dembélé lontano dalla porta in posizione centrale – in un sistema di principi chiari e perfettamente interiorizzati. Il Paris Saint Germain ha finalmente portato a casa la tanto desiderata Champions League e lo ha fatto in maniera assolutamente meritata sia per la qualità della prestazione in finale che per il brillante cammino nella fase ad eliminazione diretta.

La seconda Champions League con due club diversi e il profondissimo impatto nello stile di gioco del Paris Saint Germain consegnano meritatamente Luis Enrique nell’olimpo dei grandi tecnici della storia del calcio.

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