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Foto di Manu Fernandez / POOL / AFP via Getty Images
Fondamentali Dario Saltari 24 agosto 2020 8'

Il Bayern ha vinto al ritmo di Thiago Alcantara

Il ruolo del centrocampista spagnolo è stato decisivo per battere il Paris Saint-Germain.

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Appena sei mesi fa il mondo era un posto completamente diverso da quello che conosciamo oggi. In pochi sapevano cosa significasse la parola lockdown, in pochissimi si immaginavano che il Bayern Monaco potesse vincere la Champions League, e quasi nessuno credeva che Thiago Alcantara sarebbe mai stato all’altezza delle aspettative sul suo talento. Allora la squadra di Flick aveva appena iniziato a rimettersi in piedi dopo un inizio di stagione terribile, segnato dall’esonero di Niko Kovac a inizio novembre. L’8 dicembre del 2019, il giorno dopo la sconfitta con il Borussia Moenchengladbach per 2-1, il Bayern Monaco era settimo in Bundesliga a sette punti di distanza dalla vetta, occupata proprio dalla squadra allenata da Marco Rose.

 

Oltre ai problemi della sua squadra, però, per Thiago Alcantara questa stagione aveva un significato ulteriore. Con il contratto in scadenza nel 2021, infatti, era l’ultima prima di potersi accordarsi liberamente con un’altra squadra, con il Bayern Monaco che allora non sembrava particolarmente in ansia di poterlo perdere a zero. Lui che in Germania non è mai stato particolarmente amato (a gennaio l’influente rivista Kicker non lo aveva nemmeno inserito tra i migliori centrocampisti della Bundesliga), forse perché personificazione di quel “dna catalano” lasciato in eredità da Guardiola al Bayern Monaco ma mai veramente accettato né dalla dirigenza del club bavarese né da una parte rilevante dell’opinione pubblica tedesca. Thiago Alcantara è stato infatti il primo e più voluto acquisto di Guardiola appena arrivato in Germania, in quella famosa estate del 2013 in cui il Bayern Monaco vinse il triplete prima del suo arrivo.«È l’unico giocatore che voglio», disse allora Guardiola «O lui o nessuno».

 

Non è un caso che in un’intervista pubblicata sei mesi fa sull’Independent, il centrocampista spagnolo parli soprattutto del suo passato e in particolare del suo passato al Barcellona. «Il mio stile non deriva solo dal Barça, c’è anche ad esempio l’idea brasiliana di pivot», dice Thiago nell’intervista, «Il Barça ti dà la filosofia per capire il gioco del Barça. Il resto lo prendi dal resto delle esperienze che fai». Parlando dei suoi anni di formazione al Barcellona, Thiago Alcantara si inserisce nell’eterno dibattito calcistico tra tattica e tecnica, tra cervello e piedi. «Per me non si riduce tutto a controllare il gioco», dice Thiago, «Bisogna controllare anche ciò che tu fai in campo. Se le tue giocate in campo sono ben allenate, ed eseguite nel miglior modo possibile, allora sì, sei in controllo. […] Domini l’avversario attraverso l’esecuzione».

 

Le parole di Thiago Alcantara sono significative non solo perché nella finale di Champions League è stato il migliore in campo, l’uomo che tatticamente ha deciso la partita, ma soprattutto perché ci parlano della strategia di Flick e Tuchel. Entrambi hanno puntato su un piano gara che non aveva come obiettivo quello di controllare del tutto il gioco, cioè di eliminare del tutto il rischio (grande utopia di Guardiola). Al contrario, il rischio se lo prendevano volontariamente in cambio di vantaggi tattici che altrimenti non avrebbero avuto, puntando sul fatto che i propri giocatori migliori (cioè, direbbe Thiago Alcantara, le esecuzioni tecniche dei propri giocatori migliori) avrebbero fatto vincere la scommessa.

 

Da una parte Flick, che ha continuato imperterrito a puntare su un pressing vertiginoso, nonostante la minaccia di Neymar, Mbappé e Di Maria, confidando nel fatto che le uscite di Neuer avrebbero coperto lo spazio dietro l’altissima difesa e che anche nelle situazioni più disperate, alla fine, ci avrebbe pensato il leggendario portiere tedesco.

La conformazione del pressing alto del Bayern era molto particolare: le due ali stringevano sui centrali avversari per invitarli a giocare al centro, dove Lewandowski e Müller schermavano Marquinhos e Paredes. L’unica volta in cui Neymar è riuscito a ricevere spalle alla porta e a servire Mbappé in profondità alle spalle della difesa bavarese, Neuer era già lì ad attenderlo.

 

Dall’altra Tuchel, che invece ha abbassato il baricentro della propria squadra lasciando la prima impostazione ai bavaresi ed esonerando il suo tridente da compiti difensivi. La speranza (fondatissima, visti gli interpreti) in questo caso era che poi Neymar, Mbappé e Di Maria avrebbero bruciato il campo in transizione e con esso anche i poveri Alaba e Boateng, lasciati in due contro due contro i cavalieri dell’Apocalisse.

 

Oggi, ovviamente, sappiamo bene quale delle due scommesse ha pagato. Il pressing ultra-offensivo del Bayern ha impedito al PSG di giocare palloni puliti verso il suo tridente e la difesa in avanti dei bavaresi ha spinto Neymar, Mbappé e Di Maria talmente in basso che a quel punto il campo da risalire palla al piede era troppo persino per il loro sovrannaturale talento tecnico e atletico. Questo, come detto, non significa che il Bayern non si sia preso rischi. Anzi, la squadra di Flick ha subito tanti Expected Goals quanti ne ha creati (1,4).

 

Nonostante ciò, parlare delle parate di Neuer – per quanto ovviamente fondamentali, se si pensa che nelle final eight il Bayern ha subito un solo non-penalty goal a fronte di 4,1 Expected Goals concessi – significa raccontare solo una metà della storia. Perché se è vero che, come amiamo ripetere noi italiani, il pressing ultra-offensivo è rischioso, è anche vero che ci si prende questo rischio con l’obiettivo di avere un vantaggio, e cioè il controllo del possesso. Come ha notato Raphael Honigstein su The Athletic, la chiave del successo di Flick in questa stagione è stata quella di ascoltare il gruppo, che voleva fortemente tornare a un gioco proattivo con il pallone dopo le esperienze Ancelotti e Kovac. In altre parole, Flick ha ricostruito il Bayern Monaco tornando al gioco di posizione che era stato innestato da Guardiola a partire da quella famosa estate del 2013.

 

Il gioco di posizione, però, non è possesso per il possesso, ma costruzione dal basso, ricerca delle linee di passaggio per superare la pressione, rotazione degli uomini per manipolare gli schieramenti avversari. La differenza, insomma, l’ha fatta ciò che le due squadre hanno fatto con il pallone, più che ciò che hanno fatto senza. In questo senso, è interessante notare che le due migliori occasioni del PSG (la doppia parata di Neuer su Neymar al 18.esimo e il tiro ai limiti dell’area piccola di Mbappé al 45.esimo) non siano nate dai rischi del pressing offensivo, cioè dalla linea di difesa troppo alta, ma da errori tecnici in costruzione da parte del Bayern.

Le due situazioni da cui nascono le palle gol di Neymar e Mbappé: un passaggio alle spalle del centrocampo del PSG mal stoppato da Gnabry e un appoggio mal calibrato di Alaba per Kimmich, incredibilmente in posizione di regista.

 

Il possesso della squadra bavarese, e la fiducia estrema che Flick riponeva nella sua applicazione tecnica in campo, non era un vezzo da intellettuali ma aveva il preciso scopo di attivare il triangolo di destra formato da Kimmich, Thiago e Müller, le cui continue rotazioni hanno manipolato dall’inizio alla fine il centrocampo del PSG, portando a diverse occasioni già prima del gol di Coman che ha deciso la partita. Lo schema era relativamente semplice: in costruzione, quando Kimmich aveva la diagonale verso il centro schermata da Mbappé, optava per un passaggio semplice in orizzontale verso Thiago, mentre Müller si inseriva nello spazio lasciato libero dal centrocampista del PSG che saliva in pressione sul regista del Bayern.

 

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A quel punto il triangolo si attivava: Thiago serviva Müller, che a sua volta giocava a parete appoggiandosi su Kimmich, che nel frattempo aveva aggirato Mbappé. A quel punto il Bayern poteva far risalire ulteriormente il possesso conducendo fronte alla porta.

 

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Questo triangolo, però, è stato fondamentale anche in fase di definizione. A creare ancora più problemi al PSG è stato il fatto che i tre spesso si scambiavano la posizione, mandando in tilt il sistema di marcature del centrocampo parigino, già sovraccaricato dal fatto che le ali non ripiegassero sempre sotto la linea della palla. Questa, per esempio, è l’azione che porta al pericoloso colpo di testa in avvitamento di Lewandowski, dove Kimmich e Müller si scambiano di posizione, con il terzino che si posiziona nel mezzo spazio e il trequartista che riceve sull’esterno. Il taglio interno-esterno in profondità di Kimmich paralizza Bernat e porta via Mbappé, creando lo spazio a Müller per crossare sulla testa della punta polacca.

Questa è un’azione quasi identica avvenuta subito dopo il gol dell’1-0, invece. In questo caso è il taglio di Müller a creare il tempo e lo spazio per il cross di Kimmich.

Il pallone verrà ribattuto verso l’esterno e finirà di nuovo sui piedi Müller, che troverà Coman sul lato cieco della difesa del PSG, sfiorando il 2-0.

 

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Il gol che decide la partita è una sorta di fotografia della partita che ho raccontato finora. Su un attacco posizionale del Bayern finito del nulla, il PSG prova a verticalizzare immediatamente verso il tridente: Neymar riceve sul centrocampo e scarica sull’esterno, dove Di Maria può andare in uno contro uno con Süle. Il suo tentativo di rientrare dentro al campo con l’esterno destro, però, si scontra con il tallone dell’enorme difensore tedesco e il Bayern Monaco recupera palla. Dopo una veloce circolazione bassa, il pallone torna a Thiago e il triangolo di destra si attiva di nuovo, ma in una forma ancora diversa. Kimmich, infatti, da falso terzino viene dentro al campo, esattamente come faceva Lahm prima di lui, occupando lo spazio liberato dall’accentramento sulla trequarti di Müller, che aveva portato fuori posizione Paredes.

 

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Grazie al passaggio perfettamente eseguito da Thiago, il Bayern è in un attimo dalla fase di costruzione a quella di definizione. Kimmich scarica a destra per Gnabry, che vede l’inserimento in area di Müller. La palla, però, è troppo arretrata e il numero 25 è costretto a tornare indietro di prima ancora verso Kimmich, con un tocco in corsa molto più complicato di quanto non sembri e che dovrebbe farci ripensare alla sua sensibilità tecnica.

 

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Quando Kimmich alza la testa per il cross, il palcoscenico è già pronto per il gol di Coman. Thiago Silva si è staccato dalla linea per assorbire il precedente inserimento di Müller e Kehrer è costretto a prendere in consegna Lewandowski dentro l’area, mentre l’ala parigina gli scappa alle spalle.

 

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Oltre ad aver dato il via a questa azione ed essere stato il perno del triangolo con cui il Bayern ha vinto la partita, comunque, Thiago Alcantara è stato perfetto da tutti i punti di vista. Non solo il giocatore con più passaggi riusciti (75) e passaggi chiave (2; insieme a Müller, Herrera e Mbappé), ma anche il centrocampista del Bayern con più contrasti vinti (3), intercetti (2) e palle recuperate (7).

 

Arrivato alla consacrazione relativamente tardi (29 anni), Thiago Alcantara, come lui stesso ci tiene a sottolineare, ieri è andato oltre al concetto classico di perno basso di una squadra di possesso e oggi forse rappresenta l’ibridazione più riuscita tra quell’idea di centrocampista e quella più difensiva, più fisica, più attenta alle coperture preventive e al recupero palla, che è stata interpretata negli ultimi anni soprattutto dai brasiliani Fernandinho e Casemiro. In questo senso, non può che essere lui la faccia di ciò che è il Bayern Monaco adesso, e cioè la perfetta sintesi tra il classico gioco di posizione catalano e i principi del pressing, del gegenpressing e delle transizioni tipiche del calcio tedesco.

 

È ironico che questo momento sia arrivato proprio adesso che Thiago Alcantara è in procinto di passare al Liverpool. Ma forse è questo quello che intendiamo quando parliamo di eredità.

 

Tags : bayern monacochampions leagueparis saint-germainthiago alcantara

Dario Saltari nasce a Frascati nel 1989. Laureato in Relazioni Internazionali, scrive storie di finzione su eventi realmente accaduti per passione e storie vere su eventi di finzione per lavoro.

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