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Daniele V. Morrone

Il Barcellona sta provando a chiudere la sua maledizione europea

Contro il PSG è arrivata una controrimonta inaspettata.

La Champions League è un palcoscenico diverso. La posta in palio è così alta, si gioca a un ritmo tale, e con un livello tecnico talmente alto che è difficile che non succeda qualcosa: piccoli gesti, piccole disattenzioni diventano immediatamente grandi gesti, grandi errori. Non c’è nessuna guerra di attrito, nessuna minimizzazione dell’errore. Tutto viene ingigantito quando parte l’inno della Champions League, tutto diventa possibile.

 

Per le grandi squadre poi in campo non vanno solo i giocatori, ma le edizioni passate, le grandi vittorie e le umiliazioni cocenti si aggirano come fantasmi nella testa di tutti. Il modo con cui gli allenatori scelgono di affrontare le eliminatorie di Champions League si dividono in due grandi famiglie: da una parte chi cerca di minimizzare i rischi (per quanto possibile), e chi invece abbraccia il caos e prova a navigarlo. La prima, per esempio, ha favorito le squadre italiane nella scorsa campagna europea; la seconda, invece, sta trionfando in questa edizione della Champions League. E il modo che storicamente preferiscono due squadre come Barcellona e PSG, due squadre allo stesso tempo forti e fragilissime al cambiare dei giocatori e degli allenatori.

 

È una questione tattica ma anche e soprattutto mentale: la capacità di reagire al momento, di adattarsi alle partite dentro la partita. Le mosse degli allenatori si mescolano ai momenti di brillantezza dei giocatori migliori, che possono apparire inconcludenti e allo stesso tempo decisivi anche nell’arco della stessa azione.

 

È la partita in cui Dembélé sbaglia uno stop elementare e poco dopo tira in modo forte e preciso sotto la traversa. In cui Lamine Yamal sbaglia una scelta facile e poi è lo stesso che mette una palla perfetta al centro di trivela per il gol del vantaggio. In cui entra un giocatore come Pedri nel secondo tempo e al primo pallone toccato mette un assist al bacio. Luis Enrique si può prendere i meriti di aver scelto di spostare Dembélé vicino a Mbappé poco prima del gol e Xavi del cambio con cui ha fatto entrare Pedri, ma poi, come si dice, ci sono i giocatori in campo.

 

I primi minuti dell’incontro sono tanto indirizzati dalla scelta di Luis Enrique di attaccare con Dembélé in isolamento a destra su Cancelo, il punto debole strutturale difensivo del Barcellona. La serata per i catalani era difficile anche a livello atmosferico, con un Parco dei Principi animato dalla curva a farsi sentire forte e chiaro fin da prima del calcio d’inizio. Un’atmosfera da notte europea in cui la rivalità tra le due squadre ha aiutato ad alzare di qualche decibel il normale tifo parigino. Aiutato da tutto questo, i giocatori del PSG hanno iniziato nel migliore dei modi.

 

Tutti tranne uno, in realtà, il più atteso: Kylian Mbappé. Un peccato se si pensa che Asensio era stato inserito nell’undici iniziale proprio in funzione della scelta di avere Mbappé e Dembélé larghi sulle fasce. Allo spagnolo viene affidato il compito di occupare il centro della trequarti quando il PSG ha il pallone e scivolare invece sulla fascia sinistra in fase di non possesso. Un ruolo delicato e faticoso, pensato probabilmente per non costringere Mbappé a rincorrere Lamine Yamal. Il numero 7 è il giocatore che può decidere l’eliminatoria, ma è anche quello più esigente tatticamente, quello che richiede di potersi concentrare solo su quello che serve per decidere la partita: creare azioni da gol.

 

 

Mbappé in questa stagione non è riuscito a farsi carico del volume di gioco lasciato da Neymar. Quello è passato a Ousmane Dembélé, con tutto quello che significa. Il lavoro di Luis Enrique con Mbappé è stato quindi quello di costante compromesso per permettergli di fare quello che vuole fare, senza che questo porti a scompensi tattici, perché avere un giocatore che sta in fascia ed è totalmente disinteressato alla fase difensiva nel 2024 non è più sostenibile. Quindi Mbappé come minaccia costante sui ribaltamenti di fronte e Asensio come portatore di borraccia che gli occupa gli spazi che lui non vuole occupare: il centro e poi i ripiegamenti in fascia. Un compromesso che però ieri non ha portato i benefici sperati: Mbappé non ha mai realmente minacciato la fascia destra del Barcellona, dove hanno fatto più male le discese di Nuno Mendes.

 

La frustrazione di Mbappé è stato un fattore emotivo fondamentale della partita: dalla sua rabbia sono uscite delle situazioni, ma solo da quello e non abbastanza per vincere la partita.

 

Il Barcellona invece ha capito come affrontare il piano iniziale di Luis Enrique, prendendo in mano la partita dal 20’ fino a chiudere il primo tempo in vantaggio. Invece di provare a gestire il possesso risalendo il campo con le triangolazioni, per superare la pressione del PSG la scelta di Xavi è stata quella di utilizzare le verticalizzazioni. Il portiere Marc-Andre ter Stegen ha completato ben 11 lanci nel primo tempo, ma il vero protagonista è stato il piede del centrale Pau Cubarsí, destro che gioca sul centrosinistra. La fascia invece è stato il regno di Cancelo e Raphinha, che si accentrava nel mezzo spazio da quel lato. Cubarsí ha innescato l’azione del gol del primo vantaggio – un passaggio verticale verso la zona di Lewandowski, che poi smisterà il pallone a Lamine Yamal sulla fascia destra, per arrivare alla diagonale vincente verso Raphinha. La freddezza di Cubarsí nella gestione del pallone ha spinto il lato destro del pressing del PSG a fare quel passo in più che ha liberato proprio la coppia Cancelo/Raphinha. Una situazione di superiorità che alla fine è risultata decisiva.

 

 

È stato centrale anche il lavoro di Lewandowski come centravanti di raccordo, in grado di essere un porto sicuro sui lanci lunghi dalla difesa per superare il pressing alto del PSG. La differenza di esperienza tra lui e Beraldo si è manifestata nel modo più crudele possibile per il centrale brasiliano, innocuo in ogni suo tentativo di leggere in anticipo l’azione, e puntualmente superato nel duello individuale. Pur senza segnare, è stata una delle migliori prestazioni di Lewandowski con la maglia del Barcellona. 

 

La partita del centravanti polacco è piena di queste letture sopraffine. Anche il gol di Christensen che decide la partita su calcio d’angolo al 77’, arriva grazie a un appoggio geniale di Lewandowski. Col PSG uomo su uomo arrivato fino all’area del Barcellona a contendere il pallone, Cancelo riceve a sinistra uno scarico e opta per il lancio lungo sul numero 9. Lewandowski si era messo sul campo visivo del terzino portoghese con un movimento incontro che lo porta a ricevere la verticalizzazione spalle alla porta e il povero Beraldo come al solito un passo indietro. Al momento della ricezione, invece di stoppare e girarsi, opta per un appoggio di prima sull’esterno dove ha visto correre João Félix. L’appoggio è con l’esterno destro, così da smorzare il pallone e fargli fare una parabola a uscire perfetta per arrivare proprio sulla corsa del portoghese, che può di prima crossare al centro sul taglio di Ferran Torres.

 

 

Il pallone viene intercettato da Nuno Mendes che lo spazza in calcio d’angolo, quello della vittoria della squadra di Xavi. Lewandowski, insomma, è stato un fattore nella partita anche senza segnare, portando in campo un compendio di cosa deve fare un centravanti che aiuta la manovra. «Domani cercheremo la stessa cosa: presseremo alto, con la palla che esce da dietro… e da qui in poi dipenderà dai giocatori», aveva detto Xavi alla vigilia.

 

D’altra parte, così è stato anche per il PSG, che ha mostrato a inizio secondo tempo che bastava pochissimo per accendere un talento offensivo fuori scala. A Luis Enrique è bastato inserire Barcola come ala destra al posto di Asensio e mettere Dembélé al posto dello spagnolo come falso nove per avere una risposta immediata da parte dei suoi giocatori. La nuova posizione di Dembélé gli ha permesso di associarsi con Mbappé sul centro sinistra e la presenza di Barcola largo è stata una minaccia diretta, ma anche un modo per liberare il mezzo spazio per gli inserimenti di Vitinha. Il gol del pareggio di Dembélé arriva due minuti dopo il fischio d’inizio del secondo tempo e proprio su assist di Mbappé. Il gol fa esplodere lo stadio e l’esultanza rabbiosa dell’ex giocatore del Barcellona è un traino che porta tutta la squadra a cercare immediatamente di passare in vantaggio.

 

Esattamente due minuti ed ecco la palla per Barcola in isolamento a destra contro Cancelo che fa rinculare tutto il Barcellona nella propria area, creando il canale da attaccare per Vitinha. Inserimento in area, stop di sinistro e tiro a incrociare di destro per far esplodere il Parco dei Principi.

 

 

Negli anni scorsi un uno-due ravvicinato dentro uno stadio impazzito avrebbero fatto affondare il Barcellona. E invece questa volta la squadra di Xavi si è rialzata. Le occasioni hanno iniziato a fioccare da entrambe le parti e il centrocampo è diventato una zona di passaggio per arrivare nell’area avversaria. La variabile che ha definitivamente inclinato il piano sono stati i cambi del Barcellona all’ora di gioco: dentro Pedri e João Félix al posto di Sergi Roberto e un Lamine Yamal visibilmente stanco. Raphinha passa a destra, Pedri si sistema accanto a Frenkie de Jong. Il primo pallone che tocca porta all’assist per il taglio dell’ala brasiliana, alla prima doppietta in Champions League.

 

 

Da lì tanti altre belle giocate e altrettanti errori, un ritmo che non scende mai e una partita decisa da un gol di un centrale entrato a centrocampo e che segna alla prima palla toccata. Il confine labile tra fortuna e scelta azzeccata su cui si stanno giocando tutti i quarti di finale di Champions League.

 

Il 2-3 finale permette non soltanto al Barcellona di giocare il ritorno in casa con i favori del pronostico per il gol di vantaggio, ma anche di dirsi finalmente oltre il periodo storico di figuracce europee in trasferta. Che sia arrivata una partita così proprio contro un rivale come il PSG chiude un capitolo della storia recente della squadra e mette un punto a favore della gestione di Xavi che, dopo aver riportato la squadra al titolo nazionale e dato ampio spazio ai giocatori della Masia, ora ha dalla sua anche questo piccolo tassello, che certo dovrà essere completato con la partita del ritorno.

 

«Abbiamo avuto anni difficili in Champions League e questa vittoria dimostra che possiamo competere con squadre come il PSG, che sono fatte per vincere», ha detto Xavi a fine partita. Certo, c’è sempre il ritorno tra una settimana e la partita è ancora aperta, a maggior ragione per una squadra col talento del PSG. Soprattutto c’è un giocatore che ancora non si è visto ma che può ancora deciderla, quel Kylian Mbappé che forse è l’ultimo giocatore al mondo che Xavi vorrebbe affrontare al ritorno.

 

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Daniele V. Morrone, nato a Roma nel 1987, per l'Ultimo Uomo scrive di calcio e basket. Cruyffista e socio del Barcellona, guarda forse troppe partite dell'Arsenal.