
La prima volta in cui mi sono chiesto chi me lo faceva fare era già passato più di un mese da quando il processo sulla morte di Diego Armando Maradona era iniziato. Un mese fatto di martedì e di giovedì in cui mi sono collegato, a dodicimila chilometri di distanza, con il canale YouTube della Corte Suprema Argentina, seguendo le sessioni del Tribunale Criminale n.3 di San Isidro – quest’Olgiata bonaerense culla del rugby, dell’hockey, delle case col giardino dell’alta borghesia porteña – attraverso l’inquadratura fissa su un’aula di tribunale, decontestualizzata, asettica.
Un processo iniziato quando sono già trascorsi cinque anni dalla morte di Maradona, nella sua casa di Tigre, abbandonato a se stesso: cinque anni da quando un’insufficienza respiratoria e un arresto cardiaco se lo sono portati via, alle 13 e 16 minuti del 25 Novembre, alla presenza di un karaoke e un vaso di fiori finti.