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Giorgio Di Maio
C'è un problema di palline nel tennis
10 gen 2024
10 gen 2024
I giocatori lamentano i troppi cambi di palline, cosa sta succedendo?
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Giorgio Di Maio
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Javier Garcia / Shutterstock
(foto) Javier Garcia / Shutterstock
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Anno nuovo, vecchie polemiche. Il 2024 è iniziato solo da pochi giorni e c’è già il primo infortunio di alto profilo, nientemeno che il numero uno del mondo Novak Djokovic, alle prese con un problema al polso che ha contribuito alla sua prima sconfitta dopo 43 vittorie consecutive in Australia, per mano del padrone di casa Alex De Minaur. Una sconfitta indolore, arrivata con poco in palio e nell’anestetizzata United Cup, ma che a modo suo pesa. Non ha perso tempo l’altro australiano, Nick Kyrgios, che è subito andato alla giugulare dei vertici ATP, uno dei suoi bersagli preferiti. «Il cambio di palline ogni settimana è finalmente arrivato al polso di Novak. L’ATP deve davvero fare qualcosa riguardo questo problema. I giocatori soffrono continuamente».

Niente di nuovo insomma, per una polemica che l’anno scorso ha tenuto banco per tutta la stagione. Ma è davvero tutta colpa delle palline?

Nel caso specifico di Djokovic, no; o meglio: è difficile stabilirlo con certezza senza una diagnosi specifica. Di certo c’è che tutti i tornei dello swing australiano utilizzano la stessa pallina, la Dunlop AO, che fa di questa sequela di tornei una delle pochissime a non avere troppi cambi di palline. Il problema però c’è, e nel 2023 è diventato mainstream per la prima volta, quando all’inizio era relegato soltanto alle lamentele di tennisti dei Challenger o di bassa classifica. Già al Roland Garros il francese Benoit Paire, mai particolarmente diplomatico, aveva paragonato le palline in uso, le Wilson, alle palle che si danno ai cani per giocare. A ottobre c’era stata la polemica dell’ex numero 57 del mondo Gastao Elias, che denunciava le palline usate nel Challenger di Buenos Aires e chiedeva ironicamente all’ATP di pagargli la fisioterapia per i danni provocati dalle palline sulle articolazioni.

Come i giocatori amatoriali sanno, le palline che hanno bisogno di una spinta particolare per “camminare” sono particolarmente gravose per le articolazioni, in particolare per il polso e il gomito. Nel 2023 sono fioccati gli infortuni dei tennisti a queste due parti del corpo, tanto che già a ottobre Medvedev parlava di problemi al polso e al gomito derivati dalle palline, proprio le Dunlop AO messe sotto accusa da Kyrgios di recente: «a un certo punto è come se stessi lanciando, non so come dirlo in inglese, ma quando lanci una palla grossa e pesante [...] penso che queste palle non vadano bene per i campi in duro. La loro superficie diventa molto fluffy ed è un grosso shock impattarle».

Un sentimento che lo accomuna a Taylor Fritz, vittima di infortuni al polso nell’ultima parte di stagione, e a Pablo Carreno-Busta, che per un infortunio al gomito ha dovuto dire addio alla sua stagione 2023. Lo spagnolo ha dato la colpa alle palline del Roland Garros, colpevoli secondo lui di avergli infiammato di nuovo la parte infortunata. E quanto un infortunio al polso possa pesare sul proseguimento di una carriera lo sa bene Dominic Thiem, che dopo l’infortunio al polso del 2021 non è più tornato ai suoi livelli. Proprio nel video realizzato dalla Red Bull per documentare il suo recupero si spiegava che dopo un infortunio del genere è stimato un 30% in meno di flessibilità dell’articolazione. Una conseguenza sono i problemi attuali del tennista austriaco, che dopo il 2021 ha perso tantissimo dal lato del dritto, prima dell’infortunio uno dei più potenti e carichi di topspin di tutto il Tour. Una conseguenza evidente della minore flessibilità del polso, che a quei livelli fa tutta la differenza. Altro esempio è Stefanos Tsitsipas, che da dopo l’operazione al gomito di fine 2021 è peggiorato notevolmente dal lato del rovescio (non eccezionale anche pre-infortunio).

Già nel 2015 si discuteva dell’aumento degli infortuni tra i tennisti professionisti, e si dava la "colpa” all’aumento delle partite giocate su superfici dure, molto meno gentili sulle articolazioni del corpo rispetto a quelle naturali come terra ed erba. È dal 2007 che i tornei giocati su cemento sono più del 50% di quelli giocati in totale, e nel 2023 sono stati il 57,5%. In questi anni si è parlato anche del rallentamento delle superfici come causa degli infortuni, con scambi sempre più lunghi e giocati a velocità sempre più alte. Un cane che si morde la coda, visto che gli scambi sempre più lunghi sono anche colpa delle palline, che con la loro lentezza contribuiscono a rallentare campi già lenti, come detto da Medvedev dopo il China Open: «diventano troppo grandi e soffici, sembrano dei pompelmi. Giochiamo scambi di 30 colpi per lo più perché è impossibile colpire un vincente».

Come nei migliori gialli è difficile individuare un vero e proprio colpevole. Jeff Sackmann, guru delle statistiche applicate al tennis, ha quantificato in 0.16 colpi per punto la differenza tra cemento e terra. Sempre secondo Sackmann però questa convergenza non è arrivata tanto per il rallentamento delle superfici in sé quanto per i cambiamenti tecnici legati alla tecnologia delle racchette e del metagame dello sport stesso.

L’erba sicuramente è la superficie che ha subito il rallentamento maggiore, in questo caso con la conferma dei giardinieri di Wimbledon stessi, che hanno ammesso di aver cambiato la combinazione dell’erba nel 2001, con il risultato di renderla più resistente ma anche più lenta. Anche in quel caso però, i tennisti sono molto più forti in risposta sulle superfici veloci ora rispetto a trent’anni fa, chiaramente anche per merito delle racchette e non solo dell’evoluzione tecnica. E già nel 1992 Agassi stritolava un big server come Ivanisevic in finale di Wimbledon, pur rappresentando un archetipo tecnico estremamente diverso rispetto a quelli della sua epoca.

Quindi le palline non hanno contribuito al rallentamento del tennis e di conseguenza ai maggiori infortuni a polso e gomito? È difficile dirlo, sicuramente non è l’unico fattore o il principale, come non lo è la velocità delle superfici. Una testimonianza ce l’hanno data i giocatori stessi, che soprattutto all’inizio degli Slam danno tutti delle impressioni molto diverse sulla velocità dei campi o delle palline. Oggi non esiste un modo oggettivo e statisticamente perfetto di stabilire la velocità reale di un campo da tennis; l’unico modo è affidarsi a calcoli derivati dalla lunghezza media degli scambi o dalla percentuale di ace. Ci sono tennisti che possono trovare lo stesso campo molto veloce e altri molto lento, una conseguenza anche di stili di gioco che portano a colpire la palla in maniera molto diversa. Insomma, è una cosa di cui si parla sempre tanto, e che i tennisti amano tirare in ballo nei loro discorsi, ma è anche qualcosa di molto soggettivo e poco misurabile.

Sul problema palline, però, ci sono problemi oggettivi. Ogni torneo ha un contratto diverso con un fornitore di palline, ed è stimato che durante tutta la stagione 2023 siano state usate più di venti palline diverse. Un’enormità per chi percepisce anche solo il più piccolo cambiamento di condizione del campo. L’ennesimo esempio, che unito a una quantità di tornei sempre più schiacciante, di un circuito che pensa troppo ai fattori economici rispetto a quelli umani.

È chiaro che i tornei minori, complice una struttura tennistica vetusta, abbiano bisogno di contratti come questi con i fornitori di palline per poter tirare avanti. Questo però sarebbe risolvibile anche mantenendo i contratti dei fornitori stessi, e la soluzione l’ha suggerita Ahmad Nassar, direttore esecutivo della PTPA, il sindacato dei tennisti voluto da Novak Djokovic. «Abbiamo scoperto che molte delle palline di tennis del mondo sono prodotte nelle stesse strutture e alla fine del processo vengono semplicemente marchiate con un logo diverso. Questo significa che i tornei possono continuare a vendere i loro sponsor, ma potremmo almeno avere le stesse specifiche per le palline su una determinata superficie di gioco. Credo che avremo queste specifiche, se non l’anno prossimo, ma poco più in là». Se non su un’intera superficie, sarebbe già qualcosa avere le stesse palline per un set di più tornei, preservando anche l’aspetto economico.

I vertici del tennis non possono più ignorare la questione, tanto da averne parlato anche un tennista diplomatico come Carlos Alcaraz. «Se l'ATP vuole i migliori giocatori in ogni torneo, dovrebbe cambiare. Altrimenti ogni giocatore si infortunerà per questo motivo». Sempre il tennista spagnolo dice di averne parlato direttamente con Gaudenzi, dando corda alle parole di Djokovic durante le scorse ATP Finals («Ciò di cui ci lamentiamo è la mancanza di regolarità che può causare problemi ai polsi, ai gomiti e alle spalle»). Non c’è un singolo sport contemporaneo in cui non si ritenga che ormai si giochi troppo, e se l’ATP e la WTA non vogliono, o peggio possono, ridurre la mastodontica stagione è ora che si occupino di questioni risolvibili come le palline. Per un caos che non fa bene a nessuno e non fa altro che dimostrare, come la recente trattativa “nascosta” tra Arabia Saudita e Slam per la creazione di un “Super Tour”, che il tennis sia un unicum di frammentazione e disorganizzazione in un mondo sportivo sempre più centralizzato. L’ATP dovrebbe cominciare a lavorare da questi dettagli-non dettagli se vuole migliorare lo stato del Tour, con il fondo sovrano PIF che sta cominciando a bussare alle mura di Costantinopoli.

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