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Nikhil Jha
La prima volta del Torino femminile
13 ott 2023
13 ott 2023
Reportage dalla prima partita casalinga nella storia della squadra granata.
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Nikhil Jha
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Foto Torino FC
(foto) Foto Torino FC
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Dalla tribunetta che costeggia il terreno da gioco, lo sguardo abbraccia alcuni dei luoghi più obliqui e caratteristici della parte sud di Torino. A destra lo stadio del baseball, con le gradinate ad angolo che proteggono la casa base – anomalia culturale e allo stesso tempo punto di riferimento. A sinistra l’Hiroshima Mon Amour, probabilmente il più importante locale di musica dal vivo della città. Sullo sfondo l’arco olimpico che dal 2006 sovrasta la ferrovia nel tratto tra la sgangherata stazione Lingotto e la centralissima Porta Nuova. Davanti, il profilo della collina viene interrotto bruscamente dal grattacielo della Regione, perenne cantiere.

Il campo è gestito dal Bacigalupo, squadra di prima categoria che richiama nel nome il leggendario portiere del Grande Torino. La tribunetta da un centinaio di posti svolge di solito adeguatamente il suo compito, ma la capienza non è sufficiente in questa domenica troppo calda. Sono molte le persone costrette ad aspettare al sole che sul sintetico di periferia scenda in campo, per la prima volta nella storia, in casa, la prima squadra femminile del Torino Football Club. È il primo ottobre, l'esordio casalingo è contro il Racco 86, squadra della provincia di Cuneo.

Il Torino è arrivato più tardi di altre squadre di Serie A alla formazione di una propria squadra femminile, scegliendo per di più una strada diversa. Mentre molte società come Juventus, Milan, Inter e Roma (ma anche realtà più piccole, come Sassuolo e Sampdoria) hanno ottenuto il diritto a partecipare ai livelli più competitivi del calcio femminile acquistando titoli sportivi di società preesistenti, il Torino ha deciso di partire dal più basso livello regionale, l’Eccellenza piemontese, con una squadra creata da zero. Sarà questa squadra a provare a risalire la piramide del calcio femminile, con l’aiuto delle giocatrici cresciute dentro il settore giovanile, che dal 2015 tutte le squadre di Serie A maschile hanno dovuto allestire per direttive federali.

Foto Torino FC

Nonostante il racconto sportivo saturato da internet abbia tolto ogni peso all’aggettivo “romantico”, è difficile non subire il fascino di un gruppo di ragazze che veste per la prima volta la maglia del Torino, con il sogno di portarla più in alto possibile. Marco Pianotti, responsabile della squadra femminile, mi ha raccontato che «oltre il 70% delle calciatrici [sono] prodotte dal vivaio», e che «l’obiettivo è quello di mantenere o aumentare tale percentuale» anche nei prossimi anni.

L’ossatura della squadra attinge dalle due selezioni juniores che hanno raggiunto la finale nelle ultime tre edizioni del campionato italiano di categoria, perdendo prima contro il Perugia e poi contro la CF Roma (scollegata dall’AS Roma). La strada del calcio femminile è lastricata di nomi, sigle e stemmi che ricordano quella squadra, ma non appartengono veramente a quella squadra. È la conseguenza dell’origine carbonara del calcio femminile in Italia, popolato da associazioni dilettantistiche decenni prima che le squadre professionistiche maschili, a metà degli anni Dieci, si rendessero conto del potenziale commerciale e d’immagine del movimento. E così vicino a squadre dai nomi esotici ma dalla tradizione vincente come Tavagnacco e Torres esistono o esistevano una Roma che non era quella Roma, un’Internazionale che non era quell’Internazionale, una Juventus che non era quella Juventus, e così via.

D’altra parte, esiste anche un Torino che non è quel Torino, pur portando sulle spalle una tradizione fatta di 26 Serie A, quattro scudetti Primavera e tante giocatrici oggi protagoniste ai massimi livelli come Barbara Bonansea, Martina Rosucci e Cecilia Salvai. Questa società, fondata nel 1981 e rimasta sempre indipendente, per qualche anno ha ottenuto il diritto all’utilizzo dei colori sociali e dello stemma, soprattutto prima del fallimento del 2005. Oggi gioca anch’essa in Eccellenza con il nome di Torino Women, per la confusione dei molti che si congratulano sotto i post di una squadra per i successi dell’altra. Il presidente del Torino Women, Roberto Salerno, proprio per questo motivo ha recriminato con la società di Urbano Cairo per la scelta di «mettere il suo Torino contro il nostro», visto che il Torino Women «rivendica per sé la storia femminile del calcio granata».

Foto Torino FC

Al campo, però, le schermaglie societarie sono un’eco lontana, chissà per quanti veramente importante. Rimane sui volti del pubblico l’emozione di poter osservare per la prima volta in casa la massima espressione femminile ufficiale di una delle maglie più gloriose del calcio italiano. Nessun c’è nessun suffisso Under, nessun asterisco: sta scendendo in campo la prima squadra del Torino. Tutto intorno, però, l’atmosfera pare sprofondare in un morbido abbraccio, in quell’intimità che può esistere solo nel calcio dilettantistico o giovanile.

Ai lati del campo, i due guardalinee non fanno parte della terna arbitrale (come per ogni partita di Eccellenza femminile, per cui viene assegnato solo un arbitro) ma sono assegnate dalle società, e solo per segnalare quando la palla supera la linea laterale. Non sono autorizzate a dare indicazioni sul fuorigioco, costringendo l’arbitra a una quantità di decisioni da prendere ragionevolmente impossibile da sostenere senza sbavature. I cambi delle giocatrici vengono annunciati attraverso cartelli analogici o tabelloni rudimentali, mentre il pubblico si divide tra la tettoia della tribuna e quella del bar del campo, e chi non ci riesce si deve accontentare di uno scomodo scalino al sole.

Fai attenzione a ogni gol, a ogni dettaglio, perché non c’è speranza che lo ritroverai in qualche video di highlights su Internet, e spera che i pochi cronisti presenti non si distraggano nel riportare i marcatori, altrimenti l’attribuzione di quella rete potrebbe venire alterata per sempre. Ti piace la falcata dell’ala destra, la gestione dei ritmi della regista? Torna da queste parti tra una settimana, è l’unico modo in cui potrai ammirarle di nuovo a breve.

Inteneriscono i commenti e gli incitamenti che partono dalla piccola tribuna, stracolma di parenti, amici dei parenti, ragazze delle giovanili e parenti delle ragazze delle giovanili. Soprannomi affettuosi e domestici si mescolano a quelli che assomigliano ad articolate raccomandazioni piene d’ansia di genitori preoccupati: «Dai una gioia a papà e a nonno», oppure «Vai stella d’oro». Per quasi tutti lì dentro, quelle in campo sono ancora le loro “torelle”, come vengono chiamate con un po’ di paternalismo le ragazze già a partire dal settore giovanile. D'altra parte, molte giocatrici sono giovanissime: nove hanno meno di 22 anni, cinque meno di 20.

Foto Torino FC

Nonostante l’atmosfera rilassata e amichevole, però, non serve molto per convincersi che quella che sta giocando è la prima squadra del Torino. All’ingresso delle squadre, gli altoparlanti intonano l’inno del Torino (e il primo verso “Io questa maglia sognavo da bambino”, pur non essendo particolarmente inclusivo, assume un valore tutto nuovo). Le maglie hanno lo sponsor ad hoc di un’azienda che ha fiutato il potenziale d’immagine di questa avventura. Persino i tre punti finali ottenuti con un comodo 5-0 maturato nella ripresa non hanno il peso piuma di una partita delle giovanili, ma hanno il senso degli obiettivi, di tabelle di marcia rigidissime. Delle diciannove squadre dell’Eccellenza piemontese, divise in due gironi, solo una potrà salire in Serie C e scalare il primo gradone della lunga piramide.

Una piramide che parte dalla periferia di Torino, passa dalla Serie B e arriva fino alla Serie A, e ancora più su nelle coppe europee. Si possono guardare queste ragazze esultare per la vittoria e immaginare un filo lungo e sottile che corre nel tempo e nello spazio fino ai 35mila tifosi dell’Olimpico per Roma-Barcellona, fino agli oltre 90mila del Camp Nou per le partite delle blaugrana contro Real Madrid e Wolfsburg. Per la prima volta nella storia questa strada è aperta anche per chi veste la maglia del Torino. È lunga, ma finalmente reale.

Dove questa strada porterà non possiamo saperlo. Magari il Torino resterà nei bassifondi del calcio femminile, magari riuscirà a finire in quelle app che aggiornano il risultato in tempo reale. Qualche tifoso si affezionerà, un giorno perché no pure un po’ più che alla squadra maschile. Alcune ragazze forse cominceranno a sognare di poter vestire il granata. Qualcuna ci riuscirà, qualcuna no. Ci saranno gli errori dell’allenatore, i pali, i rigori sbagliati e gli autogol, gli applausi e le esultanze, i filtranti geniali e i tunnel – fatti e subiti. Qualunque sia la storia che il tempo modellerà, e le infinite altre storie con cui interagirà, tutto comunque sarà partito da qui. Una domenica di settembre calda oltre il tollerabile, in uno campo in sintetico nella periferia sud della città, tra l’Hiroshima Mon Amour e un inaspettato stadio di baseball.

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